Un’interminabile
Morte/Vita {Riempire di sogni il
nulla}
Sapeva
dov’era, o almeno lo credeva.
Da una
finestra aperta poteva vedere uno scorcio di cielo, il muro di mattoni sbeccati
e ricoperti di schizzi scuri, persino il pavimento di terra cotta.
Poteva
vedere le foglie portate dal vento volteggiare sopra di lui, la pioggia entrare
prepotente e la neve danzare fuori dalla finestra.
Poteva
vedere, ma non poteva sentire. Non sentiva il cinguettio dei passerotti sul
davanzale, così come era insensibile alle zampette dei pettirossi su di
lui. La pioggia si abbatteva sul suo corpo, ma non gli importava; la neve lo
ricopriva, ma tanto poi si scioglieva; il sole lo bruciava, ma almeno
così era asciutto.
Nel suo
campo visivo rientravano anche le punte delle dita della mano destra.
Col
tempo aveva odiato le proprie dita. Gli anni passati a cercare inutilmente di
muoverle l’avevano portato al disgusto verso quella piccola parte della
propria anatomia.
Non
riusciva a sentire i vestiti che aveva addosso, ma era sicuro che non ne
fossero rimasti altro che brandelli.
Per
passare il tempo, lui odiava e pensava.
Odiare
per lui era diventato diverso dal pensare, perché odiare per lui era
sfiancante. Odiare voleva dire
mettere assieme i ricordi, creare delle scene, tirar fuori dai cassetti
impolverati della sua mente visi da odiare. Pensare era più semplice,
perché gli bastava pensare al cielo fuori della finestra, alle stagioni,
al fatto che da vivo si sarebbe dovuto fare un po’ più di cultura,
cos’ da avere qualcosa di interessante cui pensare. Ma lui era nato col
fucile in mano e di cultura ne aveva solo sentito parlare.
Quando
si trattava di odiare, odiava quello che era. In fondo è piuttosto
facile odiarsi quando si è poco più di manichini senza vita. Vivo
ma senza vita.
Non era
divertente, eppure avrebbe voluto ridere.
L’odore
di rose e di marcio lo circondava, fondendosi a un fastidioso puzzo di
muffa. Il totale era rivoltante e
avere uno stomaco e un naso degni della Bella Addormentata aiutava in quel momento.
Qualcuno
gli aveva chiuso gli occhi, togliendogli la possibilità di sapere cosa
gli accadeva attorno.
Tutto si
era cancellato con quella mano che gli abbassava le palpebre, tutto era sparito
mentre lo portavano via dal muro davanti al quale l’avevano fucilato.
L’avevano
cambiato, ne era sicuro. Gli avevano fatto mettere i vestiti della festa e la
cravatta da ultimo viaggio. Tra le dita gli avevano sicuramente messo un
rosario.
Qualcuno
cambiava sicuramente le rose (si stupiva che qualcuno dei suoi avesse abbastanza spirito da preoccuparsi delle rose) e
qualcuno di sicuro gli parlava.
Voci
soffuse e una sensazione ovattata di contatti accompagnavano queste visite.
Avrebbe
voluto cacciarli via tutti, allontanare le mani che lo toccavano, gridare schifato
e piantare coltelli nei palmi di chi lo toccava con le manacce unte.
Non
sapeva dov’era, non sapeva quanti anni erano passati, non sapeva quanto
durava il giorno e la notte, non sapeva chi gli stava intorno.
L’unica
consolazione era sapere che a lui era andata molto meglio che alla dolce
Bérénice, sepolta (ora poteva affermare sepolta viva) sotto i Campi Elisi e a
quell’idiota di Natal, squartato e dato in pasto ai tori (non era sicuro
che i tori fossero onnivori come i maiali, ma era sicuro che non dovesse essere
stato piacevole).
Bhe, era
una magra consolazione.
