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Autore: FoxFire    09/04/2024    0 recensioni
Cinque ragazzi, tutti con una loro storia, e con la stessa voglia di ricominciare a vivere.
Faranno un percorso, dove incontreranno molti amici, ma altrettanti nemici.
Tante amicizie si distruggeranno ed altre si rafforzeranno.
Una storia di odio e amore, cazzotti e lacrime, tradimento e passione.
Ma con la premessa che... Sopra Le Nuvole, (c'è sempre) Il Sole.
- Dalla storia:
'' Cos'hai li? ''
'' Questo? '' dice lei indicando la macchia nera che si intravedeva dai pantaloni a vita bassa
'' E' solo un tatuaggio. '' continua spostando i pantaloni un po' più giù scoprendo la scritta.
'' Sopra le nuvole, il sole ... Figo, mi piace! ''
'' Ce l'ha anche Nichi, è tipo il mantra della nostra vita. ''
Mentre si guardavano negli occhi, lui le fece un sorriso di quelli che scioglierebbero anche il Polo Nord.
Appoggiò la testa sopra la pancia di lei e rimasero sdraiati a guardare il mare.
Genere: Comico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Neighbors


01/09/2016

Fede’s Pov.
 
Scendemmo dall’aereo e rimanemmo dentro l’aeroporto per un po’ di tempo; come sempre i bagagli ci mettevano secoli per arrivare.
<< Si può sapere dove cazzo è? >> urlò Gio spazientito, era l’unico a cui mancava ancora la valigia.
Un buon inizio, insomma.
Perdemmo tempo sedendoci sul nastro trasportatore sghignazzando tra di noi fino a quando le guardie dell’aeroporto vennero giustamente a rimproverarci.
Fortunatamente, da lì a poco, arrivò anche l’ultima valigia.
Una volta raggiunto l’esterno, precisamente la postazione di Taxi e Pullman, vedemmo un signore in giacca e cravatta che teneva in mano un cartello con scritto “CAMPUS GREEN HILL”, una volta accertato che stesse aspettando davvero noi salimmo sul pullman parcheggiato lì accanto.
Raggiungemmo i posti dietro, quelli al fondo del pullman essendo gli unici da cinque; ovviamente nel mezzo erano presenti altri ragazzi che evidentemente frequentavano il nostro stesso College, ma nessuno di loro fu così gentile da degnarci un saluto.
Piuttosto, appena incrociavano i nostri occhi, spostavano i loro immediatamente altrove con una faccia, oserei dire, quasi disgustata.
Io e i miei amici ci lanciammo uno sguardo fugace, stranito, prima di sederci.
Io mi buttai letteralmente sopra Gio prendendo il posto vicino al finestrino, gli diedi un bacio sulla guancia e mi appoggiai sulla sua spalla addormentandomi.
<< ARRIVATI! >> urlò Chiara svegliandomi e facendomi battere la testa contro il vetro del finestrino.
Vaffanculo, che male.
Il paesaggio era a dir poco meraviglioso: una cancellata scura laccata d’oro opaco divideva la strada del pullman da una distesa verde immenso; dalla mia posizione riuscivo a vedere alcune case di un colore chiaro poste a file ordinate.
Mi alzai seguendo gli altri, scesi prendendo la valigia enorme che mi ero portata:
<< Gio, non è che fai il cavaliere e la porti tu? >> gli dissi ridendo e sfoderando la mia migliore espressione supplicante.
Però non doveva essere uscita meravigliosamente perché lui mi guardò e rispose:
<< No! >>.
Gli feci la linguaccia mettendo il broncio, mi avvicinai all’immenso cancello di ferro con le enormi lettere “G. H.” in oro.
Era chiara la scelta del nome del College: si intravedeva, dietro svariate collinette verdi ben curate, con l’erba ordinatamente tagliata e molto profumata, una gigantesca struttura in stile rinascimentale: quella era sicuramente la nostra futura scuola.
Una signora era stretta in un completo femminile formato da una gonna al ginocchio e una giacca perfettamente tagliata di un blu notte intenso; era ferma davanti al cancello impassibile e sembrava una carceraria, ma al contrario ci fece un sorriso che risultò più caldo di quanto potessi pensare.
Mi soffermai a guardare il colore dei suoi capelli stretti in uno chignon, erano di una sfumatura grigia particolare che davano al viso segnato dalle rughe un’aria vissuta.
