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Autore: Emily Doe    06/11/2009    2 recensioni
“Le cose non cambieranno. Lei non sceglierà mai te – non l'ha mai fatto.”
Genere: Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Jacob Black, Leah Clearweater
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Breaking Dawn
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Disclaimer: I personaggi qui citati non appartengono a me, né a J.K.Rowling, come l'abitudine mi stava portando a scrivere XD, bensì a Stephenie Meyer. E bla, bla, bla.
Nota: Eh °_°, occorre una premessa. Metto subito in chiaro una cosa: a me la saga della Meyer non piace (ma manco un po'), per mille motivi più uno che non starò qui a spiegare. Sono masochista, ma questa è un'altra vicenda *reduce da una scommessa, vinta, per di più... *... ma è un bene conoscere il nemico! XD Scherzi a parte (sul nemico ^^), qui non c'è bashing: semplicemente qualcosina che mi era venuta in mente leggendo Breaking Dawn. Non ho esperienza alcuna nel fandom: non credo d'aver mai letto una singola fanfiction dedicata a questa saga, ma spero che nella mia storiella non ci siano discordanze (fatemele notare tranquillamente ^^) con la trama in sé, e che sia almeno leggibile.
Qui sotto ho riportato il punto che me l'ha fatta venire in mente, ed a cui si riferisce Jacob ^^. È ambientata, infatti, dopo quell'episodio, nella prima parte di Breaking Dawn (una sorta di missing moment).
Scritta sul prompt Forbici, numero estratto 9, dell'iniziativa Criticombola @ Criticoni.
(Sì, purtroppo sono giorni in cui mi vengono idee per scemenze una dopo l'altra XD'')



Quando ebbi finito, benché valutassi l'ipotesi di leccare la ciotola tanto per dare a Rosalie un pretesto per lamentarsi, sentii le dita fredde di Bella infilarsi fra i miei capelli e scendere in una carezza lungo la nuca.
“È ora di tagliarli?”
“Ti sta crescendo il pelo”, disse. “Forse...”
“Fammi indovinare. Qui c'è qualcuno che tagliava i capelli in un salone parigino?”
Ridacchiò. “Probabile.”
“No, grazie”, dissi anticipandola. “Sono a posto ancora per qualche settimana”.

(pagg. 272-273, “Breaking Dawn”, S. Meyer)






