Eccoci alla seconda puntata!
Ringrazio tre amiche per la rilettura, i consigli e le recensioni: Cara Silen, sì, la Luce ha visto la luce, ma, poverina, era già al tramonto! Vedi che come battute scrause ci so fare anch'io? A parte questo, sono felicissimo di aver potuto contare sul tuo aiuto e sul tuo continuo incoraggiamento fin quasi dalla nascita dell'opera, e prendo molto sul serio la tua promessa. Spero tanto che il racconto possa risultare interessante per chi ha apprezzato il fumetto anche se narra avvenimenti accaduti prima della nascita delle protagoniste. Cara Rowena, ti devo ringraziare anche perchè ho buttato giù il soggetto dettagliato di questa storia subito dopo aver avuto uno scambio epistolare con te a proposito di Orube e di Kandrakar, circa un anno fa; ho sempre apprezzato la tua conoscenza approfondita del fandom, che mi ha ispirato più volte. Invero la mia primissima idea di Adariel e del suo background è nata quattro anni fa con 'Lettera a Elyon', scritta di getto assieme ai primissimi abbozzi di Profezie, e rimasta per anni nel cassetto; così la ho adattata e inserita nei capitoli finali della presente fiction. Disegnare Dean Collins senza baffi? Quasi quasi... però adattando photoshoppescamente qualche disegno Disney. Una galleria dei personaggi non ci starebbe male, però il lavoro sui disegni mi sta già provocando ritardi a Profezie, non riesco a sostenere graficamente entrambe le fiction. Cara Atlantis Lux, sono felicissimo di poterti annoverare tra le lettrici (chissè se c'è anche qualche lettore, a parte me stesso?) e rilettrici della Luce. Mi fa piacere che ti sia piaciuta Adariel, personaggio che a mio modo di vedere ricorda molto la Elyon di Profezie, sostituendo però certi atteggiamenti da ragazzina immatura con altri da persona senza età. Il modo diverso in cui il tempo passa per un personaggio in grado di prolungare la sua vita impone delle riflessioni sul suo modo di rapportarsi con persone che vede invecchiare, morire ed essere, per quanto è possibile, rimpiazzate da altre. Tu, come autrice, ti sei trovata a affrontare tematiche simili in Eden imperfetto, un'opera che spero di veder terminata presto. Buona lettura
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Cap.2
Il ruolo del principe
“Forse è un errore di noi Escanor, ritenerci
indispensabili al mondo. Il sole tramonta sempre per risorgere su un nuovo
giorno, anche senza di noi”.
Il Principe Consorte, Adleric Escanor
Meridian, palazzo reale, sala del trono.
Attraverso le grandi vetrate, la luce del pomeriggio riverbera
sulle volte azzurrine e sugli arabeschi dorati del salone.
Le due guardie dalla pelle salvia ai lati del portone
a sesto acuto socchiudono gli occhi e drizzano le orecchie appuntite, distinguendo
un vago baluginio sull’ampia pedana del trono. La loro sovrana sta per
apparire.
Appena materializzatasi, Adariel risponde con un cenno
e un sorriso fuggevole al saluto marziale dei due soldati. Pensierosa,
si fa sparire nel palmo il sigillo di teletrasporto, che le ricorda crudelmente
quanto i suoi poteri si siano ridotti negli ultimi anni. Quindi, con un
secondo alone opalescente, i suoi abiti terrestri mutano in qualcosa di
più adatto al suo rango reale.
Attorno al suo capo è apparsa dal niente anche
la Corona di Luce: argentea, dalle linee sobrie, con una grande ametista
ovale sul frontale. Non è solo un simbolo esteriore della sua regalità;
dai tempi del mitico capostipite Escanor, questo gioiello ha conferito
alle regine di Meridian quel di più di poteri parapsichici che le
hanno distinte dalle altre principesse della loro stirpe divina, impedendo
che l’energia creata dal loro stesso metabolismo si disperdesse quando
non utilizzata per operare prodigi. Purtroppo, ora Adariel ne ha ben poca
da conservare: in pieno declino, dipende per sopravvivere dalla magia che
la sua città può donarle.
