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Autore: RMSG    29/12/2009    9 recensioni
Prima classificata al contest di My Pride It's a mistake... maybe.
Premio originalità.
[Partecipante al flash contest di ro-chan e superkiki92 sulle storie edite]
Il grande giorno per Edward Elric era arrivato. La sua grande - e forse unica - possibilità di realizzare il sogno di una vita, passata a studiare e a guadagnarsi ogni cosa. Tutto per il suo sogno.
Da quando si era laureato a Yale - circa sei mesi fa - si era subito messo all'opera per trovare al più presto un impiego e, possibilmente, L’impiego. Era laureato in Lettere e Filosofia e aveva sempre sognato di diventare uno scrittore; e lì, a New York, come tutte le persone che conosceva gli avevano detto, c'era solo un uomo che poteva dargli l'aiuto necessario, che poteva costruirgli il trampolino di lancio, che poteva raccomandarlo a una casa editrice: Roy Mustang, presidente della Mustang Publication, possessore di quattro dei quotidiani più importanti di New York e delle tre riviste mensili più lette in città. Nel giro, e anche oltre, lo chiamavano l’American Dream, un po’ perché era considerato il sogno di ogni donna, data la sua fama di donnaiolo incallito, e un po’ perché, per l’appunto, dava speranza a giovani come lui che volevano sfondare. Insomma, lui, le donne e l'editoria andavano praticamente di pari passo.
Genere: Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Edward Elric, Jean Havoc, Maes Hughes, Riza Hawkeye, Roy Mustang
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Dedicata per Natale, anche se molto in ritardo, e per Capodanno, piuttosto in anticipo, a:
_Ale2_
, santa donna che mi sopporta ogni giorno e a cui voglio un bene grandissimo;
Setsuka, scrittrice che stimo immensamente, a cui tengo molto e che, anche lei, sopporta spessissimo la sottoscritta;
Kairi_Hatake, grande amica, ottima compagna di risate e instacabile mia sostenitrice;
E naturalmente My Pride, che ha indetto questo contest e che ringrazio per avermi fatta tornare a scrivere!
Merry Christmas and Happy New Year!


American Dream ©

di Roy Mustung sei uno gnocco

 

Capitolo 1 

Seduto nella sala d’attesa ci sono solo quattro persone: un anziano in giacca e cravatta, una donna così palesemente rifatta da sembrare una Barbie Malibù, un ragazzo dai capelli rossi e le lentiggini sul naso e, infine, un ragazzo dai lunghi capelli biondi, legati ordinatamente in una coda, vestito casual ma sobrio. Ed è la storia di questo ragazzo che vi narrerò. Delle sue speranze, delle sue vittorie, delle sue sconfitte, delle sue lacrime, dei suoi sorrisi, dei suoi sogni e delle sue illusioni…

 

Il grande giorno per Edward Elric era arrivato. La sua grande - e forse unica - possibilità di realizzare il sogno di una vita, passata a studiare e a guadagnarsi ogni cosa. Tutto per il suo sogno.
Da quando si era laureato a Yale - circa sei mesi fa - si era subito messo all'opera per trovare al più presto un impiego e, possibilmente, L’impiego. Era laureato in Lettere e Filosofia e aveva sempre sognato di diventare uno scrittore; e lì, a New York, come tutte le persone che conosceva gli avevano detto, c'era solo un uomo che poteva dargli l'aiuto necessario, che poteva costruirgli il trampolino di lancio, che poteva raccomandarlo a una casa editrice: Roy Mustang, presidente della Mustang Publication, possessore di quattro dei quotidiani più importanti di New York e delle tre riviste mensili più lette in città. Nel giro, e anche oltre, lo chiamavano l’American Dream, un po’ perché era considerato il sogno di ogni donna, data la sua fama di donnaiolo incallito, e un po’ perché, per l’appunto, dava speranza a giovani come lui che volevano sfondare. Insomma, lui, le donne e l'editoria andavano praticamente di pari passo. E’ vero, non lo entusiasmava granché il fatto di scrivere articoli e di fare il giornalista, ma aveva bisogno di quell'uomo o non sarebbe mai riuscito a realizzare il suo sogno. Seduto compostamente su uno dei sei divanetti in pelle che c'erano nell'atrio del Mustang Building, così tutti chiamavano quell'enorme e antico palazzo di venticinque piani, si dovette improvvisamente spostare un po', per far spazio a un tizio biondiccio, con gli azzurri e una sigaretta in bocca, che voleva sedersi. Si accomodò al suo fianco e placidamente tirò fuori l'accendino, accendendosi la sigaretta e tirando una lunga boccata di fumo, che fece uscire fuori, creando una grande nuvola grgiia proprio vicino al suo viso. A Edward, da sempre infastidito dal fumo, partì d’istinto un attacco di tosse e agitò la mano sinistra, quella senza il guanto, per smuovere aria.