Cutting Away





“Non puoi continuare così.”
Non avevo bisogno di sollevare la testa per vederla davanti a me, mani sui fianchi, stranamente in forma umana: in fondo l'avevo sentita arrivare molto tempo prima. Da dietro gli arruffati capelli neri che mi scendevano davanti agli occhi, la scorgevo come a strisce: la mano destra, dura e decisa sul fianco, parte del busto, ma non il viso. Non che avessi la necessità di vederlo fisicamente, per sapere che, sicuramente, l'espressione che vi aveva dipinta su non era bonaria.
“Vattene, Leah, non sono in vena per una ramanzina.”
Inutile dire che non si mosse di un maledetto millimetro. Mi diedi mentalmente dell'idiota: essere un licantropo era fantastico, ti offriva un sacco di privilegi... certo, aveva anche i suoi bei lati negativi, ma sicuramente qualcosa che non ci mancava era un olfatto particolarmente sviluppato, quasi quanto quello dei puzzolenti succhiasangue, ed un udito spaventoso.
Perché non me l'ero svignata finché ero in tempo?
Accigliato, mi decisi a guardarla in volto.
Forse perché mi avrebbe trovato subito.
“Perché ti sei ritrasformata?” più che domandarglielo, glielo abbaiai contro.
Lei non fece una piega, continuando a fissarmi con quegli occhi scuri. Solo una lieve fossetta tra le sopracciglia indicava che non stava semplicemente mostrando la sua poca simpatia nei miei confronti, come sempre.
“Seth è di pattuglia.” alla mia sarcastica alzata di sopracciglia, aggiunse: “Ho pensato che forse non avresti voluto che sentisse.”
Sbuffai, un suono a metà tra il divertito, l'infastidito e l'acido. O l'arrabbiato. Non era un buon momento per lei; anche se avevo deciso di permettere a Leah e suo fratello di rimanere con me, con quello che loro vedevano come ciò che io non avrei mai voluto fosse – un branco, distinto da quello di Sam e degli altri –, continuavo a trovarla vagamente irritante. Molto più che vagamente.
“Seth sa tutto,” ribattei arricciando l'angolo destro delle labbra in quello che, forse, volevo far passare per un sorriso sicuro, duro. Uno di chi è fatto di roccia. Sono forte, posso esserlo; anche se tutti loro sapevano esattamente quel che provavo, grazie al 'pensiero unico' del branco, continuavo a ripetermelo. Forse prima o poi ci avrei creduto, forse prima o poi avrebbe funzionato. “Come il resto del branco, in fondo.”
Ignorai la stretta alle viscere al pensiero di quello che fino a poco prima era stata anche la mia famiglia.
Solo in quel momento Leah si mosse, scuotendo piano la testa, mentre socchiudeva gli occhi, cosa che le conferiva un'espressione dolorosamente consapevole.
“Seth, loro...” la sua pausa fu brevissima, giusto il tempo di risollevare le palpebre e gettarmi nuovamente uno di quei suoi sguardi sicuri, caustici, nonostante tutto. La correzione di quel 'Seth' in quel 'loro' la diceva lunga, e doveva averle ricordato tanto. “Possono sapere. Ma non possono capire.”
Forse perché volevo che qualcuno mi trovasse.
Rimasi in silenzio, e probabilmente lei lo prese come un incoraggiamento ad andare avanti. Non che non lo fosse, semplicemente... non sapevo neppure io cosa volessi davvero. L'unica cosa, l'unica persona che desideravo era accerchiata dagli esseri che più detestavo al mondo, con in grembo il figlio di uno di loro, che peraltro la stava rapidamente distruggendo, lontana. Lontana col cuore. Tutto ciò che volevo era a me precluso, e non per qualche assurda legge o regola morale, semplicemente perché Bella non amava me, e questo faceva ancora più male.
Avrebbe potuto... avrebbe potuto amarmi, ma, lo sapevo, non l'avrebbe fatto. Leah mi si avvicinò, e si sedette accanto a me, in un gesto di vicinanza, di fratellanza, che da lei mai mi sarei aspettato. Sapevo benissimo come la pensava riguardo al mio proposito di difendere Bella da Sam e da chi doveva sottostare al suo potere di alfa; sapevo come la pensava riguardo ai vampiri – come tutti noi, in fondo – e, soprattutto, sapevo che sacrificio fosse, per lei, fare un favore alla famiglia Cullen, sopportando il fatto che suo fratello non solo ne fosse entusiasta, ma che per questo, nella sua ottica di sorella maggiore, e forse anche di madre, ora che da Sue non potevano tornare, rischiasse di mettersi in pericolo.
“Io lo so cosa significa.” sussurrò, senza guardarmi. Seguii il suo esempio, e presi anch'io a fissare la foresta davanti a noi, che andava scurendosi sempre più, acquisendo sfumature ed ombre nuove ad ogni istante che passava. L'odore boschivo era forte, penetrante, ci circondava ed attutiva quello nauseabondo delle creature che incredibilmente stavamo proteggendo. “Io posso capirlo.”
L'ultima cosa che avrei pensato di volere era di discutere con qualcuno, specie con lei, di quello. Eppure, in quel momento, non riuscii a dirle di chiudere la bocca. Mi voltai nuovamente, e, di profilo, vidi una sfumatura cupa passare sul suo viso. Non era dovuta al buio, lo sapevo.
“Non posso dirti che passerà, perché non so se è vero,” continuò, e la sua voce, nonostante la nota vibrante di fondo, non tremava. Era stata costretta ad imparare a gestire la cosa, ciò però non significava che non la toccasse più. Lo sapevamo tutti, e tutti avevamo tentato di non vederlo. “Posso solo dirti che puoi essere più forte tu.”
Quando tornò a guardarmi, il suo sguardo era sempre quello fiero che conoscevo. Fiero, duro, con quella sfumatura cinica che tante volte aveva invaso i miei pensieri di lupo, sgradita. La sua bocca non sorrideva, non ricordando quello che, probabilmente, si ripeteva di continuo.
“Devi darci un taglio, Jacob.”
“Come?” possibile che quella, quasi un soffio, fosse la mia voce?
“Devi allontanarti da lei, se non fisicamente, almeno mentalmente. Ti stai facendo solo del male.”
“Lo so.”
“Le cose non cambieranno. Lei non sceglierà mai te – non l'ha mai fatto.”
“Lo so, dannazione!”
Il mio ruggito si propagò di colpo nel silenzio della foresta, infrangendosi, cupo ed aggressivo, contro le barriere che entrambi avevamo costruito attorno a noi stessi. Inaspettatamente, Leah sorrise.
“Adesso sì che ti riconosco.”
Mugugnai una risposta masticata tra i denti.
“Non dico che sia facile,” abbozzò un sorriso sarcastico. “Dai, come potrei dirlo, proprio io? Però devi tentare. Devi provarci.”
“Lo so,” ripetei, prima che tra noi scendesse il silenzio.

