» Patetico
Non doveva andare così,
pensa Jiraya, avanzando lentamente. Ogni passo
strascicato lo porta sempre più vicino a Tsunade,
immobile accanto alla lapide di Dan.
Non doveva andare così,
si ripete, e abbassa le palpebre, riparandosi da quel sole che gli ferisce gli
occhi; è mezzogiorno e le ombre si ripiegano su se stesse, quasi
volessero sparire. Esattamente quello che Jiraya vorrebbe, ma non può fare.
Lui non è soltanto l’assenza di luce
proiettata da un corpo, ma è fatto di carne, sangue, pelle, ossa.
Cuore, mente.
E questi ultimi provano cose che non dovrebbero
provare, pensano cose che non dovrebbero pensare, e così via. Ad
esempio, non credono sia giusto sentirsi così in un giorno come quello,
ma lui non ne può fare a meno. Dovrebbe essere triste, piangere magari,
essere pronto a consolare Tsunade come ogni buon
amico che si rispetti… solo che non ci riesce.
Nonostante il suo incedere, Jiraya
si sente stranamente leggero, ma all’ultimo momento la sua coscienza interviene
nel tenerlo saldamente ancorato a terra. Perché lui non è
contento della morte di Dan – e questo è ciò che continua
ripetersi mentalmente, come una cantilena o una preghiera.
Forse è per via di Tsunade,
o forse è perché in realtà sa di essere una persona
orribile; e anche se non lo vorrebbe, Jiraya lo sa:
una parte di lui è contenta di trovarsi a quel funerale.
« Tsunade,
io… » tentenna, di fronte agli occhi lucidi di lei. «
Condoglianze ».
Ma la verità è solo una.
Sono
patetico.
Si gira e rigira il bicchierino di sakè tra
le mani, osservando Orochimaru con un certo
nervosismo. Siedono l’uno di fronte all’altro al centro del locale
gremito di shinobi, scrutandosi scetticamente ad
intervalli regolari.
« Beh? Cosa volevi dirmi? » sbotta Orochimaru, visibilmente scocciato.
Jiraya stringe le labbra, come
se avesse appena ingerito qualcosa di terribilmente acre; la verità
è che non sa come dirglielo senza apparire idiota –come sempre,
commenterebbe l’altro- o troppo ed inutilmente apprensivo. Poi rotea gli
occhi con studiata esasperazione.
« Lascia perdere, non so nemmeno perché
sono qui » dice imbarazzato, ed è vero. È passato troppo
tempo da quando loro e Tsunade formavano un Team, ora
tutto si è dissolto come cenere.
« Che spreco di tempo» commenta
l’altro. « Sei sempre il solito idio-
».
« È il sensei
» lo interrompe Jiraya, bloccando
quell’insulto sul nascere. Probabilmente se lo lasciasse continuare non
riuscirebbe a trattenere l’impulso di prenderlo a pugni. « Lo sai,
ha dei sospetti riguardo i tuoi esperimenti ».
« I miei esperimenti? » chiede Orochimaru con tono divertito. « Questo non mi tocca minimamente, lo sai, vero? ».
« Beh, Dovrebbe ».
« E perché? Perché lo decidi
tu? ».
Sì, vorrebbe urlare, lo decido io. Perché
sei il mio migliore amico. Perché mi importa. Perché non voglio
che tu faccia qualcosa di avventato. Perché voglio nuovamente far parte
di un team. Perché voglio che le cose tornino come prima. Perché
sono troppo buono.
Perché sì.
Ma non dice nulla di tutto ciò; Jiraya si limita a sbuffare e torna a fissare la porzione
di tavolo di fronte a sé. Un piatto vuoto, delle bacchette, una
bottiglia di sakè ed un piccolo bicchiere di ceramica laccata, è
davanti a tutto ciò che si svolge quella che potrebbe essere la
discussione più importante della loro vita.
« Te l’avevo detto di lasciare perdere
» mastica con indolenza. « Mi stavo solo preoccupando per te, vedi
quanto sono stupido? ».
« Sì, lo sei. Indubbiamente ».
« Solo… stai attento » aggiunge
monocorde.
« Pff…
» Orochimaru trattiene una risata. « Mi
sbagliavo su di te, non sei stupido. Sei patetico
»
Jiraya, stranamente, annuisce.
« Cosa diavolo credi di fare? » sbraita
Jiraya, irrompendo con violenza
nell’appartamento. Sbatte la porta, furente, e con poche pesanti falcate
raggiunge la camera da letto.
« Me ne vado. Perché, non si nota?
» chiede tranquillamente la donna, senza scomporsi.
« No! ».
Jiraya non ha altro da dire,
non gli resta che protestare infantilmente contro quella decisione
sconsiderata.
« Ti prego, non fare il bambino. Sei grande e
vaccinato, ormai » gli ricorda Tsunade,
riponendo le ultime cose in un capiente zaino verdastro. « Ora fammi un
favore, vattene. Ho molte cose da fare e la tua presenza mi infastidisce ».
Jiraya scuote la testa,
incredulo.
« Cazzate! » esclama a gran voce,
colpendo violentemente la parete. « Scommetto che non ti senti nemmeno,
altrimenti ti renderesti conto di ciò che dici. Perché dovresti
lasciare
« Lo sai il perché ».
« Dan » soffia Jiraya,
sentendosi incredibilmente ridicolo.
« Già ».
« Non puoi andartene ora » mormora,
quasi senza voce. « Non dopo che Orochimaru ha
fatto quello che ha fatto – non
riesce nemmeno a dirlo. Codardo!-. Noi siamo una squadra, ricordi? Dobbiamo
restare uniti ».
« Stai scherzando, vero? » chiede Tsunade, sgranando gli occhi. « Svegliati Jiraya, non lo siamo più da parecchio tempo, non
puoi essere tanto ingenuo! ».
Jiraya tace.
La verità è che lei ha cominciato ad
andarsene subito dopo la morte di Dan. Ogni giorno da quel momento non è
stato che un ulteriore allontanarsi da Konoha, e ogni
ora non ha fatto che renderla sempre più distante.
« Tsunade, resta
» non gli resta che implorare.
« Sei patetico, Jiraya.
Hai capito? Patetico ».