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Autore: Nereisi    02/04/2024    0 recensioni
Hana scopre che è difficile prendersi cura della propria migliore amica, quando la suddetta migliore amica ha l’istinto di sopravvivenza di un lemming.
Hana non sapeva come fosse successo. No, aspetta, lo sapeva. Kyoko aveva fatto quella sua faccia implorante, quella per cui Hana aveva un punto debole. Sapeva che Kyoko aveva fatto delle pessime scelte di vita, ma non aveva realizzato che fossero contagiose.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Hana Kurokawa, Hayato Gokudera, Ryohei Sasagawa, Tsunayoshi Sawada
Note: Missing Moments, Traduzione | Avvertimenti: nessuno
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Hana era preoccupata.

Sapeva che non avrebbe dovuto preoccuparsi. Kyoko era incredibilmente tosta, nonostante sapesse giocare la parte della principessina indifesa alla perfezione. Sapeva badare a sé stessa; Hana non sarebbe stata attratta da lei altrimenti.

Tuttavia, le cose si stavano facendo decisamente bizzarre a Namimori e Hana stava trovando difficile mantenere la calma. E ancora più difficile far finta di non averlo notato.

Per esempio, Sawada: elemento di disturbo numero uno. Aveva ancora una cotta imbarazzante per Kyoko, quindi, almeno, il mondo non aveva completamente sviato dal suo asse. Quando sapeva di essere osservato, poi, era una perfetta imitazione del suo vecchio sé stesso sfigato: sciocco, maldestro, impacciato ma dolce.

Era quando non sapeva di essere osservato che le cose andavano storte. Quando pensava di essere da solo, quando stava guardando dentro di sé invece che fuori… come se le avesse viste tutte, fatte tutte e fosse assolutamente incapace di essere spaventato da qualsiasi cosa.

Poi qualcuno del terzo anno gli passava accanto e lui si impanicava, agitandosi e cadendo dalla sedia. Hana pensava che ci fosse la possibilità che lo stesse facendo specificatamente per farla diventare pazza. Era esasperante ancora prima che prendesse in considerazione il modo in cui lo trattava ultimamente Kyoko. Aveva sempre provato dell’affetto per lui, della serie “il-mio-gattino-carino-ma-spastico”, ma era cambiata. Ora lo rispettava.

Perché, perché, perché? Cos’era successo? Nulla aveva avuto tempo di succedere! Tutto era iniziato, a quanto sembrava, da un giorno all’altro e non aveva senso. Il che sarebbe già abbastanza preoccupante, se fosse stato solo Sawada, ma non era così. Oh, no. Anche Gokudera e Yamamoto avevano deciso improvvisamente di intraprendere questo nuovo stile di vita. A quanto pareva ora erano… amici? E non amici nel modo di prima, quando Yamamoto pensava che fossero amici e Gokudera stava cercando di capire come ucciderlo e farlo sembrare un incidente, ma veri amici, quasi come delle persone normali. Che quei due potessero essere normali in qualsiasi modo era terrificante.

E quando Sawada entrava in classe, si giravano verso di lui come dei fiori verso il sole. Erano su quella strada da un po’ – la strada della devozione preoccupante, quasi schiavistica – ma in qualche momento, quando Hana non stava guardando, c’erano arrivati.

Quindi, ok. Terremoti, studenti trasferiti, cambiamenti catastrofici in personalità e dinamiche sociali per nessun apparente motivo. Hana avrebbe potuto accettare tutto quello e anche di più, se solo Kyoko non fosse stata coinvolta. Lo era, però, e questo oltrepassava il limite.

Hana entrò in classe lunedì e Kyoko e il problematico trio erano tutti presenti per la prima volta da un sacco di tempo. Kyoko era stranamente stressata e preoccupata, Sawada aveva uno sguardo colpevole e timido, Yamamoto era noncurante e Gokudera era ancora più scattoso e irragionevole del suo normale ed elevato standard di scattosa irragionevolezza.

In parte per dispetto e in parte per proseguire un esperimento che stava conducendo, Hana raggiunse il suo banco e vi fece cadere i suoi libri con bang. La maggior parte della classe sussultò un poco, girandosi per vedere quale fosse la causa del rumore.

Gokudera e Sawada si misero le mani in tasca e Yamamoto scattò verso la sua mazza e tutti e tre si abbassarono di riflesso, come se stessero cercando di… cosa? Evitare la linea di tiro?

In ritardo, si accorsero che il fracasso era stato causato da dei libri. Sawada si rimise a sedere, tremolante e infelice, Gokudera sembrava decisamente incazzato e Yamamoto… beh, Yamamoto rideva, ma era fatto così.

Ora, come avrebbe dovuto chiamare quel comportamento? A parte demenziale, s’intende.

Hana si girò verso Kyoko per chiederle cosa ne pensava, per notare che anche lei sembrava sulla stessa lunghezza d’onda di Sawada. Tremolante. Infelice. Anche lei aveva cercato un’arma e aveva pensato di buttarsi a terra?

Oh, col cazzo.

Una cosa era che Sawada diventasse strano. Un’altra che Sawada formasse club di sumo clandestini o chissà cosa e che poi trascinasse un mucchio di idioti con lui. Quando trascinava Kyoko con lui, invece, Hana non ci trovava più niente da ridere.

Se fosse stata attenta, l’avrebbe visto arrivare. Non aveva prestato abbastanza attenzione; era chiaramente una pessima amica. Ma, che Dio le fosse testimone, non si sarebbe lasciata sfuggire niente da quel momento in poi – e visto che Sawada era evidentemente la fonte di tutti i problemi del mondo, avrebbe prestato particolare attenzione a lui.

La prima cosa che Hana notò era che c’erano molte persone che lo tenevano d’occhio. La maggior parte di loro non era una sorpresa… e poi c’era Hibari Kyouya.

Ci volle un po’ perché Hana credesse a quello che vedevano i suoi occhi ma sì, era un fatto che Hibari seguisse Sawada e la sua ciurma in giro per la scuola come un pervertito. L’unico pregio di Hibari era il rifiuto di curarsi di altri esseri umani, ma non era più così. Aveva fatto un’eccezione per Sawada. Beh, perché no? Tutti gli altri lo avevano fatto.

Sawada notava che Hibari lo stesse stalkerando, ogni tanto. E quando lo notava, faceva un piccolo sorriso, timido e nervoso.

Certo, ovvio, anche Hana avrebbe sorriso se avesse beccato il sociopatico più spaventoso della scuola a seguirla dappertutto e fissarla con i suoi strani occhi morti. Era motivo di festa!

Ma vabbè, almeno Hibari non stava seguendo Kyoko. No, aveva lasciato quel compito a quella tizia, Haru. Da dove fosse sbucata e come si fosse ritrovata perpetualmente accozzata a Kyoko, Hana non lo sapeva per certo. Né pensava di poterlo chiedere, perché sapeva esattamente quanto sarebbe suonata stronza se lo avesse fatto.

Beh, Hana non sarebbe mai andata a letto con Kyoko; semplicemente non era il tipo di relazione che avevano. Quella creatura stava – o avrebbe – servito una funzione a cui Hana non poteva adempiere. Soddisfare un bisogno. Quindi, era tutto ok.

Prossimo passo: sforzati di fartela piacere. Nonostante – nonostante! – le risatine. Ce la puoi fare, Kurokawa Hana. Ti sono piaciute persone più irritanti.

Haha. Quella era una bugia.

E come se la vita di Hana non fosse disastrosa abbastanza, c’erano anche i bambini. Erano intorno da un po’, ma ora sembrava che ce ne fosse uno dovunque che Hana si girasse, bambini dappertutto. Urlanti, piangenti…. Appiccicosi. Perché diavolo erano sempre appiccicosi o bagnati o entrambi? Seriamente, chi lo aveva deciso, c’era un qualche tipo di disgustosa legge dei bambini? E poi, si sentivano sempre in diritto di afferrarti con quelle loro mani disgustose e misteriosamente viscose e urlare per nessun motivo apparente, rifiutandosi di zittirsi. E se li schiaffavi lontano come i piccoli parassiti ululanti che erano, la gente ti chiamava barbarica.

Perché si riproducevano, gli esseri umani? Doveva essere una follia temporanea indotta dagli ormoni. Era l’unica spiegazione plausibile.

Ultimo ma non meno importante, la ciliegina sulla torta di quel bizzarro sundae che era la sua vita: il fratello maggiore di Kyoko. Hana lo conosceva a malapena ma, nonostante questo, stava cospirando per rendere il suo mondo surreale.

L’ultima volta che l’aveva visto, si era paralizzato come un piccolo animaletto predato – strano, per il campione di boxe della scuola – e l’aveva fissata per un momento disagevolmente lungo. Dopodiché si era raddrizzato, aveva dichiarato “Non sono estremamente pronto per questo!” e se l’era data a gambe.

Solo. Cosa.

 

-

 

La sciocca speranza di Hana che le cose potessero tornare alla normalità, un giorno, vennero presto spazzate via. Ogni anno che passava, il problematico trio accumulava sempre più assenza ingiustificate. Ogni anno che passava, la faccia di Sawada diventa un po’ più smunta e i suoi occhi un po’ più folli. Ogni anno che passava, la sua gente si stringeva intorno a lui, più duri e freddi e protettivi.

Kyoko faceva parte della gente di Sawada. Hana poteva negarlo quanto voleva, ma questo non cambiava i fatti. Sawada non aveva ancora fatto la sua mossa, romanticamente parlando, e Hana stava iniziando a dubitare che lo avrebbe mai fatto… ma era sempre . Proprio come il fratello di Kyoko, solo più spaventoso. Più spaventoso, nonostante fosse la metà di lui.

Il trio abbandonò gli studi a metà dell’ultimo anno di scuola superiore, il che le sembrò una scelta stupida. Così vicini alla maturità – perché non diplomarsi? Come pensavano di ottenere dei lavori decenti? Stavano puntando ad una vita dedicata al crimine o qualcosa del genere? Che razza di piano carriera era?

E perché non le sembrava impossibile come avrebbe dovuto?

Tuttavia, il loro abbandono cambiò molto poco, socialmente parlando. Kyoko persistette nel trascinare Hana a casa di Sawada dove, a quanto pareva, viveva tutta la cricca. (La madre di Sawada doveva essere una santa.) Sawada, ogni tanto, veniva a prendere Kyoko a scuola, seguito spesso da Ryouhei, Yamamoto e Gokudera, o quella Haru. Poi se ne andavano insieme in qualche posto non ben specificato.

La cricca di Sawada,  nonostante dovesse essergli impossibile trovare lavoro, era sempre stressata ed impegnata e sempre vestita bene – e… professionale? I conti non tornavano. No, non era vero, i conti tornavano, ma ad Hana non piaceva il risultato.

L’intera situazione la faceva innervosire al punto della nausea.

Kyoko e Hana si diplomarono come persone normali. Andarono al college come persone normali e abbastanza lontano che le visite del vecchio gruppo di Namimori passarono ad essere da quotidiane a mensili. Beh, tranne per Ryouhei: le sue visite erano settimanali, perché tutto si poteva dire di lui tranne che non prendesse sul serio il suo ruolo di fratello devoto.

Hana non era così stupida da sperare che la riduzione delle visite significasse che Kyoko se l’era scampata. Tanto per cominciare, avrebbe aiutato che lei avesse voluto scappare. Anche solo un pochino.

Haru le seguì al college, ma Kyoko scelse di condividere una stanza con Hana. Avrebbe voluto sentirsi commossa, se non avesse sospettato che fosse perché era un momento nel corteggiamento troppo strano perché potessero vivere insieme tranquillamente. Immaginò che, prima o poi, la sua stanza si sarebbe gradualmente trasformata in una singola.

Kyoko faceva delle scelte di vita terribili. Hana desiderava non avere una poltrona in prima fila per assistervi.

Hana si specializzò in legge, che era il motivo per il quale aveva una libreria piena di libri di legge. Haru si specializzò in economia e scienze politiche e possedeva i tomi corrispondenti. La specializzazione di Kyoko era psicologia – sulla carta – ma non spiegava i libri sui suoi scaffali.

Gomorra, Midnight in Sicily, Yakuza: Japan’s Criminal Underworld, Il Mostro di Firenze, The Place That Was Promised, Helter Skelter, Il Corvo, Mein Kampf. E diversi libri sullo stress post-traumatico, il che era… curioso.

I libri potevano non essere, per la maggior parte, relativi alla sua specializzazione; ma c’era un filo conduttore. Uno che la preoccupava. “Kyoko.” Disse Hana a metà del loro secondo mese di lezioni, fissando la libreria.

“Penso che tu ti stia specializzando nella materia sbagliata. Non sono nemmeno sicura che tu sia nel giusto ateneo.”

Kyoko fece capolino da dietro una gigantesca biografia di Mao. “Oh no, la mia specializzazione è molto utile. Voglio dire, vorrei sapere perché delle persone carismatiche… beh. Perché, a volte, decidono di fondare culti o di dominare il mondo. Questo genere di cose.”

Giusto. Un pochino di omicidi seriali e crimine organizzato non ha mai fatto male a nessuno.

Hana considerò le persone carismatiche che Kyoko conosceva. Yamamoto era abbastanza carismatico, ma era troppo tranquillo per fondare un culto o cercare di dominare il mondo. Kyoko stessa aveva un quieto carisma… ma era quieto. Gokudera e sua sorella Bianchi avevano entrambi carisma, se ti piacevano i tipi pericolosi, imprevedibili e drammatici; ma no, Hana sapeva, sapeva a chi si stesse riferendo.

Quella, come moltissime altre cose, era una faccenda che riguardava Sawada, che aveva carisma in abbondanza (e chi ci avrebbe mai creduto, a scuola?). Sawada, che aveva uno stormo di persone che lo seguivano fedelmente. Sawada, che sembrava sempre più stanco, esausto e cupo ogni volta che Hana lo vedeva.

Tranne quando sorrideva. In quei momenti sembrava proprio da camicia di forza.

“Quindi. Misure preventive?”

Kyoko aggrottò la fronte e ritornò al suo Mao, ma non rispose. E perché avrebbe dovuto? Era solo preoccupata che Sawada potesse diventare un Asahara Shoko o un Charles Manson, nulla di cui preoccuparsi.

Hana si lasciò cadere sul suo letto e fissò il soffitto. Guarda in faccia la realtà, Kurokawa. Come se tu fossi migliore. Perché ti sei interessata a leggere? Puoi dire, con sincerità, che è stato per ragioni più nobili di tenere Kyoko fuori dalla gattabuia?

Non lo poteva dire. Il desiderio di tenere Kyoko fuori di prigione era stata senza ombra di dubbio la sua motivazione principale per intraprendere una laurea in legge. Il che significava, arrivando alla conclusione logica, che non le interessava in quali casini illegali Kyoko si sarebbe andata a ficcare, fintantoché non sarebbe stata punita per essi. Non diceva nulla di buono sui suoi valori morali.