Peggio ancora, ora lei è l’ultima donna a fregiarsi
di quel cognome.
Riflette tristemente: con che parole potrà riferire
al suo sposo Adleric che neppure questo tentativo ha avuto successo?
Pensierosa, si porta all’ampia finestratura a sinistra;
obbedendo alla sua volontà, due alti battenti vetrati scorrono sulle
loro guide, lasciando esposto un balcone dagli ornamenti barocchi.
Si appoggia alla balaustra. Centotrenta metri sotto,
ai piedi della scarpata, si stende Meridian, la sua capitale, incassata
in un ampio vallone alle pendici di un altopiano boscoso. Il sole pomeridiano
illumina i tetti d’ardesia e le viette contorte e inerpicate. In distanza,
la città digrada verso una pianura verde che si perde in una leggera
foschia all’orizzonte.
“Vostra Altezza!”. La voce allarmata del comandante della
Guardia di Palazzo la richiama.
L’ufficiale dalla pelle verde salvia viene verso di lei
attraverso i sottili colonnati della grande sala.
Adariel si volta inquieta, vedendolo mentre saluta percuotendosi
il petto. “Comandante Alborn…”, gli risponde in meridiano.
“Altezza, mentre eravate via, il principe consorte Adleric
ha avuto un malore”.
“Cosa?” grida d’angoscia lei, portandosi le mani al viso.
“Avevo appena mandato il capitano Miriadel a cercarvi
a Heatherfield, credevamo…”.
La regina non lo ascolta più. Estratto nuovamente
il sigillo per il teletrasporto, svanisce in un tremolio.
Un attimo dopo riappare nella loro sontuosa camera da
letto nella torre nordest del palazzo.
Lidrienel, la sua ancella dalla pelle azzurrina, si arresta
sorpresa solo un attimo prima di venirle addosso. “Altezza!”.
Accanto al letto, chino, c’è un essere che all’apparenza
non ha niente d’umano: il grosso corpo, a striature verdi e terracotta,
termina con una tozza coda che esce dalla veste e che lo fa sembrare un
dinosauro obeso dal muso piatto. E’ Galgheita, la guaritrice di fiducia.
Lo sguardo di Adariel non si sofferma su di lei: cerca
subito il suo sposo, e lo vede disteso sul letto. “Adleric, come stai?”.
Si precipita accanto a lui prendendogli una mano tra le sue. Rabbrividisce
sentendo quanto è fredda e umida, quasi appiccicosa. “Adleric, rispondimi,
ti prego!”.
L’uomo, disteso sul lettone, apre gli occhi a fatica,
mostrando le iridi del colore delle nuvole. Il volto, lungo e liscio, sembra
quello di un giovane malato di vecchiaia. “Adariel… temo che sia arrivato
il momento”.
Lei gli stringe le mani, il viso distorto dal dolore.
“Amore, non dire così… Galgheita, fa qualcosa!”.
In risposta a quell’ordine disperato, la guaritrice allunga
la sua grossa mano e la appoggia delicatamente sulla fronte del principe
consorte, scostando le lunghe ciocche di capelli biondo cenere. Ma non
cambia niente.
“Galgheita ha già fatto tanto” risponde lui bisbigliando,
quasi inudibile. “Ora l’unica cosa sensata è rassegnarsi, gattina
mia. Niente vive per sempre. La nostra magia ha ritardato questo momento,
ma sapevamo che sarebbe arrivato. Ho vissuto duecentosessantatre anni;
non è neanche lecito chiedere di più”.
Adariel stringe le palpebre, piangendo. “Ho fallito,
Adleric. Non ho trovato niente di ciò che speravo”.
Lui annuisce debolmente. “Non incolparti. Guardiamo in
faccia la realtà: siamo fragili, esauriti. Non siamo in grado di
dare più niente al nostro popolo. Se anche fosse possibile allungare
quest’agonia, ciò costerebbe alla città un’enorme quantità
d’energia. Non possiamo più chiedere tanto”. Volge il viso verso
la finestra. “E’ giusto rassegnarsi: non c’è giorno senza tramonto”.