- Oh, scusami! - anche lui si mise ad agitare la mano, guardandolo con un sorriso sbilenco. Edward l’osservò di sfuggita, smettendo di tossire e sbuffando leggermente.

- Nessun problema, si figuri -, borbottò il giovane. Il tizio, subito, spense la sigaretta su un portacenere posato sul lungo tavolino di cristallo al centro della sala d'attesa, accerchiato dai sei divani. Poi si girò a guardare Edward, sorridendogli ancora in quel modo strano. Ma cos'era, ubriaco?

- Non ti ho mai visto qua, sei nuovo? -, domandò, incuriosito, e sempre con quello sciocco sorriso sulle labbra. 

- Sì, ho un colloquio di lavoro. Sto aspettando che mi vengano a chiamare -, rispose, atono. - E lei? Lavora qui? -, s’interessò. Magari era uno con dei contatti: se gli fosse andata male col colloquio, magari, avrebbe potuto chiedere a lui.

- Sì, lavoro qui. Faccio parte del cast di fotografi della rivista di moda, Malice - inclinò la testa e tese la mano destra - Jean Havoc -. Mai sentito. E comunque non poteva aiutarlo. La sua solita fortuna.

Edward gliela strinse - Edward Elric, piacere -, Jean sorrise, scanzonato. 

- Bel nome, complimenti! -, esclamò, mettendosi le mani nelle tasche del giubbotto di pelle.

- Grazie -. Edward voltò il viso e tornò a fissare la lunghissima scalinata che portava ai primi piani, dove c’erano gli uffici di chissà quale dei tanti giornali e delle tante riviste. Il desiderio di salire quelle scale in marmo bianco ed entrare nell’ufficio di Mr. Mustang in persona, di farsi scrivere una lettera di raccomandazione per la migliore casa editrice di New York, era… un sogno. Però aveva solo ventitré anni, tanta caparbietà, tanto genio creativo e, soprattutto, tanta volontà. Intanto fra i due biondi era calato il silenzio, interrotto poi dalla voce di Jean.

- Dimmi, Edward, il tuo colloquio è per essere assunto tra coloro che lavorano per le riviste o per i quotidiani? -.

Edward distolse nuovamente lo sguardo dalle scale, tornando a fissare gli occhi azzurri del fotografo.

- Non ne ho idea. E in tutta sincerità non m’importa granché: possono inserirmi dove vogliono. Io ho bisogno di questo lavoro solo per… - Jean lo interruppe, con un sorrisino divertito.

- Anche tu qui per l’American Dream? -, intuì.

- Sì, esatto -, ammise.

- Beh, qualcosa mi dice che ti prenderanno… - commentò, col suo solito sorriso scanzonato. Poi guardò l’ora sull’orologio da polso e si alzò, tirando fuori il pacchetto delle sigarette e accendendosene un’altra. Stavolta ebbe il buon senso di voltare il viso, soffiando lontano da lui il fumo.

- E lei come fa a saperlo? -, chiese, stupito.

- So cosa cerca nei suoi dipendenti Roy Mustang – rispose, enigmatico, facendo un altro tiro.

- E cosa cerca? – il tono di voce di Edward era un po’ ansioso: voleva sapere! Quel fotografo sembrava conoscere bene Mustang! Forse poteva aiutarlo a fare presto bella figura davanti agli occhi del capo, se lo avessero presto davvero!

- Lo scoprirai da solo.  -, sorrise ancora, quasi malizioso – Ora scusami, ma devo andare. Ho un servizio fotografico da fare. E il capo odia non avere al più presto il lavoro sulla scrivania -, fumò ancora un po’ e poi spense di nuovo la sigaretta nello stesso posacenere. – Ci vediamo presto Edward -.

