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Autore: crazy lion    23/04/2024    1 recensioni
[Crossover Taylor Swift/Tarzan]
Taylor Swift non è solo un'artista di fama internazionale che ama scrivere canzoni, suonare e la musica in generale, ma ha anche la passione per la scrittura di fanfiction e storie originali, che non pubblica e di cui non ha parlato ai fan. Per lei, scrivere rappresenta una dimensione nella quale poter diventare un tutt'uno con i personaggi ed estraniarsi per un po' dalla routine frenetica e caotica.
Il suo ultimo album è appena uscito e lei, purtroppo, è a casa con l'influenza. Mentre è al computer e non sta bene, un video la cattura, come fa da sempre. Perché Taylor sente, in particolare, di avere un legame
con Tarzan, bambino che considera l'immagine della vita e della dolcezza. Lo ama e ha iniziato da mesi una longfiction su di lui. Mentre guarda e ascolta il video in loop e scrive, in qualche modo tra loro si crea una connessione così speciale che nessuno potrà mai capirla.
Disclaimer: con questo mio scritto, pubblicato senza alcuno scopo di lucro, non intendo dare veritiera rappresentazione del carattere di queste persone, né offenderle in alcun modo. Il personaggio di Tarzan non mi appartiene, ma è proprietà della Disney.
Genere: Fantasy, Fluff, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Taylor Swift
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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Every moment now the bond grows stronger
(Phil Collins, Two Worlds)
 
 
 
Our Bond Grows Stronger and Stronger
 
Era un mite pomeriggio di aprile, ma Taylor non poteva andare fuori. Aveva aperto la finestra per far entrare quell’aria tiepida e affinché il sole le scaldasse le mani che stavano congelando. La chiuse. Non voleva sentirsi peggio. C’era vento e non era il caso che prendesse aria, anche se non era fredda.
Non si sa mai, meglio evitare.
Nella solitudine della sua cucina, si portò le braccia lungo i fianchi. Tossì e se le mise sullo stomaco. Era felice perché il suo album, al quale aveva lavorato con impegno, passione e costanza per qualche anno, The Tortured Poets Department, era appena uscito. Purtroppo lei, però, quello stesso giorno, il 19, si era presa l’influenza intestinale, oltre a dei leggeri mal di gola, raffreddore e tosse.
Tempismo perfetto… che sfiga.
Aveva dovuto chiamare il suo manager e dirgli che tra mal di stomaco, vomito, nausea, poca voglia di mangiare, niente febbre ma freddo, debolezza e stanchezza non ce la faceva proprio. Lui, per fortuna, si era dimostrato comprensivo. Aveva detto che quel tipo di influenza stava ancora girando, o che forse lei se l’era presa a causa dello stress degli ultimi mesi. In ogni caso, tra venerdì e sabato era stata da schifo. Anche quel giorno, comunque, non era in forze. Aveva bevuto del tè e mangiato un biscotto. Non era riuscita a mandar giù altro, ma dopo ore passate a letto si era alzata. Riposare andava bene, però doveva anche muoversi. Aveva piluccato mezzo piatto di minestra, camminato, si era sdraiata e tirata su di nuovo. E ora era lì. Le ossa le scricchiolavano e le facevano male. Se fosse rimasta per ore o, addirittura, per giorni a letto, si sarebbe indebolita sempre di più. Inoltre, doveva pur prepararsi da mangiare. Non sapeva se sarebbe tornata al lavoro il lunedì. Per il momento non voleva pensarci. Dato come si sentiva, comunque, credeva si sarebbe presa qualche altro giorno per riprendersi e andare dal medico. L’influenza intestinale poteva essere, tra virgolette, contagiosa, perché Travis - il suo fidanzato - e il fratello di lei le avevano comunicato, via WhatsApp, che stavano poco bene. E Taylor non aveva nessuna intenzione di far ammalare anche i membri del proprio team.
Era domenica e, dopo aver passato due giorni tra il letto, il bagno e la cucina, con i suoi gatti a farle compagnia e i genitori, Austin e il ragazzo ad aiutarla, ora era sola. Aveva la nausea, ma si sentiva un po’ più in forze.
Accese il portatile e guardò online. Il suo album era già diventato virale.
“Ho un sacco di views sui social e su YouTube. Quanto è figa, questa cosa?” chiese ai suoi gatti. Ma Olivia, Meredith e Benjamin Button dormivano sul divano e sulla poltrona. Andò a guardarli, mentre camminava piano, perché ogni volta che si alzava le girava la testa e il capo le doleva, ma non la degnarono di un’occhiata. “Oh, e va bene, ne parleremo dopo.”
Andò su Facebook, Instagram, TikTok e Twitter, lesse alcuni commenti e rispose, ma non disse che non stava bene. Non voleva far preoccupare i suoi fan per una semplice influenza, per quanto Taylor fosse uno straccio.
Quando era ammalata, oppure nei momenti nei quali era sola e in tranquillità, le piaceva guardare video riguardanti i gatti, o la scrittura, o ascoltare la musica di qualcun altro. Andò su YouTube e lo fece con By the Grace of God di Katy Perry, la canzone che preferiva di quella cantante. Stava per chiudere la piattaforma, quando un video che conosceva bene le saltò all’occhio. Il titolo recitava:
Kala Finds Baby Tarzan.
Taylor sorrise e non poté non aprirlo. Schiacciò il tasto Riproduci e si mise a guardare e ad ascoltare. Era la miliardesima volta che lo faceva. Da anni. Ma non si stancava mai.
Il cuore della cantante si sciolse quando assistette al legame che si formava, fin troppo velocemente, tra quell’improbabile – o per meglio dire impossibile – coppia. Il tocco affettuoso di Kala, i dolci gorgogli del bambino e le sue risate che la contagiavano e le facevano sempre spuntare un sorriso, anche in quel momento la riempirono di un desiderio che, da mesi, non riusciva né voleva più trattenere. Quando il video terminò, schiacciò di nuovo il tasto. E lo fece ancora, e ancora, e ancora.
“Eeeh?” chiedeva il piccolo a Kala, mentre la guardava con la sua curiosità piena di innocenza, una che aveva sempre catturato la ragazza.
Il suo cuore saltò un battito.
La gorilla, pochi secondi prima, aveva domandato:
“Mmm?”
come a chiedergli:
“Chi sei? Cosa ci fai qui?”
Tarzan poteva aver chiesto le stesse cose.
Taylor rise mentre Kala lo annusava e lui piegava la testa per guardarla meglio. Quando le starnutì in faccia e lei si ritrasse, la ragazza guardò il bimbo e disse:
“Ehi, amore, hai uno starnuto forte, per essere così piccolo.”
E, nel momento in cui la gorilla gli sollevò il pannolino, ne sentì l’odore, lo chiuse, fece una faccia schifata e scosse il capo, la donna non aveva più fiato.
“Aaach” mormorava il bimbo.
“È così divertente!” esclamò, senza riuscire a smettere di ridere.
Ma non era tanto Kala a interessarle. Per quanto nel film fosse stata una bravissima mamma, nella realtà non avrebbe mai potuto crescere un bambino nella giungla. Se l’avesse trovato davvero, o l’avrebbe abbandonato, oppure ucciso, considerandolo un pericolo. Se l’era immaginato, a mano a mano che cresceva. Non era più una bambina che guardava il cartone perché la divertiva, non era più quella piccola che rideva quando Tarzan rotolava, seduto, giù per la rete, mentre Kala cercava di prenderlo e Sabor lo inseguiva. La realtà era un’altra: lui avrebbe dovuto piangere. Come aveva fatto a non accorgersene? Era nata il 13 dicembre 1989 e il film era uscito negli Stati Uniti il 16 giugno 1999.
Come ho fatto a non accorgermi di tutte le stranezze, delle incongruenze e degli errori che la Disney ha commesso? Avevo nove anni e mezzo, non tre o cinque.
L’attacco di Sabor ne era un esempio. I produttori non avevano mostrato lo spavento di Tarzan, non avevano fatto udire i pianti e gli strilli che avrebbe dovuto emettere, in quanto si trattava di un cartone per bambini; e, quando lei l’aveva capito, un paio d’anni dopo, si era data dell’idiota.
In ogni caso, anche se Taylor guardava le cose realisticamente, ciò che le importava era il piccolo. Era su Tarzan che voleva concentrarsi, come faceva ogni volta.
Il suo amore per lui era cresciuto fin dal liceo, perché quel bambino sembrava reale, non era una caricatura come tanti altri della Disney, ad esempio Ercole – aveva letto su internet che lo era, non se l’era inventato. Tarzan, invece, aveva una risata, dei gorgogli, un pianto straziante e che strappava il cuore. Tutto ciò lo rendeva vero agli occhi della ragazza. E vivo.
Per questo, negli anni, l’aveva amato sempre di più. Ne aveva parlato con parenti e amici, ma loro non avevano capito. Non tutti.
“Non mi interessa più” si disse. “Solo io so cosa provo.”
 