***


Non riuscii a reprimere un fragoroso scoppio di risate, alla vista della sua espressione.
“Che diamine stai facendo con quelle?”
Leah mi fissava con le sopracciglia aggrottate, la bocca piegata in una smorfia incredula. Seth, che da lontano, durante il cambio pattuglia, doveva aver avvertito lo stupore della sorella poco prima che tornasse alla sua forma umana, lanciò mentalmente qualche domanda curiosa, alla quale nessuno dei due, per il momento, poté rispondere.
“Giuro, Leah, dovresti vedere la tua faccia! Sei ridicola!”
Lei si avvicinò a me, con gli occhi che avrebbero potuto lanciare lampi per quell'insinuazione, ma che cedevano gradualmente il passo alla perplessità.
“Sapevo che sei scemo, ma non credevo fino a tal punto. Lo sai che quando parlavo di darci un taglio, non intendevo certo questo, vero?”
Era più forte di me, la sua espressione era tutta un programma. Agitai, fingendomi confuso e smarrito, quelle enormi forbici arrugginite – Charlie le chiamava cesoie, ma per le mie dimensioni erano solo un paio di forbici molto grosse – che avevo pescato dal magazzino degli aggeggi inutilizzati di casa Swan.
“No?” buttai lì, ostentando un'espressione di sorpresa ed incredulità. Purtroppo non sono mai stato un bravo attore, ed il mio proposito si spense rumorosamente in un altro accesso di risate profonde.
Leah, cominciando a capire, inarcò un sopracciglio ed arricciò il naso. Tipico.
“Tra l'altro, con quella pellaccia dura combineresti ben poco.” borbottò, girandomi attorno ed inginocchiandosi alle mie spalle. “Ci avevo già pensato io, ma essendo molto più furba di te avevo subito lasciato perdere. Peccato, non sai quanto mi piacerebbe tagliarti via il naso... o un braccio...”
“L'importante è non scendere troppo.”
Quella stupida battuta mi valse uno scappellotto, e se Leah non fosse stata un licantropo come me, probabilmente non l'avrei neppure avvertito. O forse si sarebbe rotta qualche osso della mano, come...
Lo stomaco si contorse improvvisamente, spegnendo la mia risata con un colpo secco. Lei dovette essersene accorta, perché riprese subito a parlare, risparmiandomi, con inusuale clemenza, una battuta caustica.
“Tutti uguali, voi uomini... eterni bambini,” sospirò. Poi, passandomi le mani tra i capelli che avevo appena cominciato ad aggredire, inspirò bruscamente, scandalizzata. “Che diamine stavi combinando, qui? Falciavi l'erbaccia?”
Con la mano libera mi scompigliai nuovamente i capelli, lunghi, annodati, scarmigliati, in senso inverso. Lì dove avevo iniziato a tagliarli potevo individuare al tatto mozziconi di diverse lunghezze.
“Volevo accorciarli un po',” mi giustificai. “Di certo non pensavo ad un taglio all'ultimo grido.”
La udii sospirare ancora, teatralmente, prima di sporgersi in avanti e togliermi, con decisione e forse anche un po' troppa forza, le ex cesoie di Charlie dalle mani.
“Dai qua, faccio io. Sei un disastro.”
La lasciai fare, visto che di sicuro non avevo nulla da perdere. Protestò un paio di volte perché me ne restassi fermo, quando io avrei voluto sgranchirmi un po', per il resto me ne stetti calmo, poco incline a scatenare le sue ire quando ancora aveva in mente la minaccia di poco prima. Non che, con la mia pellaccia dura, potessi farmi granché, ma avrei preferito evitare offese alla mia mascolinità.
Poi, per chissà quale motivo, aprii la bocca, e la domanda nacque da sé.
“Ricordi quando hai detto che avresti preferito dimenticare Sam, ed avere l'imprinting con qualcuno?”
Annuì. “Hai cambiato idea?”
