Anime & Manga > Haikyu!!
Ricorda la storia  |       
Autore: LubaLuft    19/04/2024    2 recensioni
Dal testo:
"Con le sue esperienze da giocatore e quelle successive legate al suo ruolo nella JVA, Tetsurō aveva affinato le sue capacità e si era trasformato in un vero cacciatore di talenti, quasi una figura manageriale, fortunato nel suo lavoro perché amava ancora la pallavolo con la stessa intensità di quando era piccolo.
E continuava ad amarla nonostante ne conoscesse bene anche gli aspetti più stressanti: c’era infatti sempre una sottile barriera a separare il successo dall'insoddisfazione, l’armonia dai conflitti. Sottile come una rete. Alla fine, si giocava sempre su un filo teso, che poteva spezzarsi da un momento all’altro.
Che cosa si era spezzato, per esempio, in Kei Tsukishima?
Tetsurō se lo chiedeva giusto quella sera, mentre osservava il Quattrocchi vestito in giacca e cravatta in piedi davanti all’ingresso del Museo della città di Sendai."
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Kei Tsukishima, Tetsurou Kuroo
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Questa storiella parte in giallo ma è ancora in fase di scrittura, per cui mi riservo di cambiarle colore... chissà ;-)

Prima parte
 
Blue moon, you saw me standing alone
Without a dream in my heart
Without a love of my own
 
Blue moon, you knew just what I was there for
You heard me saying a prayer for
Someone I really could care for
 
And then there suddenly appeared before me
The only one my arms will ever hold
I heard somebody whisper "Please adore me"
And when I looked, the moon had turned to gold!
 
Blue moon!
Now I'm no longer alone
Without a dream in my heart
Without a love of my own
 




 

A ventotto anni, Kurō Tetsurō continuava a essere profondamente gatto.

La sua indole felina traspariva da ogni suo gesto e atteggiamento.

Il suo ruolo di promoter per la Japanese Volleyball Association lo faceva girare in lungo e in largo per tutto il Paese e quando si trovava seduto in tribuna ad osservare un giocatore potenzialmente interessante, lo faceva nell’immobilità più assoluta. Le sue pupille si contraevano e si assottigliavano. Occasionalmente, con le dita si sfiorava la guancia, come a sfiorarsi le vibrisse. 

Questo capitava in special modo se all’osservazione prettamente esteriore si sovrapponevano considerazioni sulla personalità che il soggetto osservato esprimeva sul campo, sia durante le azioni sia nei momenti in cui il gioco era fermo, dopo un punto guadagnato o perduto, oppure durante un time out.

E poi, a completare il tutto, c’erano la sua discrezione e la sua tenacia nel seguire il percorso di un atleta partita dopo partita e nel valutare quale tipo di gioco gli fosse più congeniale, che tipo di schemi. Il suo obiettivo primario era stabilire di che tipo di animale si trattasse: selvatico e individualista come un’aquila, di difficile gestione in un gioco che si fondava sullo spirito di squadra? Oppure un gregario, che si lasciava trascinare facendo il suo lavoro ma non di più, come l’ultimo di una nidiata di corvi? Oppure ancora il perfetto leader che plasmava il gruppo e motivava i suoi compagni, il fulcro del suo team, il capo branco, il primo tra i gatti della discarica?

Secondo Tetsurō, ogni atleta, se messo nelle condizioni giuste per farlo, era in grado esprimere il proprio potenziale - quale che fosse -  che mescolato a quello dei compagni poteva creare la sintesi giusta per la propria squadra. Il Nekoma, ai tempi del liceo, era stato per lui un ottimo esempio di squadra nella quale tutti potevano dare qualcosa al gruppo e ora, con le sue esperienze da giocatore e quelle successive legate al suo ruolo nella JVA, Tetsurō aveva affinato le sue capacità e si era trasformato in un vero cacciatore di talenti, quasi una figura manageriale, fortunato nel suo lavoro perché amava ancora la pallavolo con la stessa intensità di quando era piccolo.

E continuava ad amarla nonostante ne conoscesse bene anche gli aspetti più stressanti: c’era infatti sempre una sottile barriera a separare il successo dall'insoddisfazione, l’armonia  dai conflitti. Sottile come una rete. Alla fine, si giocava sempre su un filo teso, che poteva spezzarsi da un momento all’altro.

Che cosa si era spezzato, per esempio, in Kei Tsukishima?

Tetsurō se lo chiedeva giusto quella sera, mentre osservava il Quattrocchi vestito in giacca e cravatta in piedi davanti all’ingresso del Museo della città di Sendai.

Il Museo aveva aperto le porte per un evento serale privato, organizzato dal municipio e dal ministero della cultura.

Che cosa ci faceva lì l’enigmatico e biondo ex centrale del Karasuno, e ormai anche ex centrale dei Sendai Frogs, così elegante e così bello in un luogo totalmente diverso da una palestra o un palazzetto dello sport?