- Arriverderci… - mormorò, pensieroso. 

Lo seguì con gli occhi fino a quando non sparì in cima alle scale. Sospirò pesantemente e tirò fuori il suo Motorola: 11:47. L’appuntamento gli era stato fissato quarantasette minuti fa. Sbuffò e si mise di nuovo nei pantaloni neri il telefonino. Quanto ancora lo avrebbero fatto aspettare? Stava per fare la muffa, lì! Passò ancora qualche minuto prima che lo chiamassero.

- Edward Elric? – una ragazza dai capelli castani e ricci: aveva due grandi occhi verdi, da cerbiatta, ed il corpo minuto ma sinuoso era fasciato da un elegante tailleur nero. Gli sorrise, sbattendo le ciglia, con fare grazioso.

- Sì, sono io! – Edward si alzò subito, non dando poi così tanto peso alle occhiate languide dell’impiegata: d’altronde, c’era abituato. Sapeva di essere un gran bel ragazzo e di piacere molto alle donne. Peccato che…

- Deve venire con me. La porterò nell’ufficio del Signor Hughes, dove avrà luogo il suo colloquio! – esclamò, civettuola. Odiava quando cominciavano a fare così.

- Perfetto -, rispose, prendendo la sua cartellina marrone, contenente il suo Curriculum Vitae. Avrebbe voluto portare con sé anche qualche suo scritto, magari una parte della bozza del suo romanzo a cui stava lavorando dopo la laurea… ma no, non sarebbe servito a niente. E poi, ora, non era il momento di pensare a cosa avrebbe dovuto portare e a cosa no. Era tempo di dimostrare quanto le sue capacità fossero affidabili. Fra l’altro, le parole del fotografo appena conosciuto gli rimbombavano in testa. Chissà cosa lo rendeva così convinto del fatto che l’avrebbero preso…
Immerso nei suoi pensieri pre-colloquio seguì la giovane – ed esageratamente sculettante – segretaria. Cosa sperava di fare, muovendo quel culo rinsecchito? Le donne erano sempre state un mondo incomprensibilmente assurdo per Edward Elric. E lo sarebbero sempre rimaste, dato che non gli interessavano affatto.

- Siamo arrivati! – squittì. La sua voce diventava sempre più stridula alle orecchie del giovane. – Prego, entri pure. La sta aspettando! – sorrise ancora e ancheggiando pericolosamente (pericolosamente perché avrebbe rischiato di far crollare le mura della stanza) andò a sedersi alla sua scrivania, facendo finta di lavorare su qualcosa di molto importante. Edward sbuffò nuovamente, e bussò alla porta della stanza. Non era agitato, ma temeva di non rimanere a mente lucida per tutta la durata del colloquio. Era sempre stato un tipo… impulsivo. Troppo impulsivo. Suo fratello Alphonse glielo aveva sempre rimproverato, ma lui che ci poteva fare? Vero però che dopo il College aveva “messo la testa a posto”. Perlomeno, il necessario da non farsi cacciare da ogni posto pubblico e non per il suo comportamento. Ricevuto il permesso di entrare, si addentrò all’interno dell’ufficio: luminoso, spazioso, arredato modernamente e con un buon gusto. Se questo era l’ufficio di un capo reparto qualsiasi, non osava immaginare quello del capo.
L’uomo che l’ochetta sculettante di poco prima aveva chiamato “Signor Hughes” era seduto dietro la sua scrivania, dai tratti curvilinei. Si alzò subito in piedi, mostrando il completo grigio (spudoratamente firmato Cavalli) che indossava. Aveva gli occhi verde smeraldo, nascosti dagli occhiali rettangolari e con la montatura argentata. I capelli neri e un lungo e buffo ciuffo sulla fronte.

- Salve! Piacere, Maes Hughes! – esclamò, sorridendogli a trentadue denti. Edward ricambiò il sorriso e si avvicinò alla scrivania, stringendogli deciso la mano.

- Il piacere è tutto mio, Signor Hughes. Io sono Edward Elric -. Maes annuì e si risedette sulla poltrona in pelle nera, scrutandolo attentamente. Sorrise sbarazzino e gli fece cenno di accomodarsi. Anche Edward si sedette di fronte a lui, confuso dal suo sguardo indagatore.