“Taci, Adleric! Non parlare così” singhiozza la
regina, riconoscendo una frase sua. “Il nostro compito qui non è
finito!”. Gli stringe al petto le mani sempre più gelide, come cercando
di scaldarle.
Lui continua: “Ho un solo, enorme rimpianto: nessuna,
tra le nostre figlie, è sopravvissuta. Le unioni tra consanguinei
ci hanno portato a questo… cugina mia. Non siamo riusciti a dare una nuova
regina a Meridian. Ma forse è un errore di noi Escanor, ritenerci
indispensabili al mondo. Il sole tramonta sempre per risorgere su un nuovo
giorno, anche senza di noi”.
Adariel comincia a singhiozzare. “Non parlare così,
ti prego! Mi sento così in colpa! So che avrei dovuto continuare
a tentare, e poi ancora a tentare… ma non ho più avuto il coraggio,
dopo averne viste morire cinque nella culla!”.
“Gattina mia… non piangere. Pensa a quanto è stata
eccezionale… la nostra vita… io mi ricordo i momenti migliori…”.
Lei tira su di naso, accettando un fazzoletto che le
porge l’ancella. “Adleric… per una cosa sono stata tanto fortunata. Il
nostro è stato un matrimonio dinastico, una scelta obbligata. Avrebbe
potuto essere una prigione, e invece sono stata tanto felice di te.
Dopo duecentoquaranta anni assieme, ora ti amo ancora più del primo
giorno”. Si distende sul letto accanto a lui, senza mollargli le mani.
“Ti ricordi al matrimonio, che bagno di folla? Li sentivo. Li sentivo tutti,
i loro pensieri, i loro cuori, la loro gioia! Questa città ci ha
amato… è stato il premio per la nostra dedizione, per…”.
Si interrompe. Non sente più la debole stretta
delle sue mani. “Adleric? ADLERIC!?!”.
Le basta un’occhiata per vedere la vita che lascia il
corpo. Per un attimo ha la sensazione che, eretta sopra di lui, un’eterea
figura umana la guardi, s’inginocchi per sfiorarle il viso, e poi si dissolva
per sempre.
“Adleric…”. Lo sguardo della regina resta fisso nel vuoto,
dove ha visto sparire lo spirito.
Galgheita ritira la mano dalla fronte dell’uomo e si
raccoglie come in preghiera, mentre l’ancella Lidrienel si copre il viso
con le mani, sconvolta, e scoppia a singhiozzare.
Sulla porta, immobile e pallido come una statua, c’è
il comandante Alborn. Da quanto tempo è lì?
Adariel resta accovacciata sul grande letto, appoggiandosi
ad un braccio, come incredula.
Galgheita, intuendo la sua debolezza, le si avvicina,
imponendole le mani sulla testa.
Un leggero alone luminoso percorre lentamente il corpo
della regina, dal capo ai piedi.
Dopo qualche secondo, ripreso il colore, esala: “Addio,
Adleric”.
Per contro Galgheita, senza più forze, si appoggia
al letto. I suoi piccoli occhi dall’iride rosso scuro sembrano lottare
per restare aperti. “Altezza… scusate, devo proprio andare a bagnarmi nell’acqua
magica”.
Alborn si fa avanti e le offre un braccio. “Appoggiatevi
a me, Maestra. Vi faccio accompagnare alla fonte”. Detto questo,
la conduce fuori della stanza.
Un leggero baluginio appare al centro della camera, accompagnato
da una tenue nota bassa, e prende forma il principe Phobos. Alto quasi
due metri, bello e maestoso con i suoi lunghi capelli biondi e la barbetta
scolpita e colorata con cura, Phobos assomiglia molto a suo padre Adleric;
come lui, dimostra un’età apparente sui venticinque anni grazie
al controllo che esercita sul suo fisico, ma in realtà il giovane
ne ha una cinquantina.
Si avvicina al letto. Non servono spiegazioni. “Padre…”.
Tace a lungo, assorto e compunto. A differenza di sua madre, dentro di
sé era già preparato da tempo a quest’epilogo.
Poi nota Adariel, affranta sul letto, e le si avvicina.
“Madre, devi essere forte. Alzati!”. Le prende una mano, traendola piano
a sé.