 
 
Taylor non riuscì a resistere all'impulso di allungare la mano e cullare il bambino tra le sue braccia.
“Sei qui, ti ho preso.”
“Uah” le rispose lui. “Mmm.”
“Sei mio figlio, sono la tua mamma.”
“Ah.”
“Sì, proprio così!”
“Iah iah iah iah!”
“Ne sono contenta anch’io. Sono veramente tua madre, in un certo senso. Posso” mormorò, mettendo in pausa il video. “Il mio bambino, il mio bambino! Ciao, ciao.”
“Ao ao ao.”
Sto andando fuori di testa? Lo sento davvero qui, in braccio, odo i suoi gorgogli. È tutto vero, lo posso giurare!
No, non era pazza. Lo amava e basta. Per questo se lo immaginava. Non era la prima volta che accadeva, ma aveva la sensazione che quel giorno sarebbe cambiato qualcosa.
“Me lo sento nello stomaco” disse.
E, quando aveva quel tipo di sensazioni, che fosse per qualcosa di bello o di brutto, non si sbagliava quasi mai.
Vedremo come si evolverà la situazione.
 
 
 
Fece ripartire il tutto ma non dall’inizio. Aveva in mente un punto specifico.
Chiuse gli occhi.
Quando il bambino starnutì e tossì, la ragazza pensò:
Sarà a causa del pelo di Kala. Almeno credo.
Ma si ricordò che, più avanti, quando c’era l’ultima, emozionante scena del video, e Tarzan diceva uno dei suoi ultimi:
“Brrr”,
si sentiva, se lo si faceva con attenzione, che il piccolo respirava male per un momento. O meglio, era come se avesse avuto un leggerissimo raffreddore, perché per un attimo si capiva che il suo nasino era intasato.
Taylor si mise le cuffie, alzò il volume al massimo, andò a quel punto e si disse che sì, non si era sbagliata.
Tornò indietro, mentre sentiva di nuovo lo starnuto del bambino e andò avanti.
“Mmm.”
“Oh, Tarzan, sei così adorabile in questo momento!”
Lui si era vergognato di ciò che aveva fatto e aveva gorgogliato così per farlo capire a Kala. La ragazza rammentava che aveva anche unito le mani. Dopo aver esclamato quelle parole, a Taylor sfuggirono alcune lacrime di commozione.
“Non hai nulla per cui provare vergogna, mio dolce, piccolo tesoro. Quanto vorrei che lo facessi con me e non solo nella fanfiction che ho iniziato a scrivere a settembre.”
Sospirò.
Non aveva figli e, con il suo nuovo ragazzo, era troppo presto per pensarci. Ma aveva trentaquattro anni e lei li desiderava più di ogni altra cosa. Con Joe ci erano quasi arrivati. Nella canzone LOML l’aveva detto.
talking rings and talking cradles
I wish I could unrecall how we almost had it all
Travis lo sapeva, ne stavano parlando, ma erano insieme da mesi, non da qualche anno. Stavano anche valutando l’opzione di adottare un bambino, oppure di provare con la fecondazione artificiale, ma avevano deciso di aspettare per capire se la loro relazione sarebbe diventata stabile. Taylor sperava di sì, perché amava da impazzire Travis. E, per avere un bambino, bisognava essere in una situazione differente dalla loro.
“A trentacinque anni le possibilità di concepire iniziano ad abbassarsi, per una donna” gli aveva detto qualche tempo prima.
“Lo so, amore.” L’aveva abbracciata. “Anch’io penso che sarebbe bellissimo avere dei figli insieme a te. Decideremo quando provarci e, se non dovessi rimanere incinta, valuteremo cosa fare, d’accordo?”
Lei l’aveva baciato con passione.
“Okay. Ti amo così tanto, Vis!”
“Anch’io, Tay.”
Perdere Joe a marzo dell’anno prima era stata dura, l’aveva odiato, si era arrabbiata, poi sentita malissimo, aveva capito che in parte lo amava ancora e alla fine, dopo mesi di pianti, notti insonni e l’aiuto del suo medico di base che le aveva dato lo Xanax contro l’ansia e il Florazepam per dormire, aveva smesso di prenderli tre settimane più tardi. Ed era riuscita a riprendere in mano le redini della sua vita, anche se con difficoltà. Per diverso tempo non aveva voluto saperne di una relazione.
“Ho sofferto troppo.” Queste erano le parole che aveva detto alla mamma. “Mi sento come se un pezzo di me se ne fosse andato per sempre con Joe e la mia ferita è aperta e sanguina.”
Aveva stretto con Travis una buona amicizia, giorno dopo giorno, e si erano messi insieme verso la fine di luglio. Stava bene con lui. Non avrebbe mai dimenticato, però, i sette anni che aveva trascorso con Joe.
“Non si può farlo quando una relazione è durata così tanto” aveva confessato al suo ragazzo, che aveva capito.
E poi la loro storia era andata avanti. Lui era un giocatore di Football Americano e lei assisteva spesso alle sue partite.
Okay, concentrati. Stai facendo altro, per cui non perderti. Riparti.
Quel pensiero la rigettò nel vortice virtuale, ma adorava quel video, quindi andava bene così.
Le venne un conato di vomito. Prese il Levopraid, una pastiglia contro la nausea, si misurò la febbre, ma non ce l’aveva e salì pian piano le scale per infilarsi un golfino più pesante, perché tremava e aveva i brividi.
Tornò in cucina imprecando sottovoce.
“Odio stare così male.” Il video era finito di nuovo e lei aveva perso il punto. “Ma porca di quella grandissima…”
Be’, non ci voleva tanto a ritrovarlo. Non serviva dire tutte quelle parolacce. Forse era perché stava male che si comportava così.
“No, qui stai ancora piangendo, piccolo” disse. “Povero bambino!”
Tarzan piangeva come non mai. Questo le faceva venir voglia di correre da lui, di gettarsi dentro lo schermo e trovarlo sul serio.
I bambini così piccoli, aveva letto, non ricordavano eventi traumatici, per cui lui aveva dimenticato che i suoi genitori erano morti, anche se aveva sentito tutto. E lei sapeva che si vedevano. Se si osservava la scena con moltissima attenzione, si notavano appena, dopo diverse piume e impronte insanguinate di zampe di leopardo. Alla mamma di Tarzan mancava una mano, ma si trattava di qualcosa di talmente nascosto che solo un occhio attentissimo avrebbe potuto captare. Le venne un altro conato.
“Ti odio, Sabor.”
Era una frase della sua fanfiction, una che diceva la protagonista, Olimpia. In essa poteva sfuggire alle costrizioni della realtà e dare al bambino l'amore e la casa che meritava.
Immaginava la protagonista, che era una ragazza non vedente di trent’anni. Le assomigliava, in parte, nel carattere. Taylor aveva dovuto fare adeguate ricerche sul tema di questa disabilità, causata dalla Retinopatia del prematuro e non era stato facile. Inoltre, aveva trascorso giorni a compilare le Schede personaggio e a progettare la trama per tre mesi prima di iniziare a scrivere. Mentre il video andava avanti, disse:
“Non posso lavorare, se non ho una trama ben definita. Sono da sempre stata una plotter.”
Nella fanfiction, Olimpia prendeva una decisione importante, che avrebbe cambiato la sua vita per sempre, trovava Tarzan, legava con lui, ci giocava insieme, se ne innamorava ancora di più, il bambino faceva lo stesso, la ragazza lo adottava e lo portava in Italia attraverso un viaggio spazio-temporale. La storia era di genere fantasy, ma conteneva anche tanti eventi drammatici e, almeno per la protagonista, traumatici e momenti introspettivi, oltre ad altri di tenerezza e dolcezza. Sarebbe diventata una duologia. Lei stava ancora scrivendo il primo volume – anche se aveva già preparato tutto per il secondo, nel quale avrebbe affrontato, con sensibilità, attenzione e delicatezza, le conseguenze dei traumi che Olimpia aveva subito, oltre a rafforzare il legame tra lei e Tarzan e fra lui e la famiglia della ragazza, composta dalla madre, il padre e il fratello.
E le venne voglia di riprendere in mano il libro, benché non si sentisse bene. Senza chiudere YouTube, aprì il documento Word del suo romanzo, anche se non lo sarebbe mai diventato, era lei a chiamarlo in questo modo, e scrisse:
CAPITOLO 6.
Cominciò a lavorare. Non lo faceva da più di un mese e non aveva visto l’ora di riprendere, ma era stata così presa dall’album che non aveva avuto tempo di dedicarcisi.
 