- C’è… qualcosa che non va, Signor Hughes? -, domandò, leggermente preoccupato e, doveva ammetterlo, anche un po’ scocciato: odiava essere osservato così tanto.

- No no! Anzi! E’ tutto al suo posto! – Edward proprio non riuscì a trattenersi dal sollevare il  suo dorato sopracciglio sinistro. Era pazzo lui o c’era un doppio senso in quella frase?

- Meglio così, no? -, si limitò a commentare. Sicuramente il lavaggio del cervello che Alphonse gli aveva fatto poco prima di farlo venire qui gli era proprio servito. A quest’ora, qualche mese fa, lo avrebbe già mandato a… farsi benedire.

- Sì, infatti! – sorrise ancora e si strinse le mani l’una nell’altra, battendole ed emettendo un rumore schioccante – Allora… cominciamo questo colloquio! -. Maes era a dir poco euforico. Roy sarebbe stato contento di quel nuovo dipendente.

 

*****

 

Il colloquio durò più di mezz’ora e quando Edward uscì, poteva ritenersi più che soddisfatto di se stesso: lo avevano assunto! E avrebbe cominciato già da domani a lavorare! Certo, non sapeva ancora che mansione gli sarebbe stata assegnata, tuttavia non ci pensò più di tanto. Moda, vestiti, animali, cinema… tutto gli sarebbe andato bene! L’importante era riuscire a raggiungere i suoi due obiettivi, di cui uno già da spuntare. Era riuscito a farsi assumere, quindi ora lui e suo fratello non avrebbero più dovuto stringere la cinta alla fine del mese, il che significava anche che sarebbe tutto cambiato, da lì a poco. Sorridente si avviò nuovamente per il corridoio, non prima di aver scoccato un’occhiata eloquente alla segretaria. La ragazza dai capelli castani arrossì immediatamente, ma poi subito riprese il suo colorito normale e il suo atteggiamento altezzoso. Ricambiò lo sguardo e gli fece un sorriso malizioso. Edward scosse il capo, divertito e uscì sul corridoio, raggiungendo le scale: niente ascensore, aveva bisogno di movimento per smaltire l’euforia e l’adrenalina che era ancora in circolo nel suo organismo. Ancora non riusciva a credere che aveva un lavoro! E un lavoro lì, alla Mustang Publication! Forse, finalmente, la sua vita sarebbe andata per il verso giusto…
Ritornò nella sala d’attesa, passando proprio accanto al divanetto su cui prima era seduto col fotografo. Si fermò all’improvviso, fissando i cuscini bordeux del sofà. Jean Havoc ci aveva preso: era stato assunto. Rimase ancora qualche secondo a riflettere sulla coincidenza. Sì, perché sicuramente di coincidenza si trattava. Magari il fotografo aveva notato che Edward non lo filava più di tanto e aveva deciso di tentare il tutto per tutto. Tanto, se non fosse stato preso, non lo avrebbe più rivisto e, in caso contrario, avrebbe fatto la figura dell’indovino! Ah, la gente non sapeva veramente più che inventarsi per far colpo sugli altri…
Sorrise e scosse nuovamente il capo. All’improvviso voltò la testa. Alle sue orecchie stava arrivando un chiasso tremendo che proveniva dall’ingresso. Si avvicinò alla grande entrata e vide una marea di fotografi, giornalisti, cameraman e gente comune… tutti accerchiati intorno a una persona. Quella persona. Il suo capo.
Dal vivo, Edward, non lo aveva mai visto. Mai. Solo sui giornali e, raramente dato che non la guardava molto, in televisione. Però, ora che lo vedeva avanzare spedito, con una cadenza quasi marziale, le mani in tasca, il corpo avvolto da un attillato completo nero, la camicia sbottonata sul petto, gli occhiali da sole scuri come la zazzera nera che gli mettevano ancora più in risalto la pelle d’avorio, si rese conto che non aveva mai notato quanto fosse maledettamente bello. Anzi, bello a dir poco. Era una specie di divinità greca scesa in terra proprio a Dicembre del 2009, a New York. Poi, però, il suo sguardo cadde irrimediabilmente sulla donna al suo fianco: bionda, con un fisico perfetto e dei lunghi capelli biondi tenuti relegati in un elegantissimo chignon. Era stupenda anche lei, dovette ammettere. E sembravano quasi una coppia, tanto era palpabile l’alchimia fra di loro. Gli si stavano sempre più avvicinando e quando ormai erano a pochi metri da lui, l’American Dream in persona si fermò di fronte a lui, a guardarlo. Si tolse gli occhiali da sole con un gesto quasi da film e inclinò leggermente il volto, osservandolo con quei due pozzi scuri come la notte che erano i suoi occhi. A Edward mancò un battito. Si disse che era perché, ormai, era diventato il suo capo, perché era un uomo molto importante, perché il suo futuro dipendeva completamente da lui… e non certamente perché era bello come un Dio. No, assolutamente no.
Roy Mustang continuava a fissarlo e ora che il cervello di Edward era tornato a ragionare, cominciò a innervosirsi. Che diavolo aveva da guardare?
Aggrottò le sopracciglia e ricambiò lo sguardo, serio. Una scintilla negli occhi di Roy saltò all’attenzione di Edward. Infine, il moro, sfoderò un sorrisino strafottente e sexy allo stesso tempo. Inforcò nuovamente gli occhiali da sole e procedette insieme alla donna bionda, che lo guardava con un’aria… preoccupata? Edward, e non solo lui, li seguì con lo sguardo, fino a quando le porte dell’ascensore non interruppe il contatto visivo.

