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Autore: Black Angel    30/05/2005    5 recensioni
Cos’è l’amore? Una domanda così semplice, eppure così complessa. Come quella parola che suona soave a ogni orecchio: Amore. Possibile che una sola parola possa descrivere un sentimento così grande, così esteso, così…profondo? Possibile che in una così piccola parola si nasconda un significato così vario? Perché di “amore” ne esistono tanti: l’amore passionale e violento di due amanti, quello dolce e puro di due fidanzati, l’amore naturale per il proprio figlio, quello gioioso tra amici…quello tra fratelli… Amore…..come facciamo a sapere se è veramente quello che fa battere il nostro cuore? Come facciamo a sapere se è quel sentimento, o una giovanile infatuazione che durerà solo qualche giorno? Come facciamo a riconoscere la persona giusta? Platone diceva che tutti noi siamo stati divisi, come una mela, e che non facciamo altro che cercare quella parte da cui siamo stati brutalmente privati: l’anima gemella. Ma esisterà davvero? Esiste la mia anima gemella…?
Genere: Drammatico, Malinconico, Romantico, Triste, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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1. Cercando un angelo

Colonna sonora:  Scorpion - Send me an Angel

 

Cos’è l’amore?

Una domanda così semplice, eppure così complessa. Come quella parola che suona soave a ogni orecchio: Amore. Possibile che una sola parola possa descrivere un sentimento così grande, così esteso, così…profondo?

Possibile che in una così piccola parola si nasconda un significato così vario?

Perché di “amore” ne esistono tanti: l’amore passionale e violento di due amanti, quello dolce e puro di due fidanzati, l’amore naturale per il proprio figlio, quello gioioso tra amici…quello tra fratelli…

Amore…..come facciamo a sapere se è veramente quello che fa battere il nostro cuore? Come facciamo a sapere se è quel sentimento, o una giovanile infatuazione che durerà solo qualche giorno? Come facciamo a riconoscere la persona giusta?

Platone diceva che tutti noi siamo stati divisi, come una mela, e che non facciamo altro che cercare quella parte da cui siamo stati brutalmente privati: l’anima gemella.

Ma esisterà davvero? Esiste la mia anima gemella…?

 

Le gocce di pioggia picchiettavano contro il vetro della finestra della mia camera. Violente scendevano dal cielo, infrangendosi contro quella fredda lastra trasparente, lasciando che il loro ultimo sospiro si accompagnasse al gemito sottile del vento. Un lamento, una straziante melodia che non faceva altro che peggiorare il mio cattivo umore.

La settimana che mi portavo alle spalle era stata davvero una delle peggiori di quell’anno. Sembrava quasi che tutte le sfortune più nere avessero cercato apposta il sottoscritto, e la notizia, seguita immancabilmente dall’ammissione della stessa Sabrine, che la mia ragazza mi aveva lasciato per uno stupido bulletto da due soldi, era stata solo l’ultima goccia!

Non che di lei m’importasse poi così tanto. In fondo se avevamo iniziato qualcosa era solo perché me lo aveva chiesto e perché io non avevo molto di meglio da fare. Suona davvero insensibile detto in questa maniera, me ne rendo conto, ma in realtà Sabine per me non era altro che una bambola con cui mi divertivo a giocare. Nulla di più. Pur sapendolo, però, nel mio cuore si era insinuata la vana illusione che quella ragazzetta si riscoprisse essere la mia anima gemella: un altro buco nell’acqua.

La mia anima gemella. Da quanto la cercavo?

Probabilmente da quando avevo visto per la prima volta il mondo. Sempre alla ricerca di qualcuno da poter proteggere con le mie sole braccia, di qualcuno a cui regalare il mio primo sorriso del mattino, di qualcuno da amare, e da cui essere amato…il sogno di ogni uomo che poggia piede su questa fredda terra, e fino ad allora era anche il mio sogno.

Avevo avuto tante ragazze, nonostante fossi ancora un diciassettenne. Le avevo cambiate come abiti, alla disperata ricerca di qualcuna che riuscisse a farmi sentire il dolce succo del fiele d’Amore. Molte erano attratte unicamente dal mio fisico, ne ero ben a conoscenza, ma la speranza che prima o poi una qualunque di loro si sarebbe rivelata l’altra metà della mia mela persisteva. L’uomo ha bisogno di sperare per vivere.