 
 
“Mi sento ispirata, sai, Tarzan?”
“Uah?”
Lei fece un salto sulla sedia.
Stava immaginando di nuovo.
“Sì, davvero.”
“Bae.”
“Esatto, bene. Ho proprio voglia di farlo, anche se la fine è ben lontana. Ma non mi dispiace affatto che lo sia. E sai cosa significa questo?”
“Ga?”
Il piccolo era curioso.
“Te lo spiego subito. Che passeremo ancora molto tempo insieme, fra il primo e il secondo volume. Pagine e pagine! Non è meraviglioso?”
Sorrise, mentre nel video il bambino gorgogliava fra le braccia di Kala.
“Uah.”
“Sì, amore, esatto. Io e te in questa storia” gli disse.
“Uaaah.”
“Proprio così. Chissà come mai la tua voce è più roca, in questo gorgoglio.” Forse, realisticamente, aveva sete. “Sei contento che io stia scrivendo di te? Sei felice del fatto che staremo tantissimo insieme?”
“Ah ma-badah! Uiauh!”
La sua testa viaggiava dal video alla sua immaginazione, creando confusione, ma per lei tutto aveva senso. Il piccolo aveva appena gorgogliato fra le sue braccia.
“E, quando avrò finito con queste storie, noi resteremo per sempre fra le pagine, te lo giuro.”
“Uiiih!” esclamò il piccino e si agitò sulle sue gambe. Rise. “Uiiih, uiiih.”
I suoi gorgogli erano sempre più acuti.
Taylor rise forte. Intanto, nel video, il piccino diceva:
“Mmm, mmm, eeeh.”
“Ha tanto sonno, questo bambino. Sì, tanto sonno” mormorò la ragazza.
Continuava a parlare come se fosse stata in trance. Si sentiva tanto, troppo emozionata perciò che stava facendo.
 
 
 