La regina si rimette in piedi, come inebetita, e si stringe
al petto del figlio. “Oh, Phobos...”.
Il principe le passa un braccio attorno alle spalle,
condividendo il momento di commozione, e scandisce solenne il suo addio:
“Padre, sei stato un Re giusto e onorato. Il popolo del Metamondo ti ricorderà
per i secoli a venire, e si chinerà al tuo nome e alla tua discendenza.
Ti prometto che ricalcherò le tue orme gloriose, e perpetuerò
la nostra dinastia”.
Mentre tre ancelle entrano, si genuflettono davanti al
corpo e cominciano a prepararlo per i riti funebri, le parole di Phobos
si fanno strada lentamente nella mente annebbiata di Adariel. ‘Re glorioso…
si chineranno… ricalcherò le tue orme…’. E’ impossibile non capire
le sue intenzioni. Non dovrebbe neanche sorprendersi, le immaginava già,
ma annunciarle proprio in quel momento…
Si sforza di articolare: “Figlio mio… devo dirti una
cosa importante. Non esporti con dichiarazioni pubbliche sulla successione,
prima di averne discusso assieme”.
Per un attimo, Phobos aggrotta lo sguardo. “Parliamone
adesso, allora”, risponde con tono calmo, ma non serve leggere il pensiero
per percepirne la tensione.
“Non ora, caro. Non qui. Tuo padre ci ha appena lasciato,
e…”.
“E quindi è necessario annunciare qualcosa alla
città al più presto”. Le fa un sorriso teso, mostrandole
tutti i denti, mentre il braccio che le tiene attorno alle spalle s’irrigidisce
come un giogo.
I due svaniscono dalla vista addolorata dei presenti.
Un istante dopo, attorno a loro prende forma il salone:
sono sulla pedana, proprio davanti al Trono di Luce. Un’occhiata dell’uomo
è sufficiente: le due guardie escono, chiudendosi dietro i grandi
battenti dagli eleganti arabeschi di bronzo dorato.
Adariel si copre il viso sconvolto con una mano. “Figlio,
ti prego! Non discutiamone proprio ora!”.
“Invece sì!” comanda lui, sovrastandola di tutta
la testa e il collo. “Dimmi ciò che devi dirmi, o taci per sempre!”.
Adariel lo osserva e capisce: dietro lo sguardo imperioso
che lui le punta addosso non c’è solo l’impazienza; Phobos ha deliberatamente
deciso di affrontarla in questo momento di debolezza. Anche lei dovrà
chiamare a sé tutta la sua volontà, perché la questione
è troppo importante.
“Figlio mio amato… sai che non vorrei mai deluderti,
ma devo ricordarti la legge: la successione al trono avviene solo per via
femminile. Tuo padre non si è mai definito Re, ma Principe Consorte”.
Lui si rabbuia. “Mio padre ha coperto incarichi importantissimi,
e negli ultimi decenni, col declino della sua salute, li ha passati tutti
a me. E anche tu hai fatto così”.
Lei prende fiato, torcendosi le mani. “Te ne rendo merito,
Phobos. Se non ci fossi stato tu, non so come avremmo fatto. Però
il posto più importante di tuo padre era accanto a me, nella mia
vita e nel mio letto. Non è questo che vuoi, vero?”.
Con un lampo di sdegno negli occhi, lui fa un passo indietro.
“No di certo!”. Poi la sua voce torna rammaricata, di circostanza: “Ma,
purtroppo, la sfortuna si è accanita sul vostro talamo. Mi dispiace
di dovertelo ricordare: di tutte le mie sorelle che hai messo al mondo,
non una ha superato l’anno d’età”.
Lei abbassa lo sguardo, ancora più addolorata:
“Infatti, non hai bisogno di ricordarmelo. Ci penso sempre”.
“Perciò…” continua lui con un’espressione che
tenta di sembrare rammaricata, “… ora la cosa più sensata è
riunire il consiglio e far approvare una legge che autorizzi la successione
per via maschile”.