La sua vita stava precipitando nel baratro del disastro semplicemente perché aveva scelto la persona sbagliata a cui associarsi. Era ridicolo.

 

-

Durante un innocente giorno di primavera alla fine del primo anno, il fratello di Kyoko bussò alla porta del loro dormitorio mentre Kyoko era fuori a fare la spesa. Fu quindi Hana ad aprire la porta.

“Oh.” Disse. “Mi dispiace, Kyoko non-“

“Okay!” La interruppe lui, molto uomo-con-una-missione. “Penso di essere pronto. Facciamolo!”

Le sopracciglia di Hana si inarcarono. Aveva parlato con Ryouhei quattro o cinque volte, includendo l’episodio del non sono estremamente pronto. Si chiese se fosse sempre così. “Cosa?”

“Sposarci, all’estremo!”

Prevedibilmente, il tutto degenerò da lì in avanti e culminò con lui fuori dalla porta, urlando verso la sua finestra di follie riguardo all’amore e al destino mentre lei lo bombardava tirandogli sulla testa la tanto amata collezione di libri psicopatici di Kyoko.

“Fratellone?” Chiamò tentativamente Kyoko, finalmente di ritorno dalla spesa per salvare Hana da quel pazzoide del suo parente. “Hana? Uhm… che succede?”

“Kyoko, fallo andare via!

“La tua amica,” disse con reverenza Ryouhei, “è ESTREMA!”

Kyoko fece un risolino. Hana cancellò ogni singolo pensiero positivo che aveva mai avuto sulla sua amica e scagliò Il Corvo direttamente sul muso di Ryouhei. 700 pagine, parecchie di foto lucide (e pesanti), l’agghiacciante storia di un falso profeta.

Non lo rallentò nemmeno.

 

-

 

Hana non sapeva come fosse successo.

No, aspetta, lo sapeva. Kyoko aveva fatto quella sua faccia implorante, quella per cui Hana aveva un punto debole. Sapeva che Kyoko aveva fatto delle pessime scelte di vita, ma non aveva realizzato che fossero contagiose.

“Questa è stata una tua idea, amico.” Dichiarò seccamente. “Quindi è compito tuo intrattenermi.”

Ryouhei la fissò dall’altro lato del tavolo, apparentemente confuso tanto quanto lei riguardo a come fossero finito in quel posto, in un appuntamento con garanzia di catastrofe, in un ristorante italiano che Kyoko e Haru avevano scelto tra una risatina e l’altra.

Come se non bastasse, il cameriere aveva captato la pesante cappa di disagio che aleggiava sul loro tavolo. Ogni volta che poteva, li guardava con maliziosa delizia, sperando in una scenata – lacrime, porte sbattute, bicchieri spaccati. Hana aveva avuto una breve e orribile esperienza come cameriera e si ricordava di come i problemi delle altre persone potessero alleviare temporaneamente la sua miseria (quando non aggiungevano carico). Detto questo, provvedere intrattenimento per camerieri inaciditi non era mai stato un suo obiettivo personale. Maledetta Kyoko.

Ryouhei non se la stava passando molto meglio. Stava borbottando tra sé e sé con evidente agitazione, fissando il menù senza vederlo davvero e lanciandole sguardi nervosi come se fosse un codice che non aveva speranze di comprendere. Che diavolo di problemi aveva? Era stata una sua idea, per la miseria!

Oh. Non sono estremamente pronto, eh?

“Scegli un argomento.” Suggerì Hana in un moto di pietà. “Qualsiasi argomento. Cercherò di venirti incontro.”

“Di solito parlo di boxe!” Le confidò Ryouhei per la felicità del cameriere, che stava apparentemente controllando se fossero pronti per ordinare. “Ma Kyoko ha detto che non avevo estremamente il permesso parlare della boxe.”

“Del lavoro, allora?”

“Gokudera ha detto che non posso parlare di lavoro!”

“Gokudera? Discuti con Gokudera dei tuoi appuntamenti romantici?”

“È il suo lavoro. È un tipo strano.”

“Sono d’accordo con te.” Concedette Hana. Quindi Gokudera monitorava vite amorose. In cosa diavolo era andata a ficcarsi Kyoko? “Pensi che Sawada ci proverà mai con Kyoko?” Chiede, ipotizzando che l’amica fosse l’unico punto che avevano in comune.

Ryouhei rispose con un’espressione francamente spaventosa che le ricordò, tra l’altro, Gokudera, e disse: “Non se ci tiene alla vita.”

Mh-hm. “E cosa ne pensi di Haru?”

Faccia spaesata. “Haru? È un’amica estremamente preziosa!”

Okay. Quel tipo era quasi adorabile. “Lascia perdere. Parlami pure della boxe; prometto di non dirlo a Kyoko. Ma esistono donne che fanno boxe?”

Ryouhei si lanciò in un entusiastico racconto della volta in cui aveva provato a far entrare una ragazza misteriosa nel club di boxe dopo avergli fatto il culo, ma era sparita in uno sbuffo di fumo; non aveva mai superato la perdita. Poi, in qualche modo, seguì una storia della volta in cui un bambino gli aveva insegnato a spaccare massi con i pugni, il che devolvette in un rapporto stressato e sconclusionato su “tipo Sole”, uomini con capelli strani e, potenzialmente, necrofili. Hana non era del tutto convinta dell’ultima parte, ma nemmeno Ryouhei lo era.

Faceva ridere, anche se raramente era intenzionale. Era anche quasi sicuramente pazzo, ma Hana scoprì che non le dispiaceva particolarmente. Se lo era, almeno aveva trovato un modo divertente di perdere le rotelle. E poi, più lo guardava e più voleva baciargli il naso e mordergli i bicipiti, il che era piacevolmente fuorviante. Quell’appuntamento disastroso si stava rivelando essere sorprendentemente divertente.

Il cameriere ammise infine la sconfitta, prendendo il loro ordine e trascinandosi via nella delusione. Più tran-tran, meno drammi. Poveretto.

“Perché volevi uscire con me, comunque?” Chiese Hana quando Ryouhei si calmò un poco. “Non sai nulla di me.

“Ed è esattamente per questo!” Urlò Ryouhei, dando un pugno al tavolo e spaventando gli altri commensali. Hana resistette all’istinto di sogghignare. Fighettine. “Kyoko dice che dovrei chiederti di raccontarmi… uh… storie della tua infanzia! O qualcosa del genere!”

Fissò Hana con aspettativa. Parlava, ma quello che diceva non aveva nessun senso. Le toglieva il fiato.

“Okay.” Concedette. “Le mie storie non sono comparabili alle tue per quanto riguarda la stranezza più pura ed accecante, ma posso provarci. Se vuoi. Voglio dire, non devi fare quello che ti dice Kyoko.”

Lui aggrottò la fronte. “Lo faccio, quando posso.”

Già. Tipo strano, ma adorabile. “Giusto. Allora, tanto tempo fa mio padre aveva comprato questo set per tagliare i capelli…”

Quel racconto era stupido e culminava con della violenza accidentale. Ryouhei avrebbe dovuto adorarlo.

 

-

 

“Allora, ho sentito che stai uscendo con mio fratello.” Disse Kyoko, dando le spalle ai suoi compiti, gli occhi accesi di mefistofelica delizia.

“Zitta.” Disse Hana, decidendo di lasciar perdere il negare e tagliando direttamente corto.

“Effettivamente è un ragazzo fantastico.”

“Quale parte di ‘zitta’ non capisci?”

“Se avessi saputo che era il tuo tipo vi avrei fatti mettere insieme anni fa…”

“Kyoko-“

“Ma continuavi a ripetere che volevi qualcuno calmo e maturo e intellettualmente-“

“Ho mai detto che ti odio-“

“-E per quanto ami mio fratello, non lo descriverei mai come un-“

Puoi fermarti quando vuoi.”

Kyoko smise di parlare, ma non smise di ridacchiare. Poteva essere un miglioramento come no.

“E poi cosa parli a fare per prendere in giro la mia vita sentimentale?!” Insistette Hana. “Guarda con chi stai uscendo. Risolino!”

“Ahh, le dirò che l’hai chiamata così.”

“È al corrente della mia opinione.” In verità, Hana sperò che non lo fosse. “Cosa ci vedi in lei, comunque?” Aveva aspettato sei anni per chiederlo; le sembrava una quantità di tempo ragionevole. Aveva smesso di sperare che Haru sarebbe sparita dalle loro vite, prima o poi.

“Beh.” Disse Kyoko in un tono da l’hai voluto tu. “È divertente, bellissima, intelligente, è incredibilmente dotata con i numeri e i design astratti, è fantastica a letto-“

“Smettila!”

Kyoko sorrise, serafica. Kyoko era malvagia, malvagia e ancora malvagia. “Okay.” Concedette Hana. “Lo ammetto, suona tutto molto bello.” E sapeva che era vero, il che rendeva il tutto ancora più irritante. Beh, tutto tranne l’ultima cosa. A quella doveva credere sulla parola. “È abbastanza generico, però. Perché lei, in particolare? Perché tu, in particolare? È a causa delle misteriose faccende relative a Sawada che avete affrontato insieme? O cosa?”

Kyoko tamburellò la penna sul quaderno per un po’, riflettendo. “È sempre stata…” Tap tap tap. “Sai, non sono la persona più espressiva del mondo.”

Hana rise, forte, e Kyoko le lanciò la penna addosso. Il che, coff coff, era pericoloso. Oggetti acuminati e tutto il resto.

“Sono sconvolta che lo pensi.” Dichiarò Hana, alzando le mani per deflettere altri oggetti scagliati in sua direzione. “Sconvolta! Insomma, hai un intero spettro di espressioni. Carina, carina felice, carina spaventosa, preoccupata e carina-“

“Hana, la vuoi questa spiegazione o no?”

“Scusa, scusa, la voglio.”

“Haru è molto espressiva. È tutto lì, a portata di mano; so sempre cosa sta pensando. Non devo pensarci su, me lo dice. Immagino… suona strano se dico che mi fido di lei perché non mi assomiglia molto?”

“Sì.” Strano. Triste. Non la sorprendeva molto. “Ma ha senso. Sei speciale e contorta, fa parte del tuo charme.”

“E poi,” disse Kyoko, pensierosa, “sa di Tsu-kun e… capisce, um. Tutto. Sarebbe difficile da spiegare a qualcuno di nuovo. Non capirebbero mai davvero.”

“Oh, davvero?” Rispose seccamente Hana.

Kyoko le sorrise, con tutta la sua (falsa) innocenza. Hana sospirò.

 

-

 

Lasciar perdere l’idea di chiedere a Kyoko non voleva dire arrendersi, però. C’erano svariate persone coinvolte e Hana non aveva paura di infastidirle fino allo sfinimento. Anche se, probabilmente, avrebbe dovuto.

Poteva chiedere a Ryouhei, ma, beh. Innanzitutto, Gokudera lo aveva istruito a non parlare di lavoro (che Dio li protegga tutti), quindi non sarebbe stato giusto. E poi, Hana non era convinta che, se fosse riuscita a farselo spiegare, avrebbe capito quello che Ryouhei le diceva. Aveva iniziato a sospettare che i suoi istruttori di boxe gli avessero somministrato delle strane pillole da bambino. Aveva anche iniziato a sospettare che anche lei avesse perso qualche rotella per strada, visto che lo trovava comunque affascinante.

Quindi, invece di turbare il povero Ryouhei con le sue domande, aspettò fino alla pausa estiva. Tornarono a Namimori per visitare i loro genitori e, quasi prima ancora che avesse deciso di farlo, Hana riuscì a beccare Sawada da solo. Incredibile. Pensava che Sawada non fosse mai da solo ma, invece, eccolo lì in carne ed ossa, in un supermercato, con in mano un cestino strabordante di - strano ma vero - cavoli. Hana fu sorpresa nello scoprire che Gokudera gli lasciasse fare la spesa da solo. O in generale. Non aveva degli scagnozzi per quel tipo di cose?

“Sawada.” disse, con la voce più nefasta che riuscì a tirare fuori, “Cosa sei?

La sua testa fece uno scatto, interrompendo la sua contemplazione di pere, e quasi andò a sbattere contro una piramide di arance prima che realizzasse chi stava parlando con lui. Aggrottò la fronte in modo teneramente preoccupato, come se fosse lei quella pazza. “Oh, Kurokawa! Ciao. Uhm, io sono… un Sawada? Per caso ha qualcosa a che vedere con Gokudera-kun?”

“Cosa? No. Beh, forse. Cosa sei? Perché il completo e la cravatta? Non ti sei nemmeno diplomato al liceo! Non dovresti avere accesso ad un completo ed una cravatta!”

“Oh.” Si guardò i vestiti, apparentemente sorpreso da cosa indossava. Adorabilmente sorpreso. Era da un po’ che Hana non lo vedeva. Nel frattempo, aveva perso un po’ del suo sguardo selvaggio ed era diventato esponenzialmente più attraente. Lui e Kyoko dovevano essere letali insieme. “È per lavoro.”

“Già, è quello a cui stavo alludendo. Che tipo di lavoro fai?”

Alzò le spalle, minimizzando il tutto. “Solo business.”

“Se tu sei un impiegato, io sono Madre Teresa.”

Lui si morse il labbro e distolse lo sguardo per un secondo. Hana aveva il tremendo sospetto che la stesse immaginando in un soggolo. “… Non proprio un impiegato.” Acconsentì. “Ma… business, per la maggior parte oltreoceano. Consulenze, si potrebbe dire.”

Lei lo guardò con palese scetticismo. “Quante cazzate dici, Sawada.”

Lui sorrise timidamente. “Scusa?”

Come si faceva ad andare conto qualcosa del genere? Non era possibile. “Sei un truffatore, non è vero?”

“Ha! Cosa? Io sono… no, proprio no. Uhm, Kurokawa, perché sei- c’è qualcosa che ti preoccupa?”

“Tu. Tu mi stai facendo preoccupare. Sei uno spaventoso uomo del mistero che gira intorno alla mia migliore amica e questo mi mette davvero a disagio.”

Il sorriso evaporò. “Mi dispiace.”

“Non mi aiuta.”

“Tu… stai assieme al Fratellone, giusto?”

Non le piaceva nemmeno il modo in cui si riferiva al fratello di Kyoko con Fratellone. Non erano sposati, per Dio. “Forse.”

Si morse di nuovo il labbro. Le faceva piacere che il suo dolore fosse così fottutamente divertente per lui. “Il Fratellone lavora per me, lo sai?”

Sì, lo sapeva. “Fantastico, quindi la mia migliore amica e il mio ragazzo sono alla mercè delle tue malefiche grinfie. Doveva farmi sentire meglio? Perché non è così.”

