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Autore: Shinji    17/10/2009    4 recensioni
Un giovane che ha perso tutto, ma che guadagnerà una missione.
Una Guerra Santa alle porte, come un richiamo tessuto da un Dio oscuro.
Anni di addestramento, di crescita come di dolore.
E un canto solitario, ad accompagnare il volo di un'anima smarrita.
{AVVISO IMPORTANTE: Gli aggiornamenti saranno sospesi per quanto riguarda Dicembre e probabilmente anche Gennaio}
Genere: Generale, Azione, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo Personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Il Canto della Banshee

 

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Sesto Canto ~ Favole notturne

 

 

“La musica non imita e non esprime che lo stesso sentimento in persona.”
Giacomo Leopardi

 

 

 

-Raccontaci una storia.-

 

La voce era emersa dal buio, timida ma netta.

Tutti avevano aperto gli occhi, all’improvviso sveglissimi, nonostante le ferite e la stanchezza incredibile dell’addestramento del giorno.

 

-Ragazzi, non credo sia il caso…-

 

Fu Hajidah, dalla brandina vicino alla mia, a parlare. Erano passati alcuni mesi dal mio arrivo nel Meikai, e pian piano cercavo di abituarmi ai ritmi di un luogo senza luce e senza tempo, alle regole crudeli e ai faticosi allenamenti –al limite della sopportazione umana- cui il Master mi sottoponeva.

 

-Uno Spectre conosce la morte da quando è nato- soleva dire. –E la conosce perché in essa è immerso. Ma con la consapevolezza di ciò che vi è oltre ad essa: è per quello, che combattiamo.-

 

 

-Dai, Hajidah, raccontaci una storia. Sei bravo, no?-

 

Un altro ragazzo, poco più grande di me, aveva dato man forte al primo: evidentemente c’erano ombre da scacciare, quella notte; ce n’erano sempre, in realtà, ma quelle dovevano essere così dense e pesanti da non poter essere allontanate da un ricordo lontano. Serviva un’illusione più potente.

 

Avevo ascoltato altre volte delle storie, nella MalaBolgia; ogni tanto, uno degli allievi più grandi si metteva al centro del dormitorio, ed intratteneva silenziosamente i compagni più piccoli. C’erano sempre tanti incubi da tentare di convertire in sogni.

Hajidah era uno dei più dotati: poteva trasformare una palude in un campo di fiori, il sangue in acqua di sorgente, le grida in canti soavi. Sapeva rendere ogni colore più vivo -e Dio se serviva, nel Mondo dei Morti.

 

 

-Uh, va bene, va bene.-

 

Così, il giovane uomo si alzò dal suo spoglio giaciglio, per sedersi a gambe incrociate nel mezzo del sottile corridoio che separava le due file di brandine. Tutti, nessuno escluso, si avvicinarono.

 

-Questa credo che farà bene a tutti noi, mh?-

 

Sapeva creare la tensione giusta, in ogni occasione: sembrava raccogliere la nostra attenzione come dei sottili fili di ragnatela riescono ad intrappolare le prede più ambite. Si schiarì la voce, prese il respiro. Poi, iniziò:

 

- C’era una volta un cammello, che stava camminando lungo un impervio sentiero…-

-See, ovviamente non poteva parlare altro che di cammelli, il signor Arabia…-

 

Sussurrò un ragazzo particolarmente in vena di sarcasmo; alcuni miei compagni gli fecero passare la voglia in men che non si dica, per poi dare il via libera al giovane mediorientale.

 

-...chiedo scusa per l’interruzione. Vai pure avanti Hajidah!-

 

-Uh, grazie mille. Dicevo… C’era una volta un cammello, che stava camminando lungo un impervio sentiero. Aveva sulla schiena un sacco, che gli gravava come un macigno.-

 

Evidenziò le parole con ampi movimenti delle braccia, come a tastare un enorme peso sopra il suo capo: le sue mani danzavano potenti, creando ombre sulle pareti scure della stanza.