Lei scuote il viso. “Lo sai che i poteri parapsichici
degli Escanor vengono ereditati solo per via materna, assieme ai mitocondri
delle ovocellule. Anche se tu fossi re, non potresti trasmettere queste
capacità ai tuoi figli”.
Lui annuisce, grave. “Madre, risolverò il problema.
Dovresti ben sapere quanto sono forti i miei poteri magici”. Poi, con intenzione:
“E, se questo è il metro per valutare chi deve governare, posso
aggiungere che oggi sono molto più forti dei tuoi, nonostante la
Corona di Luce”.
Adariel porta la mano al gioiello sul capo, risentita:
in duecentosessanta anni di regno nessuno ha mai osato neanche solo pensare
una cosa del genere! Cerca di esprimere più decisione: “Ma, ripeto,
i tuoi poteri innati non sono trasmissibili! Tu potrai anche essere un
ottimo re, eccellere nella magia, vivere e governare altri duecento anni,
ma i tuoi figli non sarebbero come te. Come conseguenza, per mantenere
il potere dovrebbero affidarsi alla forza delle armi, ma non è con
il ferro e col sangue che si tiene unito un mondo intero”.
Phobos scrolla le spalle possenti. “Conosco anch’io la
storia. I re antichi hanno governato così, sia sul Metamondo sia
sulla Terra”.
La regina lampeggia con gli occhi come se avesse sentito
una bestemmia. “Quei re antichi hanno fatto pagare il loro potere con la
morte di milioni di persone. Militari e civili. Amici e nemici!”. Si stringe
nelle braccia. “E, nonostante ciò, non sono neppure riusciti ad
unificare questo mondo, né l’altro, ma solo a spartirseli tra loro”.
Torna a guardarlo, sicura. “Noi Escanor siamo una novità nell’evoluzione.
Con i nostri poteri magici, abbiamo unificato il Metamondo. Abbiamo abolito
le guerre, la corruzione, gli abusi”.
“Ma certo” risponde Phobos, rinnovando lo sforzo per
essere conciliante. “Io stesso faccio parte di questa dinastia. Ne ho il
sangue e le capacità, e intendo seguire gli stessi metodi”. Fa una
pausa. “E, soprattutto, sono l’unico rimasto”. Termina allargando le braccia:
“E allora, di che cosa stiamo discutendo?”.
Adariel prende fiato. E’ il momento di giocare il tutto
per tutto. “Phobos, tu avrai una sorella tra otto mesi”.
Lui resta pietrificato. Per un attimo perde tutta la
sua baldanza. “Ma… Ma..”. Poi il suo viso si distorce in una smorfia di
rabbia. “Ma cosa dici? Mio padre era infermo da tempo! Non posso credere
che abbia concepito alcun figlio!”.
Lei s’inalbera. “Mi stai dando della bugiarda, o dell’infedele?”.
“Non l’ho detto!”, si schermisce lui, ancora più
sorpreso da questa reazione inusuale. “Né pensato”.
“E allora sappi: mia figlia avrà sangue Escanor
al cento per cento, e poteri uguali ai miei!”.
“Ma tu stessa hai un piede nella tomba!” sbotta esasperato.
“Invece vivrò abbastanza da mettere al mondo la
nuova Luce di Meridian!”.
Phobos la studia, riprendendo il controllo. Inutile litigare
ora, probabilmente questa bambina morirà nella culla come tutte
quelle che l’hanno preceduta. “E io?” chiede, indicandosi.
“Tu sarai il suo sposo, il suo principe consorte. E’
l’unico modo per continuare la dinastia ed evitare il caos”.
Lui la fissa minaccioso, trattenendo l’ira, e scandisce
le parole: “Madre, io ho cinquant’anni, di cui trenta di esperienza di
governo. Ora il futuro che mi prospetti è di dover sposare una sorella
non ancora nata, esserle subordinato fino alla fine dei miei giorni e unirmi
a lei per mettere al mondo figli che, per la maggior parte, moriranno nella
culla!”.
Lei lo guarda con sfida. “Tranne qualche dettaglio, è
stato il destino di tuo padre. Non volevi prendere il suo posto?”. Mentre
si sforza di tenere su lo sguardo, le lacrime riprendono a rigarle il viso.