“Malefiche grinfie.” Sospirò lui, strofinandosi la faccia con la mano che non stava tenendo una scorta a vita di cavoli. Hana si rifiutò di sentirsi in colpa. Si rifiutò di sentirsi come se avesse pestato la coda di un cagnolino. Si rifiutava. “Sai, ho intrapreso questa… carriera… così da poterli proteggere. Ma tu non mi credi.”

Non era sicura se gli credesse o meno, ma se il suo scetticismo sarebbe risultato in ulteriori spiegazioni, non aveva problemi a fingersi incredula.

Sawada la studiò per un lungo momento, calmo e sicuro come l’aveva raramente visto. Pensò: quindi è questo che Kyoko ama. Pensò: questo è l’uomo che Ryouhei segue.

Poi si disse di fermarsi, concentrarsi e non lasciarsi confondere dal suo carisma. Sawada barava, ovviamente.

“Li proteggerò.” Giurò lui, voce quieta e mortalmente seria. “Li proteggerò a costo della mia vita. Te lo prometto.”

Si inchinò profondamente e se ne andò mentre Hana si stava ancora riprendendo dallo shock, scombussolata e infettata dal morbo del carisma di Sawada. Lui e i suoi cavoli sparirono dalla sua vista prima che Hana si rendesse conto che quella promessa fosse abbastanza disturbante e non particolarmente rassicurante.

Oh, diavolo. Realizzò. Me lo sono lasciato scappare!

Sawada barava.

 

-

 

“Come sta il tuo malditesta numero uno questi giorni?” Chiese Mayumi, una sua vecchia amica di scuola, nel tono leggero e allegro di chi non aveva amici appartenenti ad un’oscura setta segreta. O roba simile.

“Ricordami chi sarebbe il mio malditesta numero uno.” Mugolò Hana al telefono, raggomitolandosi in una palla triste e autocommiserante sulla sua sedia alla scrivania.

“Oh, non partiamo per niente bene. Quali sono le mie opzioni?”

“Kyoko. Ryouhei. Sawada-“

“Sawada?” La interruppe Mayumi. “Sawada Tsunayoshi? Tsuna il perdente, quello che ha abbandonato gli studi? Non sapevo nemmeno che ci parlassi ancora. Perché ti sei disturbata?”

Tsuna il perdente. Dio. Hana se n’era dimenticata. “Mayumi.” Disse lei. “Quel tipo ha una profondità nascosta non da scherzare. Non ne hai idea.”

“Pensavo che stessi uscendo con il fratello di Kyoko.”

“Oh, non sono profondità romantiche. Sono profondità da scappa-urlando-nella-notte.”

“…stiamo parlando dello stesso Tsuna il perdente.”

“Sì, ho capito che non lo vedi da anni. Fidati di me, è diventato letale. Hibari fa quello che gli chiede, qualche volta.”

Hibari Kyouya?

“Proprio lui.”

“Wow, è… disturbante.” Un momento di silenzio. “Quindi Sawada adesso è figo?”

Hana rise tristemente e cercò di ricordarsi. E non ci riuscì. Onestamente, non lo sapeva nemmeno. “Non lo diresti, guardandolo.” Disse, desolata. “Sembra l’essere più attraente che tu abbia mai visto, ma probabilmente perché bara.”

“Bara?”

“Sì.” Hana cercò un modo credibile per dire morbo del carisma. “Forza della personalità. Qualcosa del genere. Forse se lo vedi, non lo so, in TV, non sembrerebbe nulla di speciale. Ma, nella stessa stanza? Fa paura.”

“Strano.” Mayumi sembrava impressionata, il che succedeva circa una volta ogni morte di papa. “Quasi vorrei incontrarlo, adesso.”

“Non vuoi, credimi.” Le assicurò Hana.

“Hmm.” Una pausa pregna di considerazione e minaccia. “Allora, stai con Sasagawa da un po’, non è così? Quanto serie sono le cose tra voi?”

Mayumi aveva il dono di fare sempre le domande peggiori. “Non lo so, stai zitta.”

“Oh? Vuol dire che l’hai presa più seriamente tu di lui?”

Hah! Neanche lontanamente! “Sai, non mi ha mai chiesto davvero di uscire per un appuntamento.”

“…non l’ha fatto?”

“No. Ha detto, ‘Sposiamoci!’.” All’estremo, per di più.

“Stai scherzando.”

“Oh, proprio no.”

“Okay, sei amica di Kyoko da sempre ma, tipo. Ti conosceva, almeno?”

“Dire di no.”

“È inquietante, Hana.”

“Già.” Sospirò lei. “Gli ho anche tirato addosso della roba.”

“Non ha funzionato, immagino.”

“A quanto pare no.”

“Ma ti stava seguendo?”

 “No. La sua soglia dell’attenzione è troppo bassa. E poi, non credo che abbia mai fatto qualcosa che Kyoko non abbia scoperto, prima o dopo, e lei non gliel’avrebbe lasciato fare.”

“Quindi Kyoko guarda ogni sua mossa?”

“Praticamente.”

“E questo… non ti dà fastidio? State assieme.”

“Perché mi darebbe fastidio? Kyoko tiene d’occhio anche me. Non è cambiato nulla, tranne che le abbiamo reso le cose più facili.”

“Diamine, Hana.” Strascicò Mayumi, apparentemente soddisfatta. “Che vita hai.”

“Non dirlo a me.” Mormorò Hana. “E tu? Stai vivendo nella normalità e nel successo più schifosi, non è così?”

“Oh, sì.” Rispose Mayumi in un tono schifosamente compiaciuto. “Sì, è così.”

Hana non sapeva perché era attratta da tutti quei sadici scatenati. Doveva essere un difetto del suo carattere.

 

-

 

“Pensavo che saresti stata orgogliosa di me per aver trovato un lavoro.” Disse tristemente Kyoko.

“Tu dici lavoro, io dico servitù eterna verso Sawada.” Esplose Hana.

“Sto solo lavorando per lui.” Insistette Kyoko con una calma fiduciosa di cui Hana non si fidava neanche un po’. “È un accordo di business.”

“Ok. Allora perché mi sembra di starti mandando ad unirti ad una setta?”

Kyoko inclinò la testa e si esibì nel suo sorriso più adorabile. Il che, c’era da dirlo, era assurdamente carino. “Perché sei paranoica?”

“Paranoica non vuol dire che mi sbaglio. Specialmente quando si tratta di Sawada.”

“Hana…” Kyoko scosse la testa.

Sotto altre circostanze, Hana avrebbe potuto lasciar perdere. Un lavoro era una buona cosa, giusto? Anche se significava lavorare per Sawada. ma non poteva lasciar perdere, perché aveva l’orrendo sospetto che avessero già avuto questa discussione prima d’ora. Quasi come un déjà-vu. Come se, in un sogno, avessero fatto questa discussione e lei avesse lasciato andare Kyoko e tutto fosse finito in un enorme disastro.

“Allora trova un lavoro anche a me.” Decise lei. Se Kyoko si stava per buttare a capofitto nella tana del coniglio, Hana l’avrebbe seguita. Almeno non si sarebbe dovuta costantemente chiedere che diavolo stesse succedendo.

Fantastico, ora stava basando decisioni vitali su premonizioni e istinti casuali. La prossima volta sarebbe toccato a lei unirsi ad una setta. Sempre che non lo avesse appena fatto.

“Non sai cosa stai chiedendo.” E Kyoko non era contenta. Ora sapeva come si era sentita per tutti quegli anni.

“Penso di avere un’idea abbastanza chiara.” Hana scoccò un’occhiata incendiaria alla consunta copia di Midnight in Sicily che troneggiava sul comodino di Kyoko. “E non mi interessa.”

“Ti interesserà più avanti.” Insistette Kyoko.

“È un problema mio e non tuo, non è così?”

Kyoko aggrottò la fronte, borbottando: “Saresti stupita.” Poi tirò fuori il cellulare, premette un bottone, lo accostò all’orecchio e disse “Gokudera-kun.”

Aveva Gokudera come chiamata rapida. Buon. Dio.

 

-

 

“Perché siamo a casa dei miei genitori?” Chiese Sawada, guardando la sua vecchia camera come se non l’avesse mai vista prima.

“È privata, Decimo, e sapeva già dove fosse.” Spiegò Gokudera. “Non vogliamo che capisca dove sia la base o i nostri appartamenti, ma visto che sa già-“

“Ma perché la casa dei miei genitori?” Ripeté petulante Sawada.

“Decimo…”

Sawada si strofinò il viso con entrambe le mani e collassò sul suo letto, indicando ad Hana di accomodarsi sulla sedia della scrivania. Si girò verso Gokudera con uno sguardo significativo. Gokudera scosse la testa. Sawada alzò le sopracciglia. Gokudera fece un’espressione implorante. Sawada sorrise e gli indicò la porta. Gokudera sospirò ed uscì dalla stanza.

Un interessante tira e molla.

Sawada tornò a girarsi verso di lei, scoccandole un sorriso mesto e pacato. “Allora. Sei ancora preoccupata per Kyoko-chan?”

“Anche di più.”

Lui annuì, pensieroso, poi si fece più in là per appoggiarsi contro il muro e abbracciarsi le ginocchia, nonostante indossasse un completo costoso. Con quel gesto, la stanza e l’assenza di scagnozzi nerboruti, riusciva quasi a dare l’illusione di essere ancora Tsuna il perdente, magrolino e completamente innocuo.

Lo stava probabilmente facendo apposta. Hana gli scoccò un’occhiataccia, ma lui era troppo impegnato a guardarsi nostalgicamente in giro per accorgersene.

“Legge?” Chiese dopo qualche secondo di confortevole – strano ma vero – silenzio.

“Già.” Confermò.

“…ci farebbe comodo un avvocato. Ma dovresti finire la tua laurea.”

“Oh, la finirò. E mi iscriverò anche all’albo. Sarò un avvocato vero, non semplicemente un… losco, finto avvocato per… qualsiasi cosa voi siate. Se pensi che mi fidi di te abbastanza da lavorare per te senza una laurea come garanzia, ti sbagli di grosso.”

“Mhh, probabilmente.” Concedette lui, divertito. Ma l’espressione addolcita sfumò e, quando se ne andò, sembrava solo triste e schiacciato da qualche terribile peso. La faceva sentire in colpa e non le piaceva. “Sai” disse lui, “che tipo di lavoro sarebbe.”

“Sì, lo so.”

“Infrangiamo la legge costantemente.”

“Vuoi che mi finga sorpresa?”

“Sto solo dicendo, potrebbe causarti dei problemi. Moralmente.”

“Non credo.” Lo rassicurò lei. “Ho iniziato a capire che non ho un senso della morale, a meno che non si tratti di assicurarmi che le persone che amo stiano bene. È inquietante?”

Sawada nascose il viso tra le ginocchia e le sue palpebre si incresparono – doveva star nascondendo un sorriso. Adorabile fino al ridicolo. “Io sono, uhm. Non sono la persona migliore a cui chiedere. E nemmeno Gokudera lo è, quindi. Suppongo che fingeremo che non sia inquietante.”

“Fingere che non sia inquietante. È così che vivi la tua vita, eh?”

“Praticamente.” Tsuna si raddrizzò e raggiunse il bordo del letto, rimettendo i piedi sul pavimento come un adulto. “E dovrai vivere anche tu così. O altrimenti, non so, impazzirai. Sei sicura?”

Certo che era sicura. Si era rigirata quella stessa domanda nella testa sin da quando aveva quindici anni. “Devo prendermi cura di Kyoko.”

Sawada sorrise e si alzò, allungandole la mano. “Allora io mi prenderò cura di te.”

Era un tizio magrolino in un completo elegante, ancora più bimbo che adulto, il viso troppo preoccupato e dolce per essere preso sul serio. Hana non aveva idea del perché fosse così facile fidarsi di lui. Forse perché lo aveva già preso in parola ed era già impazzita.

“Andata.” Disse, stringendogli la mano. Destino segnato, semplice come respirare.

 

-

 

Sawada spiegò, in uno dei suoi terrificanti slanci di condivisione totale, che non avrebbe forzato Hana o Kyoko (o Haru) a fare alcun tipo di allenamento fisico, se non l’avessero voluto. Avrebbe fatto del suo meglio per proteggerle e, in teoria, sarebbe bastato.

Ma le cose, le fece notare, avevano l’abitudine di andare per il verso sbagliato.

“Anche io mi sono allenato con Hibari.” Disse, occhieggiandole nervosamente. “È davvero… uhm, doloroso. Non ci andrà piano con voi, ma è per questo che ho scelto lui. Quando avrà finito con voi, chiunque altro vi sembrerà… debole. La scelta è vostra.” Un altro sguardo preoccupato per ciascuna di loro. “Non sarà divertente.”

Aveva ragione, ovviamente. Ce l’aveva sempre, quello stronzo.

L’idea di complimento di Hibari era comportarsi come se avessi finalmente fatto quello che si aspettava da te sin dall’inizio. La sua idea di punizione, d’altra parte, era colpirti molto forte in punti delicati. Hana sentiva di non essere particolarmente adatta a questo stile di incoraggiamento.

“Tuo fratello,” informò Kyoko, “andrà via di testa.”

“È per questo che ci stiamo truccando, Hana.”

“Sì, ma riesco ancora a vedere il tuo occhio nero. Il trucco non nasconde il gonfiore.”

“Deve per forza colpirmi in faccia ogni volta?” Esclamò lei, fissando con astio il suo viso martoriato riflesso nello specchio. “A te non colpisce mai in faccia.”

“No, a me picchia sui reni e mi fa pisciare sangue. Non è meglio, solo diverso. Forse gli piace variare.”

“Anche ad Haru colpisce sempre in faccia. Chrome-chan dice che con lei non lo fa mai.” Mormorò Kyoko, per niente placata.

“Dubito che colpisca troppo Chrome in generale – è una bestia come il resto di loro. Noi, d’altra parte, non abbiamo speranze. Ringrazia che i tuoi organi vengano lasciati stare e basta perché, seriamente, questo non può essere salutare. È meglio per lui che quello stronzo sia mentalmente preparato a donarmi un rene quando saremo vecchi.”

“Ho lo stesso aspetto di Tsu-kun quando andavamo a scuola.” Disse Kyoko nostalgicamente, ignorandola. “E pensare che volevo sapere cosa gli stesse succedendo.” Gettò la testa all’indietro e apostrofò il soffitto. “Me lo rimangio! Non lo voglio più sapere!”

“Comunque, perché Hibari lo sta facendo?” Mormorò Hana, picchiettando del correttore sopra la pelle gonfia e spaccata, guardando Kyoko sussultare e provando un incombente senso di futilità. “Pensavo che al signor Problemi di Gestione della Rabbia piacessero le sfide difficili.”