Dopo alcuni istanti di silenzio parlò:
<< Benvenuti ragazzi, io sono Camille e questo di fronte a voi è il College, esso è formato da piccole villette a schiera per una media di 4-5 ragazzi ad appartamento. Siamo lieti di avervi con noi e ancora complimenti per il concorso: solo i migliori vincono. Comunque, torniamo a noi: come penso già sappiate questo è un istituto con una direzione prevalentemente artistica pur mantenendo molte delle materie base che già studiavate. Ecco a voi il vostro orario, le lezioni iniziano tra qualche giorno quindi spero riusciate ad ambientarvi in questo tempo, ma tranquilli! Abbiamo già provveduto ad avvertire i vostri compagni che alloggiano nella casa accanto alla vostra: si occuperanno di farvi ambientare per le prime settimane. Se avete bisogno di aiuti per orari scolastici, per trovare le aule o per ambientarvi all’esterno del campus, loro saranno a vostra completa disposizione! Infine, questa è una mappa della struttura, spero possa esservi utile. >>
Appena finì il discorso ci sorrise chiedendo se avevamo domande, ma alla nostra risposta negativa si dileguò lasciandoci soli.
Ci prendemmo tutti sotto braccio e iniziammo a correre come dei matti. Ad un certo punto Nichi urlò:
<< MA DOVE DOBBIAMO ANDARE?! >>
Gio, aprendo la mappa, spiegò:
<< Deve essere l’undicesima di questa via >>.
Le case erano tutte uguali: si sviluppavano su due piani ed i colori variavano dal bianco all’azzurro alternate.
Il biondo si fermò di colpo e gli andai addosso.
Imprecai come uno scaricatore di porto visto che mi era arrivata la valigia sul piede, ma quando alzai gli occhi e mi resi conto che eravamo arrivati davanti al nostro appartamento, mi ammutolii immediatamente sfoggiando un enorme sorriso pieno d’emozione.
Aprimmo la porta e iniziai a guardare l’atrio: niente di speciale, anzi, era piccolino per cinque ragazzi, ma in quel momento per me era il paradiso.
Un divano rosso in pelle era posizionato davanti alla televisione e due poltrone del medesimo colore erano poste ai lati del divano, una alla sua destra e l’altra alla sua sinistra.
Una porta situata poco dopo l’entrata sulla destra presentava una cucina e, invece, a sinistra dell’entrata proprio di fronte alla cucina, si intravedevano le scale che portavano alle camere da letto poste al piano di sopra. C’erano sei porte su un unico corridoio. Entrammo tutti nella prima stanza, ma dato che era troppo piccola mi addentrai nella seconda.
Io e Gio ci guardammo con aria di sfida correndo verso il letto, sentivo una musica apocalittica di sottofondo nella mia mente, ci lanciammo sul letto e volavamo in aria come delle rondini obese, ma visto che Gio stava per arrivare prima di me gli tirai una gomitata facendolo cadere per terra.
Sorrisi soddisfatta dandogli un bacio sulla guancia e uscii visto che non avevo la minima intenzione di passare la prima giornata chiusa in camera.
<< VADO! >> urlai a tutti senza dare ulteriori spiegazioni, erano abituati alle mie uscite in solitaria.
Mi addentai in un viale alberato di una bellezza incredibile: le foglie erano di un colore rosa magico e il sole si infiltrava tra esse illuminando il cammino.
Non avevo portato la mappa, ma non credevo di perdermi o comunque, se fosse stato necessario, avrei chiamato o chiesto a qualcuno: vidi molte persone godersi il pomeriggio e alcune di loro guardarmi di soppiatto.
Arrivai in una zona piena di negozietti di ogni genere: sportivi, alimentari e infine la mia attenzione si posizionò su una vetrina con la scritta “La Musica è un’Arte”.
Entrai curiosa.
Le pareti erano rosse e tappezzate di poster di band che avevano fatto la storia: Metallica, Nirvana, Queen…
C’erano tre file di banconi pieni zeppi di CD divisi per anni e generi; non c’era molta gente.
Mi ritagliai un po’ di tempo per esplorare con calma.
Io adoro qualsiasi tipo di musica, è stata sempre la mia medicina preferita e da brava cantante mi piaceva sperimentare i generi più disperati.