Le sorrisi di rimando, anche se non poteva vedermi, stringendomi nelle spalle. Non riuscivo a cancellare la consapevolezza di quanto patetico dovesse apparire quel sorriso stiracchiato, patetico e stupido. Certe cose non serve vederle.
“No. Non potrei – non vorrei dimenticare qualcosa che è stata così a lungo, e così tanto, parte di me.”
Non rispose. Sapevo che capiva: per Sam era stato diverso, lui non aveva avuto possibilità di scelta. Aveva avuto l'imprinting, e per di più con la cugina di Leah, ed a questo nessuno aveva potuto porre rimedio. Di più: Leah aveva avuto Sam, per un po', e che a strapparglielo fosse stata una cosa così insindacabile, ed assurda a modo suo, avrebbe preferito dimenticarlo. Anche se questo avesse dovuto significare dimenticare i suoi sentimenti per Sam. Era stata un'ingiustizia, qualcosa che nessuno aveva potuto scegliere o sentire, semplicemente un istinto più forte di tutto il resto... ma era bastato a cancellare quello che lui provava per lei.
Bella, invece, aveva consapevolmente scelto Edward Cullen. Aveva scelto di amarlo, non aveva mai scelto me, come mi aveva ricordato Leah stessa il giorno prima. Forse era assurdo pensarlo, ma ai miei occhi, nonostante il dolore e la sofferenza interna, ciò conferiva al tutto un aspetto più genuino, sincero, sano. Non ero pronto a dimenticarlo.
“Però vorrei davvero andare avanti.”
Probabilmente il mormorio fuoriuscito dalle mie labbra era così debole che nessun essere umano avrebbe potuto decifrarlo, o anche solo percepirlo. Ma né Leah né io eravamo normali esseri umani, da un bel po' di tempo ormai.
“Ci vuole un po',” rispose lei, quasi parlando tra sé e sé. “Ma ce la puoi fare.”
Rimasi immobile, con lo sguardo puntato in terra, ad osservare le folte ciocche nere che cadevano dalla mia testa, aggrovigliandosi o formando riccioli e curve curiose. Darci un taglio. Era una parola.
Cercai di non ricordare chi mi avesse fatto notare l'eccessiva lunghezza dei capelli, ma non riuscii ad impedire al mio respiro di farsi strada, con più fatica, verso i polmoni. Quasi un colpo sordo, ogni volta.
Sempre lei, pensai, prendendo in mano un ciuffo di capelli ed annodandolo strettamente. Andare avanti...
“Leah,” dissi, il rumore delle forbici che continuava a riempire quei buchi di silenzio.
“Mmm?”
“Grazie.”
Le sue mani non si fermarono, e pur non essendo lupo, riuscii a sentirla sorridere, certo che avesse negli occhi quello sguardo scuro e consapevole, serio, ed addolorato. Uno sguardo simile al mio.
“Tu mi hai offerto un posto dove stare, quando non potevo più averne uno.” rispose a voce bassa, vibrante.
Avrei voluto dire che non era stato nulla, che in fondo la sua presenza era stata meno fastidiosa del previsto, ma non dissi niente. Me ne restai lì, in silenzio, mentre lei sforbiciava prima sopra, e poi un po' più in basso, all'attaccatura dei capelli. Le sue dita calde mi solleticarono la pelle, per poi tornare ad occuparsi di un ciuffo più ribelle degli altri, vicino alla tempia destra.
Non riuscivo a non pensare, con quella conosciuta stretta rovente al petto, che, nonostante tutto ed ancora una volta, non erano le sue le mani che avrei voluto avvertire scivolarmi, nuovamente, sulla nuca.










NdA: Oh, beh. Alla fine eccomi qui, l'ho postata. No, non amo l'idea dell'imprinting, si nota? ^^' Ed ora credo di poter dire addio al fandom Twilight :lol:. Un ringraziamento va alla moglia (che ha perso quella scommessa) ed a Dani (... sono sempre più sicura della teoria delle pompette), per avermi costantemente incitata alla pubblicazione, e per essersi letta questa cosina... pur non amando neppure loro la serie XD.
Grazie per aver letto,
Emy
   
 
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