“Ogni volta che combatte con una di noi, Tsu-kun gli concede uno scontro. O il signor Reborn.” Spiegò Kyoko. “Quindi, in un certo senso, sta venendo pagato per i suoi servigi.”

“Mostro.” Sussurrò Hana, sbalordita. “Quell’uomo è un mostro a cinque stelle. Sono davvero impressionata.”

Il sorriso di Kyoko le tirò la pelle intorno agli occhi e lei sussultò per il dolore. “È decisamente impressionante.”

Hana sorrise. Era bello sapere che persino Kyoko potesse essere spinta a dire qualche velata cattiveria.

 

-

 

Per quanto Hana avesse immaginato la sua vita da criminale, si era sempre immaginata a passare molto tempo dietro una scrivania. Si era immaginata arrabattare con dichiarazioni dei redditi, possibilmente creare false identità o compilare contratti loschi. A sguazzare tra corporazioni, immobiliare, tasse e/o la legge criminale.

Non aveva capito la vera portata del suo ruolo. Non la sorprendeva, visto che ciò che comprendeva era da capogiro. Era, in qualche modo, l’unico e solo avvocato per tutta la loro… azienda. (‘Cosa sono questi rami della legge di cui parli?’ le chiedevano. ‘Cos’è questa specializzazione?’) Riceveva un po’ di aiuto da Haru con il lato aziendale delle cose, da Shoichi con la proprietà intellettuale e da Gokudera con le politiche fuorilegge mafiose. Nonostante questo, si aspettavano da lei che facesse più di quello che era razionale, ragionevole o anche solo possibile – e non aveva nemmeno una segretaria full time.

Ancora peggio, l’unica persona con cui poteva lamentarsi era Sawada, e il lavoro di Sawada faceva sembrare il suo una passeggiata. Era una partita persa in partenza comparare la propria vita a quella di Sawada. Hana non riusciva nemmeno a piagnucolare di quanto del suo lavoro necessitasse la sua presenza sul campo – non puoi lamentarti di una cosa simile con un boss mafioso che era sia più magro che più basso di te.

Il fatto era… che lei era l’unico avvocato. Hana doveva partecipare ad un sacco di incontri con persone spaventose e pesantemente armate. Questo era un vero peccato, perché Hana non aveva guadagnato molte stelle nel lato della diplomazia. Per di più, aveva il mirabile dono di irritare persone con pistole.

Quando la situazione era delicata, Hana faceva un riassunto legale a Sawada e se ne occupavano lui e Gokudera – Sawada era il re della diplomazia. Ma quando non era richiesto molto tatto, Sawada mandava lei con della forza bruta appresso.

Quel sistema, solitamente, funzionava. Sfortunatamente, le persone occasionalmente nascondevano molto bene quanto ostili fossero e in quel caso… beh, in quel caso, Sawada pensava che fosse sicuro mandare Hana, e si sbagliava. Era accaduto anche quel giorno – Sawada aveva mandato Hana e Yamamoto e avevano imparato con le cattive che la forza bruta di Yamamoto non bastava contro trenta persone con box weapons.

Almeno i fallimenti diplomatici di Hana non erano la causa del disastro, questa volta – non aveva avuto l’occasione di fallire. Lei e Yamamoto avevano volato fino a Reggio Calabria (sempre un’esperienza ilare, che comprendeva almeno tre scali non necessari e altrettanti o quanti più voli in ritardo o cancellati Alitalia riusciva a propinare), ed erano stati prontamente attaccati mentre si stavano dirigendo alla loro macchina noleggiata. Yamamoto aveva abbattuto diversi assalitori, ma gli altri era riuscito solo ad infastidirli.

Hana era del forte parere che niente di tutto questo sarebbe successo se avessero un jet privato e quindi, chiaramente, avrebbero dovuto averne uno. I Varia avevano un jet privato. Ma Sawada insisteva che fosse ridicolo. L’intera faccenda aveva portato alle lacrime sia lei che Gokudera.

Ma, tornando al disastro: Hana e Yamamoto erano riusciti a farsi rapire e buttare in una cantina e ora erano in attesa di chissà quale iniqua tortura.

La situazione diventò disagevole e noiosa sorprendentemente presto. Hana conosceva appena Yamamoto. Sembrava – e si comportava – come uno stupido ammasso di muscoli (seppur attraente), e lei stava già uscendo con uno di quelli. Aveva immaginato che la sua quota di ‘gnocco ma stupido’ fosse esaurita; quindi, non si era mai scomodata per conoscere Yamamoto.

Ora sarebbe morta con lui, il che era così assurdo da farle quasi male.

Yamamoto stava riempiendo il suo tempo girando per la loro cella come una tigre in gabbia – cantinetta in cemento, cella, c’era davvero differenza? – in cerca di debolezze. La porta d’acciaio si chiudeva dall’esterno, scoprì, e non c’erano finestre, anche se quello avrebbe potuto dirglielo pure lei. Perché aveva un intelletto sopraffino e acuto. L’unica caratteristica della stanza, in realtà, era una lampadina nuda che sparava un’accecante luce fluorescente da sopra di loro. Almeno non erano al buio, anche se Hana si aspettava che a distanza di qualche ora avrebbero preferito esserlo.

Yamamoto, infine, si arrese, sistemandosi per terra di fianco a lei con una risata. La risata fu decisamente inappropriata e assolutamente disturbante, un contrasto inquietante con lo sguardo colmo d’omicidio che gli fiammeggiava negli occhi. Tuttavia, tutti i guardiani di Sawada erano disturbanti – tranne Ryouhei. E Gokudera, ora che ci pensava, che in fondo era solo un nerd – anche se era principalmente un nerd degli esplosivi.

“Beh.” Disse con leggerezza Yamamoto. “Immagino che dovremo aspettare.”

Hana lo fulminò con lo sguardo. “Per cosa?”

“Oh, sai, sono sicuro-“

“Non osare dirmi che qualcuno verrà a salvarci e che andrà tutto bene quando sono perfettamente cosciente di quanto siamo fottuti. Nei minimi dettagli. Li vuoi sentire, i dettagli?”

“Hahaha.” Yamamoto le indirizzò la sua completa attenzione, e non l’aveva mai fatto prima. Era terrificante. “No.”

Ad Hana non fregava un cazzo di cosa volesse, ora che ci pensava. Terrificante o meno.

“Suppongo che i nostri deliziosi ospiti siano coloro che ci hanno rapito.” Gli disse. “Il che significa che anche se, anche se Sawada si presentasse qui e ora e bussasse alla loro porta, il nostro accordo con i Tegano ‘ndrina svanirà per sempre, il che significa che il nostro rapporto con la ‘Ndrangheta è nei guai, il che significa che non potremo espanderci in Calabria, il che significa che quei contratti per lo smaltimento di rifiuti che Ryouhei voleva sono andati, il che significa…”

Continuò per un po’ di tempo. Yamamoto la lasciò fare. Sembrava addirittura che stesse prestando attenzione, anche se era difficile da dire con certezza, con quel perenne sorriso inquietante spiaccicato sul muso.

Prima o dopo, tuttavia, anche Hana terminò le sue cupe previsioni e fu forzata a concludere. “…e Sawada farò quella sua cosa orribile e silenziosa, Ryouhei darà di matto, Kyoko piangerà. E noi probabilmente finiremo tre metri sottoterra.” Detto quello, Hana fissò la lampadina, che la stava già facendo impazzire, e desiderò ferocemente che esplodesse.

“Wow.” Disse infine Yamamoto. “Hai pensato davvero a tutto, huh?”

Hana non urlò per la frustrazione, ma ci andò molto vicino. E il sorriso di Yamamoto diventò sospettosamente brillante. “Non tutte le nuvole” la informò allegramente, “portano tempesta.”

Lei rimase a bocca aperta. “Oh, non l’hai detto dav-“

“Se non entri nella tana del leone non prenderai il suo cucciolo. Finché c’è vita c’è speranza! Volere è potere.”

“Te le impari a memoria?”

“È sempre più scuro appena prima dell’alba.”

“Te le impari per dare fastidio a Gokudera, non è vero?”

“La perseveranza è forza e quello che non ti uccide ti fortifica! Dopo la pioggia, la terra si indurisce.”

“Sì, ok. Anche le scimmie cadono dagli alberi.”

Lui sorrise, compiaciuto di averla fatta partecipare. “Hayato si arrabbia un sacco.” Ammise. Cos’era quello, rinforzo positivo?

Hayato, huh? “Ci vai a letto?” Chiese lei con nonchalance, immaginando che, ehi, dovevano pur far passare il tempo. E poi, c’era la non trascurabile possibilità che quella domanda mettesse a disagio Yamamoto. Sarebbe stato divertente.

“Già.” Rispose lui spensieratamente. E tanti saluti al disagio.

Hana considerò di chiedere dettagli, ma decise che si sarebbe messa in imbarazzo da sola, il che andava contro al suo intento originale. “Huh.” Disse invece. “Come pensavo.”

“Non sapevo che passassi tempo a pensare alla mia vita romantica. Haha, è un po’ strano!”

Yamamoto aveva vinto quel round senza alcun dubbio. “Sono una pervertita!” Annunciò Hana allegramente, non del tutto pronta ad arrendersi. “Meglio controllare che non ci siano telecamere nella tua stanza, quando torniamo.”

“Nah, mi stai simpatica. Se ti piacciono queste cose, per me va bene.”

“Davvero?”

“…Ma probabilmente non per Hayato, haha.”

“Ma almeno ti interessa sapere se sono seria?”

“Fa differenza?”

“Rispondi mai in maniera diretta?”

“Certo.”

“È un miracolo che non ti abbia ancora ucciso nessuno.”

“Haha! Hayato lo dice sempre.”

Hana si lasciò scivolare contro il muro e incrociò la braccia, petulante. Era appena stata verbalmente sconfitta da Yamamoto Takeshi; era ora di alzare le mani. Forse era esattamente così che la gente si sentiva quando lo combatteva con una spada. Sembrava un cialtrone finché la lotta non iniziava e da lì in poi non sapevano cosa stesse succedendo fino al momento in cui realizzavano di aver perso un arto. A quanto pareva, non era solo un ammasso di muscoli.

E tuttavia, nonostante tutta la loro sottile intelligenza combinata, erano comunque rinchiusi in una cantina, non era così? Rinchiusi in una cantina e Hana si era dimenticata di portare un libro.

“Sai perché è successo tutto questo?” Chiese lei.

“…No?” Yamamoto rispose guardingo, perché pensava che stesse cercando di scaricare il barile della colpa. Ma lei lo sapeva benissimo: ne aveva tanta quanto lui.

“Perché non ho portato il mio libro.”

Lui la fissò mentre il suo cervello cambiava marcia e cercava di processare la novità. “Libro?”

“Sì. Mi porto sempre un libro dappertutto in caso rimanga bloccata su un treno o in un ascensore o simili. Ma questa volta non l’ho fatto. Invece ho portato i rapporti di Gokudera sui Tegano, perché ero sicura che non avrei avuto il tempo di leggere un libro. Quindi, ovviamente, siamo stati rinchiusi in una cantina. Avrei dovuto saperlo.”

“Ma se tu avessi avuto un libro,” disse Yamamoto, “Staresti leggendo, e io mi starei annoiando tutto da solo.”

“Sì.” Disse Hana, malinconicamente. “Proprio così.” Un pensiero meraviglioso. Ma non era quello il punto. “No, quello che voglio dire è che non saremmo stati proprio qui, perché sarei stata preparata e quindi gli dèi non avrebbero dovuto punirmi. Visto?”

“Haha! Non penso che funzioni così.”

“Oh, invece sì.” Insistette lei cupamente.

“Forse saremmo stati rinchiusi senza delle luci – se avessi portato il tuo libro, voglio dire. Comunque, te lo avrebbero preso, il libro. Hanno preso tutto.”

“Fai delle obiezioni orribilmente valide, Yamamoto Takeshi. Penso di preferirti quando mi stavi rifilando i tuoi proverbi.”

Lui rise di nuovo. C’erano state fin troppe risate per quella situazione di vita o morte. Smise, eventualmente, e appoggiò la testa sul muro, gli occhi chiusi e sorridendo leggermente. Forse si stava preparando per l’attesa. O meditava.

Hana lo odiò un poco.

Lasciò che il suo cervello inseguisse le orribili possibilità; ad esempio: il potenziale collasso del loro impero circa-malvagio, per più o meno dieci minuti prima di arrendersi e accettare ciò che era inevitabile dal momento in cui era stata chiusa in una cantina con Yamamoto. Qualsiasi cosa, qualsiasi, era meglio che essere intrappolata dentro la propria testa senza distrazioni.

“E va bene.” Sospirò lei. “Dimmi come sta andando il baseball.”

Gli occhi di Yamamoto si spalancarono e lui si illuminò, e perdinci, le raccontò davvero del baseball. Baseball, baseball e ancora baseball. Scambi. Medie di battute. Partite storiche. Descrizioni accurate di home-run e squadre e rivalità e, a caso, lo sciopero del 2004. Parlò e parlò. Era meglio dell’alternativa, ovvero il proprio cervello, ma non di molto. Le mancavano tremendamente le scempiaggini di Ryouhei sulla boxe, che almeno avevano un elemento di pazzia che le rendeva interessanti.

Sembrò una vita, ma passarono probabilmente solo un paio di ore prima che la filippica di Yamamoto fosse interrotta da uno strano rumore della porta. Una specie di suono sibilante, scoppiettante e lamentoso. La porta iniziò a illuminarsi di rosso, poi arancione, giallo, blu, bianco.

“Oh, ottimo.” Mormora Yamamoto, serafico, trascinando Hana più lontano dalla porta che poteva.

A quanto pareva, non ce ne fu bisogno. Sawada si limitò a sciogliere la porta invece di farla esplodere, poi camminò attraverso la devastazione colante bianca ed incandescente – il che sembrava una pessima idea – e scansionò la stanza, fino a che gli occhi non si posarono su Yamamoto e Hana e si fermarono lì.

Hana ipotizzò che fosse felice di vederli. Era difficile da capire con quegli occhi arancioni, il viso spento e la testa in fiamme.

Soddisfatto di averli trovati vivi, Sawada si girò verso il muro opposto della cantina e ci fece un buco enorme – un tunnel che conduceva all’esterno. Hana si chiese quanto fosse intelligente la cosa, strutturalmente parlando. “Gokudera vi sta aspettando con le vostre cose.” Disse Sawada a bassa voce.

“Hai appena fatto saltare il nostro ultimo accordo con i Tegano.” Lo informò  Hana, facendo ridere Yamamoto.

Sawada puntò su di lei i suoi occhi fiammeggianti e assenti. “Non importa.” Mormorò, calmo abbastanza da mettere i brividi. “Entro settimana prossima, non esisteranno più.”