A giudicare dallo sguardo tagliente che il soggetto in questione gli stava rivolgendo in quel preciso istante, accorgendosi della sua presenza, la stessa domanda se la stava ponendo anche lui nei suoi confronti, perché sicuramente Kurō Tetsurō non era tipo da museo.

Eh no.

Tetsurō gli rivolse un sorrisetto incerto e con un gesto gli fece capire che lo avrebbe raggiunto per salutarlo. Erano lì entrambi, perché non scambiare due chiacchiere?

Il Quattrocchi allora si aggiustò gli occhiali sul naso.

Quando lo faceva, era nervoso. Gli voltò le spalle senza ricambiare neppure con un minimo cenno di saluto. 

E anche Tetsurō, di colpo, si innervosì. 

Perché era sempre così impermeabile? Sempre barricato dietro qualche cosa, come i suoi begli occhi chiari dietro le lenti.

L’ultima volta che lo aveva visto era stato pochi minuti prima della partita fra gli Adlers e i Jackals. Quella sera gli era apparso anche più bello di come lo vedeva ora in giacca e cravatta: indossava un paio di jeans aderenti e una giacca chiara che gli disegnava con eleganza le spalle e la schiena. Si era fermato al metro e novanta e se lo portava benissimo.

Aveva pensato di raggiungerlo sugli spalti ma poi aveva avuto da gestire alcune persone che erano state invitate dall’Associazione e comunque lui era insieme a Yacchan e Yamaguchi - che equivaleva più o meno alla sua ombra.

C’era stato però un momento, al bar del palazzetto dopo la partita, nel quale si erano trovati a un passo l’uno dall’altro. Tsukishima era solo non si era accorto di lui e Tetsurō, che pure gli si stava avvicinando, aveva poi fatto marcia indietro: improvvisamente gli si era impastata la lingua, gli era aumentato il battito, gli era tornato quel turbamento che solo la certezza che quello che aveva di fronte fosse il suo vero primo amore poteva provocargli ancora a distanza di tanto tempo.

Un primo amore mai dichiarato, scomodo, difficile perché difficile era Tsukishima, giudicante, respingente, chiuso. 

Era stato a un passo dal confessarglielo anni prima, ai Nazionali, il giorno in cui il Karasuno dopo aver vinto contro il Nekoma aveva perso contro il Kamomedai, ma quando si era infilato negli spogliatoi per incontrarlo e provare a esprimere a parole semplici ciò che di complicato provava per lui, lo aveva visto appoggiato al muro con Yamaguchi proteso su di lui che gli sfiorava le labbra con le proprie.

Aveva lasciato il campo. Non era scappato, questo no, ma se ne era andato ferito a morte. Aveva perso di nuovo.

Ritornò allora con la mente alla sera della partita vinta dai Jackals. Tsukishima si era preso un caffè e se ne era andato via, la sua figura alta fasciata nella giacca chiara come i suoi capelli, il passo lento.

Quella stessa sera Tetsurō era invece finito a letto con Bokuto, una cosa senza complicazioni e strascichi, una nottata di sesso intensa e liberatoria per entrambi che li aveva visti salutarsi il giorno dopo come due amici, forse un po’ più intimi della media. 

La sua prima volta l’aveva vissuta proprio con lui, al liceo, ed era stata allegra, scalmanata, etilica. Avevano fatto un disastro, avevano riso, lo avevano rifatto meglio, dopo.

Era stato bello ma tutto l’opposto di quello che aveva invece immaginato per lui e Tsukishima: qualcosa di silenzioso e intenso, da fare a occhi aperti, respirandosi a fondo, qualcosa di serio, qualcosa di bello sì ma per l’eternità.

Qualcosa di impossibile.

Intanto, davanti alla scalinata del museo, era un continuo via vai di macchine, taxi, invitati in tiro pronti a una promettente serata di pubbliche relazioni.

Tsukishima si era accodato a un gruppo di persone dall’aspetto molto formale e rigido, ed era entrato con loro, non senza scoccargli un’ultima occhiata accigliata.

Del resto, era un evento speciale, quello, tutto incentrato sull’inaugurazione di una sala del Museo nella quale veniva esposta per la prima volta al pubblico la ricostruzione, con parti fossili reali, dello scheletro di un Wakinosaurus Satoi.
Il Godzilla giapponese.

 

Un pretesto, in realtà, Tetsurō lo sapeva: quello che contava in circostanze di quel genere non era tanto il dinosauro in sé ma le mani che si sarebbero incontrate e strette nel roof restaurant dopo la visita guidata. Mani in pasta su tutto, mani ufficiali, mani nascoste che muovevano fondi, comunicazione, opportunità.

E a quel punto, a lui interessavano solo due mani in particolare. Mani bianche, dita affusolate, aperte a muro. Quanto avrebbe voluto sentirsele addosso, non riusciva a ricacciare indietro quell’ultimo desiderio che lo tormentava da anni.

