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Autore: Rowena    28/10/2009    2 recensioni
Cinque storie, un sogno – incubo – comune, cinque personaggi legati uno all'altro. E un passato che torna a terrorizzare nel cuore della notte.
Genere: Dark, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Benjamin Barker, Giudice Turpin, Johanna Barker, Lucy Barker, Mrs Lovett
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Note: Sfortunatamente non possiedo nulla di quanto ho usato in questa storia, né i personaggi né altro. Peccato soprattutto per i personaggi, sigh. Non scrivo a scopro di lucro e pertanto nessuna violazione del copyright è intesa.

Questa storia fa parte della serie Incubus, 2/5.



La donna è a letto, vestita di una camiciola pallida. I lunghi capelli biondi le ricadono disordinati sul guanciale, le braccia sopra il capo si agitano debolmente, sembra disturbata da qualche orribile visione notturna.
Osservi e taci, nel tuo angolo: sei commosso alla vista della tua sposa? Vorresti abbracciarla e svegliarla dolcemente come facevi una volta, e dissolvere quel terribile incubo, ma qualcosa t’impedisce qualsiasi movimento, non riesci neanche a strisciare i piedi sul pavimento polveroso…
Ed eccoli, i figli del signore della sabbia: essi escono dall’ombra, silenziosi come fantasmi, il nano e il cavallo. Non puoi fare altro che guardarli, mentre circondano la tua amata, e il moto di orrore che senti crescere dentro di te quasi ti soffoca. Come osa la creatura deforme sedersi sul suo ventre? Eccolo, opprime quel sonno già così inquieto e tormentato della tua adorata moglie, quasi sfidandoti a intervenire; ma ciò che ti sconvolge è il cavallo, quella bestia infernale che compare appena dai pesanti tendaggi, con i suoi enormi occhi ciechi: esso sovrasta la donna, la osserva e la studia in attesa di qualcosa. Ed eccola che grida per il terrore, e la sua voce si confonde del nitrito agghiacciante di quell’animale orrendo, e anche tu ti senti obbligato a urlare quasi che così tu possa scacciare questa visione terribile…


«Lucy!» gridò l’uomo aprendo gli occhi di scatto; avrebbe voluto alzarsi, ma il suo corpo era troppo debole per qualunque movimento.
Ancora una volta, un’altra notte: da quindici anni quel sogno ricorreva nella sua mente ogni volta che cercava un po’ di riposo, e ogni volta aveva il terribile impatto della prima. Come se la sua immaginazione non fosse sufficiente a tormentarlo su ciò che in tanto tempo poteva essere accaduto alla sua povera moglie…
Si guardò intorno, senza riconoscere il luogo in cui si trovava, una stanza chiusa apparentemente tutta di legno. Era ben diversa dalla cella in muratura in cui aveva vissuto da quando la nave carceraria l’aveva sbattuto sula costa australiana, e il rollio che percepì dopo qualche istante gli chiarì le idee: era a bordo di un galeone, una barca ben più grande del guscio di noce su cui era scappato.
Cercò di parlare e chiamare così qualcuno, ma la voce non uscì dalle sue labbra. Non aveva importanza: presto sarebbe tornato a casa, in un modo o nell’altro, sarebbe tornato dalle sue ragazze, Lucy e Johanna.
Per un istante dimenticò l’ingiustizia subita, la crudeltà del giudice che l’aveva condannato, gli anni di soprusi subiti in una delle peggiori prigioni di tutte le colonie britanniche… Tutto.
Perfino l’incubo perse importanza, malgrado l’avesse tormentato così tanto a lungo: la nave l’avrebbe lasciato al primo porto sulla sua rotta nella peggiore delle ipotesi, e lì avrebbe trovato un ingaggio per tornare a casa, a Londra.
Il primo attimo di felicità dopo quindici anni, ecco cosa stava assaporando: di certo non l’avrebbe rovinato per colpa di uno stupido sogno. Non aveva importanza, no, non poteva averla.

