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Sedeva lì, davanti al focolare. Sprofondato nella poltrona, sembrava
oziare, immobile, impigrito dal calore del fuoco scoppiettante dietro la grata.
Lo sguardo perso ad ammirare il nulla. Invece lui non si fermava mai. Pensava,
rimuginava, analizzava, calcolava. Deduceva. Se è vero che a tutto c’è
soluzione e c’è una risposta per tutto, lui di certo la trovava. Il piede
prende a tremare, la pantofola vacilla come scossa da un fremito d’eccitazione,
lo sguardo si illumina. Doveva aver avuto uno dei suoi colpi di genio. O forse
uno spasmo dato dalla droga. Poi torna vitreo, scende quel velo che nascondeva
il turbinio incessante dei suoi pensieri. Aveva perlomeno bisogno di nicotina
per far lavorare i neuroni, così la mano parte alla ricerca delle sigarette, o almeno
della pipa, ma incontra solo il mezzo sigaro avanzato dal pomeriggio prima,
quando sotto l’impulso di una qualche trovata delle sue era partito alla
ricerca di indizi. Quel caso lo stava rendendo ancor più silenzioso e pensoso:
lo adoravo anche per i suoi giochetti, per i guai in cui solo lui riusciva
sempre a cacciarsi, ma preferivo i momenti di tranquillità, stare, come ora, ad
ammirarlo mentre, fermo, se ne stava a riflettere, la mano a reggere il mento,
desiderando di poter conoscere i suoi pensieri, sperando che li volesse
condividere con me. Sua spalla e supporto, in sintonia con i suoi ragionamenti:
mi bastava anche una sola parola, incauta, a far scattare qualcosa in quella
sua testa da un milione di sterline. Il sigaro è stretto tra e labbra e
inumidito dal tocco della lingua, ma la mano continua la sua ricerca, nell’assenza
di un mezzo per accenderlo.
Mi avvicino lentamente. Impossibile celargli qualcosa, era consapevole
del mio ingresso fin da prima che varcassi la soglia, e nota il mio movimento,
ma rimane inerte, come un felino addormentato che non avverte la mano del
padrone come una minaccia. Delicatamente gli sfilo il sigaro spento della
bocca. Non oppone resistenza, non scosta neppure lo sguardo. Appoggio il sigaro
sulla mia bocca, e prendo i fiammiferi nella tasca nel cappotto.
“Qualcosa di interessante che mi sfugge?” chiedo a denti stretti in
risposta ai suoi occhi persi nel vuoto, come a contemplare qualcosa che sfugge
alla vista dei comuni mortali. “Si è incantato?” lo incalzo. Non sei l’unico
curioso in questa stanza, caro Sherlock.
“Dicono che il cervello si riposi, in questo stato, Watson”.
Un sorriso increspa le mie labbra, solleticando i baffi contro il
sigaro. Avvicino la fiamma del fiammifero, coprendolo con l’altra mano per non
farlo spengere. Tiro un paio di boccate di fumo assicurandomi che sia acceso,
lo sfilo dalla bocca e glielo rimetto tra le sue rosee labbra, secche per il
freddo invernale, rimaste socchiuse.
“Non si ferma mai il suo cervello, Holmes”.
***
Grazie al film (che non vedo l’ora di vedere!) si è riacceso il mio
interesse per Sherlock Holmes (anche se già dal trailer si vede che molte
scelte fatte da regista/sceneggiatore sono discutibili…), e così ecco che mi
cimento in questa nuova fic, scritta per il contest "[Sherlock Holmes]
Remarkable", indetto da Bebbe5 e Bellis (che saluto! ^___^). Semplice e senza
alcuna pretesa, spero che così riesca a
rappresentare, a mio modo, la genuina amicizia tra Watson e Holmes. Non
nascondo di adorare la coppia Holmes/Watson, ma non potendo slasharli mi sono
mantenuta nei limiti dell’amicizia, intima, anche se spero si siano colti un
paio di riferimenti (stavo pensando a cose meno caste di un sigaro xD).
Le battute che i due si scambiano mi sono state ispirate da un episodio di Veronica Mars, quando i due amiconi Veronica e Wallace fanno un discorso simile: adoro i detective, in particolare quelli che più o meno direttamente si rifanno e presentano riferimenti al maestro in questo ambito, Holmes.
Che dire, lasciatemi qualche commentino e fatemi sapere cosa ne pensate!