All’angolo destro c’erano un sacco di chitarre di tutti i tipi: elettriche, acustiche, classiche, e lì accanto era posizionato un bellissimo pianoforte a coda di un nero talmente lucido da riuscire addirittura a specchiarmi.
Mi avvicinai osservando il mio riflesso, i capelli mi cadevano disordinati sulle spalle e avevo gli occhi che mi brillavano di una luce splendente fatta di speranza, gioia e voglia di mettermi alla prova.
Ad un tratto vidi nel riflesso qualcuno dietro di me.
Presa di soprassalto, rimanendo rivolta verso il pianoforte inciampai nello sgabello, rischiando di finire col sedere per terra.
Non successe, afferrò il mio braccio per sorreggermi e farmi rimettere in equilibrio velocemente.
Aveva delle braccia muscolose, non particolarmente abbronzate, le maniche erano bianche, segno che aveva una maglietta chiara.
Un odore forte e maschile mi pervase le narici e io non riuscii a non chiudere gli occhi immaginando la persona dietro di me.
<< Tutto bene? >> sentii sussurrarmi vicino all’orecchio… mi resi conto che era già troppo tempo che mi trovavo in quella posizione.
Mi liberai velocemente dalla stretta e mi girai verso di lui, probabilmente rossa come un peperone.
<< Mi dispiace averti spaventata >> disse il ragazzo
<< Ci credo, stavo per avere un collasso >> risposi io con fare teatrale.
Aveva un sorriso meraviglioso… e non solo quello: lui era proprio bellissimo.
Alto almeno quindici centimetri più di me ed un fisico niente male.
I pantaloni attillati gli fasciavano perfettamente le gambe magre, il viso sembrava appartenere ad un angelo: un paio di occhi verdi, dei bellissimi capelli ricci e uno sguardo fiero e gelido puntato nel mio.
<< Mi scuso umilmente >> disse inchinandosi, mantenendo il mio gioco
<< Io sono Harry >> continuò porgendomi la mano.
<< Fede >> risposi ricambiando il sorriso
<< Come minimo dovresti offrirti di comprarmi un CD >> continuai ridendo, quel ragazzo era troppo WOW.
<< L’idea mi piace! >> rispose facendo uno sguardo tra il serio e il malizioso.
Mi prese a braccetto e mi girò verso i CD:
<< Ogni cosa che vuole >>
<< Ma dai, stavo ovviamente scherzando! >> replicai cercando di convincerlo a non comprarmi niente
<< Metallica, Aretha Franklin, Rihanna, hai tutta la scelta del mondo! Daiii… >> disse facendo il labbruccio tremolante.
“Smettila che te le stacco a morsi quelle labbra…” pensai indistintamente, e ammetto che dovetti tirare fuori quel poco di auto controllo rimastomi per non dare voce ai miei pensieri.
<< Ti faccio contento solo se tu ne prendi un altro e te lo pago io, almeno non mi dimentichi >>
<< Ok, ci sto! >>.
Prendemmo entrambi lo stesso CD di Stevie Wonder e, dopo aver visto l’orario sul grande orologio sopra la cassa, salutai Harry e decisi di tornare a casa.
Uscii dal negozio, ma mentre canticchiavo qualche nota di Superstation mi si avvicinò e mi bloccò per un polso.
Mi girai di scatto finendogli ancora appiccicata al petto, ora lo faceva apposta però a rendermi impacciata.
<< Scusa >> disse senza staccarsi, anzi serrando le mani dietro la mia schiena.
“Respira e mantieni un comportamento decoroso” cercavo di autoconvincermi con poco risultato.
Continuavo a perdermi in quelle iridi verdi che erano, effettivamente, troppo vicine alle mie.
<< Domani ti va di passare a prendere un gelato? Ti faccio fare il giro del campus >>
<< SÌ! >> risposi cercando di non urlare, con un tentativo che si rivelò inutile.
Si staccò, prese il borsone da calcio poggiato poco dietro di lui e si incamminò lungo la sua strada senza nemmeno salutare, non prima di avermi lasciato un ultimo sorriso.
Mia cugina diceva sempre: “se si gira quando se ne va è TUO!”
Attendevo speranzosa.
Inspira, espira; inspira, espira.
Con un movimento perfetto si girò e mi fece l’occhiolino per poi rigirarsi e andare via.
<< MA SIAMO TUTTI PAZZI? >> dissi ad alta voce arrossendo e mettendo le mani in faccia.
<< QUI. SIAMO. TUTTI. MATTI. >>.
 