La donna si agita e geme, sembra la più lasciva delle prostitute ai tuoi occhi, mentre il nano ti osserva, quasi che voglia invitarti a unirti a lui. Ricordi la notte in cui hai avuto questa donna, durante la festa in maschera? Strillava più di una selvaggia, tra le risate degli invitati ubriachi, ma tu non te ne sei curato.
La guardi ancora, e ti chiedi se ciò che la tormenta sia angoscia o desiderio, ma poi il cavallo nitrisce e fa più paura dell’ululato di un lupo, i suoi occhi bianchi sembrano accusarti di tutti i mali del mondo. Anche il nano ti osserva con un’espressione diversa, alza un braccio e mentre la donna grida t’indica, e tu non riesci a sopportare tutto ciò…


Turpin aprì gli occhi e si ritrovò nel suo grande letto, nella bella casa comprata in una delle più belle vie di Londra molti anni prima. Non ebbe altre reazioni, ormai dopo quindici anni sapeva bene come annullare quell’orribile sogno che lo accompagnava nelle sue notti da tempo.
Lucy Barker, scomparsa nella realtà, continuava a tormentarlo in qualche modo nel mondo irreale dei sogni. Lucy Barker, la festa in maschera dopo i tanti sforzi che lui aveva compiuto perché potesse essere sua, per essere gentile, per non essere obbligato a tanto… Aveva perfino tolto di mezzo il marito, così da non intaccare la sua reputazione di donna virtuosa, ma neanche questo l’aveva convinta ad accettare la sua proposta.
La colpa era sua, in fondo: tutti sapevano che ciò che Turpin voleva per sé Turpin prendeva, senza possibilità di appello, perciò Lucy Barker aveva solo peggiorato la sua situazione.
Perché poi si fosse invaghito di una simile sciocca, ancora dopo tutti quegli anni non sapeva spiegarselo.
Il giudice si rigirò nel letto grande, tutto per lui, nel tentativo di scacciare così il fantasma di Lucy una buona volta. Dall’altra parte del corridoio dormiva Johanna, la sua pupilla: era diventata perfino più bella di sua madre, nel tempo, con la pelle bianca e morbida, gli occhi chiari e acquosi di un cerbiatto impaurito. E quei capelli biondi…
Non avrebbe commesso errori, questa volta: con il vincolo del matrimonio avrebbe legato a sé la ragazza per il resto della sua vita, e così sarebbe appartenuta a lui per sempre.
Il pensiero lo eccitò, ma qualunque desiderio fu repentinamente soffocato dal ricordo del sogno che lo aveva appena svegliato; tuttavia, ripensando a quell’incubo sogghignò: per quanto spiacevole, quella sensazione provava che in fondo anche lui era umano, contrariamente a quello che si diceva di lui…

Lei ti assomiglia come una goccia d’acqua, mentre si dimena per liberarsi dall’incubo. Hai paura più di lei che del nano, che di quel cavallo mostruoso: sei tu stessa e questo è il destino che ti attende? O, peggio ancora, è una visione del tuo passato?
Vorresti scappare e non puoi, non ti è permesso, e la scena davanti ai tuoi occhi sembra cambiare, ora la donna sei davvero tu, non ci sono dubbi, e un terribile sospetto s’insinua nella tua mente fantasiosa; quando il nano prende le sembianze di Turpin tu ti agiti e riesci finalmente a liberarti, e fuggi, e gridi pur sapendo che non ti sarà concessa alcuna via di salvezza. E la tua voce si perde in quella della donna, così come nel nitrito selvaggio di quel demonio cieco, e già sai di essere in trappola, per sempre…


