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Autore: Jerry    27/01/2010    4 recensioni
Era a piedi nudi, i capelli lunghi che le frustavano il viso, mossi dal vento; aveva indosso un abito bianco che le si incollava addosso, seguendo il ritmo tenuto dalle gambe pallide e dalle braccia delicate: danzava. Si muoveva a fatica, tra i girasoli che le arrivavano quasi alla vita, che parevano seguirla ondeggiando lievemente.
Genere: Malinconico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Era un mare, un mare infinito d’erba verde scuro. Gli steli erano così alti ed imponenti da sembrare rami di giunco, le foglie si alzavano verso l’alto con forza, scosse da folate di vento; gocce di rugiada si staccavano, impotenti, e si infrangevano sul terreno. Ad un insetto che guardasse verso l’alto, dovevano venire le vertigini, nel vedere quegli steli che ai loro minuscoli occhi dovevano innalzarsi alla stregua di grattacieli; ma qualora un grillo coraggioso avesse spiccato un salto ed iniziato la scalata, di foglia in foglia, lottando in quella piccola foresta in miniatura, allora arrivato all’ultimo piano, superato l’ultimo ostacolo, superando l’ultima infida goccia scivolosa, avrebbe visto uno spettacolo ancora più grande: si sarebbe adagiato su di una corolla marrone scuro, circondata da petali giallo sole; e di quei petali ne avrebbe visti a centinaia, a migliaia, sparsi intorno a lui, un altro oceano di incredibile estensione.
Girasoli.
L’occhio più allenato avrebbe faticato a valutarne la grandezza. Corolle e corolle di fiori e fiori, sparsi disordinatamente e insieme compatti, senza fine; ma sorvolando quel quadro, pareva che il pennello di un pittore distratto si fosse divertito a creare una certa disarmonia, un qualcosa che stonava nell’insieme: come una lacrima su un viso sorridente. E all’improvviso eccolo, ecco quel punto, quella pennellata anonima: tra i girasoli, quasi sommersa dalla forza dei fiori, c’era una ragazza.
Era a piedi nudi, i capelli lunghi che le frustavano il viso, mossi dal vento; aveva indosso un abito bianco che le si incollava addosso, seguendo il ritmo tenuto dalle gambe pallide e dalle braccia delicate: danzava. Si muoveva a fatica, tra i girasoli che le arrivavano quasi alla vita, che parevano seguirla ondeggiando lievemente.
Il suo braccio si tendeva verso l’alto, verso il cielo scuro, pieno di nuvole che gettavano un’ombra scura sul colore vivace dei girasoli; e questi si muovevano con lei. Pareva un’incantatrice di serpenti con ai piedi i suoi rapiti ascoltatori, e gli steli sembravano giocare con lei, accarezzarle un fianco, strofinarsi su una sua gamba; ma la sua danza frenetica portava un vessillo di paura. La ragazza si elevò all’improvviso, con le braccia e la testa all’indietro, con una sorta di spaccata mozzafiato; l’intero mare di fiori sotto di lei parve seguirla con il fiato sospeso, come fossero timorosi o desiderosi di vederla cadere, infrangersi su quegli steli infinitamente più forti di lei così sottile e bianca e stanca, ma non accadde. La caviglia di lei parve tremare per un attimo-e con essa fremette l’intero esercito di fiori- ma riacquistò stabilità all’ultimo momento, e con una piroetta la ragazza riprese la sua attività, come se nulla fosse successo; ma il vento a quanto pare le faceva lacrimare gli occhi, poiché erano lucidi.
Così poco, c’era mancato così poco, pensava mentre alzava il viso al cielo per non far vedere la sua debolezza ai suoi carnefici.
Prima o poi sarebbe successo; lei sarebbe caduta e i fiori si sarebbero fiondati su di lei, l’avrebbero inghiottita: le braccia sarebbero diventate foglie, i capelli petali, le sue gambe si sarebbero unite per formare un unico stelo. Trasformata, di nuovo, anche lei.
Ma questo non sarebbe successo, continuava a pensare; quante ragazze avevano subito la sua stessa millenaria sorte, erano state date in pasto ai fiori, come punizione per- per cosa? Aveva davvero importanza? Per pagare con la vita il fio della loro stessa vanità?