***
 
Nel frattempo…
 
*** 
 
Giuly’s Pov.
 
Uscii di casa.
Non riuscivo a capire cosa passasse per la testa dei miei amici, erano tutti agitati e spazientiti. Chiara mi cacciò fuori di casa chissà per quale motivo e le altre due erano in giro chissà dove. Probabilmente voleva stare da sola con Gio, lo sapevamo tutti che era cotta di lui, Gio compreso.
Mi incamminai in un viale pieno di alberi alti e maestosi con le foglie di quel rosa che si vede solo in estate, erano sicuramente peschi.
Avevo voglia di disegnare e immortalare il grande evento, non c’era niente di più surreale che ritrovarsi in Inghilterra con i tuoi migliori amici a studiare arte senza nessuno adulto a cui dare conto.
Mi ritrovai in quello che capii essere un parco e mi guardai attorno.
A sinistra vidi una coppietta che si scambiava effusioni sotto a un pino; tolsi immediatamente lo sguardo imbarazzata.
Mi girai dall’altra parte e notai una panchina dalla quale si aveva una visione completa del parco: mi sedetti, presi il mio blocco da disegno dalla borsa e iniziai a cercare qualcosa da dipingere.
Sentii delle voci ridere e una ancora più potente urlare.
I ragazzi ed il calcio, sempre la stessa storia… non riescono a correre stando zitti.
Quello che urlava era sicuramente l’allenatore, un uomo basso e grassoccio con un colorito chiaro che faceva a pugni con il rosso del viso dato il suo urlare incessante, quest’ultimo puntava il dito contro due ragazzi che cercavano di tirarsi giù i pantaloni a vicenda: uno riccio con una strana cosa in testa simile ad uno straccio stava tirando giù i pantaloni ad un altro ragazzo con dei capelli castani che indossava una maglietta blu, la quale gli metteva in risalto gli occhi azzurri.
Dall’altra parte c’era in terra un ragazzo biondo che aveva la risata contagiosa ed accanto a lui un altro ancora che sembrava uscito da una rivista, ma di sicuro non era inglese data la sua pelle leggermente più scura.
Infine i miei occhi caddero su un ragazzo con la palla incastrata sotto il piede.
Sembrava un angelo caduto dal cielo: i suoi capelli castani sembravano attirare il sole.
Ecco cosa, o meglio chi, dovevo disegnare.
Amavo fare ritratti, disegnare le forme del corpo con tutti i particolari, pensavo ogni volta a quanto la natura fosse stata brava a creare degli esseri pieni di caratteristiche come noi esseri umani, e ritrarne uno su un semplice foglio bianco mi faceva sentire appagata e soddisfatta. Iniziai da quel viso spigoloso e seguii con i suoi occhi penetranti. Disegnai quelle spalle larghe e le braccia toniche, cercando di immortalare la forma del muscolo contratto del polpaccio e in pieno della mia ispirazione creativa feci partire un paio di ali argentee dalle scapole, ma appena finii il disegno, sentii un urlo nella mia direzione:
<< PALLAAAAA! >>
Alzai gli occhi per guardare… ma era troppo tardi.
Mi arrivò in piena faccia come un proiettile un pallone da calcio bianco a chiazze nere, ma fortunatamente non mi colpì il naso bensì la fronte.
Faceva decisamente male, e sentivo più caldo sulla fronte che sul resto del viso, sintomo che il punto colpito si era arrossato, probabilmente mi sarebbe uscito un enorme bernoccolo.
<< Va tutto bene? Tu devi essere Giulia… vero? Mi dispiace per la pallonata… >> sentii sussurrare una voce maschile col fiatone.
“EH?!” pensai inconsciamente. Come faceva a sapere il mio nome? E soprattutto, chi mi stava parlando?
Come nei più probabili cliché americani, alzai lo sguardo e vidi il mio angelo.
Non avevo la forza di rispondere quindi annuii, decisi di non fare domande.
Mi girava ancora leggermente la testa per il colpo appena subito, ma questo non aveva importanza al momento, il ragazzo in piedi di fronte a me aveva un aspetto da togliere il fiato, mi sentivo talmente imbarazzata.
Se solo fossi stata meno timida e introversa avrei provato sicuramente a presentarmi.
Molte volte mi maledicevo per il mio carattere, cercavo in più e più modi di cambiare ma senza mai riuscirci e ciò mi rendeva triste facendomi chiudere ancora e ancora in me stessa.
I suoi occhi brillavano con la luce del sole, i capelli erano sbarazzini e ondeggiavano per il leggero venticello londinese.
Abbozzai inconsciamente un sorriso al pensiero di quanto fosse bello, ma mi pentii subito dopo, chissà che idea si era fatto di me dopo avermi vista sorridere… magari pensava che ero innamorata di lui e non volevo assolutamente che pensasse una cosa del genere. Probabilmente ero solo troppo paranoica ed esagerata, non dovevo e non potevo pensare sempre ai giudizi delle persone; mi rallegrai dopo questa riflessione scacciando la brutta teoria che mi ero appena fatta e mi concentrai sul fatto che, per una volta, avessi fatto bene a sorridere.
Vidi il suo sguardo posarsi su qualcosa a terra.
Lo seguii e capii cosa stava guardando.
Sbiancai e diventai subito dopo rossa di colpo… era il disegno.
Sorrise, prese la palla, mi fece l’occhiolino e se ne andò, come se nulla fosse successo.
Presi la borsa e scappai a casa senza guardarmi indietro per la vergogna, ma lo ringraziai mentalmente per non averne proferito parola, sarebbe stato ancora più spiacevole di quanto la situazione non fosse già.
 