 

-Nel suo cammino, vide per terra una formica. La piccola creatura stava trasportando un fuscello. Certo, un peso risibile per il cammello, ma in proporzione alla formica era grosso dieci volte lei!-

 

Già, chi può dare un metro assoluto, un valore insindacabile a quantificare quanto qualcuno può sopportare una fatica, un dolore?

…alla fine, era proprio quello che i nostri Maestri stavano facendo.

Forse iniziavo ad intuire perché Hajidah avesse scelto quella storia.

 

 

-Il cammello restò a lungo a guardarla, profondamente stupito. Poi, ad un certo punto, disse: “Più ti guardo e più ti ammiro. Tu porti sulle spalle, come se niente fosse, un carico dieci volte più grosso di te. Io invece non porto che un sacco, e le ginocchia mi si piegano. Come mai?”-

 

Il silenzio più totale accompagnava la voce di Hajidah. Occhi grandi e occhi piccoli, chiari e scuri, orientali ed occidentali. Gli stessi occhi che durante il giorno erano decisi, o rabbiosi, o disperati, o semplicemente spenti,  in quel momento erano spalancati e resi dolci dalla meraviglia.

Erano tutti più grandi di me –almeno di poco, lo sapevo: eppure, per un attimo, mi sembrarono tutti bambini.

 

- “Come mai?” rispose la formica, fermandosi un momento. “Ma è semplice…”-




…la mattina dopo –per quanto si potesse parlare di mattina, in quel luogo- ci salutò alla solita maniera: un rumore assordante e profondo, la consueta veloce adunata e la divisione degli aspiranti in gruppi.

 

Lord Rhadamanthys mi esortò a seguirlo, al solito, senza molti preamboli. Percorremmo, però, più strada del solito, quel giorno: me ne domandai il motivo, ma non osai ovviamente fiatare.

 

-Siamo arrivati. Oggi ti allenerai qui.-

 

Alzai lo sguardo: davanti a me, un’ampia distesa di acqua torbida, rossa come il sangue –anzi, sangue vero, l’odore era inconfondibile, era sangue caldo e ribollente, Signore onnipotente. 

Era il fiume degli iracondi, e di ira e morte era tinto.

Era il fiume Flegetonte.

 

Venni totalmente ipnotizzato da quella visione. In poche altre occasioni ero passato presso quel fiume, e mai così da vicino…

 

…perciò non mi accorsi del Master che, con un fluido movimento del braccio, mi gettò tra i flutti.

 

Emersi sputando quello che avevo involontariamente inghiottito –dio, era davvero sangue- e rimasi lì, stupito oltre ogni dire, a fissare il Generale Infernale che pareva essere in vena di scherzi, quella mattina. Lui, con la stessa espressione con la quale avrebbe potuto commentare l’andamento delle Borse, disse:

 

-Well. Tornerò tra due ore. Se sarai ancora vivo, bene. Se no…-

 

Alzò lievemente le spalle, si voltò e se ne andò, scomparendo in un attimo.

 

Goodness Gracious.

 

Ero allibito, ma d’altro canto non capivo a cosa alludesse il Master. In poche bracciate sarei uscito, e

 

E poi mani, e braccia di morti, e grida senza voce che mi trascinavano giù.

 

-Sciocco- pensaistupido sciocco, questo è un fiume dei dannati, e di dannati è pieno! Cosa pensavi?-

 

Mi dibattei, per sfuggire alla morsa ferrea di mani fredde e senza vita, che mi trascinavano più a largo, lontano dalla riva, lontano dalla superficie.

Il sangue era scuro, torbido, infinito –sarei morto, sarei sicuramente morto.

Come si poteva resistere ai sommi sconfitti?

Gli iracondi, furiosi con Dio e con gli uomini, avrebbero preso la mia vita!