Roy, nell’ascensore con Riza, appoggiò la schiena allo specchio dell’ascensore, sghignazzando sotto i baffi.

- Riza? Voglio che tu scopra chi è quel biondino, cosa ci faceva qui e se è interessato a un posto di lavoro qui da noi -.

- Sì, Presidente - mormorò la donna, abbassando il capo, quasi demoralizzata.

- Riza… ? - la chiamò, rimettendosi dritto e togliendo ancora una volta gli occhiali da sole. Stavolta li appese alla scollatura della camicia bianca.

- Mi dica… -.

- Anche stasera esci con me? -, chiese, col tono innocente di un bambino che chiede una caramella alla mamma.

Riza arrossì debolmente e annuì. – Sì, Presidente -.

- Mi fa piacere -, commentò, solamente, con la sua voce suadente. Calò il silenzio più totale, fino a quando le porte dell’ ascensore non si aprirono, al venticinquesimo piano. Un intero piano faceva da ufficio a Roy Mustang. Lui uscì dall’ascensore e sbadigliando un po’, si stiracchiò le braccia. Si tolse la giacca e la lanciò su uno dei lunghissimi divani.

- Riza, vieni da me solo se hai notizie su quel ragazzo, chiaro? – impose, senza neanche guardarla e dirigendosi tranquillo verso un muro di vetro e la sua rispettiva porta, che dividevano l’enorme vano. Vi entrò e si abbandonò sulla poltrona della sua scrivania, girandola e rimanendo a guardare dall’enorme vetrata che gli faceva da parete alle spalle. New York era bellissima… e anche quel ragazzo.

 

*****

 