Per un attimo, gli occhi di Phobos diventano due fessure,
poi si rilassa. Di cosa si preoccupa? Probabilmente la bambina non vivrà
più delle altre, e la stessa Adariel potrebbe morire prima di darla
alla luce. Rammarico e sollievo si mescolano inestricabili per questo pensiero.
“Va bene, madre. Se tutto andrà come dici, farò il mio dovere
verso Meridian, come vuoi tu”. Prende fiato. “Ma ad una condizione. Voglio
che tu faccia approvare dal consiglio una legge che legittimi la successione
per via maschile, anche se subordinata. Così, se la bambina dovesse
morire…”.
Lei scuote il capo. “Phobos, risparmiati quest’illusione.
Molti anni fa il Dio del Fato mi ha ispirato una profezia: la settima Luce
di Meridian si chiamerà Elyon”.
Lui aggrotta lo sguardo, scettico. “Mi sa che il tuo
Dio del Fato perdeva colpi. Elyon è morta in culla, quarantasei
anni fa”. Poi storce il viso, afferrando: “Madre, vuoi dare a questa figlia
il nome di un’altra già morta?”.
Gli occhi della regina lampeggiano. “Questa Elyon vivrà,
e prenderà il mio posto dopo che…”. S’interrompe, come spaventata
dalle parole sulla punta della sua lingua.
Phobos nota l’esitazione. Cosa stava per dire? Prova
a leggerle il pensiero, ma la mente di lei si è serrata come le
sue labbra.
Phobos insiste, usando con sempre più forza il
suo potere telepatico. Per un attimo la mente di Adariel gli resiste. Per
lui, però, è arrivato il momento di chiarire chi è
il più forte. I suoi occhi diventano due fessure per lo sforzo,
poi di colpo la resistenza di lei cade.
Dopo un attimo, Phobos resta senza fiato. “Tu… madre…”.
Poi si ribella: “No! E’ falso! Io non sarò così! Credere
infallibili le tue stesse profezie è una prigione che ti sei costruita
da sola! Le tue serve sono più libere di te!”. Parte a grandi passi
verso la porta chiusa, poi si volta indietro con un’ultima occhiata carica
di risentimento. “Il futuro ce lo costruiamo con le nostre azioni”.
La regina si accascia sul trono, senza forze, vedendo
il principe che sparisce attraversando come uno spettro la porta chiusa.
Comincia a piangere sommessamente. “Adleric… Phobos… Galgheita! Galgheita,
ti prego, dove sei?”.
Le guardie, che stavano riaprendo i battenti, li richiudono
con imbarazzo sentendo i singhiozzi della Luce di Meridian.
Pochi secondi dopo, la sagoma inumana ma rassicurante
di Galgheita emerge da un baluginio. “Mia regina…”. Si avvicina, prendendole
una mano tra le sue. “Cosa vi è successo?”.
Adariel scuote il capo, senza smettere di piangere.
Non serve parlare: la guaritrice, al contatto delle mani,
percepisce i ricordi vividissimi e le emozioni brucianti della discussione
appena avvenuta. “Oh, Deì… Mia regina…. Non è giusto! Costretta
a parlare così in un momento simile!”.
“Sono sola, ora!” singhiozza Adariel appoggiando il viso
alla spalla di Galgheita. “Phobos mi odierà per sempre!”.
La guaritrice dirige la sua poca energia verso la Luce
di Meridian attraverso il contatto.
Dopo un po’, smettendo di piangere, la regina esala:
“Se potessi farne a meno, di queste profezie, o se potessi ignorarle… Fin
da bambina, mi hanno legato le mani”.
Galgheita annuisce. E’ esausta, ma non può ritirarsi
in un momento simile.
Dopo un attimo di silenzio, si accorge che i pensieri
della regina stanno vagando nel passato.
“Altezza…”.
“Sì?”.
“Posso sapere qual è la profezia che Phobos vi
ha letto nella mente, e lo ha così sconvolto?”.
Adariel si morde le labbra, poi si guarda attorno. Sono
sole. “Galgheita, il Dio del Fato mi rivelò che Phobos diventerà
un tiranno, crudele e odiatissimo. Che tenterà di uccidere sua sorella.