Quando
pensava, di tanto in tanto, il suo viso spuntava fra i suoi ricordi.
Ossola
non poteva cancellare il viso del nemico che per un lungo anno l’aveva
seguito, sorridendo e chiamandolo liebe.
Non
poteva dimenticare il sorriso dolce di Salò mentre uccideva i suoi
uomini o mentre gli si avvicinava all’orecchio e pronunciava quella
parola.
“Liebe”, si era sempre chiesto cosa
volesse dire.
I visi
delle Repubbliche ossessionavano i suoi pensieri. Si soprapponevano, si
scambiavano, mutavano di colore e sembrava di stare in mezzo a qualche
fastidioso caleidoscopio troppo colorato.
Solo
Ossola era immobile, in quel caos di colori e forme, seduto in un angolo, i
pantaloni sporchi di fango e lo sguardo fisso verso di lui.
Nel suo
pensiero riusciva ad avvicinarsi a lui e porgergli la mano. Non aveva coltelli
in quel momento.
Nella
fantasia (non era più un pensiero, in effetti, ma chi ha mai detto che
pensiero e fantasia sono differenti?) Natal e Bérénice ridevano
sullo sfondo, confabulando fra loro.
Nella
fantasia di Ossola lui prendeva la mano di Salò e non aveva fucili a
impedirgli di tirarlo verso di sé. Affondava il viso nel suo collo,
ispirando il profumo dei suoi capelli. Non era sangue, ma latte.
Salò
sentiva il profumo della pelle di Ossola. Era il buon odore del sole e della
terra fertile, accompagnato dalle note agrodolci del bosco.
- Siamo
morti, Liebe.
Diceva
stringendolo forte.
Ossola
sorrideva, le braccia attorno alle spalle magre di Salò.
- Magari
Salò, magari.
Non gli
chiedeva cosa voleva dire “liebe”,
perché se no il sogno sarebbe finito e lui sarebbe finito nuovamente a
fissare la finestra.
Salò
allora gridava e teneva Ossola stretto a sé.
La morte
infinita, fino al suo ritorno. Poi, di nuovo i coltelli e i fucili.
Di nuovo
il bosco, il sangue, Ossola morto, Bérénice sotto la terra e i
fiori di Parigi, la testa di Natal che vola oltre l’inferriata dei tori.
Lui morto, tutti morti.
Fino al
giorno in cui qualcuno non avesse tirato fuori i loro cadaveri.
E tutto
si sarebbe ripetuto all’eterno, all’eterno, all’eterno,
all’eterno, all’eterno, all’eterno, all’eterno…
- Invidi
i morti, ora, Carlo?
- Non
sai quanto, Emanuele.
Bérénice
e Natal piangevano abbracciati, in fondo alla stanza. Ma a Carlo in quel
momento non importava.
Per la
prima volta nella sua [non]vita stava
piangendo abbracciato a qualcuno e in più quel qualcuno era Emauele.
Era un
momento memorabile, no?
A.Corner____
Leggermente
nonsense?
Bho
ò.o
Precisazioni:
Bérénice è il Regime di Vichy che
io ho immaginato come una femmina, chissà perché.
Natal
è, invece, rappresenta la Spagna Franchista che nella
mia testolina contorta è diversa dal nostro buon vecchio pedofilo Spagna
ù_ù
Da
notare la differenza tra Salò ed Ossola: mentre Ossola può solo
vedere (perché è rimasto con gli occhi parti), Salò
può anche sentire, sebbene in maniera ovattata. Questa distinzione
l’ho fatta in base all’idea che un paese non può morire se
qualcuno se ne ricorda.
Quanta
gente ricorda Salò? Tanta.
Quanta
gente ricorda Ossola? Poca.
Salò
sente un po’ più di Ossola proprio per questo motivo.
Scritta e pubblicata perché se
avessi atteso ancora dieci minuti ci avrei ripensato l’avrei cestinata.
Ù_ù