Uno squillo sul cellulare lo riportò con i piedi per terra.
Bokuto, che era a Sendai su segnalazione del suo procuratore per valutare eventuali ingaggi.

“Bro, come te la passi?” Il gufo, con il suo vocione. Il tono era quello di uno che voleva andare a bere qualcosa.
“Bro, nonostante sia sabato sera sto lavorando…” 
“Tu lavori troppo. Dovresti rilassarti ogni tanto…”

Il tono ora si arricchiva di altre sfumature. 

Bokuto era così, impulsivo e immediato, ti cercava un secondo dopo che il suo cervello gli aveva suggerito di farlo.
Non era però sempre il cervello a muoverlo, c’era almeno un altro organo importante del suo corpo chiamato in causa - e in quella circostanza era certo che non si trattasse propriamente del cuore, ma di qualcosa di altrettanto grande e ingombrante sebbene di una sensibilità più terra terra - e dato che quella sera Tetsurō aveva affinato il naso e arricciato le vibrisse a causa del biondo, aveva il sospetto che il suo amico un po’ più che intimo volesse proporgli qualcosa da fare esclusivamente in due e certamente non in un luogo pubblico.

Quella sera Tetsurō però non se la sentiva di cedere a certe tentazioni.
Non che non gli piacessero certe situazioni con il suo Bro, che era un tipo divertente prima, dopo e durante e che soprattutto era una fonte inesauribile di idee geniali quanto a posizioni da tenere, per cui con lui gli amplessi erano sempre atletici e molto soddisfacenti.

Il fatto era che, improvvisamente, il sesso cessava di essere un fatto divertente. Era un fatto serio, invece, un fatto di testa, uno dei tanti aspetti in una relazione che Tetsurō avrebbe voluto costruire con qualcuno e Bokuto era prima di tutto un amico un po’ sui generis, di cui non era innamorato e con il quale alla fine non c’era nulla da costruire oltre quanto avevano costruito già in anni di frequentazione.

“Bro, non è serata…”
“Uhm… non ti piaccio più?” Il gufo si lasciò sfuggire un lamento comico.
“Stop! Frena… tu mi piaci, Bro, la tua autostima con me è a posto!…”
Come farglielo capire?
“Ecco… mettiamola così: non voglio staccare il cervello, stasera. Sto messo un po’ male, forse, ma stranamente mi va bene così.”

Mentre parlava con il suo Bro, stava salendo le scale che portavano all’ingresso del Museo e già stava cercando il Quattrocchi con lo sguardo.

Stavolta non avrebbe fatto passi indietro e sarebbe tornato alla preistoria - già, serata ideale quella, con il dinosauro! - al mondo ormai lontano, ai momenti fossilizzati nell’ambra della memoria del liceo. 

Voleva sapere di lui, del motivo per il quale aveva mollato i Sendai Frogs e del perché si stesse intrattenendo con quei personaggi di alta caratura.

Improvvisamente gli venne in mente che forse Tsukki poteva essere diventato qualcuno di importante.

Tsukki, come cinguettava sempre Yamaguchi. Chissà se erano stati insieme, se stavano insieme. 

Chissà se dopo quel bacetto consolatorio dopo il Kamomedai ce n’erano stati altri meno delicati, un po’ più come quelli che Bokuto gli dava quando lo inchiodava al letto con le sue ali spiegate.
Un po’ come le altre cose poco delicate che facevano insieme.

Sotto il corpo di Bokuto l’universo assumeva infatti contorni caotici, gli effetti del Big Bang continuavano a farsi sentire sulla pelle che bruciava sotto la scia dei suoi baci voraci, dati con le labbra spalancate, piene di sorrisi e ansiti.
Peccato che non fossero innamorati, peccato che Bro alla fine rimanesse solo Bro. 

Chiacchierò ancora qualche minuto con il suo Bro, che nel frattempo si era ammansito e aveva accettato di andare in bianco.
Rimasero d’accordo per un caffè da prendere insieme in stazione e si salutarono.

Tetsurō respirò a fondo ed entrò nell’atrio, dove si era già raccolta una piccola folla attorno a una giovane donna in uniforme che era sicuramente una delle guide del Museo.
Puntò dritto verso il biondo, che era in piedi accanto al guardaroba.

La curiosità ha ucciso il gatto. Sì, d’accordo, però era anche vero che i gatti avevano sette vite. O erano nove. No, quelle erano le code.

Suo malgrado, Tetsurō si trovò stampato sulle labbra un sorriso incerto ma ormai aveva deciso. 
Tsukki, Kei, era una calamita. Il polo negativo, probabilmente, di un circuito mai chiuso.

“Tsukishima…” gli disse arrivandogli alle spalle.
Lui si voltò e Tetsurō si trovò davanti il suo bel viso, gli occhi chiari grandi e luminosi.

Kei aveva tolto gli occhiali e a lui aveva semplicemente tolto il fiato.

 
   
 
Leggi le 2 recensioni
Ricorda la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Haikyu!! / Vai alla pagina dell'autore: LubaLuft