Ah ha. Beh, in quel caso, tutti gli scenari disastrosi di Hana collassarono come un castello di carte. Chiaramente non era in quel business da abbastanza tempo, perché distruggerli tutti non le era nemmeno venuta in mente come opzione. Che imbarazzo. “Giusto.” Disse lei. “Beh, avresti potuto uccidere qualcuno che stava girando lì sopra. Pazzo maniaco.”

“Ho detto a tutti i nostri di stare lontani.” Le disse Sawada. “Per quanto riguarda gli altri…. Non mi preoccupo per loro.”

Yamamoto le afferrò una spalla prima che Hana potesse inventarsi un’altra protesta che sarebbe stata solo brutalmente respinta. “Arrampichiamoci ed usciamo, ok? Sembra che il boss abbia tutto sotto controllo.”

“Quando arriviamo a casa,” mormorò Hana, bellicosa, mentre si inerpicavano, “giuro che non mi allontanerò mai più dalla mia scrivania. Amo la mia scrivania. Sono un colletto bianco. Le cantine non sono il mio ambiente.”

Yamamoto si limitò a ridere. Se anche Hana non avesse mai più sentito la sua risata, sarebbe stato comunque troppo tardi per la sua sanità mentale. Ora poteva capire Gokudera molto meglio.

 

-

 

Hana era davvero un colletto bianco. Se avesse dovuto scegliere tra le scartoffie e venire sparata e imprigionata, non si sarebbe nemmeno fermata a ragionare. Tuttavia, c’erano delle volte in cui il suo lavoro d’ufficio assomigliava pericolosamente all’inferno; e quella era una di quelle volte.

Sapeva che c’era un motivo se non avanzavano soldi da nessuno. Un motivo bello, pulito e legale, di cui aveva letto qualcosa, da qualche parte. Una volta. Durante un corso, forse. Mentre studiava per un esame, credeva. Era per certo nel tomo di Legge delle Aziende Giapponesi, Articolo… qualcosa.

C’erano molti articoli in quel tomo.

Tutta quella situazione era stupida, non per ultimo perché Sawada non avrebbe dovuto mai e poi mai scoprirlo, perché avrebbe dato di matto, e non ce n’era motivo. Avevano acquisito quella compagnia – legalmente! – tre anni prima e i creditori della precedente compagnia non potevano presentarsi ora, per la prima volta in assoluto, e annunciare che volevano i soldi. Non potevano, era illegale. Sawada gli avrebbe sicuramente dato i soldi in ogni caso, però, perché era un imbecille di quel calibro. Ed ecco perché Hana doveva trovare la giustificazione legale per le sue future lettere minatorie, prima che Sawada scoprisse l’inghippo.

Lavorare per un buonista faceva schifo. Lavorare per un boss mafioso buonista era surreale e faceva schifo.

Doveva solo trovare la citazione giusta, perché era così dannatamente difficile? …Forse perché era mezzanotte e aveva fissato quelle scartoffie per dodici ore di fila. Quand’era l’ultima volta che aveva mangiato? Pranzo? Oh, diavolo.

Non importava. Doveva risolvere quella situazione.

“Hana, smettila di fissare i fogli in quel modo, mi fai paura. Hana? Hana. Hana.”

“Articolo 23!”

“Hana, ti prego-”

Hana si tuffò verso la libreria, perché sapeva. Ecco cos’era. Articolo 23, sezione… 3, forse? Due anni! La responsabilità era estinta dopo due anni!

“Hana, metti subito giù quel libro.”

“Huh? Kyoko?” Da quando era lì? “L’ho trovato!”

“Sì, lo so. Articolo 23. Fallo domani. Sai che ore sono?”

“Ma se Sawada lo scopre, darà di matto. Devo finire questa cosa, solo questa cosa, la manderò appena si fa mattina-”

“Conosco te e il tuo solo una cosa. Se ti lascio stare, starai qui tutta la notte. Ecco.” Kyoko si chinò e scrisse Articolo 23 in una bozza ancora incompiuta con la sua grafia ridicolmente femminile. “Così non te lo scordi. Vai a letto.”

“Non posso andare semplicemente a letto! Questa cosa dev’essere fatta., sono già indietro sulla tabella di marcia per domani, se non lo faccio adesso sarà indietro- ancora più indietro-”

“Non volevo ricorrere a questo.” La interruppe Kyoko con le braccia incrociate e il piede che batteva. “Ricordami che mi hai costretta tu. Fratellone?”

Ryouhei apparve da dietro delle pile di documenti. Kyoko puntò un dito accusatorio contro Hana e Ryohei la afferrò per i fianchi e se la caricò in spalla.

Hana gli tirò un pugno sul rene perché sapeva personalmente quanto male facesse. Lui si lasciò sfuggire un grugnito, ma non reagì altrimenti. Dannato uomo delle caverne. O forse era un’ovvietà, visto che non si era nemmeno sforzato per spostarla di peso e sollevarla, che cazzo, che cazzo.

“Sono disposta a legarti, se devo.” Disse calma Kyoko spegnendo le luci, chiudendo la porta dell’ufficio dietro di loro e intascandosi la chiave. Come se Shouichi non avesse passato ore a spiegargli come scassinare le serrature. “Ma preferirei che tu collaborassi.”

“Mettimi giù, brutto gigante, mostro- aspetta, non è stata nemmeno una tua idea… Kyoko, stronza. Ho cose da fare, questa faccenda deve essere conclusa. Spero che tu sappia che, quando Sawada andrà in bancarotta e ci farà ammazzare, sarà colpa tua.” Hana era cosciente di star biascicando, isterica e sull’orlo delle lacrime. Quella consapevolezza non la aiutò per niente. “Non mia! Non colpa mia!”

“Devi mangiare qualcosa; riesco a sentire che hai un basso livello glicemico. Fratellone, portala prima in cucina e poi a letto.”

“Roger.”

Ad Hana fece molto piacere vedere che stavano parlando di lei come se fosse incompetente a livello mentale. Colpì di nuovo Ryouhei nei reni, più forte. Fu, prevedibilmente, insoddisfacente. La trascinò comunque verso la cucina e Kyoko zampettò via, plausibilmente verso la sua camera e la sua fidanzata ridacchiante. Il risentimento di Hana era vasto. Avrebbe voluto prendersela con Ryouhei, ma non poteva, perché nulla di tutto quello era colpa sua. Kyoko tendeva a trattarlo come un pezzo di arredo che si muoveva ai suoi ordini e lui non aveva mai imparato a dirle di no. Hana era l’ultima persona sulla faccia della terra che potesse giudicarlo per quello.

Si limitò a lanciare fulmini dagli occhi quando la fece sedere su una sedia in cucina. Lui ignorò l’occhiataccia, girovagando per la cucina e riempiendo un piatto con il suo metodo – impossibile da definire “cucinare”. I piatti di Ryouhei erano sempre una strana combinazione di avanzi riscaldati a casaccio, con tanta carne e nessun dolce. Dannati atleti.

In aggiunta, Hana non aveva più speranze di scappare. Ryouhei era più veloce, più forte e più grande di lei. La sua unica opzione era sedere in amareggiato silenzio e confortarsi con il pensiero che gli uomini muoiono prima perché il testosterone è veleno.

“La cena!” Esclamò allegramente Ryouhei, presentandole con un pasto che avrebbe saziato tre sollevatori di pesi.

Era davvero difficile rimanere arrabbiata con lui quando non aveva fatto deliberatamente nulla di sbagliato e le stava sorridendo come un cucciolo stordito. “Ryouhei, questo è-“

“Mangia!”

Lo fece, ma era decisa a non farselo piacere. A quel fine, passò l’intera durata del pasto a sparlare di inghippi legali e delle sue attuali pene di responsabilità. A Ryouhei non venne risparmiato un singolo dettaglio. Hana ripeté parola per parola le lettere di intimazioni, il che era un triste commentario su quante volte le avesse lette. Fece parafrasi di lunghe sezioni della legge. Si agitò per la furia e quasi lanciò delle verdure dall’altra parte della stanza.

Ryouhei la fissò e basta con quei suoi occhi luminosi e attenti, annuendo nei momenti giusti. Beh, più o meno i momenti giusti. Hana non si fidava: sembrava fin troppo felice per qualcuno che davvero capiva il diritto societario.

“Beh?!” Gli intimò quand’ebbe finito.

“Non ho estremamente idea di cosa tu stia dicendo!” Annunciò Ryouhei, quasi con orgoglio. Le fece venire voglia di prendere il muro a testate. “Ma se vuoi allenarti duramente, devi riposarti. Non diventerai mai forte se non riposi!”

“Mi metti confusione quando hai ragione.” Si lamentò Hana, prendendosi la testa fra le mani.

“Devi assolutamente smetterla di pensarci. Finisci di mangiare e ti porterò a letto!”

Hana ridacchiò, alzando la testa e appoggiandosi il mento sulla mano per squadrare meglio la faccia buffa del suo fidanzato. Quello era il miglior tentativo di Ryouhei per un doppio senso. “Pensavo di dover riposare.”

“L’esercizio fisico è una buona pausa da quello mentale!”

Hana non era sicura di come Ryouhei potesse saperlo. “Ah sì?”

“Estremamente!”

Le stava sorridendo, pieno di speranza. Lei gli sorrise di rimando, ancora sul filo del rasoio, ancora passibile di lacrime o risate senza preavviso. Delle endorfine le avrebbero fatto bene. “Sì, okay.” Disse lei. “Immagino di non poter controbattere un ragionamento così impeccabile.”

Ryouhei alzò un pugno in aria, vittorioso. Hana rise e appoggiò la fronte sulla sua spalla. Era talmente carico di muscoli che le sembrò di starsi appoggiando contro una roccia calda, ma per qualche motivo lo trovò confortante.

Non era tanto che Ryouhei sopportava le sue cazzate, tanto più che non le notava proprio. Operava sotto il fraintendimento che Hana fosse buona e nulla di quello che poteva dire o fare lo convinceva del contrario. Era una certezza. Non aveva mai saputo che uomini del genere esistessero.

Inspirò il suo odore e nitroglicerina; doveva essersi allenato con Gokudera quel giorno. Era rilassante – entrambi gli odori lo erano, in realtà, il che avrebbe dovuto preoccuparla. In ogni caso, l’odore degli esplosivi le fece realizzare il fatto che, anche se Hana stava avendo una crisi sul lavoro – nuova prospettiva! – nessuno sarebbe morto a causa di quello. La metteva uno scalino sopra rispetto a Gokudera (e a Sawada). Generalmente parlando, se la stava cavando abbastanza bene, ora che ci pensava. Aveva Ryouhei. Aveva la sua sorellina malvagia, che era sempre dalla sua parte anche quando persino lei non era dalla sua stessa parte. Lavorava per persone folli e brillanti che mantenevano sempre la vita interessante. A volte troppo interessante, ma ehi.

La maggior parte delle volte, amava la sua stupida vita. Avrebbe dovuto tenerlo a mente.

 

-

 

Hibari le fece fare flessioni. O meglio, tentativi di flessioni, perlomeno. Più volte nel corso dei giorni, finché non le spuntarono vesciche sui palmi. Finché una di quelle vesciche non scoppiò, facendola urlare – a quel punto le fu permesso di fermarsi. Senza dubbio il motivo era che stava sporcando di sangue il pavimento e quello offendeva la sensibilità di Hibari.

Attualmente era crollata a terra nel corridoio, a fissare il buco vuoto e grande come una moneta sul suo palmo pulsante. Almeno aveva smesso di sanguinare. Ora era tutto umidiccio, probabilmente stava tentando di coprire tutte quelle cosine delicate che erano solitamente protette dalla pelle – nervi e chissà cos’altro. Hana guardò il liquido e fantasticò di pugnalare Hibari mentre dormiva. Ovviamente, persino nei suoi sogni, lui si svegliava e la trucidava prima che potesse fare un passo.

Era la sua mano sinistra e lei era mancina. Aveva bisogno di quella mano per scrivere e compilare e firmare. Per il suo vero lavoro. Odiava Hibari con la forza di mille soli. Il dolore, apparentemente in risposta al suo pensiero, le stilettò il braccio all’improvviso e lei si piegò in due, ansimando, e pensò Veleno, forse il veleno non riuscirebbe a prevederlo.

“Hana-chan!” Esclamò Haru, sbucando dall’angolo del corridoio e provando che c’era sempre un ‘peggio’. “Oh, hai un aspetto terribile.”

“Mi sento terribile.” Concordò Hana più seccamente che poteva, visto le circostanze. “Non credo nella pubblicità ingannevole.”

“Hmmm.” Haru le tese una mano e fece un gesto d’invito con le dita. Hana le offrì tentativamente la sua mano ferita, nonostante il brutto presentimento.

Haru le tirò uno schiaffo improponibile sul palmo e ci fu un dolore accecante e totalizzante e immediato. Scintille serpeggiarono nel suo campo visivo. Per un momento, fece troppo male per urlare.

Che cazzo era quello?!” Ululò Hana non appena riprese fiato.

“Hahi? Uccide le terminazioni nervose. Ora ti farà meno male!”

“Te lo stai inventando.”

“Non è vero! Dai, se non mi stessi simpatica, non ti avrei portato questa bella crema disinfettante che mi ha dato Bianchi-san.”

Hana la fulminò con lo sguardo, stringendosi protettivamente al petto la mano abusata, che pareva avere ancora tutte le sue terminazioni nervose sane (ed in fiamme). “Come sapevi che mi sarebbe servita?”

“Me l’ha detto Hibari-san.”

…Glielo aveva detto Hibari. Certo.

Domande: perché si sarebbe scomodato? Aveva la capacità di essere gentile? Probabilmente no. Stava cercando di indebitarsela? Poco probabile. Sapeva che Hana e Haru non si stavano particolarmente simpatiche? Anche questo, poco probabile. Ma qualunque fossero le sue motivazioni, i fatti erano fatti: prima l’aveva fatta piangere e sanguinare e poi le aveva inflitto pure Haru.

Vabbè. Prima o poi gli avrebbe avvelenato il tè e le sue motivazioni non sarebbero importate più.

Haru le stava medicando la mano con gentilezza, il che fece sentire Hana piccola e meschina, tralasciando la violenza di prima. “Ehi.” Disse con riluttanza. “La prossima volta che ti viene una vescica, la schiafferò per te.”

Hary rise. “Di solito me lo fa Kyoko-chan.”

Wow. “È terribile.”

Haru fece un risolino in risposta. Oh, i risolini. Ma fortunatamente, non era importante che Haru piacesse ad Hana. Non era quella la sua ragion d’essere. “Kyoko sta bene da quando è con te, sai?”

La mano di Haru si fermò sopra una benda e la sua espressione divenne stranamente seria - per i suoi standard. “Beh.” Disse a bassa voce. “Cerco di fare del mio meglio. Ma penso… è perlopiù Haru che sta bene con lei.”