E che morirà tra dodici anni, solo e braccato”.
L’altra si copre la bocca. “No!”.
La regina si alza, cammina lentamente verso la vetrata
ancora aperta, e si sporge malinconica sul balcone. Con il sole del tramonto
alle spalle, l’ombra che le grandi torri del palazzo proiettano sulla città
sottostante assomiglia ad una gran mano scura protesa sull’abitato. Quell’ombra
è uguale ogni sera da duecentocinquanta anni in qua, ma oggi le
sembra un sinistro presagio.
Con un brivido, esala: “E quel futuro incomincia ora”.
Meridian, giardino interno del palazzo reale
Nel folto del giardino interno, nascosto ad occhi indiscreti
da alberi enormi e rampicanti foltissimi, Phobos si è ritirato a
riflettere, seduto sulla riva di un’incantevole polla d’acqua.
Questo ambiente è sempre riuscito a rilassarlo
anche nei momenti peggiori, vincendo ogni amarezza.
Pian piano, anche questa volta i battiti del suo cuore
cessano la loro corsa, ed il suo respiro torna alla lentezza usuale.
Sente vagamente che quello sarebbe il momento di pensare
a suo padre, appena morto. Di vegliarlo, di stargli vicino, di riempirsene
gli occhi, finché il suo corpo resterà accessibile, prima
di essere reso incorruttibile da una bara di cristallo e teletrasportato
in una cripta lontana dalla quale nessuno è mai tornato, in una
finzione di vita eterna.
Invece, è a sua madre che pensa. Perché
si illude ancora? Anche questa figlia che sta aspettando, questa Elyon,
non vivrà. Forse riuscirà a vedere la luce del giorno, forse
riuscirà a distinguere il viso stanco della mamma e a gioire del
suo sguardo amorevole, ma anche lei, infine, seguirà il triste destino
di quelle che la hanno preceduta nella culla.
Nonostante la sua amarezza, Phobos non può fare
a meno di ammirare il coraggio disperato di sua madre nel riprovarci, ora,
con la morte che le alita sul collo.
Più ancora di questa neonata condannata in partenza,
l’ostacolo davanti a lui è l’opposizione della regina. Non che gli
impedirebbe di raggiungere il potere: una volta rimasto solo, non esisterebbe
alternativa a lui come governante. Invece, sarebbe il suo prestigio ad
esserne compromesso. Dovrebbe imporre lui stesso una modifica a suo favore
della legge di successione, un atto contro le consuetudini che lo metterà
certo in cattiva luce, se fatto senza l’appoggio dichiarato della Luce
di Meridian.
Per tutti questi anni è stato un amministratore
attento, preparato, autorevole. Di fatto, ha svolto molto di più
lui le funzioni di re che i suoi genitori. Eppure non è bastato.
Ci vorrà qualcosa di più, dovrà
giocare delle nuove carte per convincere il Consiglio dei Veglianti a supportarlo
spontaneamente, e magari perché anche la madre riconosca senza recriminazioni
la sua autorità.
Uno dei motivi per cui il trono è precluso ai
maschi di stirpe reale è che i loro poteri magici sono inferiori
a quelli delle femmine. Ebbene, la magia non è solo questione di
cromosomi e di poteri psichici innati. E’ una disciplina complessa che
può essere appresa e sviluppata, fatta anche dell’utilizzo di energie
della natura, di rituali arcani che mettono in comunicazione la mente con
altri mondi spirituali, di scienze perdute da millenni e forse conservate
in qualche antico libro. Magari nella loro stessa biblioteca, unica al
mondo, proibita a chiunque altro.
Forse è il momento che certe conoscenze tornino
alla luce. Forse è il momento che l’energia sia incanalata in pochi
grandiosi progetti, anziché essere dispersa in mille rivoletti per
curare acciacchi meschini.
Il tempo per dimostrare l’ascesa delle sue capacità
verso le vette più alte è poco, si conterà in mesi
più che in anni. Questa strada richiederà molto studio, molto
sacrificio, e l’investimento di una grande quantità di risorse.