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Autore: Akrois    20/01/2010    3 recensioni
Bérénice e Natal piangevano abbracciati, in fondo alla stanza. Ma a Carlo in quel momento non importava.
Per la prima volta nella sua [non]vita stava piangendo abbracciato a qualcuno e in più quel qualcuno era Emauele.
Era un momento memorabile, no?
[Oc!Ossola][Oc!Salò][Menzionamento di Oc!Regime di Vichy e Oc!Spagna Franchista. Evviva la precisione!]
Genere: Dark, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Un’interminabile Morte/Vita {Riempire di sogni il nulla}

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Sapeva dov’era, o almeno lo credeva.

Da una finestra aperta poteva vedere uno scorcio di cielo, il muro di mattoni sbeccati e ricoperti di schizzi scuri, persino il pavimento di terra cotta.

Poteva vedere le foglie portate dal vento volteggiare sopra di lui, la pioggia entrare prepotente e la neve danzare fuori dalla finestra. 

Poteva vedere, ma non poteva sentire. Non sentiva il cinguettio dei passerotti sul davanzale, così come era insensibile alle zampette dei pettirossi su di lui. La pioggia si abbatteva sul suo corpo, ma non gli importava; la neve lo ricopriva, ma tanto poi si scioglieva; il sole lo bruciava, ma almeno così era asciutto.

Nel suo campo visivo rientravano anche le punte delle dita della mano destra.

Col tempo aveva odiato le proprie dita. Gli anni passati a cercare inutilmente di muoverle l’avevano portato al disgusto verso quella piccola parte della propria anatomia.

Non riusciva a sentire i vestiti che aveva addosso, ma era sicuro che non ne fossero rimasti altro che brandelli.

Per passare il tempo, lui odiava e pensava.

Odiare per lui era diventato diverso dal pensare, perché odiare per lui era sfiancante.  Odiare voleva dire mettere assieme i ricordi, creare delle scene, tirar fuori dai cassetti impolverati della sua mente visi da odiare. Pensare era più semplice, perché gli bastava pensare al cielo fuori della finestra, alle stagioni, al fatto che da vivo si sarebbe dovuto fare un po’ più di cultura, cos’ da avere qualcosa di interessante cui pensare. Ma lui era nato col fucile in mano e di cultura ne aveva solo sentito parlare.

Quando si trattava di odiare, odiava quello che era. In fondo è piuttosto facile odiarsi quando si è poco più di manichini senza vita. Vivo ma senza vita.

Non era divertente, eppure avrebbe voluto ridere.

 

 

 

 

 

L’odore di rose e di marcio lo circondava, fondendosi a un fastidioso puzzo di muffa.  Il totale era rivoltante e avere uno stomaco e un naso degni della Bella Addormentata aiutava in quel momento.

Qualcuno gli aveva chiuso gli occhi, togliendogli la possibilità di sapere cosa gli accadeva attorno.

Tutto si era cancellato con quella mano che gli abbassava le palpebre, tutto era sparito mentre lo portavano via dal muro davanti al quale l’avevano fucilato.

L’avevano cambiato, ne era sicuro. Gli avevano fatto mettere i vestiti della festa e la cravatta da ultimo viaggio. Tra le dita gli avevano sicuramente messo un rosario.

Qualcuno cambiava sicuramente le rose (si stupiva che qualcuno dei suoi avesse abbastanza spirito da preoccuparsi delle rose) e qualcuno di sicuro gli parlava.

Voci soffuse e una sensazione ovattata di contatti accompagnavano queste visite.

Avrebbe voluto cacciarli via tutti, allontanare le mani che lo toccavano, gridare schifato e piantare coltelli nei palmi di chi lo toccava con le manacce unte.

Non sapeva dov’era, non sapeva quanti anni erano passati, non sapeva quanto durava il giorno e la notte, non sapeva chi gli stava intorno.

L’unica consolazione era sapere che a lui era andata molto meglio che alla dolce Bérénice, sepolta (ora poteva affermare sepolta viva) sotto i Campi Elisi e a quell’idiota di Natal, squartato e dato in pasto ai tori (non era sicuro che i tori fossero onnivori come i maiali, ma era sicuro che non dovesse essere stato piacevole).