Hana era una persona cattiva, bassa e malvagia. Fattela piacere! si ordinò per la centesima volta. Non può essere così difficile!

“…Um…” Mormorò una voce esitante e morbida da dietro di loro. Sussultarono entrambe.

Chrome, ovviamente. Quella donna si muoveva come un fantasma.

“Chrome-chan!” Esclamò Haru, la voce che andava dall’incerto all’entusiasta con sollievo. “Stai cercando Hibari-san? Se n’è andato. Sai come fa lui.”

“Oh.” Chrome era irrequieta, ma non se ne andò. Doveva voler dire qualcosa, ma a quanto pareva era troppo spaventata per dirlo. Era una ragazza così triste che era difficile ricordarsi che era una spia ed un’assassina di professione. Il che, forse, faceva parte del suo piano malvagio. “Stai… bene?”

“Hana-chan ha una ferita. Non mi ha creduto quando le ho detto che bisogna schiaffarle.”

“Non mi hai detto nulla.” Mormorò rancorosamente Hana.

Haru la ignorò. “Tu cosa fai quando hai degli squarci, Chrome-chan?”

“Oh. Io li riempivo di terra.” Rimase in silenzio per un momento. “È peggio quando si spaccano i calli, credo.”

Hana ed Haru la fissarono. “Uh... Chrome-chan?” Chiese tentativamente Haru. “Quando li riempivi di terra… non si infettavano?”

Chrome scrollò le spalle. “A volte. Ma smettevano di fare male.”

“Finché non si infettavano.”

“Almeno era un dolore diverso.”

Era in momenti come quello che Hana ricordava che Chrome poteva creare immagini che spingevano le persone normali alla pazzia urlando e che l’ispirazione per quelle doveva pure arrivare da qualche parte. Si ricordò anche del perché non si accompagnava a Chrome, come regola generale.

“Uhm, ok. E invece adesso cosa fai?” Chiese Haru, perché Haru e Kyoko sono coraggiose e folli e adorano Chrome.

“Bianchi-san…” Chrome lasciò morire la voce. Era davvero irritante quando lo faceva. Tuttavia, Hana ipotizzò di aver capito comunque. Bianchi doveva aver proibito a Chrome di riempirsi le ferite di terra, e quando Bianchi ti proibisce di fare qualcosa, per Dio, smetti di farlo.

Hana sperava di essere Bianchi da grande. Tecnicamente era già grande, ma visto che non era neanche lontanamente spaventosamente figa come Bianchi, faceva finta di non esserlo.

 

-

 

L’occupazione illegale era solitamente roba di Gokudera e Hana non era sicura del perché dovesse sorbirsela lei questa volta. Era Gokudera l’esperto. E a lui importava, il che era decisamente molto al di sopra del coinvolgimento che aveva Hana nella questione. E poi, la forza bruta assegnatale era Hibari, tra tutte le persone. Era semplicemente crudele. Aveva scocciato Sawada, in qualche modo? Era una punizione? Un test?

“Stai attenta.” Mormorò Hibari. “O morirai. Se muori, Sawada Tsunayoshi diventerà una scocciatura.”

Hana era commossa dalla sua preoccupazione.

Il piano, a quanto pareva, era persuadere gli occupanti abusivi che vivevano nel magazzino vuoto – ma di proprietà Vongola – in Chiba di andarsene, e poi chiamare Shouichi e Spanner per fargli installare un sistema di sicurezza migliore. Avrebbe dovuto essere un lavoro facile.

Sarebbe stato un lavoro terribile. Hana lo sapeva, non perché aveva già parlato con occupanti abusivi prima, ma perché sapeva come pensava Sawada. Aveva una classifica per decidere chi mandare a fare un certo tipo di lavoro, con Haru e Lambo in cima (incontri con persone quasi amichevoli) e Mukuro e Varia in fondo (stragi, rispettivamente silenziose e rumorose).

Hibari era in penultima posizione, il che significava che Sawada prevedeva una catastrofe. Tuttavia, in quel caso, la sua scelta di mandare Hana con lui era… strana. Non poteva certo definirsi il Pugno di Ferro dei Vongola. Persino Kyoko avrebbe avuto più senso: almeno lei era brava a calmare le persone.

Se tutto quello si fosse rivelato essere un test, Hana avrebbe avvelenato il tè di Sawada subito dopo quello di Hibari.

“Aprila.” Le ordinò Hibari con impazienza, indicando la porta di servizio del capannone. Forse Sawada l’aveva inviata ad aprire porte, perché tenere delle chiavi era troppo sotto la dignità di Hibari. Aprì comunque la porta, sentendosi un letterale strumento. (Un veleno lento, doloroso e fetente.)

Gli abusivi avevano un palo ad aspettarli nell’ufficetto dietro la porta. Beh, abusivi poteva non essere la descrizione più accurata. A giudicare dal palo, i presunti abusivi erano armati e incazzati. Hana ipotizzò che tutta la faccenda fosse una scusa per attirare i Vongola in minoranza numerica.

Avrebbe persino funzionato, se non fosse che Sawada aveva previsto tutto e mandato Hibari, che era praticamente un intero esercito nel corpo di un singolo uomo.

Capendolo, il palo prese la scelta del codardo. Invece di attaccare Hibari, agguantò Hana, tirandosela vicino e sfoderando un coltello. Stava davvero cercando di usarla come ostaggio? Chiaramente non conosceva Hibari per niente, ma stava per imparare.

Hibari ignorò del tutto la situazione, avanzando senza problemi verso la porta che dava dentro al capannone.

Il palo andò nel panico. Urlò e minacciò di uccidere Hana. Perché insistesse a credere che potesse fregargliene, ad Hibari, Hana non lo sapeva; ma se l’avessero lasciato urlare un altro po’, le persone dall’altra parte della porta avrebbero potuto sentire. Qualcuno doveva zittirlo e sembrava che Hibari non si sarebbe degnato di farlo. Hana alzò gli occhi al cielo e, quasi come esperimento, si esibì in una ginocchiata nelle palle da manuale.

A quanto pareva, il palo non se l’era aspettato: non fece nulla per schivare o bloccarlo. Invece, ansimò e si piegò in due, lasciando cadere il coltello come un imbecille. Quello significava che la sua testa era a perfetta portata; quindi, Hana gli schiaffò violentemente le mani a coppa sopra le orecchie. Cadde a terra, gemendo. Hana lo spinse sulla schiena e dibatté se spingersi oltre, perché era disumano e, beh, schifoso. D’altra parte, non voleva che quel buffone afferrasse altre armi. Decisasi, Hana strinse i denti e gli pestò con violenza la clavicola, che si spezzò con un crack rivoltante. (Aveva fatto bene a indossare stivali invece di tacchi.) Lui si lasciò sfuggire un suono che avrebbe potuto essere un urlo, se non fosse stato senza fiato e confuso. Fortunatamente non urlò – avrebbe reso tutta quella performance inutile.

Era stato… sorprendentemente facile. “Che pappamolle.” Disse Hana con una punta di sorpresa sopra i gemiti e i lamenti.

“Non si aspettava che una donna combattesse.” Disse Hibari, la voce carica di disgusto. Doveva essersi fermato per guardare lo spettacolo. “Te l’ho detto, sono erbivori.”

Hana guardò in basso, verso il palo, poi di nuovo Hibari. Stava davvero provando un moto di gratitudine verso Hibari Kyouya. Era raccapricciante, innaturale e sbagliato.

Poi si ricordò che, se ne avesse avuto voglia, Hibari avrebbe potuto demolire quell’uomo con un singolo colpo dei suoi tonfa, risparmiandole tutto quel disastro. “No. Non mi interessa. Non- mi devi ancora un rene, Hibari!”

Lui la ignorò, girandosi e scivolando attraverso la porta. Le urla e gli schianti iniziarono subito dopo. Nessuno sparo, ma non era una grossa sorpresa. Come Hana ben sapeva, i proiettili erano proibitivamente costosi in Giappone – Haru l’aveva istruita su quell’argomento almeno cinque volte.

Le pistole non avrebbero comunque salvato i finti occupanti abusivi da Hibari; almeno, non avevano sprecato soldi.

Quindi, alla fine, non c’era motivo per Hana di essere lì. Nessuno al mondo. Tuttavia, aveva finalmente capito perché era stata mandata lì: per colpa dell’orribile ottimismo di Sawada. Se Sawada avesse avuto torto, se quelle persone fossero state davvero degli occupanti abusivi, sarebbe toccato ad Hana il ben poco invidiabile compito di provare a impedire a Hibari di ucciderli. Aveva senso – un senso spietato.

C’era un numero molto limitato di persone disponibili a lavorare con Hibari. Di quel numero, Kusakabe non metteva mai in discussione i suoi ordini, Dino era in Italia, Yamamoto in qualche missione top-secret con Gokudera, Chrome e Adelheid gli avrebbero dato man forte nella strage, Mukuro meglio neanche pensarci e Kyoko aveva desistito dall’impedire a Hibari di fare quello che gli pareva anni prima, preferendo concentrarsi sul limitare i danni. Quindi, era rimasta solo Hana. Grazie di nulla, Sawada.

Hana afferrò il coltello del tizio che si stava ancora lamentando (meglio abbondare di cautela), si avvicinò ad una finestra per una migliore ricezione, e chiamò Shouichi.

“Hibari sta facendo le pulizie.” Lo informò. “Quindi, avete intenzione di mettere in sicurezza l’edificio questa volta, o avevate intenzione di affidarvi di nuovo ad ofuda e preghierine?”

Shouichi non aveva senso dell’umorismo. Se fosse andato tutto bene, non avrebbe mai capito che questo lo rendeva tremendamente facile da tormentare.

 

-

 

Sapere che qualcosa sarebbe andato storto era già abbastanza tremendo, ma un attacco a sorpresa nel bel mezzo del centro città era solamente stupido.

Era una bella giornata, quindi ovviamente Hana avrebbe dovuto essere preparata per un disastro – questo genere di cose avevano l’abitudine di andare a braccetto. Lei e Haru erano riuscite a fare qualcosa di incredibilmente diabolico e tuttavia (speravano) non rintracciabile dal clan Motisi – il clan con i problemi di estorsione fuori controllo. Avevano creato un momento perfetto per fare in modo che Kyoko presentasse le persone giuste a quelle sbagliate.

Seguirono esplosioni, arresti e edifici dati alle fiamme. L’arresto di Giovanni Motisi, tra gli altri, il che era qualcosa a cui la polizia stava lavorando quasi trent’anni, stando alle voci. Tutto bellissimo.

Il fatto di Kyoko in Italia era che era carina e educata e straniera; e tutte quelle cose combinate facevano credere alla maggior parte degli uomini mafiosi che fosse una credulona ingenua che sarebbe andata a letto con loro. Sbagliato su tutti i fronti. Così incredibilmente sbagliato. (Usavano Yamamoto con le mafiose per raggiungere lo stesso effetto.)

Hana e Haru si erano rassicurate a vicenda di non aver davvero usato Kyoko come una trappola al miele e, in ogni caso, si era offerta volontaria. Una volta chiarite su quel punto, si erano trastullate con il pensiero del sorriso innocentino e adorabile che Kyoko doveva aver utilizzato. Hana era colpevole di risolini tanto quanto Haru, per una volta. In aggiunta, persino Gokudera aveva ridacchiato quando glielo avevano raccontato.

Quello era successo la mattina. Sfortunatamente, in quel momento era pomeriggio.

Hana si bloccò nel parco, mentre stava camminando verso il nuovo centro commerciale. C’era qualche festival o roba del genere, e avevano ogni tipo di bancarelle ed esposizioni disponibili. Stava controllando un menù, silenziosamente divertita dal pensiero di una base segreta high-tech sotto i suoi piedi, quando si imbatté in Mayumi. Normalmente, sarebbe stata un’occasione felice: adorava Mayumi. Sfortunatamente, la incontrò giusto in tempo per scorgere Gokudera e Sawada correre per il parco con volti cinerei; facce che dicevano al riparo – abbiamo fatto un casino.

Hana interruppe Mayumi a metà saluto, la afferrò, la spinse sotto il bancone della prima bancarella disponibile e si accovacciò di fianco a lei, desiderando con passione che quelle bancarelle fossero più robuste.

“Hai un pessimo tempismo.” Informò Mayumi, schiacciandole la faccia nel terreno con più trasporto del necessario. Prima aveva provato gratitudine verso Hibari, ora della compassione. Quel lavoro la stava facendo diventare pazza, altro che. “Pessimo, inconcepibile, perché sei qui?

Mayumi bofonchiò qualcosa contro il terreno e Hana ci andò più piano con lo schiacciare. Mayumi espresse la sua gratitudine sputandole del fango addosso. “Che cazzo sta succedendo?” Sibilò, inferocita.

Quello fu il momento che Gokudera scelse per iniziare a far saltare in aria il circondario. Mayumi strillò e cercò di usare il corpo di Hana come uno scudo.

“E’ dalla nostra parte!” Urlò Hana. Qualcosa esplose vicino a loro, inondandole di schegge. Mayumi si tirò indietro quel che bastava per scoccarle uno sguardo che esprimeva perfettamente la mancanza di fiducia nei suoi alleati. Hana sospirò, d’accordo con lei, si tolse la giacca e la usò per coprile entrambe. Avrebbe aiutato con i frammenti più piccoli, anche se sarebbero comunque morte se qualcosa di più grosso le avesse colpite.

Hana amava i suoi colleghi.

Dopo un tempo indeterminato e un certo numero di esplosioni, una mano strattonò la giacca da sopra le loro teste e Hana strinse gli occhi per vedere Gokudera che le fulminava con lo sguardo. Il resto delle persone nel parco sembravano essersi volatilizzate. Guarda un po’.

Nessuna sirena, però. Perché non sentiva alcuna sirena? Perché non c’erano mai delle sirene? Era forse una di quelle cose inquietanti e mafiose che era meglio non sapere?

“Questa è Takahara Mayumi.” Gli disse con tono cordiale. “Siamo andati a scuola insieme, ti ricordi?”

“Forse. Ti ricordi quella parole che ti ho insegnato, omertà?” Domandò Gokudera.

“Che hai detto?!” Urlò Hana. “Non riuscivo a sentirti sopra al fischio delle mie orecchie causato da quelle esplosioni in un parco pubblico.”

“Oh mio dio, è Gokudera Hayato.” Sussurrò Mayumi. “Questo è l’inferno, non è vero? Ho vissuto una vita malvagia e ora sto venendo punita.”

“Non è il momento di fare le isteriche.” La informò Hana, sedendosi e scuotendosi i capelli. Sospettava che fossero ormai bianchi vista la polvere che ricopriva tutto il parco. “Ma sei vuoi tirargli dei sassi, non ti fermerò.”