E io continuavo a farlo, proseguendo nella mia caccia…

Ognuna di quelle ragazze mi aveva detto, almeno una volta, “Ti amo”. Piangendo, ridendo, arrossendo. Diversi erano stati i modi, ma il concetto era sempre stato identico. Eppure nessuna di loro mi sentì mai rispondere a quell’affermazione: io non avevo mai detto di amare qualcuno. Dopotutto loro per me non si erano rivelate altro che giochi dalle belle forme, per cui non nutrivo il benché minimo interesse sotto quella visione, perché, non appena tolte le vesti della compagna d’amore, alcune di loro sapevano rivelarsi simpatiche amiche.

Sistemai le mani dietro la nuca e chiusi pesantemente gli occhi, tinti come una limpida mattina estiva, che mi pareva così lontana in quel pomeriggio temporalesco d’autunno.

Un sospiro pesante sfuggì alle mie labbra semichiuse, prima che la famigliare voce di mia madre mi richiamasse nel mondo reale. Attesi che la sua voce, morbida nonostante stesse gridando, ripetesse il mio nome per qualche volta, prima di alzarmi controvoglia.

Scesi le scale a piedi scalzi, trovandomi subito davanti alla cucina. L’odore di carne bollita aveva invaso dolcemente quell’angolo della casa e lo scroscio del rubinetto, batteva rumorosamente contro la pentola che vi era stata messa sotto. La piacevole sensazione di essere protetto si diffuse come quando ero bambino.

La figura di mia madre di schiena, indaffarata tra i fornelli e i lavandini, appariva come appena riemersa da un sogno, contornata dai fumi leggeri della cena che stava cocendo. In un angolo buio della mia memoria si risvegliò un’immagine lontana, simile a quella che mi si presentava agli occhi. Un altro pezzo del mio personale puzzle che andava a incastrarsi in attesa degli altri compagni mancanti, che forse non avrei mai ritrovato.

Osservai la silhouette sottile dell’unica donna di casa, incantandomi a osservare il movimento lento che la sua lunga treccia bruna faceva scivolando sulla sua schiena. Il fiocchetto giallo ocra del grembiule, che s’era legata alla vita,  risaltava tra i suoi scuri abiti consumati a furia di usarli saltuariamente.

Le avevo detto più volte d’indossare vestiti più vivaci, i quali avrebbero risaltato la sua bellezza, non ancora appassita sotto i segni dell’età, e che, magari, le avrebbe permesso di accaparrarsi qualche uomo. In fondo aveva solo quarantacinque anni. Ma lei, ogni volta, si era limitata a dirmi che l’uomo della sua vita l’aveva già trovato. Anzi, si vantava con un sorriso, ne aveva trovati ben due: i suoi splendidi figli. Per lei, noi eravamo la sua vita.

Sentirla nuovamente gridare il mio nome mi risvegliò dai miei pensieri, facendomi capire che non si era ancora accorta della mia presenza

- Che c’è, mamma? – le chiesi, posandole una mano sulla spalla. Sembrava così piccola e fragile sotto la stretta della mia mano, eppure lei era sempre stata una donna con una grande forza d’animo, che camminava sempre con la schiena eretta e a testa alta. Aveva dovuto imparare ad essere forte, aveva dovuto apprendere dolorosamente quell’arte per crescere due figli aiutata solo da se stessa. Non doveva essere stato facile farci sia da madre che da padre, in modo che non risentissimo dell’assenza della parte maschile della famiglia. Mi rendevo conto di questo, al contrario di quell’idiota di Michael, il mio fratello minore.

- Oh, finalmente! Sono ore che ti chiamo, Steveesclamò, lasciando la pentola e asciugandosi le mani sul tessuto giallognolo. Si voltò con un sorriso dolce sulle labbra, togliendosi qualche ciocca dal volto affaticato.