Schiacciò il tasto in modo che il video ripartisse.
Quando iniziò a battere sulla tastiera, la passione per la scrittura in prosa la invase di nuovo. I personaggi prendevano vita attraverso le sue mani, parola dopo parola, paragrafo dopo paragrafo, scena dopo scena. E, soprattutto, grazie al dialogo – i vocalizzi che si inventava per Tarzan erano divertentissimi –, e le loro interazioni fra tocchi, giochi, ninnenanne che lei gli cantava e coccole.
In quel capitolo, Olimpia era ancora nella giungla, e ci sarebbe rimasta per ore. Ricopriva Tarzan di coccole, abbracci, baci, lo faceva giocare, lo riempiva di affetto e gli dava, per quanto possibile nella capanna e in quel luogo, la stabilità di cui aveva disperatamente bisogno. Perché Olimpia era la sua mamma adottiva. Lo amava. Lo amava più di se stessa, come ogni mamma fa con i propri figli. Non c’è niente né nessuno che passi davanti a loro. Anche se, purtroppo, non era una madre e non aveva la stessa fortuna di Olimpia – magari fosse stato possibile fare una cosa del genere nel mondo reale! – ne era consapevole. Sua mamma, Andrea, amava lei e il fratello Austin con tutto il cuore.
Nonostante Taylor si fosse inventata per Olimpia una backstory diversa dal passato che lei aveva vissuto, si sentiva comunque in sintonia con lei, in quanto le legavano lo stesso desiderio di maternità e il medesimo amore per i bambini e per Tarzan.
Scriveva con passione, sentendo ogni emozione come se fosse sua.
“Aaaah! Uiauh uah!” gorgogliava il bimbo nel video, che lei faceva ripartire ogni volta, mentre non si fermava quasi mai, se non per controllare la scaletta in un altro file. Il piccolo si metteva a ridere subito dopo. E lei sorrise in adorazione. “Mmmm.”
Taylor ridacchiò sommessamente.
“Stai per caso spingendo?” gli chiese. Ricordava di averne parlato anche nella fanfiction, a un certo punto. “Hai fatto di nuovo la cacca, Tarzan? Hai fatto cacchina? E Kala non se n’è ancora accorta.”
Si sentiva una sciocca a parlare così a un bambino che non esisteva, ma nella propria immaginazione lo faceva, il cartone c’era, c’era la sua fanfiction e c’erano le altre che aveva già scritto, tutte Alternate Universe. In particolare, andava orgogliosa di due storie in cui il bambino aveva una mamma che si chiamava Freya e di due poesie che le erano venute in mente dopo aver fatto due disegni: uno di una mamma con un bambino, sotto il quale aveva scritto:
Tarzan e la mamma delle mie fanfiction
e l’altro che ritraeva gli stessi personaggi ma in un contesto differente. Aveva la scritta:
Tarzan e la sua mamma vicino a un albero in un parco.
In una poesia e in quelle due storie, la madre di Tarzan era un’umana e si chiamava, appunto, Freya, un nome nordico che lei aveva sempre adorato, per questo l’aveva scelto. Nell’altra e in tutte le precedenti, invece, era stata lei, Taylor, a parlargli direttamente e con il cuore. Ma l’aveva fatto anche attraverso Freya. Pianificava di scrivere altre storie su di loro, aveva già molte idee in cantiere e magari, quando sarebbe guarita dall’influenza, avrebbe lavorato a un racconto breve su quello o su un altro Fandom, in modo da non sovraccaricarsi troppo tra il lavoro e quella longfiction. Forse ne avrebbe scritta una che riguardasse proprio quanto stava vivendo in quel momento, anche se non sarebbe risultato facile. Se lo appuntò in un file a parte, dentro una cartella nella quale teneva tutte le idee per future fanfic.
Aveva già messo in pausa il video da un po’.
Lo portò indietro e guardò meglio il bambino.
“Sei tutto paffutello, Tarzan” disse con affetto.
Aveva la testa rotonda e la fronte alta. Il pannolino che indossava, unico indumento che aveva - altra stranezza irrealistica - era bianco.
“E guarda che guanciotte!”
Sembrava un angioletto.
Quando emetteva quei versetti faceva anche delle bollicine con la bocca. Era adorabile. Chi poteva resistergli? Nessuno, o almeno, lei no di certo. Avrebbe voluto sentire il fruscio del pannolino sulle sue gambe, la sua vocina così vicina a lei, toccare la pelle liscia e morbida del piccolo, tenergli le manine tra le proprie, sentire che le toccava il palmo, o anche entrambi, ed esplorava la sua mano e il volto, schiacciargli e baciargli le guance, baciargli la fontanella con cautela – era un punto delicatissimo nei bambini –, affondare le mani nei soffici capelli del piccolo e stringerlo a sé, prima di cambiarlo e lavarlo. Ma, soprattutto, avrebbe dovuto nutrirlo. Si sarebbe sbrigata e poi l’avrebbe sistemato e vestito. Il cuore accelerò i battiti. Si mise le cuffie e alzò il volume al massimo.
Mi dovrò procurare del latte in polvere, omogeneizzati, brodo di carne e vegetale e un sacco di altre cose per lui: vestiti, pannolini, un fasciatoio, un lettino, giocattoli… Un momento, frena, Taylor, frena. Io dovrei comportarmi così, se questo bambino esistesse. È l’immagine della vita e della dolcezza. Vorrei che fosse davvero con me, ma è un sogno irrealizzabile. Tuttavia, anche se credeva che quest’ultimo pensiero l’avrebbe resa triste, non fu così. Gliene venne in mente uno che la aiutò, la confortò e la consolò. Olimpia dovrà fare tutto questo di certo. E accadrà attraverso di me, quindi è come se io fossi lei.
La sua, a un occhio esterno, sarebbe potuta sembrare un’ossessione nei confronti di Tarzan. In realtà, si trattava di un amore che non aveva confini. Tarzan, come ogni altro bambino, era l’immagine della vita e della dolcezza. Come mai quasi nessuno lo capiva e considerava il cartone solo come tale, o pensasse a lui come a un eroe e non come a un bambino che aveva bisogno di amore, cure e attenzioni?
“Non importa” disse ad alta voce. Io lo faccio. E poi non è vero. Ho letto alcuni commenti su YouTube sotto tanti video di questo tipo, caricati da vari utenti. Tutti erano incantati dalla sua dolcezza e dalla vivacità che ha, altri dicevano che non si erano mai accorti che i suoi genitori non ci fossero più. In ogni caso, forse sono la sola che, a quest’età, lo ama ancora così tanto. Sarà così per tutta la vita e gli altri non potranno mai portarmi via questo amore.”
Lo promise a se stessa e al piccolo.
Riprese ad ascoltare.
“Uiiiuuuh” mormorava il bambino. A quel volume non udiva altro che lui, perché le cuffie che aveva erano molto isolanti. Questo glielo faceva sentire ancora più vicino. E poi riprendeva, più forte: “Iaauh.” Batteva le mani e lo fece anche lei, d’istinto. “Uaaah!” terminava.
Mentre le dita di Taylor danzavano sulla tastiera, una cacofonia di gorgogli e risatine le riempiva le orecchie. Il piccino faceva fluire la sua scrittura senza alcuno sforzo. Avrebbe potuto continuare così per ore, se solo fosse stata bene.
Riascoltò tutto per l’ennesima volta.
“Sei proprio qui, Tarzan, e io sono con te” mormorò. Un sorriso le aprì il viso. “E non hai assolutamente idea di come mi distrai.” La risata del bambino era così contagiosa che Taylor si interruppe per un momento. Guardò il bambino. "Non riesco neanche a sentire il click-click della tastiera mentre scrivo! So di aver alzato io il volume al massimo, e da tempo, quindi è colpa mia. Non potevo saperlo…” Le sfuggì una lacrima di commozione. "Non riuscivo a immaginare cosa questo avrebbe comportato.” Si schiarì la voce, rotta da un pianto di gioia che non si era nemmeno accorta di aver iniziato. Lasciò che le lacrime le scorressero lungo il collo e fin sui vestiti. Si piangeva poche volte di felicità, nella vita, e non voleva fermarle, per nessuna ragione al mondo.
 
 
“Sei così vicino a me, proprio ora. Come se anch’io fossi accanto a te, no, meglio ancora, come se tu ti trovassi fra le mie braccia. Di nuovo. Oh, mio Dio!”
Il pensiero le fece perdere un altro battito. La forza di quell'emozione la colpì e la colmò di serenità.
Non le importava che non potesse sentire il rumore dei tasti. Neanche un po'. La presenza di Tarzan, sia nel video, che nel suo cuore, che nella propria anima, che nell’immaginazione, rendeva quel dettaglio insignificante. Perché, per quanto amasse il suono della tastiera, adorava quelli del bambino mille volte di più.
"Ti dirò la verità, amore mio.” Rise, mentre il bimbo nel video emetteva lo stesso suono. Il suo cuore si sciolse. "Non mi distrai affatto. Anzi, fai il contrario: mi ispiri tanto, tanto, tanto!”
Desiderava che quei momenti di gioia fatti della sua fanfiction e il piccolo non finissero mai. Continuò a scrivere, le dita battevano sempre più velocemente. Non era una questione di numero di parole ma di scene. Voleva che venissero al meglio possibile, per quanto si trattasse una prima stesura. Ogni lettera, ogni parola era ispirata dallo spirito innocente del bambino sullo schermo.
Tarzan non era solo un protagonista della sua longfiction, ma grazie al video era diventato la sua musa. Taylor scriveva con quella gioia che aveva finalmente ritrovato, le sue dita volavano sui tasti mentre la storia le sgorgava dal cuore come acqua da una sorgente. Andò avanti così per diverso tempo, poi smise di scrivere e fermò il video.
“Ti va se ti canto una ninnananna? Non l’ho mai fatto, con te. E questa è una mia canzone. Non è proprio una ninnananna ed è d’amore verso un uomo, non un bambino, ma dovrebbe piacerti.”
Tarzan sorrideva, in quella scena, quindi lo prese come un sì.
“All I can say is it was enchanting to meet you
 
Your eyes whispered, “Have we met?”
[…]
The playful conversation starts
Counter all your quick remarks
Like passing notes in secrecy
 
And it was enchanting to meet you
All I can say is I was enchanted to meet you
[…]
It was enchanting to meet you
All I know is I was enchanted to meet you.”This night is sparkling, don’t you let it go
[…]
This night is sparkling, don’t you let it go
I’m wonderstruck”
Aveva cantato solo quelle parti e inserito le parole nella sua storia in un capitolo precedente.
“La conversazione si riferisce al fatto che noi parliamo, come fate tu e Olimpia o tu e Freya. E sono davvero felice, onorata e incantata di averti incontrato.”
Tarzan era un bambino a cui piaceva toccare tutto ciò che aveva intorno. Agitava spesso le manine e, così come metteva le dita nelle narici di Kala, lei l’aveva fatto accadere nella propria fanfiction in un capitolo precedente. Quanto sarebbe stato bello tenerlo in braccio e sentire che lo faceva con lei. Non si sarebbe ritratta, come invece aveva fatto Kala.
 