 

Annaspavo, cercando un minuto di aria in più, un secondo, un attimo, poi…

 

…poi affondai.

Il sapore del sangue in bocca, le braccia rabbiose degli spiriti su di me, e tutto intorno il silenzio più totale, assordante nella sua staticità.

Silenzio di morte, silenzio malvagio.

 

-Perché lottare?- mi chiesi.

 

-Perché sopravvivere, solo per andare avanti e rischiare di morire ancora? Perché vivere per soccombere?-

 

Ero stanco. Niente aveva più senso.

Il silenzio aveva il peso di mille e mille anime, ma il mio cuore era ancora più gravoso.

Così, mi lasciai andare, nel profondo del fiume dei morti.

Solo un nome, come ultimo pensiero.

 

-Padre…-



 

 

 

 

Ma poi mi tornò in mente una cosa.

 

- C’era una volta un cammello, che stava camminando lungo un impervio sentiero…-

 

 

 

Ma sì, certo.

 

- Aveva sulla schiena un sacco, che gli gravava come un macigno. -

 

Stavo vivendo la stessa esperienza. Non andavo avanti, ogni giorno, con un peso enorme sul capo, sulle braccia, sul cuore?

Un peso che anche altri avevano portato?

 

- Nel suo cammino, vide per terra una formica. La piccola creatura stava trasportando un fuscello. Certo, un peso risibile per il cammello, ma in proporzione alla formica era grosso dieci volte lei!-

 

…E altri, dopo di me, non ne avrebbero portati di più pesanti?

Chi ero io per lamentarmi della vita che mi era stata donata? Io, che ero sopravvissuto?

 

-Il cammello restò a lungo a guardarla, profondamente stupito. Poi, ad un certo punto, disse: “Più ti guardo e più ti ammiro. Tu porti sulle spalle, come se niente fosse, un carico dieci volte più grosso di te. Io invece non porto che un sacco, e le ginocchia mi si piegano. Come mai?”-

 

 

Era quello che mi mancava, quello che non mi permetteva di andare avanti. Non la fatica, non il dolore, non la paura.

Solo la differenza tra il cammello e la formica.

Solo quella.

 

Io non stavo combattendo per Sire Hades, o per la Guerra Santa, o per il Master…

 

- “Come mai?” rispose la formica, fermandosi un momento. “Ma è semplice: io lavoro per me stessa, mentre tu lavori per un padrone.”-

 

…io dovevo combattere per me stesso.

 

 

Ricominciai a nuotare, forte. Una luce densa, dai toni dell’ametista, mi avvolse. Andai su, e su, e su, con i muscoli che bruciavano.

I morti non potevano più trattenermi, ardevano al contatto con il mio corpo, fuggivano, si disgregavano. Ero veloce, ero forte, ero libero!

 

Infransi la superficie del fiume, i polmoni in fiamme, gli arti doloranti; con un gemito soffocato, feci per dirigermi verso la sponda, ma… la spinta iniziale che il mio Cosmo mi aveva dato venne meno. Non ero in grado di controllarlo, non ancora, ero già stato fortunato ad essere arrivato fino a lì…

 

Gli iracondi tornarono, più forti che mai, con l’intenzione di non lasciarmi mai più.

Doveva finire in quel modo, dunque? Dovevo morire ad un passo dalla meta?

-Che creatura ridicola- mi dissi -Che creatura ridicola sono, incapace di andare avanti, anche dopo aver capito.-

 

All’improvviso, un’ombra passò sopra di me. Sentii qualcuno afferrarmi bruscamente, e depositarmi poi sulla riva del Flegetonte con malagrazia.

Era grande, era alto ed era alato. Un uomo nero.

 

-…Master…?-

 

Riuscii a sussurrare tra un colpo di tosse e l’altro.

Poi, lo vidi meglio: non era lui.