Bhe, era una magra consolazione.

 

 

 

Quando pensava, di tanto in tanto, il suo viso spuntava fra i suoi ricordi.

Ossola non poteva cancellare il viso del nemico che per un lungo anno l’aveva seguito, sorridendo e chiamandolo liebe.

Non poteva dimenticare il sorriso dolce di Salò mentre uccideva i suoi uomini o mentre gli si avvicinava all’orecchio e pronunciava quella parola.

Liebe”, si era sempre chiesto cosa volesse dire.

 

 

I visi delle Repubbliche ossessionavano i suoi pensieri. Si soprapponevano, si scambiavano, mutavano di colore e sembrava di stare in mezzo a qualche fastidioso caleidoscopio troppo colorato.

Solo Ossola era immobile, in quel caos di colori e forme, seduto in un angolo, i pantaloni sporchi di fango e lo sguardo fisso verso di lui.

Nel suo pensiero riusciva ad avvicinarsi a lui e porgergli la mano. Non aveva coltelli in quel momento.

Nella fantasia (non era più un pensiero, in effetti, ma chi ha mai detto che pensiero e fantasia sono differenti?) Natal e Bérénice ridevano sullo sfondo, confabulando fra loro.

 

 

Nella fantasia di Ossola lui prendeva la mano di Salò e non aveva fucili a impedirgli di tirarlo verso di sé. Affondava il viso nel suo collo, ispirando il profumo dei suoi capelli. Non era sangue, ma latte.

 

 

Salò sentiva il profumo della pelle di Ossola. Era il buon odore del sole e della terra fertile, accompagnato dalle note agrodolci del bosco.

- Siamo morti, Liebe.

Diceva stringendolo forte.

 

Ossola sorrideva, le braccia attorno alle spalle magre di Salò.

- Magari Salò, magari.

Non gli chiedeva cosa voleva dire “liebe”, perché se no il sogno sarebbe finito e lui sarebbe finito nuovamente a fissare la finestra.

 

Salò allora gridava e teneva Ossola stretto a sé.

La morte infinita, fino al suo ritorno. Poi, di nuovo i coltelli e i fucili.

Di nuovo il bosco, il sangue, Ossola morto, Bérénice sotto la terra e i fiori di Parigi, la testa di Natal che vola oltre l’inferriata dei tori. Lui morto, tutti morti.

Fino al giorno in cui qualcuno non avesse tirato fuori i loro cadaveri.

E tutto si sarebbe ripetuto all’eterno, all’eterno, all’eterno, all’eterno, all’eterno, all’eterno, all’eterno…

 

 

 

- Invidi i morti, ora, Carlo?

- Non sai quanto, Emanuele.

 

 

 

Bérénice e Natal piangevano abbracciati, in fondo alla stanza. Ma a Carlo in quel momento non importava.

Per la prima volta nella sua [non]vita stava piangendo abbracciato a qualcuno e in più quel qualcuno era Emauele.

Era un momento memorabile, no?

 

 

 

 

A.Corner____

Leggermente nonsense?

Bho ò.o

Precisazioni: Bérénice è il Regime di Vichy che io ho immaginato come una femmina, chissà perché.

Natal è, invece, rappresenta la Spagna Franchista che nella mia testolina contorta è diversa dal nostro buon vecchio pedofilo Spagna ù_ù

Da notare la differenza tra Salò ed Ossola: mentre Ossola può solo vedere (perché è rimasto con gli occhi parti), Salò può anche sentire, sebbene in maniera ovattata. Questa distinzione l’ho fatta in base all’idea che un paese non può morire se qualcuno se ne ricorda.

Quanta gente ricorda Salò? Tanta.

Quanta gente ricorda Ossola? Poca.

Salò sente un po’ più di Ossola proprio per questo motivo.

 Scritta e pubblicata perché se avessi atteso ancora dieci minuti ci avrei ripensato  l’avrei cestinata. Ù_ù

 

 

 

 

 

   
 
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