 
 
Perché non riesco più a sentirlo fra le mie braccia?
Chiuse gli occhi e si concentrò. Niente. Ci riprovò, mentre pensava a lui con amore. Nulla. Batté un pugno sul tavolo.
“No! No, no, no, no. Che cazzo!”
La voce del piccino, però, la calmò. Si trovava nel video, ma essa era musica per le orecchie di Taylor, la melodia più dolce del mondo.
“Iiiiiiiih” diceva a un certo punto il piccolo, con il tono che prima saliva e poi scendeva. “Ah-lallallallallallalla, uah, ehhhh.”
“Ma che dolce! Sembra che canti, con queste lallazioni. Vorresti essere un cantante, un giorno, Tarzan?”
Magari, nella sua fanfiction, Olimpia avrebbe potuto domandarglielo.
Le parole di Taylor si mescolarono a quelle lallazioni e ai successivi gorgogli, una sinfonia di felicità.
“Brrr, mmmbrrr, mmmbrrr, mmmbrrr, brrr, brr, mmmbew.”
“Sei così carino quando fai le bolle.”
A Olimpia erano finite in faccia e sul vestito. L’aveva pulito dalla saliva e gli aveva dato un bacio, mentre gli parlava, rispondeva ai suoi vocalizzi e sorrideva in adorazione. Lo faceva anche Taylor, perché per il tipo di persona che era Olimpia, le loro reazioni erano uguali.
“Mi fai una tenerezza, Tarzan! La tua innocenza e la tua purezza sono senza limiti,, come quelle di ogni bambino” disse la cantante mentre guardava lo schermo, da una finestra all’altra.
Quando le tavole di legno scricchiolarono e Tarzan esclamò:
“Ghiauuu!”
la sua esclamazione fu una scarica di adrenalina per Taylor, che riprese a battere sulla tastiera con il fuoco della scrittura che le scorreva nelle vene.
Nel momento in cui il piccino si addormentò, dopo un grande sbadiglio che terminava con un “Uah!” che avrebbe potuto sciogliere anche il cuore più freddo e di pietra del mondo e un ultimo:
“Mmm, mmm”,
Taylor chiuse il video.
C’era un’altra canzone del suo repertorio che voleva dedicargli.
Aveva cantato solo quelle parti e inserito le parole proprio nella sua storia. Andò su Pinterest e trovò una sua immagine. Era in braccio a Kala, ma Tarzan si vedeva bene. Ricalcò il disegno del bambino a penna e se lo mise davanti. L’avrebbe tenuto nascosto in un cassetto, come gli altri. Scrisse:
Tarzan e io.
Io e te, amore mio.
Era un distico perfetto.
 
 
 
Piegò il braccio sinistro e mise il destro sulla propria pancia, come se lo stesse tenendo in braccio.
“Your little hand's wrapped around my finger”
Si immaginò lui che le stringeva il dito.
“Ciao, piccolo” mormorò. “Ti picchietterei la punta del nasino e te la bacerei, se potessi.”
Poi riprese.
“And it's so quiet in the world tonight
Your little eyelids flutter 'cause you're dreaming
So I tuck you in, turn on your favorite night light
To you everything's funny, you got nothing to regret
I'd give all I have, honey
If you could stay like that
 
Oh darling, don't you ever grow up
Don't you ever grow up, just stay this little
Oh darling, don't you ever grow up
Don't you ever grow up, it could stay this simple
I won't let nobody hurt you, won't let no one break your heart
And no one will desert you
Just try to never grow up, never grow up
[…]”
“Anzi, lo faccio. Se sei qui. Se ci sei, dammi un segno. Dammi soltanto un segno.”
“Ah!”
Eccolo, finalmente. Aveva chiuso gli occhi senza accorgersene e lui era tornato fra le sue braccia.
“Amore, amore, amore!”
La sua voce si frantumò per l’emozione. Sentiva il suo tepore, il respiro calmo del piccolo, che invece nel video si udiva dopo i primi gorgogli e solo per un attimo. Ora, invece, lo percepiva. Lo teneva con il collo e la testa sostenuti dal suo braccio e con le mani sul pancino.
“Mmm, gammm.”
Il piccolo si mosse e il pannolino frusciò sulle gambe di lei.
Proprio come desideravo!
“Te lo ripeto anch’io, come ho detto qui e come ha fatto Olimpia, anche se in modo diverso: finché sarò qui, nessuno ti farà del male. La mamma te lo promette. Nelle mie storie tu e lei o tu e Freya non state sempre bene e mi dispiace, ma è giusto far soffrire i propri personaggi. Voglio un mondo di bene a tutti voi” disse con quanta più delicatezza possibile. “Anzi, a te di più. Ti amo, Tarzan.” Prese un respiro profondo e deglutì per l’emozione. Il cuore faceva le capriole e cantava in sintonia con la propria anima. “Ti amo!”
Era una persona che cercava di essere più empatica che poteva. Per questo far incontrare difficoltà a qualsiasi personaggio, che fosse Percy Jackson, uno del libro I pilastri della terra di Ken Follett, o uno de Gli amanti d’inverno di Candace Camp, o anche un protagonista originale, la faceva sempre stare malissimo. Piangeva quando i personaggi dei quali scriveva soffrivano sia a livello mentale che fisico. Però aveva letto tanti manuali sulla scrittura e sapeva che se i protagonisti soffrivano, lei come autrice in primis, e i lettori in secondo luogo, l’avrebbero apprezzato. La sua amica Abigail era l’unica che leggesse quelle storie e le dava un feedback come beta reader da anni ormai. Era oggettiva e onesta e, grazie a lei, la scrittura di Taylor era migliorata tantissimo. Abigail gliel’aveva detto più volte e lei ne andava fiera. Sapeva, e lo diceva senza traccia di vanto, che era nata con l’amore per la musica e la scrittura e che era brava in ciò che faceva. Ci metteva la testa, l’anima, il cuore e tutta se stessa. Mentre pensava a quanto sarebbe accaduto nei capitoli seguenti, parlò di nuovo al bambino.
“Hai toccato il palmo di Kala. È stato un gesto dolcissimo, Tarzan. La tua curiosità è qualcosa di magico, proprio come la vocina che hai.” La sua si spezzò per l’emozione. Il cuore le si gonfiò di gioia. “Per Olimpia il contatto fisico è fondamentale e anche per i bambini. Lo farò succedere ancora.”
Per quanto alcuni avrebbero potuto considerarla pazza, si sentiva come se il bambino fosse lì con lei, fra le sue braccia. Accadeva ogni volta che lavorava alla storia dopo essere tornata a casa dallo studio di registrazione. Lo faceva anche se era stanca, o nei weekend; si portava il computer perfino al lavoro, così scriveva durante le pause. Rinunciava alle feste e alle uscite con gli amici per farlo. Lavorava alla storia con passione e più costanza possibile, perché teneva tantissimo alla fanfiction, ai personaggi, empatizzava con loro, soffriva quando stavano male ed era felice nei momenti in cui gioivano. E la verità era che Tarzan le mancava. Le era mancato scrivere di lui, in quel mese. Per rilassarsi, ogni sera, aveva guardato il video. Era stata Abigail a suggerirglielo.
Cercò sul browser:
Sabor Attacks Kala.
Mentre scorreva con il mouse per capire quale fosse quello con la miglior qualità di suono, continuava a immaginare di rimirare il bambino che stringeva con amore e lo cullava dondolandosi avanti e indietro.
“Vorrei che fossi qui e mi parlassi, che mormorassi qualsiasi cosa.”
Si intristì, ma durò solo un attimo.
“Ma-ma-ma-ma. Mam-mam-mam-mam-mam.”
“L’hai fatto! Tarzan, sei un bambino incredibile.”
Lo baciò sulla testa e sentì la morbidezza dei suoi capelli. Si immerse nel loro profumo, che sapeva di latte e di pane fresco, un odore particolare. Gli accarezzò la fontanella, l’unico punto della testa senza capelli. E lo fece anche con il corpicino nudo.
“La tua pelle è ancora più morbida di quanto pensassi.”
Era senza respiro per ciò che stava succedendo. Non era la realtà, una parte di lei ne era consapevole, ma l’altra stava dolcemente annegando in quella fantasia.
 