- Non ti ho sentito, stavo dormendo - spiegai

- Scusami, non volevo svegliarti. E’ solo che sono preoccupata per Michaeldisse con un tono che tentava di mascherare la sua ansia – Dovrebbe essere già qui…-

Stancamente mi passai una mano tra le ciocche nere, che erano tanto lunghe da infastidirmi gli occhi. Sapevo già dove mia madre volesse andare a parare: guardandomi con quei suoi occhi azzurri mi avrebbe convinto ad andare a prendere quel cretino, pur sapendo che tra noi non c’era mai stato un buon rapporto e il fatto che fossimo fratelli non faceva che peggiorare la situazione: lunghi silenzi a tavola, indifferenza più totale quando c’incrociavamo nei corridoi, neanche una parola di benvenuto all’altro che rientrava a casa. Quell’atmosfera così distaccata tra noi aveva creato non pochi crucci e sofferenze all’unica donna di casa, la quale aveva tentato in tutti i modi di abbattere quel muro che, non si sapeva come o perché, si era creato tra di noi. Ogni suo tentativo, però, era stato un puro e semplice fallimento: io e mio fratello non ci sopportavamo e nulla l’avrebbe cambiato.

Nonostante quello, però, l’affetto che mi legava a mia madre non era mai cambiato ed era proprio quell’affetto che mi faceva preoccupare tanto per lei, al contrario del mio illustre fratello. Entrambi eravamo a conoscenza del fatto che l’ansia e l’agitazione erano due fattori che potevano scatenare uno dei suoi attacchi di cuore. Nostra madre, infatti, era nata con una malformazione al cuore che le aveva sempre dato un sacco di problemi.

Non era un’occasione rara che fosse colta e che io e Michael fossimo costretti a trasportarla in ospedale, dove la imbottivano sempre di ogni genere di farmaci. Durante l’ultima visita il dottore ci aveva preso da parte, sia a me che a mio fratello, e nuovamente si era raccomandato di darle meno preoccupazioni possibili. Le sue parole dovevano essere entrate da un orecchio e uscite dall’altro, nel caso di quel cretino. Così, per evitare che mia madre finisse di nuovo in ospedale, accettai di andare a prendere il mio consanguigno.

- Vado a vedere dove è finita quella testa vuota – dissi sconfitto, prendendo le chiavi della macchina e uscendo senza nemmeno infilarmi la giacca. Sul volto di mia madre mi sembrò scorgere un sorriso di gratitudine, il quale mi convinse che quell’uscita non era del tutto inutile.

*

Spinsi di più l’acceleratore, desideroso di sbrigare il più in fretta possibile quella commissione.

La pioggia batteva imperterrita sul parabrezza, offuscandomi la vista per pochi attimi, prima che i tergicristalli la spazzassero via. Il suo canto malinconico continuava a seguirmi anche lì…cacciai via i miei pensieri prima che potessi ricominciare a perdermi nelle mie domande su quel qualcosa che ancora non ero riuscito a trovare.

Come non ero riuscito a trovare quel cretino! Avevo fatto, al contrario, tutta la strada che solitamente percorreva per tornare a casa, ma di quell’incapace non c’era la minima traccia. Seguendo il percorso finii davanti alla scuola che entrambi frequentavamo e dove Michael faceva i suoi allenamenti di basket.

Non sapevo neanche perché avesse scelto proprio quello sport, dove tutti devono essere alti almeno un metro e novanta (ma non è vero!!! NdBlack – E tu che ne sai? NdWhite – Sono un’ammiratrice di Slam Dunk e Generation Basket ^^’’’’ – Ah, beh…ottima fonte -.- NdWhite). Dopotutto lui non era così alto: era di poco più basso di me che ero un metro e ottanta.

Sbuffando svoltai l’angolo, per frenare davanti alla palestra, dove solitamente si tenevano gli esercizi per i corsi sportivi. L’edificio era completamente avvolto dall’oscurità e anche lì, di mio fratello, neanche l’ombra.

- Ma dove cazzo si è cacciato? – ringhiai furioso, stringendo i pugni sul volante per placare la mia rabbia.

Poi una figura attrasse la mia attenzione: lui.