“Che nessuno tiri sassi, per favore.” Disse una voce divertita che sgocciolava carisma. Hana aggrottò la fronte e Gokudera sorrise.

“Stai zitto, Sawada.” Si costrinse a esclamare. “Sei responsabile per metà del costo del pulisecco di questa giacca.”

“Oh, ma quella… è Takahara-san?” Chiese Sawada allarmato quando notò Mayumi. Ovviamente si era ricordato il suo nome. Il nome di una ragazza che non aveva visto da quando erano adolescenti. “Stai bene? Um, come avete… beh, mi dispiace che tu sia stata coinvolta. Vuoi che qualcuno ti dia un passaggio a casa?”

“Tsuna il perdente.” Disse Mayumi, girandosi verso Hana con gli occhi sgranati. “Avevi ragione.”

“Te l’avevo detto.” Concordò Hana. “Inquietante, non è vero?”

Sawada inclinò la testa curiosamente, ma non chiese spiegazioni. Sembrava tutto carino e delicato e dolce, ma Hana sapeva che aveva appena dato alle fiamme metà parco mentre Gokudera faceva esplodere l’altra metà e, a differenza di Gokudera, lui non aveva nemmeno sudato. Era dannatamente spaventoso, ecco cos’era, e nessuna quantità di smancerie poteva nasconderlo.

“Hana, dovrei accettare l’offerta?” Chiese Mayumi, giustamente scombussolata e forse ancora scioccata dalle esplosioni random.

“Probabilmente.” Concedette Hana. Se Sawada pensava che potesse essere in pericolo… probabilmente non aveva torto. “Anzi, sì. Decisamente. Ragazzi, chi guida?”

“Kusakabe-san.” Disse Sawada.

“Oh, bene.” Kusakabe era un ottimo guidatore. Se fosse stato Yamamoto, Gokudera, qualsiasi dei Varia o persino Ryouhei, beh. Non per essere sleale, ma Hana avrebbe camminato. “In quel caso, voglio un passaggio anche io.”

“Kurowaka… che ci fai tu qui?”

“Semplice sfortuna.” Ammise. “Per favore, pensa a cosa vuol dire quando la gente finisce immischiata nel tuo caos per pura sfortuna. Aspetta, non provare a pensare, te lo dico io: denunce, ecco cosa vuol dire.”

“Hana.” Mormorò Mayumi con una silenziosa minaccia. “Ci faremo una tazza di caffè e una bella chiacchierata molto presto, okay?”

Hana sospirò.

“Omertà.” Disse nuovamente Gokudera. Hana gli tirò un calcio negli stinchi.

 

-

 

La volta successiva fu, sfortunatamente, tutta colpa di Hana. Beh, non tutta colpa sua- ma era innegabile che, se si fosse controllata meglio, non avrebbe provocato quel tizio dell’Inagawa-kai a tirarle un pugno in faccia. Era solo che era uno stronzo e lei aveva voluto provare che fosse solo una scimmia in completo e sì, okay, era una pessima idea sin dall’inizio.

Tuttavia, tecnicamente, ne era uscita vincitrice: l’aveva colpita ma non era riuscito a buttarla a terra e persino i suoi uomini gli avevano scoccato delle occhiate stranite – non riusciva nemmeno a mandare a terra una ragazza, che sfigato.

Quanto più non sapevano sull’allenamento di Hibari, meglio era.

Comunque, era una pessima idea. Prevedibilmente, Ryouhei non aveva preso bene il pugno in faccia alla sua fidanzata. (Hana aveva provato a convincere Sawada a mandare qualcun altro come forza bruta, ma una volta che Sawada si era messo in testa qualcosa non si riusciva a cavargliela manco con un piede di porco. Hana aveva visto gente provarci.) Quindi Hana si era beccata un pugno in faccia e Ryouhei aveva attaccato l’intera stanza. Quando Ryouhei stava combattendo era meglio levarsi di torno quindi, per la maggiore, Hana si era tenuta in disparte.

Anche se, aveva spaccato una sedia in testa a quella scimmia in completo. Quello l’aveva riempita di soddisfazione.

Infine, l’intero casino aveva portato a questo: Hana su un uscio che ben conosceva con il suo fidanzato sanguinante e ricoperto di lividi appoggiato addosso ed un totale abbandono dei trattati. Non erano nemmeno riusciti ad ottenere quei contratti edili a cui stavano puntando. Gokudera l’avrebbe fatta piangere, stavolta, e non avrebbe avuto torto.

E, Dio, quella visita sarebbe stata a dir poco disagevole.

Le gambe di Ryouhei cedettero, Hana barcollò sotto il suo peso e decise che poteva fare i conti con l’imbarazzo meglio che con il trascinare Ryouhei fino alla base. Pigiò il campanello con il gomito e sperò ferventemente che non avrebbero fatto troppe domande.

“Che Dio ci salvi.” Disse a fatica la donna che aprì la porta.

“Mamma!” Esclamò Hana. “Uhm, scusa se non vengo a trovarti da un po’? Ma eravamo nel vicinato, quindi, ah ah ah…!” Dio, sembrava Yamamoto e Haru messi insieme e accelerati, non andava per niente bene. “---volevate incontrare il mio ragazzo, giusto? Eccolo qua!”

Ryouhei era più o meno riuscito a rimettere le gambe sotto il suo corpo e agitò allegramente la mano alla volta della suocera, o quanto più allegramente riusciva a fare qualcuno messo così male. “Piacere di conoscervi! Vi ringrazio per l’estremo onore di frequentare vostra figlia!”

Sua mamma sembrava starsi avvicinando pericolosamente ad uno stato di shock permanente. Non molto d’aiuto. “Possiamo entrare?” Chiese Hana disperatamente.

Suo padre, attirato dal rumore, si palesò davanti a loro, si bloccò allarmato e studiò la scena. Hana attese con il cuore in gola.

L’uomo sorrise e mise una mano amichevole sulla spalla di Ryouhei. “Piacere di conoscerti, figliolo.” Disse, ridacchiando, mentre Ryouhei cercava di non lamentarsi per il dolore. “Era ora, eh? Venite, venite – non possiamo lasciare la famiglia sull’uscio al freddo!”

“Ma-“ Iniziò mamma, sconvolta.

“Niente ma! Finalmente, nostro genero!”

Fantastico. La mamma voleva chiamare la polizia e per papà erano già sposati. Non era peggio di quello che si era aspettata, ma era più strano.

Si accomodarono con cautela nel salotto. Sua madre mise su del tè, mentre il padrone di casa andava a prendere il kit di primo soccorso e Hana si mise a studiare Ryouhei, cercando di capire cosa avesse deliziato tanto suo padre.

Lei aveva un livido gigante in faccia, che era qualcosa che dei genitori non apprezzavano particolarmente. D’altro canto, Ryouhei era una disastro. Lividi, sangue, bruciature da polvere da sparo – Hana sperava che non le riconoscessero come tali. Le sue nocche erano quelle messe peggio, ovviamente. Lo erano sempre. Spaccate, sanguinanti. Completamente devastate.

Cosa diceva ad un padre quell’immagine? Figlia leggermente danneggiata, fidanzato distrutto. Fidanzato distrutto con nocche polverizzate…

Hana abbassò la testa e sorrise. Okay. Probabilmente sembrava che qualcuno l’avesse colpita e Ryouhei se la fosse presa col mondo intero per ripicca. Il che era… approssimativamente quello che era successo. Non era strano che papà approvasse.

“Meglio che facciamo rapporto.” Disse Ryouhei, rantolando e oscillando sul posto. Il problema della Fiamma del Sole era la difficoltà nell’usarla su sé stessi quando si era totalmente esausti. Quindi era inutile quando se ne aveva più bisogno. Ovviamente.

Ryouhei avrebbe dovuto accontentarsi del primo soccorso, quindi, perché Aoba non era in Giappone e Hana si rifiutava di chiamare Lussuria. Una cosa era che un uomo flirtasse con il suo fidanzato, un’altra che ci provasse un autoproclamato necrofilo. Non si sarebbe mai abituata a quel tipo.

“Chiamo io.” Disse Hana, avvicinandosi per farlo appoggiare a sé. “Tu sverresti a metà discorso e faresti venire un attacco di panico a Gokudera.”

“Sto bene!” Insistette lui.

“Tu menti.” Rispose Hana. “Menti in continuazione; è una malattia cronica. E quello che è peggio, menti da schifo.”

“Non è vero all’estremo!”

“Mi hai appena detto di star bene… e hai poi provato a toglierti del sangue dall’occhio senza nemmeno arrivarci. Se ammetti di non stare bene, te lo tolgo io.”

Che la gara di sguardi testardi abbia inizio. Hana sospettava che, prima o poi, si sarebbero ammazzati a vicenda.

“…Sono estremamente stanco.” Ammise lui, controvoglia.

Non era esattamente quello che aveva chiesto, ma Hana cedette lo stesso. Era semplicemente troppo patetico. “Beh, non ti addormentare. Probabilmente ci rimarresti secco.” Gli tolse il sangue dall’occhio, si chinò e gli baciò gentilmente una parte non martoriata della fronte. Poi ritornò ai suoi doveri di stampella, prima di tirare fuori il cellulare.

Era un triste fatto ma, recentemente, lei stessa aveva Gokudera sul tasto di chiamata rapida.

Dove sei?” Urlò Gokudera nel suo orecchio.

“A casa dei miei genitori. Stiamo bene. Circa. E, ahia.”

Circa- saremo lì tra cinque minuti. Non ti muovere. Non dire niente a nessuno.” E click. Quello era un uomo paranoico. Un uomo paranoico che, a quanto pareva, sapeva dove vivevano i suoi genitori.

Ovviamente.

“Gokudera sa dove vivono i miei genitori.” Informò Ryouhei.

“E’ il suo lavoro.” Rispose lui, strizzando gli occhi contro il sangue che Hana si rifiutava di togliere per partito preso.

I suoi genitori si presero un momento prima di riapparire e fu sua mamma a lavargli via il sangue, prima di controllare con sospetto Hana. Quando decise che la figlia sarebbe sopravvissuta, passò al marito il materiale di primo soccorso mentre lei puliva Ryouhei e lo bendava e faceva tutte quelle belle cosine da moglie che Hana non avrebbe mai e poi mai imparato a fare. Francamente, non aveva idea di cosa Ryouhei vedesse in lei. Ovviamente, Ryouhei era fuori di testa e lei non lo aveva mai capito, nemmeno una volta, quindi non era troppo preoccupata.

“Gokudera?” Chiese sua madre. Perché era un demonietto spione.

“Gokudera.” Ripeté Hana pensierosamente. “E’ il nostro boss, circa. Ma, allo stesso tempo, è la mamma chioccia di tutti noi… o forse un fidanzato stalker.”

Sawada è il nostro boss.” La corresse Ryouhei, con il tono sconcertato di qualcuno che ha appena sentito qualcun altro insistere che il Sole sorge a ovest.

“Sì, tesoro.” Concordò Hana, alzando gli occhi al cielo. “E’ un modo di dire. Sawada è il nostro boss e Gokudera è il suo fidanzato stalker.”

“Ma Gokudera è di Yamamoto-“

“Non essere di vedute così ristrette.”

Sua madre non sembrava molto rassicurata. Suo padre, d’altro canto, sembrava starsi divertendo un mondo. “Non avevo idea” mormorò, “che lavorassi con persone così interessanti, Hana. Perché non chiami questo… Sawada, allora? Se è il tuo boss.”

“Sawada?” Hana rabbrividì al solo pensiero. “Assolutamente no. Non è proprio il momento di chiamarlo.”

Ryouhei stava scuotendo la testa in silenzio, orripilato e concorde. Hana lo afferrò per il mento e lo tenne fermo, cercando di capire se quel taglio sullo zigomo necessitasse di punti.

“…Perché no?” Chiese suo padre.

“Perché andrebbe via di testa, ecco perché.” Lasciò andare Ryouhei. Niente punti, probabilmente. Era una cosa buona, per quanto minore. “Se vede uno di noi sanguinare diventa un demonio e non abbiamo bisogno di altri crateri fumanti in centro città. Dio, Sawada, dico io… In questo settore, è inconcepibile che perda il controllo ogni volta che ci sbucciamo le ginocchia.”

Hana stava parlando troppo. Ryouhei la stava fissando perché stava parlando troppo. Ecco perché aveva cercato di evitare i suoi genitori negli ultimi anni: suo padre aveva quel terribile effetto su di lei. L’effetto chiacchiera. Perché sembrava così interessato, maledizione?

“Hmmm. Ripetimi un po’, che lavoro fai esattamente?”

“Consulenze.” Rispose prontamente. “Rappresento l’intero dipartimento legale per un’agenzia di consulenze.”

“Consulenze.” Ripeté suo padre, deliziato. Non dovrebbe essere preoccupato? Non sarebbe la cosa paterna da fare?

Il suo divertimento non fece che aumentare quando scortò un isterico, furibondo Gokudera che fumava a manetta in casa. Gokudera che, dopo aver posato gli occhi su loro due, disse “Oh, cazzo.” prima di marciare subito fuori dalla porta.

Suo padre aveva un sorriso smagliante stampato in faccia per tutto il tempo. Era una persona terribile. Almeno Hana non doveva chiedersi da chi avesse preso.

Sua madre, d’altro canto, sembrava scandalizzata e traumatizzata, tutte emozioni che si confacevano ad un genitore, ma non disse niente. Al contrario del marito e di sua figlia, diceva solo metà di quello che pensava, ed era la metà gentile.

Gokudera ritornò con Yamamoto alle calcagna, che presentò allegramente lui e il compagno ai genitori di Hana prima di inginocchiarsi e aiutare Ryouhei ad alzarsi. “Grazie per esservi presi cura di lui!” Esclamò, solare.

“Nessun fastidio nell’ospitare il mio futuro genero.” Rispose suo padre, rivaleggiando con la luminosità di Yamamoto e dando degli schiaffetti amichevoli sulla guancia ferita di Ryouhei, che sussultò per il dolore, prima di sorridere e dire “Grazie, signore!”

Hana non capiva gli uomini.

Gokudera, nel frattempo, stava scansionando con fare critico la stanza ed eventualmente il suo sguardo selezionò la madre di Hana come la persona più competente disponibile. “Kurokawa-san.” Disse, con sorprendente educazione. “Quanto è messo male questo idiota? Ossa rotte, concussioni, altro?”

Sua madre, nonostante fosse orripilata dal fatto che un palese manicaco si stesse rivolgendo a lei, fece lo sforzo di tornare in sé. “Beh… beh, non sono un dottore, ma, uhm. Niente sembra rotto. Potrebbe avere una lieve concussione; la nostra Hana l’ha tenuto sveglio. Dovrebbe farsi controllare per bene…?”