 
 
Aprì il video e lo portò avanti, fino al momento in cui Tarzan volava fino a raggiungere la rete.
“Iiiih! Diih ghi. Iaiauh, auh. Ih!”
Nonostante il totale irrealismo della cosa, non provò quel familiare senso di fastidio e rabbia. Sorrise, ma solo perché ascoltava e non guardava. Il bambino rideva e gorgogliava e prima aveva urlato e fatto una risatina. Non comprendeva che, se fosse caduto, sarebbe morto.
Poi rotolava giù per la rete.
“Ehhh, ehhh, ehhh, ehhh, ehhh, ehhh, ehhh, ehhh, ehhh, ehhh, eh!”
La sua voce diventava più roca, a un certo punto. Anche in quel caso, non capiva che sarebbe potuto morire per mano di una femmina di leopardo affamata.
Che stronza, figlia di puttana e troia del cazzo!
Ma Kala era stata coraggiosa e l’aveva salvato. Per quanto riguardava Olimpia, aveva già trovato una soluzione al problema. Qualcosa di fantasy, per forza. Dato che la ragazza era non vedente e disarmata, Sabor avrebbe ucciso entrambi, se non fosse riuscita a sbrogliare quella parte di trama. Per fortuna ce l’aveva fatta, ma le cose, per loro, sarebbero state dure, perché non ci sarebbe stato alcun divertimento in quella scena, solo terrore.
“Heh” aveva detto Tarzan, mentre Kala lo portava via.
Guardò ancora il video precedente e poi chiuse definitivamente internet.
 
 
 