Era seduto sul marciapiede, dall’altra parte della strada, con la testa china e i capelli che gli cadevano disordinatamente sul volto, fisso a guardare il borsone blu ai suoi piedi. La pioggia scivolava rabbiosa su di lui bagnandolo fino alle ossa, ma sembrava che la cosa non gli importasse molto, come non sembrava importargli la mia presenza.

- Che gli è presto, stavolta? – domandai al vuoto, chiudendo la portiera della macchina. Il rumore prodotto fu tanto forte che, per un attimo, riuscì a superare perfino lo straziante grido delle gocce d’acqua che morivano sull’asfalto, sulla macchina, su di noi…

Controvoglia mi avvicinai a lui, fermandomi quando fui a pochi passi da dove s’era seduto. Solo a quel punto sembrò accorgersi di me

- Ste…-

- Si può sapere che diavolo ti passa per la testa, razza di coglione? – lo aggredii, interrompendo subito il suo tentativo di parlare – La mamma si è spaventata a morte, cretino che non sei al…?! – mi bloccai non appena il suo volto s’alzò verso di me: la candida pelle era segnata da vistosi segni rossi, che, con molta probabilità, si ripetevano anche su tutto il suo corpo. Dovevano averlo picchiato proprio per bene.

Per un attimo sentì un’inspiegabile rabbia scorrermi nelle vene, una furia cieca verso coloro che avevano alzato le mani su colui che raramente riuscivo a definire come fratello. Mi stupii di quella mia reazione, ma essa si volatilizzo velocemente com’era venuta, con una scossa esasperata della mia testa.

- Possibile che tu non riesca neanche a difendere te stesso? – sbottai senza neanche rendermene conto.

Offeso, mi fulminò con un’occhiataccia che riuscì a colpirmi nonostante fosse seminascosta dalle sue lunghe frange bagnate. Un brivido scivolò lungo la mia schiena. Neanche ora saprei dire se questo fosse dovuto al freddo o…ad altro…

Solo in quel momento sembrai accorgermi del fatto che eravamo entrambi sotto la pioggia, la quale, avida, s’era impossessata presto dei miei leggeri abiti, inzuppandomi fino al midollo. Se continuavamo a stare lì ci saremmo presi una bronchite, e poi chi l’avrebbe sentita nostra madre?

- Entra in macchina – gli ordinai, dandogli le spalle e tornandomene in auto. Nonostante non lo stessi guardando, potevo sentire la presenza di Michael che, silenzioso come al suo solito, mi stava seguendo ubbidiente.

- Per poco non facevi venire un infarto a mamma – lo rimproverai duramente, non appena si fu accomodato sul sedile del passeggero – Dimmi, sei scemo o cosa? Lo sai che mamma si preoccupa facilmente! -

- Vedermi in questo stato l’avrebbe, certamente, ammazzata sul colpo – ribatté lui, totalmente atonico. Trattenetti a fatica l’impulso di tiragli un pugno. Quella sua completa apatia, con la quale si rivolgeva unicamente verso il sottoscritto, riusciva a irritarmi più di quanto riuscivo ad ammettere.

Dovetti ammettere, tuttavia, che il suo pensiero non era così errato. Non che questo potesse giustificare la sua egoistica imprudenza

- Potevi almeno telefonare -

- Mi hanno rubato il cellulare – rispose, con un tono che suonava quasi annoiato.

- Sei troppo stupido per difenderti? – lo schernì, con un sorsetto serafico. Sapevo che avrei provocato le sue ire con quell’affermazione, ed era proprio per quel motivo che avevo detto una cosa del genere. Solo per vedere quella sua maschera impassibile incrinarsi, per qualche secondo.

- Stupido?! Non so te, Mr.Muscolo, ma io non sono in grado di confrontarmi con sei ragazzi tutti alti il doppio e spessi il triplo di me! – urlò infervorandosi.

- Piantala di urlare – lo ammonii seccamente, prendendo il mio cellulare e componendo il numero di casa.