Nichi’s Pov.
 
Nella mia testa c’era una perenne guerra nell’ultima settimana tra la gioia e la tristezza.
Non avevo ancora deciso qual era l’emozione che sovrastava l’altra, insomma, dovevo sentirmi felice?
Certo, lo ero da impazzire.
Dopo anni di sacrifici e tanta determinazione avevo vinto l’opportunità più bella che potesse capitarmi nella vita, almeno fino ad allora, e dopo quella di aver trovato dei veri amici.
Ma non potevo negare di essere altrettanto delusa, amareggiata, arrabbiata, ferita, umiliata e soprattutto stupida.
Come avevo fatto a non accorgermi della persona falsa che fino a poco tempo prima era stata al mio fianco da un anno e nove mesi?
E pensare che ero sempre stata quel genere di persona che capisce gli altri al volo, e che distingue a pelle le persone sincere da quelle bugiarde.
Ma mi convinsi che potevo sentirmi tutto meno che stupida, non avevo colpa di niente, probabilmente ero accecata dall’amore.
Durante queste mie strane pause riflessive e senza senso, perché dentro di me lo sapevo benissimo di dover lasciar perdere la questione Leonardo e pensare solo alla mia nuova vita, stavo passeggiando per il cortile del vicinato.
Non so spiegarmi il perché, ma stare attorno alla natura mi dava un senso di sollievo, la luce calda che mi baciava le guance mi faceva sentire amata e protetta, un raggio di serenità in un mondo complicato.
Era raro vedere un giorno così splendente e caldo nella solita nuvolosa Londra, almeno così sapevo per sentito dire.
Le lacrime sul viso scendevano inconsciamente a goccioloni dai miei occhi mentre ero intenta a guardare le vecchie foto mie e di Leonardo.
Quella al mare, o quella sul divano di casa mia dopo la festa di Halloween.
Allora sì che ero stupida.
Ma basta, dovevo dimenticarlo.
E come dovevo dimenticarmi di lui, dovevo dimenticarmi di tutti i maschi.
Certo, come se fosse possibile.
Non volevo e non era una soluzione plausibile vivere da sola per il resto della vita: il fatto che si fosse comportato da pezzente nei miei confronti non significava che tutti i ragazzi del mondo dovevano per forza essere come lui.
Declinai il pensiero di togliermi ogni possibile conoscenza maschile, però una cosa la dovevo a me stessa: non dovevo più farmi prendere in giro da loro; e basta tradimenti, non credo di poterne sopportare ancora.
Sembrava che la mia vita fosse un cerchio e che il tradimento si doveva a tutti i costi insinuare facendo cadere ogni mia difesa.
Era il momento di concentrarmi su quella cosa per cui avevo lavorato 15 anni: la danza. Ballare mi faceva sentire libera e felice, era un'arte che riusciva a toccare le corde più profonde della mia anima.
Non avrei saputo definire il né perché, né l'emozione che provavo danzando.
Prima di salire sul palco inizia la tremarella, i brividi di freddo, tremano le gambe e tutto il riscaldamento diventa vano.
Poi sali sul palco, ti posizioni, luci spente... si vedono solo delle teste in penombra, ma sai che guarderanno tutti te, quindi non puoi che lasciar perdere le paure, non pensare a nulla se non a divertirti e a seguire la musica.
D'improvviso i faretti colorati si accendono e ti fissano.
E ti accorgi che i piedi vanno da soli e piano piano le braccia li seguono per finire con tutto il corpo avvolto dalle note di una musica inebriante.
Salti, giri, ribaltate, rovesciate, spaccate... ogni movimento era una risposta alle emozioni che pulsavano dentro di me.
La musica sfuma...