Edward tornò a casa solo un’ora e mezza dopo. Non aveva chiamato un taxi, preferendo una rilassante camminata per le vie inquinate di New York. Anche se era una cosa malsana e alquanto assurda da dire, lo smog lo rilassava. Amava alla follia New York, pur venendo da un paesino di campagna del Tennessee. E forse proprio per questo si era innamorato della Big Apple, per rinnegare le proprie origini. Non aveva mai amato particolarmente il suo villaggio, considerandolo ristretto, limitato e dannoso per la sua vena creativa. Però non poteva non ammettere che aveva aiutato molto a tirar fuori la sua parte da poeta maledetto e pessimista. Alla Leopardi maniera, insomma…
Anche lui confinato in un paesino sul modello di Recanati, anche lui era sprofondato in uno studio matto e disperato, pur di sfuggire alla sua famiglia. Sospirò leggermente, ripensando alla sua adolescenza: una sofferenza dopo l’altra. Quell’idiota di suo padre lo aveva costretto a fidanzarsi con la sua amica storica, Winry, e lui lo aveva accontentato. Per Edward era solo una relazione passa tempo che gli serviva per mascherare la sua omosessualità almeno fino a quando non se ne sarebbe andato via per il College. Ma il padre non era dello stesso avviso: Winry sarebbe diventa sua sposa non appena avesse compiuto diciott’anni. E questo, Edward, non poteva accettarlo. Un po’ perché erano nel 2009 e i matrimoni combinati erano stati aboliti quasi dappertutto per sempre e un po’ perché non voleva legarsi a nessuno. Aveva spesso scritto e letto del sentimento dell’amore, di quella cosa che ti prende corpo, cuore e anima… ma lui no, non l’aveva ancora provato. E perché, dunque, avrebbe dovuto far finta di provarlo per far contento suo padre? Così, arrivato alla maggiore età, aiutato da suo fratello Alphonse di un anno più piccolo di lui e da sua madre Trisha, era scappato in Connecticut, precisamente nel New Haven, per iscriversi all’Università di Yale. Da lì, la sua vita era completamente cambiata: finalmente aveva potuto essere se stesso per tutte le ventiquattro ore della giornata, studiando ciò che più amava di più. Un anno dopo anche suo fratello se n'era andato di casa, ma iscrivendosi alla New York University, College di serie B. Perché lo avesse fatto, mai Edward era riuscito a capirlo. Nemmeno ora, a distanza di cinque anni e passa, dato che era ormai un laureando e si stava specializzando in Scienze matematiche, fisiche e naturali. Da sempre entrambi avevano dovuto lavorare per pagare la cospicua tassa d’iscrizione a una delle più rinomate università private d’America. Ma valeva la pena faticare così tanto, se poi si poteva ottenere ciò che si voleva con poco. Edward aprì la porta del suo appartamento a Brooklyn, con un sorriso che gli andava da un orecchio all’altro.

-Al?! Ci sei?? - lo chiamò, lasciando cadere la cartellina sul divano verde scuro del piccolo salotto. Si tolse la giacca, sistemandola sull’appendiabiti. Poco dopo la risposta di suo fratello lo raggiunse, così come lui stesso, che si fiondò fra le sue braccia.

- Fratellone! Allora?! Com’è andata? Ti hanno preso?! Che hanno detto?! - lo ricoprì di domande, saltellando quasi tanta era l’agitazione. Edward scoppiò a ridere e annuì.

- Mi hanno preso! Comincio domani! - Alphonse gli buttò le braccia al collo, abbracciandolo stretto. Era così felice per suo fratello! Ora le cose sarebbero finalmente cambiate!

- Aaaah, lo sapevo, lo sapevo, lo sapevo! Sei troppo geniale, sarebbero stati degli idioti se non ti avessero preso! - esclamò, strapazzando la zazzera dorata di Edward con le mani. Il più grande rise e lo allontanò, riordinandosi alla bell’e meglio la capigliatura.

- Sì sì, okay… ma i miei capelli non c’entrano niente! – risero entrambi e poi Edward si diresse verso la sua stanza. – Al, vado a cambiarmi e poi scrivo un po’, okay? Non disturbarmi -.

- Va bene Fratellone, però… non vuoi mangiare? -.

Nessuna risposta, se non la porta della stanza che si chiudeva con un secco rumore. Alphonse sbuffò. Mai avrebbe capito suo fratello e i suoi strani atteggiamenti! Invece di essere contento di aver trovato lavoro, si andava a rinchiudere in stanza con chissà quale strambo pensiero! Bah…
Edward, dal canto suo, appena chiuso in stanza andò a chiudere le tende, lasciando la stanza completamente al buio. Si gettò sul letto a una piazza, stiracchiandosi pigramente, poi strinse a sé il cuscino dalla federa azzurra e sospirò ancora. Non riusciva a togliersi dalla testa gli occhi di Mustang. Non aveva mai visto un uomo tanto bello da così vicino e lui, d’altronde, era fatto di carne così come tutto il resto dell’umanità. Di carne molto debole…
Sbuffò, scocciato dai suoi stessi ragionamenti. La sua era solo stanchezza, sicuramente. E tanta repressione sessuale non aiutava molto. Incrociò le mani dietro la nuca, fissando il soffitto con aria annoiata.

- Ora basta pensarci. Devo pensare solo a fare bella figura il prima possibile e ad avere la lettera di raccomandazione. - chiuse gli occhi e si lasciò cadere in un sonno profondo, non sapendo, però, che non avrebbe smesso di pensare a quei due occhi così neri neanche nei suoi sogni.