Come immaginavo era impossibile, per noi, stare cinque minuti senza litigare. Preferii, così, telefonare a nostra madre giusto per informarla che avevo trovato quell’imbecille. In secondo luogo avrei dovuto trovare una scusa plausibile, grazie alla quale avremmo potuto restare fuori casa fino a notte inoltrata, per evitare che la visione del secondogenito ridotto in quella maniera aggravasse lo stato di salute della donna di casa.

La prima scusa che mi venne in mente fu che saremmo andati ad una festa organizzata dai nostri compagni di scuola - Rientreremo a tarda notte. Non aspettarci alzata – mi affrettai ad aggiungere.

A quella notizia la donna dall’altra parte della cornetta non riuscì a reprimere un grido di gioia, che mi obbligò ad allontanare il telefonino dal mio povero orecchio assordato

- Mamma, perché diavolo gridi??? – sbraitai, mentre il ragazzo al mio fianco mi lanciava un’occhiata traversa che stava chiaramente a significare una cosa del tipo “guarda che lo stai facendo anche tu”. Ignorai volutamente quello sguardo, consigliando a nostra madre di andare a dormire dalla signora McGonnall per quella notte, in modo da non restare da sola.

La signora McGonnall era la nostra vicina di casa, una vecchietta allegra e fin troppo arzilla per la sua veneranda età. Viveva da sola con i suoi tre gatti, dai nomi impossibili da ricordare, e il suo cagnolino Rolly. Forse proprio a causa di questa sua solitudine, si era avvicinata presto a noi ed era sempre stata disponibile e gentile, in particolare dopo che nostro padre se n’era andato di casa. Diciamo pure che la consideravo ormai come una nonna, e il paragone non era poi così fantasioso. Una volta la sentii parlare con un uomo che, furibondo, continuava a gridarle che cosa mai la legasse alla nostra casa. La sua risposta fu tanto semplice da ferirmi: - Loro sono la famiglia che non ho mai avuto -

Capì allora che anche quella dolce nonnina che ci cucinava i suoi deliziosi dolcetti alla cannella nascondeva un passato molto triste. Come il nostro, del resto…

La voce di mio fratello mi riportò alla realtà

- Questo vuol dire che dovremmo passare la serata insieme – disse, cercando di apparire piuttosto seccato per la cosa.

- Non ti lamentare! E’ solo colpa tua se ci troviamo in questa dannata situazione…- le mie parole di rimprovero furono interrotte bruscamente dalle sue

- Piantala! – sibilò, continuando a tenere lo sguardo fisso sul parabrezza – Piantala di rimproverarmi. Chi ti credi di essere? Nostro padre, forse? -

M’irrigidii involontariamente a quell’insinuazione, per poi sciogliermi sotto l’influsso della rabbia. Una rabbia che fa offuscare tutti i tuoi pensieri razionali, che non fa vedere più nulla, che non ti fa più distinguere il bene dal male, se mai questa distinzione esista davvero.

Con violenza strinsi i pugni sulle sue spalle, troppo esili per appartenere a un giocatore di basket, costringendolo a voltarsi verso di me. Il suo sguardo s’incrociò subito con il mio, permettendomi di notare una punta di stupore nelle sue iridi argento.

- Non me ne frega nulla di te e di cosa cazzo fai! Ma se quello che fai danneggia mamma, non ci penso su due volte a tirarti un cartone in faccia! -

- Perché non lo fai, allora? - mi stuzzicò

Quando si è preda della collera crolla ogni genere di pensiero raziocinante, anche il più banale che ti permetterebbe di rispondere civilmente a una così stupida istigazione. Si agisce d’istinto, e il mio istinto, in quel momento, mi diceva unicamente di colpirlo. Così alzai minacciosamente il pugno muovendolo velocemente verso il suo volto, ma mi bloccai a pochi soffi dalla sua candida pelle.

I suoi occhi. I suoi occhi, dello stesso colore dei raggi di una luna estiva, avevano abbandonato il velo di sfida per lasciarsi andare a d’una aperta tristezza.