E ti accorgi che è finita troppo presto, e che vorresti vivere su quel palco e ballare per tutta la tua vita.
La danza fa crescere, fa piangere, fa ridere; È una filosofia di vita, è sfida, è amicizia, è amore, è passionalità, emozione, sentimento.
Per me è tutto, e ti dà tutto.
Insomma, una volta che si inizia non si smette più.
Danzare mi faceva scatenare e liberare da ogni mio pensiero, era la valvola di sfogo più potente che potessi avere e non potevo chiederne una migliore.
Sentii ad un tratto una forte pressione contro la mia spalla e caddi per terra di sedere con un tonfo sordo.
Ripresami dallo shock iniziale mi resi conto che una mano era tesa davanti a me per aiutarmi, ma non la presi non sapendo chi fosse.
<< Ti sei fatta male? >> dietro il braccio teso vidi paio di gambe magre, strette in un paio di pantaloni beige, alzai ancora lo sguardo notando una maglietta azzurra a mezze maniche attaccata al petto per il sudore che delineava degli addominali appena accennati ma visibili. Puntai lo sguardo ancora un po’ più in su scoprendo degli occhi azzurri con delle cromature all’interno leggermente più scure dell’iride.
Ed i capelli, biondi come il grano, ma con una leggera ricrescita castana visibile solo da un occhio attento.
Nell’insieme era davvero un ragazzo bellissimo, sicuramente non aveva tratti inglesi.
Gli presi frettolosamente la mano e mi aiutò a rialzarmi da terra, così lo ringraziai e rispondendo:
<< Grazie mille, nono, è tutto apposto non preoccuparti! >>
<< Scusami non ti avevo vista. Ero impegnato a litigare con la mia ragazza al telefono, mi dispiace >> aveva il braccio sbucciato, in terra accanto a lui c’era uno skateboard rotto esattamente a metà probabilmente per il fatto che mi fosse caduto addosso, e intravidi anche la sacca con sopra scritto “FOOTBALL” poggiata a terra.
<< La colpa è mia, scusami tu. Non si dovrebbe guardare il telefono mentre si è in strada, sono io che non ti ho visto >> risposi sincera
Mi sorrise.
<< Facciamo che la colpa è di tutti e due. Piacere Niall >> disse, riporgendomi la mano con la quale mi aveva alzata
<< Piacere mio, Nichi >> continuai
<< Nikki? >> ripeté lui con la pronuncia un pochino sbagliata, sicuramente per un inglese non era facile comprendere l’accento italiano. Scossi leggermente la testa, scandendo poi meglio le parole:
<< Ni-chi! Il mio nome è Nicole, ma tutti mi chiamano Nichi! >> il suo viso si sfumò di rosso sulle guance alla mia correzione.
<< Aaah! Ora è chiaro, Nichi! Allora, Nichi, cosa ci fa questa ragazza tutta sola a piangere per strada? >> domandò con un tono un po’ più intimo, le sue guance rimasero colorate per altri interminabili secondi.
Arrossii timidamente a mia volta e diedi forma ad un lieve sorriso, fino a che mi concentrai sulle sue parole: mi aveva vista piangere.
L’appena visibile rossore per la timidezza si trasformò in un bordeaux di vergogna.
Odiavo l’idea che le persone che mi vedessero piangere ed odiavo ancora di più il fatto che mi potessero vedere col trucco sbavato; non potevo scegliere giorno peggiore per mettere la matita nera.
Il pianto per me era un fatto personale, un momento di assoluta privacy in cui potevo sfogarmi e schiarirmi le idee.
Ma ormai non ci potevo fare niente, non che fosse chissà quale tragedia.
Dopo questi attimi di pensieri gli risposi:
<< Nulla! È tutto ok, stavo solo pensando >> sorrisi e brevemente mi ricomposi.
<< Ti sei fatto male? Ti sta sanguinando il braccio! >> continuai dopo aver spostato lo sguardo sul sangue che lentamente colava sulla pelle