Continua...

*****


AMERICAN DREAM
DÌ ROY MUSTUNG SEI UNO GNOCCO
PRIMA CLASSIFICATA




PREMIO ORIGINALITA’ 


Commento e giudizio della giudice My Pride:
Mi è piaciuto molto come la storia si è conclusa, devo ammetterlo.
Ma facciamo qualche passo indietro, concentrandoci sull’ambientazione, sulla caratterizzazione dei personaggi e sulla grammatica.
A parte qualche piccolo errore di battitura (Grgiia, per citarne uno) e qualche virgola dimenticata, il lessico e lo stile erano abbastanza scorrevoli, i personaggi sfociavano nell’OOC solo rare volte e anche la descrizione dell’ambiente in cui tutto si svolge è attinente alla realtà.
L’immagine che credo non cancellerò più dalla mia mente, comunque, sarà Edward con il Motorola (E anche con l’I-pod nano, ammettiamolo): non chiedermi perché, ma nel leggere quel piccolo pezzettino sono scoppiata a ridere; tale cosa, però, non c’entra assolutamente con la tua fan fiction.
È solo colpa della mia mente deviata.
Un sorriso mi è stato strappato anche da questo: “Immerso nei suoi pensieri pre-colloquio seguì la giovane – ed esageratamente sculettante – segretaria. Cosa sperava di fare, muovendo quel culo rinsecchito? Le donne erano sempre state un mondo incomprensibilmente assurdo per Edward Elric.”; Edward Elric riassunto in queste semplici righe, in poche parole.
Ammetto anche che mi sono innamorata dell’immagine di Roy che compare dinnanzi al nostro biondino e, quasi come un attore hollywoodiano, si libera degli occhiali.
Mi hai fatto diventare schifosamente superficiale in quel pezzo che hai descritto (Pentiti di ciò che hai fatto, quindi - Naturalmente scherzo).
Indubbiamente, poi, anche la caratterizzazione di Riza è stata mantenuta tale: che sia alle dipendenze di un Colonnello o di un Presidente resta sempre la composta Riza Hawkeye che conosciamo.
Passando al (Per esser precisi, ai) pairing, mi hai piacevolmente sorpresa scegliendo d’utilizzarli realmente entrambi: hai creato un intreccio di personaggi davvero fantastico, e certe cose le adoro.
Nessun coinvolgimento emotivo esagerato, ma hai dato a Roy quell’insana vena un po’ frivola che, concedimi il termine, lo fa andare (E scopare) con tutti.
Mi sono poi sentita molto solidale con Edward quando è stato costretto ad analizzare il Manzoni: esattamente come lui, odio I Promessi Sposi.
Probabilmente la mia vecchia professoressa mi bastonerebbe se lo sapesse.
Non mi aspettavo poi la comparsa di Ling, mio piccolo amore segreto, che mi ha fatta sorridere ad ogni discorso in cui si cimentava.
La scena in limousine l’ho trovata molto adatta al contesto: ho sempre immaginato che Roy fosse un uomo elegante, sia nel gusto che nella scelta dei vini (Il Conti è favoloso, specialmente quando non sei tu a pagarlo), nonché nei modi di parlare.
Un senso dolce amaro poi si avverte quando Jean e Roy si ritrovano a discutere (Proprio da qui, poi, si evince il pairing reale della storia, per così dire), facendo tornare a galla il passato burrascoso del moro e la perdita della sorella; senso che si estende poi maggiormente quando è Roy a parlare con Edward, chiarendo che ciò che prova altro non è che amore paterno (O fraterno), se così lo si vuole chiamare.
Torno a ribadire che ho amato la fine: perfetta così com’è stata lasciata, perfetta in quella citazione da te scelta che sembra racchiudere in sé tutto lo svolgimento della storia.
Davvero struggente.
Oserei dire che questo è stato uno dei tuoi lavori migliori, la posizione è più che meritata.


Correttezza grammaticale: 9,5/10
Originalità: 8,5/10
Ambientazione e citazione: 9/10
Caratterizzazione dei personaggi: 8,5/10
Stile e lessico: 9,5/10
Apprezzamento personale: 5/5

Totale: 50/60

   
 
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