Gokudera fece un inchino e la ringraziò persino, il che era la cosa più raccapricciante che gli avesse visto fare. A missione compiuta, i ragazzi trascinarono il suo - possibilmente concussato - fidanzato fuori dalla porta, mentre lei rimase a guardare con una combinazione di irritazione e preoccupazione.

La mano di suo padre calò sulla sua spalla e lei sobbalzò. Non voleva proprio sentire cosa avesse da dirle.

“MI ricordo quando non ti volevi sposare.” Esclamò allegramente. “Il matrimonio è un’istituzione restrittiva, avevi detto.”

“Non sono sposata e il matrimonio è un’istituzione restrittiva.” Scattò Hana.

“Mm. Sei praticamente sposata, Hana.”

In verità, era riuscita ad accaparrarsi tutti i lati positivi del matrimonio senza sobbarcarsi nessuno di quelli negativi. Era meglio che sposata. Non era qualcosa che voleva far notare al suo sposato padre, però. “Continuo a nono volere figli.”

Suo padre ebbe la faccia tosta di ghignare. “Certo, tesoro.”

Non avrò dei figli.”

“Oh, lo so.”

“Kurokawa, lo portiamo in ospedale o hai intenzione di star lì a sparare cazzate finché non gli cola il cervello dalle orecchie?” Tuonò Gokudera.

“Il suo cervello non sta colando.” Borbottò lei. Tuttavia, baciò suo padre sulla guancia, abbracciò la sua povera madre e salì obbedientemente in macchina. Non voleva prendersi la colpa per l’inevitabile aneurisma di Gokudera.

 

-

 

“Quindi lavori quando sei preoccupata?” Chiese Gokudera qualche ora dopo, entrando con nonchalance nell’ufficio come se fosse il suo, il che non era assolutamente corretto. (Tecnicamente, il proprietario era Sawada.)

“Quindi sei uno stalker? Oh, aspetta, già lo sapevo- lui come sta?!

“Saresti potuta rimanere e scoprirlo da te.”

Avrebbe potuto, ma le era sembrato irrazionale. Sapeva che stava bene. In ogni caso, sarebbe rimasta Kyoko e Hana aveva molto lavoro arretrato. Doveva essere un lavoretto veloce e si era invece trasformato in un pomeriggio rovinato con tanto di spargimento di sangue. Aveva da fare. E poi, l’odore dell’ospedale le causava degli attacchi di panico istantanei. “Okay, va bene, hai vinto. Lavoro quando sono preoccupata. E anche quando sono scontenta, incerta o arrabbiata. Sono una stacanovista, come te. Condividiamo una malattia, abbiamo molto in comune! Ho superato la prova? Ora puoi dirmi se il mio fidanzato è vivo?”

Gokudera si stravaccò sulla sedia per clienti (messa lì solo per decorazione) e iniziò a tirare via libri dai suoi scaffali. Hana non aveva fratelli, ma era abbastanza sicura che si avvicinasse molto a quell’esperienza. “Sta bene. Tua mamma aveva ragione: una concussione, ma non troppo grave. Dovrai svegliarlo ogni ora per tutta la notte, però. Divertiti.”

Hana firmò una lettera per impedirsi di fare qualcosa di ridicolo, come esprimere delle emozioni davanti a Gokudera.

“E hai veramente avuto culo con l’Inagawa-kai.” Continuò lui. “A quanto pare Okumura – il tizio che ti ha dato un pugno – si era messo nei casini con l’oyabun. Ora che ha fatto una figura di merda davanti ai suoi uomini, non è più una grande minaccia. L’oyabun è compiaciuto. Quindi ottimo lavoro, ci hai procurato i contratti.”

Hana espirò lentamente. Meglio fortunata che brava, a quanto pareva. “Era tutto parte del mio piano.”

“Sì, certo. Senti, se io devo gestire i miei problemi di rabbia, tu devi gestire i tuoi. Fai una cazzata simile di nuovo e vado dal Decimo. Ti farà fare dei corsi.”

Significava forse che Sawada aveva fatto fare a Gokudera dei corsi di gestione della rabbia? Hana sperava di sì, perché in quel caso sarebbe stato nei suoi pensieri per sempre. “…Ci sta.”

“I tuoi genitori sono sorprendentemente simpatici.” La informò Gokudera dopo un minuto o due di silenzio, che Hana passò a leggere degli indici alla ricerca di Dio solo sapeva cosa. “Sanno cosa fai per vivere?”

“Non essere stupido, non ti dona.”

“Penso che dovresti dirglielo.”

“Sì, perché tu sei un esempio lampante di rapporti familiari salutari.”

“Fanculo, dico sul serio. Che c’è? Hai un lavoro entusiasmante con viaggi internazionali e una buona paga e… beh, un fidanzato stupido, ma sembrava che gli piacesse. Non è quello che dei genitori normali vorrebbero?”

“Aggiungici violenza e crimini sistematici.” Gli fece notare.

“Chissene, non ci sei invischiata così tanto. Sei a posto.”

“Hai ragione.” Concordò Hana, sentendosi decisamente folle. “Sono una storia di successo per Namimori. Sono una star.”

“Gesù Cristo.” Mormorò Gokudera, sfogliando un libro di illecito civile. “Ripigliati.”

Continuò a far finta di ignorarla, riuscendoci abbastanza. Tuttavia, non andò da nessuna parte. La lasciò lavorare, senza lasciarla da sola.

Proprio come avrebbe fatto un fratello.

Hana si morse il labbro e tornò alle sue lettere, intimandosi fermamente di non incoraggiarlo sorridendo o allarmarlo piangendo.

 

-

 

Oggi,” si lamentò Kyoko, avventurandosi nella sua camera e buttandosi a faccia in giù sul suo letto. Hana osservò quello strano spettacolo dalla sicurezza della sua scrivania. “Oggi non abbiamo avuto successo. Tranne i contratti. A proposito, mio fratello sta bene. Passerà la notte nell’ospedale della base, però… non voleva che ti svegliassi ogni ora per stargli dietro.”

Hana detestava il fatto che Ryouhei sapeva che razza di pessima infermiera fosse. “Potevo gestirlo senza problemi.”

“Conosci mio fratello.” Disse Kyoko, girando la testa e fissandola con un occhio iniettato di sangue, esausta, i capelli che le cadevano sul viso. Erano anni che non la vedeva presa così male. “Deve sempre fare tutto da solo. Si rifiuta di essere aiutato.” Sbuffò spazientita e tornò ad affondare il viso nel suo cuscino. “Il tuo livido…” Bofonchiò.

“Sto bene.” Il cielo sapeva che ne avevano prese di peggiori da Hibari.

Nessuna delle due commentò per diverso tempo. Forse Kyoko progettava di addormentarsi sul suo letto, forzandola quindi a dormire sul pavimento e avendo dunque vendetta per il modo in cui Hana era fuggita dall’ospedale come una codarda.

“Allora, perché sei qui invece che con tuo fratello?” Chiese Hana immaginando che, se doveva buscarle a causa del suo vile abbandono, preferiva che fosse subito e non in qualche momento futuro ed imprevedibile.

Kyoko calpestò le sue aspettative, ovviamente. Se lo meritava, per aver osato farsi delle aspettative. “In questo momento, sei tu ad avere più bisogno di compagnia.” Spiegò lei, ovattata. “Ti senti così in colpa a volte… è sciocco.”

Hana la conosceva da metà delle loro vite; non avrebbe dovuto reagire con un ma che cazzo? così spesso alle sue sparate. “Sì, certo. Sciocco. Voglio dire, ho solo abbandonato il mio fidanzato ferito… perché dovrei sentirmi in colpa?”

Kyoko girò nuovamente la testa, per permetterle una migliore visuale del suo viso deluso. “Non lo hai abbandonato. Lo hai lasciato con i dottori. Non potevi fare nulla per la sua testa, e poi… beh, sei un po’ una bomba ad orologeria quando sei in un ospedale.”

Quindi nessuno la voleva intorno in ogni caso. Bello.

“Non dovresti nemmeno avere un fidanzato che viene sempre riempito di botte.” Continuò l’amica, con un tono sempre più flebile e triste. “E poi, hai già un lavoro che a volte fa riempire di botte te, e… non l’avresti avuto mai. Se non fosse stato per me, avresti avuto una vita normale, ma ti ho trascinato in tutto questo e ora… beh. Mi dispiace, Hana.”

Per Kyoko, permettere agli altri di vederla così scossa era l’equivalente di crollare a terra in ginocchio, strapparsi i capelli e singhiozzare chiedendo perdono. Era terrificante. “A proposito di sensi di colpa stupidi.” Disse bruscamente Hana. “Smettila immediatamente, mi spaventi. Sapevo a cosa stessi andando incontro, grazie tante. Hai chiesto a Gokudera di farmi una ramanzina, per l’amor del cielo – non ti perdonerò mai, a proposito, e forse nemmeno lui – ma nessuno può dire che tu non mi abbia messa in guardia.”

“Ma tu-“

“In più,” La interruppe ad alta voce, prima che potesse dire qualcos’altro di sconcertante. “Non mi annoio mai.”

Kyoko ridacchio, nonostante tutto. “Questo è vero.” Concordò. “Le nostre vite sono decisamente troppo interessanti.”

 

-

 

“Ha! Lo sapevo all’estremo!”

Hana alzò di scatto la testa da dove stava riposando (sulla guancia non livida) sugli appunti di proprietà intellettuale che stava controllando per fare un piacere a Spanner, facendo saettare selvaggiamente gli occhi per la stanza. Tutte le luci erano accese, ma questo non aveva impedito a Kyoko di addormentarsi sul letto di Hana, il viso talmente sprofondato nel cuscino che poteva rischiare il soffocamento. E poi c’era Ryouhei che, per qualche motivo, era alla porta con addosso niente più che pantaloni ospedalieri, bende e un sorriso folle.

Poteva sembrare uno strano trip, ma ciò non significava che non fosse reale. Molto della vita di Hana aveva un certo non so che di allucinogeno. “Ryouhei. Non dovevi rimanere in ospedale?”

Lui annuì vigorosamente, il che non doveva essere molto salutare. “Avevi bisogno di dormire! Ma poi ho ricordato che tu non avresti assolutamente dormito, non lo fai mai quando sei preoccupata. Quindi hai bisogno di compagnia! E poi, se sei comunque sveglia, dovrebbe essere estremamente facile svegliarmi ogni ora.”

Sorrise, compiaciuto della sua logica. Hana si impedì di colpirlo: dopo tutto, aveva una concussione. “Uh… huh. Quindi sei evaso dall’ospedale e ora pensi di dormire… dove, esattamente? Tua sorella è in coma sul mio letto: osserva.”

Indicò Kyoko, che non si era nemmeno svegliata. Non era sorpresa: anni di convivenza con Ryouhei avevano donato a Kyoko l’abilità di dormire nonostante tutto, tranne forse delle esplosioni. Haru era venuta a controllarla, poco prima, e aveva bollato l’idea di Hana di svegliarla e spostarla come ridicola.

“Ho portato un futon.” Spiegò lui, allungando una mano nel corridoio e, effettivamente, trascinando un futon nella stanza, sistemandolo sul pavimento immediatamente dietro alla sedia di Hana. Tirò via con cautela un cuscino dal suo letto senza disturbare la sorella e si buttò a terra con una trascuratezza che avrebbe fatto sicuramente impensierire i dottori.

Hana sospirò e raccattò delle coperte di scorta, le offrì a Ryouhei e ricevette un’espressione confusa di rimando. Alzò gli occhi al cielo e gliele tirò in faccia.

“So che faccio schifo come fidanzata, ma non sono così meschina da farti ghiacciare tutta la notte per terra senza coperte.”

“Perché schifo?” Chiese lui, tirandosi le coperte via dal viso.

“Non puoi seriamente dirmi di non essere deluso da come sono scappata a nascondermi quando eri con i dottori. Avrei dovuto essere lì con te, è ovvio.”

Ryouhei sembrava estremamente confuso. Non che fosse una novità, per lui. “Perché?”

“Pe-perché sono la tua fidanzata, perché dovrei- è mio compito-“

Si era tirato su a sedere, come per comunicare meglio l’intensità del suo sconcerto. “Non sei un dottore, all’estremo!”

“Beh, no, ma-“

“Tu odi i dottori!”

“Sì, ho una fobia, ma è-“

Io odio i dottori!”

“Ed è esattamente per questo che-“

“Se devo stare con dei dottori, non voglio che anche tu debba starci. È estremamente inutile!”

Io sono inutile quando sei ferito!” Scattò Hana, determinata almeno a pronunciare una frase completa.

“Hana. Mi hai trascinato fino a casa dei tuoi.”

Ryouhei non si calmava spesso, men che meno diventava serio. Forse era per questo che era così devastante le rare volte che si scomodava a farlo.

E aveva ragione. Lo aveva trascinato fino a casa dei suoi. E per di più, aveva aspettato di fuggire e sclerare fino a dopo che era stato affidato alle cure di medici professionisti, dopo che era sicura che sarebbe stato bene.

Oh.

“Vieni qui.” Disse lui, stendendosi e allungando un braccio verso di lei. “Sicuramente è meglio per la tua schiena, piuttosto che incurvarsi su quella scrivania!”

“E se mi addormento e non ti sveglio ogni ora e quando mi sveglio domattina ti trovo morto?”

“Se mantieni quella linea di pensiero, starai estremamente sveglia per tutta la notte! Dai.”

Lei sospirò, afferrò il suo orologio, scivolò via dalla sedia e si stese di fianco. Lui le circondò la vita con un braccio e si addormentò tutto contento nel giro di novantatré secondi contati.

Hana era stesa su un futon preso in prestito, nella sua stessa camera, sopra a delle coperte così da rimanere scomoda e infreddolita e sveglia per tutta la notte in modo da svegliare il suo fidanzato concussato ogni ora. Oh, e la sorella del sopraccitato amante stava dormendo sul suo letto, da qui tutta la situazione del futon preso in prestito. Era come se stessero puntando a qualche tipo premio nel surrealismo domestico.

Come per darle ragione, Ryouhei iniziò a russare. Hana ridacchiò piano, forse un pochetto isterica. Era chiaro che ci fosse qualcosa di molto, estremamente sbagliato in lei.

Nonostante tutto, amava davvero la sua stupida vita.

NOTE TRADUTTRICE: è stato un lavoro lungo e solitario, tra università e lavoro full time, ma infine ce l'ho fatta. Spero che vi piaccia!
Consiglio i lavori di metisket con la potenza di mille soli, mi hanno rapito a tal punto da volerli assolutamente tradurre e renderli accessibili anche al pubblico italiano.
Buone feste a tutti, spero di leggere qualche commentino! :) Potete trovare la storia originale qui: https://archiveofourown.org/works/603503 Per rimanere aggiornati su tutte le mie traduzioni e lavori e sapere a che punto sono potete seguirmi su TUMBLR  <- CLICCA QUI
  
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