Continuava a cullare il piccolo.
Immaginò che emettesse quei versetti mentre strisciava per la sua cucina, visto che a sei mesi i bimbi non riescono ancora a gattonare. Nella sua storia, però, lui sapeva muoversi in quel modo e anche stare seduto senza appoggi, come a volte accade nella realtà, anche se in quella fanfiction aveva sei mesi e mezzo, quindi era un po’ più grande di quanto, forse, fosse nel cartone.
“Heh” le disse, quando le fu davanti e si aggrappò alle sue caviglie.
“Vuoi che ti prenda in braccio di nuovo, non è vero?” Taylor sorrise al bambino con affetto.
“Uah!”
Tarzan si allungò e raggiunse i polpacci di lei, ma non riusciva a tirarsi su.
“Eeeh, eeeh, eeeh.” Li strinse più forte, per quanto poteva. Alzò il sederino a malapena, poi ricadde, ma il pannolino attutì quella brevissima caduta e non si fece male, anche se il cuore di Taylor le saltò in gola.
“Oh mio Dio, Tarzan! Stai bene?”
“Iah diah.”
Batté le mani più volte.
Lei sospirò di sollievo.
“Grazie al cielo!”
“Ah yeee-yo.”
Non capiva ciò che lei diceva, ma era chiaro che gli piacesse quando gli parlava.
“Stai cercando di imitarmi, piccolo? Come fai con Olimpia?”
“Pià.” Esitò. “Pià, pià, pià, pià, pià.”
Taylor rise.
“Sai dire addirittura quelle sillabe? Ma sei bravissimo!”
“Ih, ga-ga-ga-ga-ga.”
Tarzan ridacchiò quando lei gli fece il solletico alle ascelle.
“Ti piace? Posso farlo ancora?”
“Ah!”
Sembrava implorarla di continuare.
Glielo fece all’ombelico e il piccino si agitò e scalciò ancor più di quanto accadesse nella fanfiction, mentre rideva in modo isterico.
“Okay, okay, mi fermo.”
Non voleva sfinirlo.
Quando il piccino si calmò e riprese a gorgogliare piano, ricominciò a parlargli.
“Sei fantastico!” Gli diede un bacio in fronte e uno sulla guancia. “E Olimpia sarebbe molto felice, se tu sapessi dire “Pià”. Potrei… No. No, terremo per noi questa cosa.” Abbassò la voce. “Sarà il nostro segreto.”
“Ehhh. Ehhh.”
Si stava ancora sforzando di arrampicarsi su di lei.
“Sei troppo piccolo per farlo. Vieni qua.”
Lo sollevò e si rese conto di quanto fosse pesante. Non troppo, comunque. La gioia di averlo di nuovo così vicino a lei, di sentirlo contro il suo ventre, la travolse.
“Sei un bellissimo bambino, Tarzan, dentro e fuori.”
In quel momento, le venne in mente un’altra immagine che era la continuazione della precedente.
“Bam, bam, bam. Uaaaah!”
“Cosa vuoi fa…”
Mentre lui parlava a quel modo, le arruffò i capelli e lei si trovò più spettinata di quanto già fosse – quando era malata, non si sistemava mai del tutto i capelli.
“Ma quanto sei birichino, eh?”
“Eh?” ripeté lui.
Taylor fece una piccola risata.
“Oh!”
“Che cosa c’è?” Si fermò e poi realizzò. “Capisco.”
Tarzan si guardava intorno, con la vivacità e l’attenzione che lo caratterizzavano, dopodiché osservò il sole entrare dalla finestra e chiuse gli occhi per proteggersi. Si mise a piagnucolare.
“Oh no, no, no, no, no, mio piccolo dolce tesoro, adesso sistemo tutto. Shhh.”
Il piccolo si calmò al suono della sua voce.
D’istinto, lei girò la sedia.
“Scusa, Tarzan. Avrei dovuto rendermene conto. Anche a me dà un po’ fastidio la luce, ma a te forse ne darà… ne darebbe di più.”
Non avrebbe dovuto perdere del tutto il contatto con la realtà, ma in parte, lo ammetteva a se stessa senza problemi, desiderava farlo per… non le importava quanto altro tempo. C’era, comunque, un’altra parte di sé, quella razionale, che le suggeriva di tornare con i piedi per terra.
No, non ancora. Mi rifiuto. Deciderò io quando farlo.
“Ti ha dato fastidio questo rumore?” chiese Taylor a Tarzan dato che, nel muovere la sedia, aveva prodotto un suono forte.
“Ah gah.”
Il bambino rise. Non sembrava affatto disturbato da questo e lo sentì gorgogliare, mentre agitava braccia e gambe senza alcuna preoccupazione al mondo. Lei sorrise e guardò i suoi occhi, mentre quelli di Tarzan si fissavano nei propri.
“Mmm” mormorò lui.
Ricambiò il suo sguardo.
“Non ne ho mai visti di così profondi come i tuoi. Sembrano pozze d’acqua pura” mormorò. “Come te.”
Ed era vero. Aveva pensato la stessa cosa ogni volta che aveva guardato il video.
La potenza della sua fervida fantasia fu più forte di tutto, ancora più di quanto lo fosse stata fino a quel momento, tanto da lasciarla senza fiato per la gioia.
Vai! Galoppa senza sosta!
Quello che stava immaginando pareva, o forse era, di genere fantasy.
Il suo sorriso si allargò. Non ci pensò nemmeno due volte. Si alzò con calma e lo tenne in braccio con cautela. Gli mostrò tutto quello che c’era nella cucina e gli spiegò a cosa serviva. Tarzan indicava ogni oggetto con il ditino indice, come faceva lei con il proprio.
“Ah, ah, ah, ah” ripeteva.
Ed emetteva versetti pieni di meraviglia come “Oh!”
Taylor si risedette e si avvolse le braccia attorno al corpo, per accogliere ancora meglio Tarzan e tenerlo il più possibile vicino a sé. Gli tirò piano il pannolino, prendendolo per il bordo. Lui rimase in silenzio e Taylor si diede dell’idiota, ma non le dispiacque essersi comportata così.
Tornò per un attimo alla realtà.
“Quanto sarebbe bello vivere in questa casa con te!” Ma, subito dopo, i loro sguardi si incontrarono ancora, mentre lei lo alzava e se lo portava al cuore. “Oh, tesorino! Sai una cosa? Non me n’ero resa conto fino a questo momento, o meglio, non ci avevo pensato, ma abbiamo lo stesso colore degli occhi. Sono azzurri.” Glieli toccò e lui lo fece con i suoi. Entrambi li chiusero, in quei momenti, ma poi si guardarono. Si sorrisero. La ragazza continuò. “Io ho i capelli biondi e tu castani ma non importa. Fra l’altro, le due lettere iniziali del tuo nome sono le stesse che ho io, anche se la a si pronuncia in maniera diversa e la r è in due posti differenti. Questo ci rende ancora più uniti, piccolino. Tu non lo capisci, non quanto lo fanno gli adulti – come potresti, del resto? Non lo pretenderei mai –, però so che in qualche modo ne sei consapevole. Tarzan, Tarzan, Tarzan, amore mio.”
Era incantata e rimase lì a rimirare il bambino.
“Mmm, ba, pa, te-pa-na, e-ma, mmm, ah, lallalla, iah, yay, aaaah, aaah, mmm.”
Lui le toccava il viso mentre parlava, lo esplorava centimetro dopo centimetro, lo percorreva con i palmi e poi solo con le dita e lei chiudeva gli occhi e faceva lo stesso con il suo, soffermandosi sulla boccuccia socchiusa. Il piccolo volto del bambino era liscio e le guance morbide come la na calda.
A quattordici anni, Taylor aveva scritto un romanzo intitolato A Girl Named Girl in cui una famiglia desiderava un maschietto, ma aveva una bambina.
“Non l’ho mai pubblicato, perché l’ho riletto anni dopo, mi sono resa conto che era scritto male e ho provato vergogna.”
“Ah?”
“Perché, mi chiedi? Be’, ogni scrittore fa il suo percorso, però io ci avevo messo impegno e ho iniziato a piangere. Era tutto assurdo. I dialoghi non funzionavano, la protagonista, la mamma di questa bambina, non faceva che lamentarsi perché non aveva avuto un maschio. Era qualcosa di orribile, non trovi?”
“Uaaah” si lamentò il bambino.
“No, no, non sono triste, va tutto bene. Va tutto bene.”
Il piccolo ritrovò il sorriso.
“Però non l’ho nemmeno cancellato” continuò la ragazza. “È e resterà per sempre nel mio computer. Un giorno lo riprenderò in mano e lo riscriverò da capo, quando avrò finito entrambe le fanfiction. E lo farò con la consapevolezza e la maturità che ho ora.” Aveva scritto sul serio quel romanzo. Il che significava che l’aspettava un lavoro enorme, ma sarebbe stata felice di svolgerlo. Per il bene della storia avrebbe dovuto rendere il tutto più realistico, comprese le reazioni e azioni della bimba. “Mi piacerebbe pubblicare quel libro, più avanti.”
“Ta.”
“Sì, sarei orgogliosa del mio lavoro. Non per fare soldi, ma perché desidero che arrivi al cuore dei lettori.”
“Ah, ta, ba.”
Il bimbo si agitò.
“Sei felice di sapere che lo farò? Immagino che la risposta sia sì.”
“Dih.”
“Esatto.” Lo baciò. “Lo sono anch’io.”
In ogni caso, nulla le dava più gioia di ciò che stava accadendo nella sua testa. E non voleva fermarsi.
Tuttavia, per il momento non aveva intenzione di pubblicare nessun libro, né alcuna fanfiction, sotto uno pseudonimo e, ancora meno, con il suo vero nome.
Sorrise e disse al bambino che avrebbe terminato il libro per se stessa.
“Mmm.”
“Anche tu pensi che sia la cosa giusta.”
“Dah.”
“Okay, mi fido del tuo giudizio. Da allora, comunque,” riprese poco dopo, “le mie capacità di scrittura sono migliorate in modo netto, perciò credo che varrà la pena di riscrivere quella storia. Mi spiace lasciarla in quello stato. Dovrò rileggerla, fare una scaletta, compilare le schede dei personaggi, seguire il processo che funziona per me con le fanfiction.”
Lui la ascoltò e non disse niente. Taylor parlava. Continuava a farlo, mentre immaginava di dirlo a Tarzan. Anzi, mentre glielo diceva. Basta pensare di immaginarlo. Lo faceva e basta. Le veniva naturale. Abbassò la testa, come se volesse sussurrargli un segreto.
“Se avrò dei figli, e spero che sarà così” iniziò, mentre ripensava con affetto al suo romanzo, “non mi importerebbe se fossero maschi o femmine. E i genitori di quella neonata non saranno tristi per il fatto di non aver avuto un maschietto. Perché dovrebbero? Ogni genitore dice:
“Preferirei che fosse un maschio”,
o:
“Mi piacerebbe che fosse una femminuccia”,
ma l’importante è che i bambini stiano bene e siano sani. Quella coppia farà lo stesso ragionamento. Il fatto che tu sia un maschietto non interessa nemmeno a Olimpia, anche se desidera adottare te e sa di che sesso sei. Non importa nemmeno a me. E, nel momento in cui Freya ti ha partorito, era stata una sorpresa. Non aveva voluto scoprirlo, quando gliel’avevano chiesto durante un’ecografia.”
“Brrr, mmmbrrr, mmmbrrr.”
Le sue bollicine, che continuarono anche con “bvvv” e “Brrum”, che nel film non c’erano, le colpirono il labbro superiore e lei rise.
L'amore di Taylor per Tarzan si rafforzava con ogni momento che passava, così come il loro legame, tramite le centinaia di pagine di quella fanfiction. Ma la verità era che scrivere di lui non le bastava. Non sarebbe mai stato così. E in quel momento aveva tutto. Lo teneva davvero in braccio, sentiva le sue risate, gli parlava. Ma una parte del suo cervello avrebbe voluto adottarlo sul serio, dargli da mangiare, cambiarlo, sentire il fruscio del pannolino sulle sue gambe e sotto i vestitini del piccino, cullarlo, prendersi cura di lui in ogni modo, farlo giocare, divertirsi e ridere con lui e assistere alla magia della sua crescita.
Alzò una mano con il palmo in alto.
“Mmm.”
Il bambino glielo toccò. Lei sollevò l’altro e ripeterono il gesto. Lui esplorò ogni linea delle sue mani e Taylor gli spiegò qual era quella della vita. Il bambino le prese le dita, proprio come accadeva nel film, ma le tirò anche, gliele strinse. Quanto erano piccole, quelle di lui! Non arrivavano nemmeno a toccare le sue dita, se erano al centro del palmo. La ragazza gli sollevò una gambetta e gli fece il solletico all’esterno e all’interno. Lui la piegò e scalciò, così Taylor ripeté il gesto con l’altra.
Non aveva idea del perché, ma d’istinto gli muovo prima una coscia e poi l’altra, da parte a parte, mentre lui emetteva piccoli versi di compiacimento. Non aveva quelle che sua mamma definiva “fisse”, cioè le pieghe della pelle che a volte i bambini hanno fin dai primi mesi di vita e che vanno via verso i sette.
“Io ne avevo tante, invece,” gli raccontò, “e mia madre le adorava, così come accadeva con tutti i parenti che le notavano. I miei genitori non vedevano l’ora di metterle in mostra.”
Rise e lui la imitò. Non si sarebbe mai stancata di farlo, se lui avesse continuato a comportarti così.
“Mmm, ah, ah, uaaah. Uauh! Uah.”
Lei lo fece rimbalzare sulle sue gambe.
“Pum, pum, pum” ripeteva.
“Uh, aaaah uuuuh.”
Il piccolo si divertiva come un matto e anche lei.
“Ah.”
“È ora di dormire.”
“Oh, aahuah. Mmm, mmm, mmmm! Ih! Uoh, hah. Eh, ah. Ah!”
“Sì, magari giochiamo dopo.”
“Ba, ah.”
“Shhh, buono.”
Gli cantò una ninnananna.
“Uah, mmm.” Ora era più tranquillo.
“Shhh.”
“Ah, eh. Aaah.”
Taylor sorrise.
Dopo poco, il piccino le appoggiò la testa nell’incavo del braccio e si addormentò senza dire nulla.
“Sogni d’oro, piccolo.”
“Ahmmm” mormorò lui.
“Shhh. È tutto okay, amore. Fai la nanna.”
Taylor continuò a cullarlo e a coccolarlo.
Poi tutto cambiò.
 