Strinse i pugni tra i capelli, tirandoli cercando di concentrarsi sul dolore piuttosto che sull’incubo. Johanna si era svegliata di soprassalto con la voglia di urlare come aveva fatto la dona del suo sogno, come aveva fatto lei stessa costretta ad assistere a quella visione, ma ancora prima di aprire gli occhi era corsa a coprirsi la bocca con una mano per impedirsi di concedersi una reazione simile.
Gridare per un incubo non stava bene per una signorina di buone maniere, senza dubbio il giudice le avrebbe detto così, e poi magari si sarebbe insediato nella sua stanza a osservarla dormire per tutta la notte, come aveva già fatto in passato.
La presenza del tutore nella sua camera da letto turbava profondamente Johanna, che era già abbastanza adulta per rendersi conto che quell’uomo non la guardava certo come un padre avrebbe fatto con la propria figlia naturale. Non un padre di sani principi, almeno.
La sua esistenza era sempre più insopportabile: da quando si era sviluppata e le era cresciuto il seno, il giudice le aveva vietato di uscire se non in sua compagnia, aveva cacciato la donna che fino a quel momento si era presa cura di lei per quindici anni in quanto accusata di metterle in testa pensieri pericolosi e lascivi, le aveva impedito qualunque contatto con qualunque estraneo; in cambio, un uccelletto in gabbia come regalo per il suo ultimo compleanno.
La scusa era la sua sicurezza, poiché lei, la piccola e sciocca Johanna, non aveva idea di quanta crudeltà e scelleratezza nascondesse il mondo dietro i suoi colori e i suoni accattivanti, una pantomima per attrarre fanciulle frivole e rovinarle per sempre. Vivere così non era affatto vivere, perfino una ragazza con poca esperienza del mondo come lei poteva rendersene conto; passare intere giornate alla finestra guardando i passanti e desiderando di poter scendere in strada e mescolarsi a loro…
Johanna non chiedeva poi molto; aveva già avuto tanto dalla vita, così le ripetevano spesso il giudice e il suo inserviente Bamford, era stata accolta nella casa di un gentiluomo come una figlia quando perfino i suoi genitori l’avevano abbandonata per darsi al vizio, eppure non riusciva a essere grata al cielo per questo, non era abbastanza umile, né adattabile come le veniva ripetuto spesso.
Il sogno riappare vivido nella sua mente, crudele, e Johanna si passò le mani sugli occhi. Quella donna le appariva frequentemente nell’ultimo periodo, e le somigliava in maniera inquietante. Era lei stessa, o era sua madre come aveva immaginato più volte? E se era davvero così, come faceva a sognarla, se non l’aveva mai vista?
Più ci pensava, e più quel sogno spaventoso sembrava essere un avvertimento. Sì, ma cosa poteva fare lei per evitare qualunque pericolo la stesse aspettando, lei che non aveva neanche il permesso di urlare in quella che avrebbe dovuto considerare la sua casa?
Johanna si rigirò nel letto e cercò di concentrarsi su altro. Cambiare il suo destino non le era concesso, purtroppo, perciò qualunque avvertimento onirico sarebbe stato inutile.
Madre… proteggimi tu.

E mentre lei grida, il nano ti guarda: il suo ghigno è degno dei mostri che popolano l’inferno, ed è tutto per te, perché sa cosa hai fatto.
No, dici tu, non avresti potuto comportarti diversamente, e lei si è procurata con le sue stesse mani un così misero destino… Non era in tuo potere cambiare gli eventi, né impedirle di cercare la morte.
Bugiarda! Grida la donna, e la voce ti è fin troppo nota.