<< Oh, neanche me ne ero accorto. In ogni caso non fa male >>
<< Fatti dare una mano, sta sanguinando parecchio ed essendo caduto sull’asfalto potrebbe esserti entrato qualche sassolino… c’è una fontana? >>
Mi indicò un punto non troppo lontano e subito dopo mi portò ad una piccola fontana nella via adiacente a quella in cui ci trovavamo.
<< Dove abiti? >> mi azzardai a chiedere mentre con un fazzoletto di carta bagnato cercai di pulire la ferita. Il braccio che avevo appena toccato si riempì di pelle d’oca, che fosse per l’acqua fredda della fontana?
<< Qui in questa via del college, con altri quattro ragazzi. Ultima casa della via. Tu invece? Sei nuova? Non ti ho mai vista prima. Ma poi come sai questa cosa dei sassi? >> disse chinandosi a bere e levandosi la maglietta fradicia subito dopo.
Finsi di guardare da un’altra parte per non metterlo, o mettermi, in imbarazzo.
<< Sì, ho vinto la borsa di studio di un concorso creativo con due mie amiche. Con noi sono venuti pure altri due nostri amici. Alloggiamo lì, nella casa accanto alla tua. Per quanto riguarda i sassi, semplicemente a scuola abbiamo fatto un corso sulla sicurezza >> risi, pensavo fosse ovvio.
<< Fantastico! Allora siete voi i nuovi studenti italiani! Non avevo collegato prima, non ti avevo riconosciuta! Ad ogni modo, avrò modo di conoscerti meglio >> disse quasi urlando entusiasta e diventando subito dopo rosso in faccia, non badai molto al fatto che sapeva già che saremmo dovuti arrivare. E poi, riconosciuta? In che senso? Io non lo avevo mai visto! Mi strinsi inconsciamente nelle spalle, per scacciare i miei pensieri.
Per un momento riflessi sul fatto che però dovevo lasciar perdere, ero lì per la danza e inoltre mi ero appena ripromessa di non cascare più in sotterfugi amorosi.
Ma infondo stavo solo fantasticando, non mi aveva detto nulla di male, mi aveva anche detto che stava parlando al telefono con la sua ragazza.
Nessun invito a uscire e nessuna voce maliziosa, era un semplice modo per darmi il benvenuto, e avere degli amici in più che male poteva farmi?!
<< Sì, diventeremo ottimi amici, ne sono sicura. Adesso però devo proprio andare. Ci vediamo! >>
<< Anche io, sono in ritardissimo per calcio! Ciao! >> mi salutò lasciandomi anche un informale un bacio sulla guancia al quale rabbrividii, senza capire bene il perché, prima di mettersi a correre nella direzione opposta alla mia.
Effettivamente era un ragazzo davvero bello, e a primo impatto mi fece un bell’effetto.
<< Ehi, il tuo Skateboard rotto! >> gli feci notare, ma era già troppo lontano per potermi sentire.
Raccolsi i pezzi e continuai il mio giro di esplorazione per il Campus.
Nel visitare il tutto, arrivai senza volerlo al negozio di articoli sportivi, decisi di entrare per chiedere se lo Skateboard fosse riparabile in qualche modo.
Ovviamente la risposta fu negativa, ma notai che era pieno di Skateboard di modelli tutti uguali e standard.
Non ebbi difficoltà a trovare la tavola uguale a quella rotta di Niall, e trovai incredibile come nessuna costasse meno di 150£, quella del biondo addirittura 350£. Doveva essere di ottima fattura.
Sospirai, avrei voluto comprarglielo per poterglielo restituire intatto, ma di certo non potevo permettermi quella cifra già al mio primo giorno d’arrivo. I risparmi servivano per spese e per gli extra, come le uscite. Un modo per restituirglielo, prima o poi, lo avrei trovato.
Mi incamminai subito dopo verso casa, sentendo l’urgente bisogno di farmi una doccia fredda.