Credo furono proprio quelle due iridi d’argento a bloccare il mio gesto. Le stesse iridi che mi fermai a contemplare. Non avevo mai notato quanto gli occhi di quel cretino fossero belli. Forse perché avevo avuto poche occasioni per guardarli a così poca distanza, o forse perché non avevo mai avuto motivo di fissarli…

Con un profondo sospiro lasciai la presa sulle sue spalle e distolsi il mio sguardo dal suo, tornando a poggiarmi al sedile.

- Senti, se vogliamo superare questa notte senza farci a pezzi dobbiamo fare una tregua –

- Mh – presi quel grugnito per un sì.

Accesi il motore, già stufo del cocciuto comportamento che Michael stava tenendo. La mia idea era di infilarmi nel primo pub aperto che avremmo incrociato lungo la strada. Grazie a quel genio che mi stava di fianco, infatti, ero stato costretto ad uscire di casa con lo stomaco vuoto, che ora brontolava per quella mia dimenticanza. Molto probabilmente anche il mio compagno stava morendo di fame, ma lo conoscevo abbastanza per sapere che non l’avrebbe ammesso mai, neanche sotto tortura. Non valeva la pena sprecare fiato con quello lì.

- Dove stiamo andando? – mi chiese, togliendosi di dosso il giaccone zuppo d’acqua, rimanendo solo con un’altrettanto fradicia maglia di cotone, che aderiva sul suo corpo come una seconda pelle, esaltandone il più piccolo muscolo.

Ero a conoscenza del fatto che Michael aveva sempre riscosso un notevole successo con la fazione femminile e, proprio come per me, questo era dovuto in gran parte al suo aspetto: morbide ciocche corvine dai riflessi quasi bruni, il viso dai tratti delicati e ancora non del tutto sviluppati, il corpo minuto ma allenato come quello di qualsiasi atleta, e poi quegli occhi d’argento…così magnetici. Al contrario del sottoscritto, però, la sua fama non era dovuta unicamente ad un fattore estetico, ma, anzi, il suo carattere gentile e riservato gli conferiva maggiore fascino. L’esatto contrario del mio, più rumoroso e, paradossalmente, più scontroso. Era proprio il suo carattere che faceva andare in delirio numerose ragazze e ragazzi, a sentire le voci che giravano liberamente per i corridoi.

- Ehi, sei tra noi? – la sua voce mi giunse delicata alle orecchie

- Eh?! Cosa? -

Aggrottò le sopracciglia, con fare interrogativo – Ti ho chiesto dove stiamo andando - ripeté

- Nel primo pub che troviamo. Sto morendo di fame. Penso che valga la stessa cosa anche per te - dissi, anche se ero ben poco fiducioso della sua risposta.

- Effettivamente – sussurrò lui, lasciandomi letteralmente a bocca aperta

Cosa?! Mister-sto-sempre-zitto mi ha dato una risposta affermativa? Questa sì che sarà una notte da ricordare!” ironizzai nella mia mente, inconsapevole di quanto in realtà fossi vicino alla verità.

 

 

Free talk

Salve! ^^ Qui parla Black Angel, la guardiana dei Portali Infernali.

Dopo le mie favole del Giardino dei Peccatori e dei Dannati, passo ad un genere un po’ più roseo ma ugualmente intriso di quell’angst che mai guasta (almeno per la sottoscritta) ^^ Idealmente Moment dovrebbe essere il primo capitolo di una breve trilogia incentrata sui due fratellini protagonisti: in questa prima parte, infatti, i loro pensieri e sentimenti sono affrontati superficialmente, per dare un maggior spazio alla storia in se che aprirà le danze per il secondo capitolo…credo non si sia capito nulla, ma abbiate pietà per una poveraccia che non conosce uno straccio d’italiano ^^’’

Vorrei soltanto affrontare un ultimo punto, prima di svanire nelle nebbie dell’eternità: visto che so che a molti potrebbe infastidire una tematica del genere, voglio dire fin da subito che questa storia riguarda un amore omosessuale tra due fratelli (un incesto, in poche e semplici parole).

Grazie mille per l’attenzione ^^ Aspetto vostri commenti e/o critiche (con molta probabilità saranno in netta maggioranza quest’ultime NdWhite – Il tuo sostegno è sempre ammirevole -.- NdBlack)

 

 

 

 

  
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