 

Indossava una Surplice con grandi ali nere; sembravano ali da drago, ma diverse da quelle della Viverna. Aveva i capelli di un biondo pallido, di media lunghezza, lisci e ordinati all’inverosimile. I suoi occhi erano azzurri come solo il cielo d’Inghilterra dopo la pioggia può essere. Ed erano gelidi, come i ghiacci eterni. Se aveva la Surplice, doveva essere un Maggiore, erano i soli che non avessi visto…

 

 

-No, come avrai già intuito non sono io.-

 

La sua voce era ferma e decisa: cercava di essere impersonale, ma tradiva una passione nascosta, un impeto profondo all’interno del suo cuore. Pareva un uomo molto severo, con gli altri e con stesso.

 

-Una prova non indifferente, per un ragazzo arrivato da poco.-

 

Commentò neutralmente, guardandomi: il suo sguardo pareva indagarmi, cercando forse di catalogarmi, di definirmi.

 

-Non l’ho fatto intenzionalmente, signore… non credo sarei in grado di rifarlo…-

 

Forse non era la migliore pubblicità che avrei potuto farmi, ma d’altronde era la verità: non controllavo il mio Cosmo, avevo a malapena la consapevolezza della sua esistenza. Era lì, dentro di me, e aspettava di uscire come una belva appostata nella tana.

 

 

-Se l’hai fatto, sarai in grado di rifarlo, ovviamente. È per questo che ti ho salvato: sarebbe stato un grave spreco di potenziale, lasciarti sprofondare. Sappi però che non accadrà più: non amo interferire negli addestramenti altrui, soprattutto se si sta parlando del mio Generale.-

 

Era anche lui un diretto sottoposto del Master, dunque!

 

-Signore, se posso chiedere… lei è il Maggiore di Lord Rhadamanthys?-

 

 

Lui si erse in tutta la sua statura, emanando fierezza e onore, come un cavaliere d’altri tempi.

 

-È così. Io sono Olim, Olim di Fafnir, Maggiore Generale dell’esercito degli Spectre.-

 

Era lui, dunque. Il terzo uomo più importante del gruppo di Lord Rhadamanthys.

 

 

-Ti ho osservato attentamente, poc’anzi. Sembrava che avessi smesso di lottare.-

 

Non dissi niente: non c’era niente da dire, in effetti. Un velo di vergogna mi colse, mortificandomi per un attimo.

 

-Perché hai ricominciato, dunque? Chi non ha la forza di vivere, muore. Semplicemente.-

 

-È vero. Ma… ho pensato di avere un motivo per combattere. La mia risoluzione… l’ho finalmente trovata.-

 

Lui mi osservò, con occhi freddi come il vento del Cocito: il viso imperscrutabile mi rendeva impossibile intuire i suoi pensieri.

 

-La tua risoluzione. Comprendo.-

 

Si voltò, puntando lo sguardo verso la tenebra infinita che era l’orizzonte del Regno dei Morti: pareva stesse cercando qualcosa, ma non saprei tutt’oggi dire cosa. Forse le parole adatte da dire, forse un motivo per non rigettarmi nel fiume. Forse niente di tutto questo.

Senza girarsi, finì severamente:

 

-Non perderla mai. Ora che l’hai trovata, essa è ciò che più ti avvicinerà a Lord Hades… o alla morte. Comunque sia, il tuo percorso è iniziato qui, in questi luoghi. E qui finirà.-

 

Non capii bene se il suo tentativo fosse quello di incoraggiarmi, minacciarmi o altro. Olim di Fafnir sarebbe stato per molto tempo un mistero, per me.

Senza aggiungere altro, si allontanò per la sua strada, fino a svanire nelle ombre.

 

 

Vivere per me stesso, vivere per un padrone.

O entrambi.

Qual è il confine tra Fede e schiavitù? Tra costrizione e volontaria abnegazione?

Chi è artefice del mio Destino? Il Sire Hades? Il Master? Me stesso?

