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Autore: Mala Mela    30/11/2009    6 recensioni
« È il sensei » lo interrompe Jiraya, bloccando quell’insulto sul nascere. Probabilmente se lo lasciasse continuare non riuscirebbe a trattenere l’impulso di prenderlo a pugni. « Lo sai, ha dei sospetti riguardo i tuoi esperimenti ».
« I miei esperimenti? » chiede Orochimaru con tono divertito. « Questo non mi tocca minimamente, lo sai, vero?».
« Beh, Dovrebbe ».
« E perché? Perché lo decidi tu? ».
Sì, vorrebbe urlare, lo decido io. Perché sei il mio migliore amico. Perché mi importa. Perché non voglio che tu faccia qualcosa di avventato. Perché voglio nuovamente far parte di un team. Perché voglio che le cose tornino come prima. Perché sono troppo buono.
Perché sì.
Genere: Romantico, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Jiraya, Orochimaru, Tsunade
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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» Patetico

» Patetico

 

 

Non doveva andare così, pensa Jiraya, avanzando lentamente. Ogni passo strascicato lo porta sempre più vicino a Tsunade, immobile accanto alla lapide di Dan.

Non doveva andare così, si ripete, e abbassa le palpebre, riparandosi da quel sole che gli ferisce gli occhi; è mezzogiorno e le ombre si ripiegano su se stesse, quasi volessero sparire. Esattamente quello che Jiraya vorrebbe, ma non può fare.

Lui non è soltanto l’assenza di luce proiettata da un corpo, ma è fatto di carne, sangue, pelle, ossa.

Cuore, mente.

E questi ultimi provano cose che non dovrebbero provare, pensano cose che non dovrebbero pensare, e così via. Ad esempio, non credono sia giusto sentirsi così in un giorno come quello, ma lui non ne può fare a meno. Dovrebbe essere triste, piangere magari, essere pronto a consolare Tsunade come ogni buon amico che si rispetti… solo che non ci riesce.

Nonostante il suo incedere, Jiraya si sente stranamente leggero, ma all’ultimo momento la sua coscienza interviene nel tenerlo saldamente ancorato a terra. Perché lui non è contento della morte di Dan – e questo è ciò che continua ripetersi mentalmente, come una cantilena o una preghiera.

Forse è per via di Tsunade, o forse è perché in realtà sa di essere una persona orribile; e anche se non lo vorrebbe, Jiraya lo sa: una parte di lui è contenta di trovarsi a quel funerale.

« Tsunade, io… » tentenna, di fronte agli occhi lucidi di lei. « Condoglianze ».

Ma la verità è solo una.

Sono patetico.

 

 

Si gira e rigira il bicchierino di sakè tra le mani, osservando Orochimaru con un certo nervosismo. Siedono l’uno di fronte all’altro al centro del locale gremito di shinobi, scrutandosi scetticamente ad intervalli regolari.

« Beh? Cosa volevi dirmi? » sbotta Orochimaru, visibilmente scocciato.

Jiraya stringe le labbra, come se avesse appena ingerito qualcosa di terribilmente acre; la verità è che non sa come dirglielo senza apparire idiota –come sempre, commenterebbe l’altro- o troppo ed inutilmente apprensivo. Poi rotea gli occhi con studiata esasperazione.

« Lascia perdere, non so nemmeno perché sono qui » dice imbarazzato, ed è vero. È passato troppo tempo da quando loro e Tsunade formavano un Team, ora tutto si è dissolto come cenere.

« Che spreco di tempo» commenta l’altro. « Sei sempre il solito idio- ».

« È il sensei » lo interrompe Jiraya, bloccando quell’insulto sul nascere. Probabilmente se lo lasciasse continuare non riuscirebbe a trattenere l’impulso di prenderlo a pugni. « Lo sai, ha dei sospetti riguardo i tuoi esperimenti ».

« I miei esperimenti? » chiede Orochimaru con tono divertito. « Questo non mi tocca minimamente, lo sai, vero? ».

« Beh, Dovrebbe ».

« E perché? Perché lo decidi tu? ».

Sì, vorrebbe urlare, lo decido io. Perché sei il mio migliore amico. Perché mi importa. Perché non voglio che tu faccia qualcosa di avventato. Perché voglio nuovamente far parte di un team. Perché voglio che le cose tornino come prima. Perché sono troppo buono.

Perché .

Ma non dice nulla di tutto ciò; Jiraya si limita a sbuffare e torna a fissare la porzione di tavolo di fronte a sé. Un piatto vuoto, delle bacchette, una bottiglia di sakè ed un piccolo bicchiere di ceramica laccata, è davanti a tutto ciò che si svolge quella che potrebbe essere la discussione più importante della loro vita.

« Te l’avevo detto di lasciare perdere » mastica con indolenza. « Mi stavo solo preoccupando per te, vedi quanto sono stupido? ».

« Sì, lo sei. Indubbiamente ».

« Solo… stai attento » aggiunge monocorde.

« Pff… » Orochimaru trattiene una risata. « Mi sbagliavo su di te, non sei stupido. Sei patetico »

Jiraya, stranamente, annuisce.

 

 

« Cosa diavolo credi di fare? » sbraita Jiraya, irrompendo con violenza nell’appartamento. Sbatte la porta, furente, e con poche pesanti falcate raggiunge la camera da letto.

« Me ne vado. Perché, non si nota? » chiede tranquillamente la donna, senza scomporsi.

« No! ».

Jiraya non ha altro da dire, non gli resta che protestare infantilmente contro quella decisione sconsiderata.

« Ti prego, non fare il bambino. Sei grande e vaccinato, ormai » gli ricorda Tsunade, riponendo le ultime cose in un capiente zaino verdastro. « Ora fammi un favore, vattene. Ho molte cose da fare e la tua presenza mi infastidisce ».

Jiraya scuote la testa, incredulo.

« Cazzate! » esclama a gran voce, colpendo violentemente la parete. « Scommetto che non ti senti nemmeno, altrimenti ti renderesti conto di ciò che dici. Perché dovresti lasciare la Foglia? ».

« Lo sai il perché ».

« Dan » soffia Jiraya, sentendosi incredibilmente ridicolo.

« Già ».

« Non puoi andartene ora » mormora, quasi senza voce. « Non dopo che Orochimaru ha fatto quello che ha fatto – non riesce nemmeno a dirlo. Codardo!-. Noi siamo una squadra, ricordi? Dobbiamo restare uniti ».

« Stai scherzando, vero? » chiede Tsunade, sgranando gli occhi. « Svegliati Jiraya, non lo siamo più da parecchio tempo, non puoi essere tanto ingenuo! ».

Jiraya tace.

La verità è che lei ha cominciato ad andarsene subito dopo la morte di Dan. Ogni giorno da quel momento non è stato che un ulteriore allontanarsi da Konoha, e ogni ora non ha fatto che renderla sempre più distante.

« Tsunade, resta » non gli resta che implorare.

« Sei patetico, Jiraya. Hai capito? Patetico ».

                                                      

   
 
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