 
 
Quando tornò alla realtà, davanti al suo portatile, non si sentì male come aveva immaginato, anzi. La cucina era vuota, non c’era nessuno a parte lei. Tarzan non era in braccio a lei. Nulla di ciò che si era figurata era realmente accaduto. Ma il bambino era nel suo cuore, ci sarebbe rimasto per sempre ed era questo che contava. Le sfuggì qualche lacrima, perché la colpì una lieve tristezza, ma passò subito, perché la risata del piccolo echeggiò nella sua mente.
“Va bene così, tesoro. Grazie di essere stato con me. Io… magari un giorno immaginerò qualcos’altro da fare insieme. Che ne dici? Ti piacerebbe?”
“Aha.”
Sembrava una risposta.
“D’accordo, lo farò. È una promessa. E io mantengo sempre ciò che prometto.”
Ora, a livello mentale, stava più che bene. Non solo la scrittura della fanfiction stava procedendo senza intoppi, ma aveva anche trovato un nuovo modo, uno che non si sarebbe mai aspettata, per entrare in contatto con i personaggi della storia, non solo con il bambino ma anche con la mamma. Attraverso il video di Tarzan, che le aveva fatto immaginare di averlo lì con lei in modo così reale e profondo – le parole immaginare e reale contrastavano, ma non avrebbe potuto importargliene di meno –, aveva capito che il legame che li univa sarebbe durato anche dopo la sua morte, per tutta l’eternità. E per questo era grata al piccolo. Lo sarebbe stata per la vita.
“Ti amo” mormorò. “Ti amo, ti amo, ti amo, ti amo.” Non avrebbe mai voluto smettere di dirlo. “E tu lo sai.”
Gliel’aveva dimostrato, e anche lui l’aveva fatto.
Nella quiete della sua cucina, nonostante stesse male e ben presto avrebbe dovuto andare a sdraiarsi, non si pentiva di essersi alzata per qualche ora, né si sentiva sola. Perché aveva trovato conforto nel fuoco della passione per la scrittura ma soprattutto e prima di ogni altra cosa in Tarzan stesso, lui, che arrivava a toccare le corde più profonde del suo cuore e i recessi della propria anima. Ma con lui riusciva a volare in alto, perché aveva scritto con un fuoco, una passione, un ardore che non sentiva bruciare in lei da tanto, troppo tempo. E, infine, era entrata più che mai nel mondo della sua fanfiction, uno in cui tutto, o quasi, era possibile.
 
 
 
CREDITS:
Taylor Swift, LOML
Taylor Swift, Enchanted
Taylor Swift, Never Grow Up
 
 
 
NOTE:
1. Da anni volevo scrivere un crossover tra Taylor Swift e Tarzan e magari lo farò anche in futuro con altre storie, chi lo sa. Sono una fan di Taylor e amo questo bambino, per cui non ho potuto resistere e sono molto contenta di averla finita e di aver trovato l’idea giusta per scriverla nel modo in cui volevo.
2. Anche se Taylor ora sta con Travis ho in cantiere alcune storie che hanno come protagonista maschile Joe, quindi i due stanno ancora insieme.
3. Ho immaginato che, dopo la rottura con lui, Taylor avesse avuto il blocco dello scrittore perché stava male, quindi da marzo a giugno non è riuscita a scrivere niente perché stava troppo male e solo dopo si è messa a progettare e poi a lavorare alla storia vera e propria. Per vari motivi, io l’anno scorso ho iniziato a soffrire a causa di un’amicizia finita anche se contro la volontà di entrambe. È terminata ad aprile e io fino a settembre non sono riuscita a scrivere niente in prosa, solo poesie, e stavo male perché lei mi mancava – lo fa ancora – e poiché non riuscivo a sbloccarmi in nessun modo. Quindi ho pensato:
Se io soffro in questo modo per la fine di un’amicizia importantissima, ma che è durata un mese, quanto dev’essere stata male Taylor dopo la rottura di una relazione tanto lunga?
E la risposta è stata:
Da morire.
4. Non so quale sia la canzone che Taylor preferisce di Katy, ma è una di quelle che io amo.
5. La canzone LOML non è riferita a Joe, ma io pensavo di sì prima di scoprire che non era vero, per cui ho lasciato le cose come stavano perché mi sembrava che il tutto avesse senso.
6. Taylor ha sofferto d’ansia, ma ho inventato il fatto che sia stata così male e abbia preso farmaci (io li ho assunti, so di cosa sto parlando).
7. Estratto dall’articolo A Timeline of Taylor Swift & Travis Kelce’s Relationship di Rania Aniftos e Hannah Dailey sul sito Billboard. C’erano anche foto e video.
The pop superstar opened up about when her romance with Travis Kelce began for TIME, who named her its Person of the Year. “This all started when Travis very adorably put me on blast on his podcast, which I thought was metal as hell … We started hanging out right after that,” she shared of the July 26 episode of his New Heights podcast, in which he revealed that he had made a friendship bracelet with his phone number to give her when he attended her July 8 Eras Tour show at Kansas City’s Arrowhead Stadium.
“By the time I went to that first game, we were a couple,” she revealed. “I think some people think that they saw our first date at that game? We would never be psychotic enough to hard launch a first date.”
8. Credo che abbia davvero scritto quel romanzo. L’ho letto nell’articolo These Taylor Swift Fun Facts Will Turn Anyone From an Average Fan Into a Swiftie, di Anna Garrison. Potrebbe essere un fake, ma visto che l’articolo riportava anche fatti veri sulla sua infanzia e sulla carriera, io voglio crederci. Di sicuro non l’ha pubblicato. E parlava proprio di quello che ho scritto.
9. Un paio d’anni fa circolava una teoria secondo la quale Taylor avrebbe scritto una fanfiction nel Fandom di Harry Potter sotto pseudonimo, ma è stata smentita. Io, però, amo credere che lo faccia davvero, nonostante la sua vita sia così impegnata.
10. Non so se Taylor e Abigail siano ancora amiche, ma lei ne ha parlato nella canzone Fifteen.
11. Ringrazio con tutto il cuore JustBigin45, che mi fa da Beta Reader dal 2019.
   
 
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