Sto ancora cercando una risposta; ma quel giorno, sulle rive del fiume di sangue, imparai una delle lezioni più importanti tra tutte quelle che ricevetti in cinque anni di addestramento.

Che, comunque fosse, dovevo continuare ad avanzare.

 





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Eh. Il nostro Bansheeino sta crescendo. <3  Voglio segnalare che la storia raccontata da Hajidah è effettivamente una favola tradizionale araba, che ho trovato, in varie versioni, vagando sul web, quindi non è uscita dalla mia testa. L’ho trovata adorabile, e molto significativa, e ho pensato di condividerla con voi. Meditate, sulla differenza tra il cammello e la formica. Meditate.
Ed ecco comparire Olim di Fafnir, un altro dei miei personaggi. Ed è meglio che non vi dica com’è nato, davvero. Per chi non sapesse cos’è il Fafnir, vi lascio alla Santa Wikipedia.

Non posso che ringraziare chi mi ha commentato, e anche –chiedo scusa se non l’ho fatto prima- chi ha aggiunto Il Canto tra i preferiti, ovvero Engel, hinayuki e Tsukuyomi. Ringrazio anche chi l’ha aggiunto alle seguite, ovvero Asteria 95, Engel (doppio spuccio!), Gaara4, Kinshine, lenna, Ren_chan e stantuffo.
Ren_chan, inoltre, è al solito da ringraziare per il betaggio. *chu*
Nota di merito ad Arkadio che se l’è fatta tutta di fila. Folle! Grazie mille XD

E ora, tempo di risposte:


Ren_chan: Povero Charles. *no, non è vero, è proprio come ha detto lei* Guarda, il daddy è adorabile, ma nel contesto uccide. Dylan ha un palese complesso di Elettra. Il problema è che è un maschio. Gh. Ti ringrazio enormemente, un bacione çOOç

Tsukuyomi: Grazie a te per i tuoi deliziosi commenti. Sono commosso. çOç *spuccia*

shiinait: Sì, i flashbacks negli Inferi sono devastanti, perché quando torni alla realtà è davvero difficile andare avanti. Per quanto riguarda la domanda, volevo specificare una cosa per te, che non conosci bene Saint Seiya: non è una distorsione effettuata da me. È Masami Kurumada ad aver interpretato alcuni miti un po’ come voleva, ed Euridice ne è l’esempio lampante; è possibile che compaiano altri riferimenti del genere, effettivamente, ma saranno, più che altro, appunto riferimenti all’opera di Kurumada, non cose inventate di sana pianta da me. Grazie mille per il commento, un bacione :*

Engel: Eh, sì! Gli specter non li calcola nessuno, e non capisco perché! Sono così amorevoli e viola! *O* sì, il Vivernone trasuda inglesume. Oh, nobile Viverna. Oh, my Lord. <3 *english fanboy* La fase preparatoria non è ancora finita, in quanto ci sono ancora alcuni personaggi da introdurre… *tende l’amo spoiler* ma il vivo arriverà, non temere. Grazie mille del commento, carissima. Un bacione!

Kinshine: …il Cerchio della Vita, sì. “Lui vive in teeeeeee” *rotola pensando al Re Leone* sono contento che il mio esperimento ti stia piacendo. Sì, mi sono infilato in una cosa più grande di me, palesemente… ma proveremo a portarla in porto. XD Grazie infinite, ti aspetto al prossimo capitolo! P.S.: Oh, la prima recensione! çOç *commosso* è stata deliziosa, davvero. E io non mi formalizzo, eh, puoi anche scrivere una riga in brainstorming, tanto quel che conta è l’amore *O*

Arkadio: Eh, c’è ancora molta strada da fare. Calcola che adesso Dylan ha quattordici anni, ovvero è nell’età di piena formazione.  Fisica, emotiva e spirituale. Spero che tu continuerai a seguire insieme a me lo spuccino viola. Grazie infinite per la recensione, un bacione grande <3

   
 
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