Nellie Lovett gridò con tutto il fiato che aveva, spaventata come non mai. Nessuno nella casa in Fleet Street l’avrebbe sentita, nessuno avrebbe chiesto spiegazioni, o domandato cosa l’aveva turbata tanto.
Erano anni che il fantasma di Lucy Barker non passava a tormentarla, se poi di fantasma si poteva parlare visto che la donna tecnicamente era ancora viva. Viva, sì, ma in che condizioni? Del tutto pazza, costretta a mendicare per la strada e a concedersi al più infimo degli esseri umani pur di ottenere un pezzo di pane. Quando passava per la via, la Lovett si voltava dall’altra parte, o costringeva se stessa a fingere di non vederla; non era stata colpa sua, si ripeteva, ma del giudice, e della stessa Lucy, del suo onore ferito. Ma lei non aveva fatto nulla per fermarla, sapeva che sarebbe successo nel momento in cui l’aveva scorta entrare nella bottega dello speziale, e non aveva impedito che si avvelenasse.
Non era andata come entrambe avevano sperato, purtroppo; perché così stavano le cose, la pasticcera aveva pregato che Mrs. Barker riuscisse a suicidarsi, così da eliminare un altro impedimento al coronamento del suo sogno. Sarebbe stato perfetto: lei avrebbe tenuto la bambina con sé e l’avrebbe educata come sua, così da commuovere Benjamin Barker al suo ritorno – perché lui sarebbe tornato, lei ne era certa – e convincerlo a risposarsi con lei. Lei che lo amava da sempre, ma che si era vista soppiantare da quella frigida e bionda bambolina di Lucy. Era un ottimo piano, o almeno lo sarebbe stato se quella stupida fosse stata capace di togliersi la vita!
Almeno da pazza non sarebbe stata riconoscibile, aveva pensato ai tempi, e tanti anni vissuti per la strada l’avrebbero resa un mostro; ma poi aveva perso anche la bambina, il giudice era arrivato alla sua bottega e aveva preteso la custodia della piccola Johanna, e lei non aveva avuto il coraggio per rifiutarsi.
Inimicarsi un simile personaggio era pericoloso, lo sapeva bene, e in più lei non era mai stata una donna con voglie di maternità; se Barker fosse ricomparso, avrebbe sempre potuto dire che la figlia era stata portata via con la forza da Turpin, che non aveva potuto impedirlo…
Ma Benjamin non era più tornato, e ormai anche le sue incrollabili speranze iniziavano a sgretolarsi.
Solo nei suoi sogni si sentiva in colpa per quello che aveva fatto, perché solo nella dimensione di Morfeo permetteva a se stessa di mostrarsi debole. In quel mondo di cani, si disse ancora una volta, era indispensabile pensare a se stessi se si voleva sopravvivere.
Lei voleva Barker per sé, in un modo o nell’altro, e se questo fosse stato possibile solo in quel modo, permettendo alla sua legittima moglie di diventare una prostituta fuori di senno e lasciando la sua bambina nelle grinfie di quel giudice senza cuore, tanto meglio per lei. Avrebbe vinto comunque, e il tormento nel sogno sarebbe stato ben poco pegno. Un buon bicchiere di gin avrebbe esorcizzato qualunque incubo, lo sapeva perfettamente.

Guardati guardati guardati…
Come sei bella
Bella bella
Bella…
Il nano ti sorride e il cavallo nitrisce contro i tuoi nemici: non sai i loro nomi, né li vuoi sapere, nulla ha più importanza.
Piangi piangi piangi…
Chiami Johanna, e lei non risponde. Dov’è la tua bambina, l’ha portata via il nano?


La mendicante di Fleet Street, perfettamente sveglia, strinse a sé con forza un fagotto di stracci che probabilmente un tempo erano stati una bambola di pezza, e ricominciò a sussurrare la solita nenia, forse una vecchia ninna nanna, cullando quel bambino immaginario.
Le voci le parlavano sempre, mostri e incubi venivano a conversare con lei, ma non se ne dispiaceva troppo. Aveva già da preoccuparsi per il cibo e qualche soldo, o per il freddo…
«Shhh, Johanna, non piangere», piagnucolò stringendosi il fagotto al seno. Riprese a vagare per la strada, senza meta, dopo aver lanciato un’ultima vacua occhiata al negozio di pasticci di carne di Fleet Street. Qualcosa le diceva che là sarebbe dovuta andare, qualcosa… Ma la strega che là abitava non le permetteva di entrare, mai, e la maltrattava più che poteva minacciandola perché non si avvicinasse più.
«Beadle deedle deedle deedle deedle dumpling, Beadle dumpling, Be-deedle dumpling», così cantava senza un senso preciso. «Non piangere, Johanna, il tuo papà tornerà presto…»
Il vento le sussurrò qualcosa, ma non ci badò. «Beadle dumpling, Be-deedle dumpling…»
Al suo fianco, il nano camminava con lei, il cavallo si offrì di portarla in groppa ma lei rifiutò, continuando a canticchiare quelle parole senza riuscire a fermarsi. Doveva occuparsi della sua bambina, farla smettere di piangere, non aveva tempo per frivolezze.




Lo so, la Lovett non ci fa una gran bella figura... Però alla fine nemmeno nel film la fa, no? E per me l'amore disperato per Benjamin Barker non è sufficiente a giustificarla. Non me ne vogliano i fan, io l'adoro e la trovo tenera in molti momenti, ma su certe cose...
   
 
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