 
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SPAZIO AUTRICE

Ciao ragazze, ho cercato di sistemare anche questo capitolo.
Seppur sembri tutti avventato (cosa che effettivamente potrà essere, essendo appunto una FF adolescenziale) giuro che c'è una spiegazione a tutto!
Tutto ha un senso e non è messo lì a caso, non bisogna trarre conclusioni affrettate!
Nel vecchio spazio autrici troverete cose apparentemente senza senso: i capitoli erano disposti in modo diverso per cui non dovete badare a ciò che leggete lì!
Fatemi sapere cosa ne pensate, o se trovate errori.
Vi piacciono le descrizioni o dovrei aggiungerne altre? Sto cercando il più possibile di tirare fuori i pensieri e gli stati d'animo dei protagonisti, e se non li vedete nei capitoli stessi probabilmente sono descritti in quelli dopo.
I nostri, anzi ormai i miei, capitoli sono sempre stati molto lunghi, e per cercare di non renderli troppo mattoni che già lo sono abbastanza cerco di dare un limite e di descrivere le cose magari nel capitolo dopo, come se le protgoniste pensassero alla serata precedente, per esempio, e nel ripensare raccontano le loro emozioni.
Vorrei tanto sapere se vi piace in modo da avere la motivazione di continuare e di sistemare le parti che non vi piacciono.
Non dovete per forza recensire, non mi interessa avere numeri alti, basta davvero anche solo un messaggio privato.
La scrittura mi ha sempre appassionata ma non sono mai stata una grande scrittrice, ci sto davvero mettendo tutto l'impegno che ho, e vorrei capire se lo sto facendo bene o meno, tutto qua!
Grazie mille e vi lascio al vecchio spazio autrici e vi ricordo le foto outfit a fine capitolo :)
 
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SPAZIO AUTRICI                          


Eccoci tornate, col nostro secondo capitolo.
Dunque, in questo capitolo si parla dell'incontro dei nostri 5 boy con i 5 protagonisti della storia.
Allora, in realtà le protagoniste sono tre: Nichi, Fede e Giuly.
Chiara e Gio sono loro migliori amici, ma saranno comunque sempre presenti nella storia, sono diciamo dei co-protagonisti.
Volevamo iniziare a spiegare una cosa prima del miniriassunto del caipitolo.
Dunque, ragazze, in 2 o 3 ci avete detto che dovevamo mettere nomi inglesi.
Ok, è il vostro parere, ma vi ricordo che Nichi Gio Fede Chiara e Giuly
sono ITALIANI e hanno vinto un concorso per un prestigioso college di Londra;
quindi, si presume, che dato che sono Italiani, abbiano anche nomi Italiani.
Ok che in Italia danno nomi stranieri a volte, ma se questi sono i nostri nomi ragazze non ci possiamo fare niente ahaha.
Passiamo oltre.
Qualcuna ci ha anche detto che si sono appena conosciuti e qua sta andando tutto di fretta.
Ecco, in realtà, non è proprio così, si scoprirà nel 4° capitolo il perchè i ragazzi hanno
voluto fare il gioco della bottiglia, ma non vi anticipiamo niente, sta a voi leggere o no.
Detto questo speriamo tanto di avervi incuriosito e che ci lasciate delle recensioni, poisitve critiche o neutre che siano,
in modo da capire cosa migliorare, fateci sapere se la storia vi piace.
Abbiamo messo il Trailer della nostra storia in Youtube, ecco il link:

 http://youtu.be/nTEubql5afk

Alla prossima, bacioniii
- Nichi & Fede.

 

Ecco come, nel 2014, ci eravamo immaginate il campus. Tutt'ora mi piace immaginarlo così!


 
  
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