Eppure, anche lei c’era passata; c’era un tempo in cui rideva e si dava per scontata, così come sopravvalutava la propria bellezza, la adorava, scuoteva la chioma e rideva, rideva…
Solo la bellezza poteva sconfiggere la bellezza; non ricordava chi lo avesse detto, e di nuovo, aveva forse importanza? I fiori non la attaccavano, poiché in quel momento lei gli offriva qualcosa di più bello di loro. La musica muta del suo corpo l’aveva salvata, ma lei era così stanca, così stanca, e ballava da tanto tempo, così tanto tempo…
Non si arrendeva; continuava caparbia a lottare per la vita; c’erano delle volte in cui qualcosa in lei vacillava, un movimento del braccio, l’ombra di un pensiero sul viso perfetto; ma nessuno degli spettatori aveva il tempo di accorgersene, prima che questo fosse già sparito, soppiantato da un passo ancora più forte di prima, come a compensare la mancanza compiuta. E lei allora addirittura sorrideva, aveva un sorriso bellissimo, ma a metà tra il soddisfatto e il preoccupato; il cielo sopra di lei pareva osservarla e scuotere la testa, come a dire che nonostante tutto, era ancora la ragazza di una volta; che ancora meritava ciò che subiva. E dalle nuvole non scendeva nulla, nemmeno la più piccola goccia d’acqua; le labbra di lei erano terribilmente screpolate, come se non bevesse da ore.
Pregava con gli occhi e con la mente per l’avvenimento del miracolo, ma senza successo; e intanto la natura implacabile compieva il suo corso, e la stanchezza dilagava nelle sue vene, come una droga. Dormire, posarsi a terra e dormire; senza badare ai fiori e al proprio destino, o addirittura lasciare che si compiesse; questo era ciò che sussurrava, e l’incanto che esercitava su di lei era forse ancora più forte di quello che lei testava sui fiori; ma poi una radice la sfiorava con troppa forza, una corolla pareva avvicinarsi troppo, e allora lei si riscuoteva, imponendosi di continuare.
Ma era senza forze. I suoi movimenti erano sempre più fiacchi; le mani si muovevano con un secondo di ritardo più del necessario; sul viso, per quanto si sforzasse di nasconderla, appariva a tratti un’espressione sofferente. Si era morsa le labbra così tante volte che ormai le sanguinavano, di un intenso colore vermiglio. Si costringeva a mantenere lo stesso ritmo, a mimetizzare un mancamento con un passo improvvisato, un gemito con un breve canto…
E poi, inevitabilmente, successe. Nel mezzo di un salto troppo azzardato, il piede incontrò un’asperità del terreno; e indifeso, capitolò. L’intero corpo della ragazza parve cadere al rallentatore, gli occhi si spalancarono in un grido muto, le braccia si tesero in avanti per parare il colpo: cadde rovinosamente, con tanta forza da risollevarsi e poi cadere di nuovo, mentre sulle mani screpolate si formavano graffi dolorosi.
I fiori si mossero come uno solo. Immediatamente si alzarono, minacciosi, le corolle si gonfiarono come le sacche di un cobra; una radice si allacciò immediatamente alla caviglia pulsante della ragazza, altre le afferrarono le braccia, la vita. Lei gridò, inerme, graffiando inutilmente la terra…
E poi, d’improvviso, fu buio.
I fiori parvero voltarsi tutti verso il cielo, in un solo momento. Gocce grigie cadevano dalle nuvole, andavano a ricoprire i petali, annegavano l’intero campo. Le radici, improvvisamente docili, abbandonarono la stretta per raggomitolarsi sul terreno; la ragazza si affrettò ad allontanarsi da solo, urtando verso altri fiori, con il respiro rotto. Davanti a lei, le piante diventavano grigie, prima di un color perla, poi sempre più scure; i colori svanivano, la morbidezza delle foglie si irrigidiva, mentre la natura le trasformava. Come i cuori insensibili delle donne che li avevano creati, i girasoli diventavano pietra. In breve lei, l’ultima superstite, si ritrovò circondata da statue; e in mezzo a quell’immensa foresta pietrificata, si abbracciò le ginocchia e pianse. Mentre la pioggia le batteva sulla schiena e le incollava i capelli al vestito, lei si scioglieva in singhiozzi convulsi, ripetendosi che era salva, salva, salva, per chissà quanto ancora; e a questo pensiero, invece di rallegrarsi, piangeva ancora di più.
Per quanto ancora sarebbe durata quella danza sul filo del rasoio? Si chiedeva, inconsolabile. Durerà finché sarò vecchia, finché non avrò più niente da offrire, e allora morirò?
Ma a risponderle, c’era solo il cielo; e quel cuore che ancora le batteva in petto, che nonostante la sua sofferenza, era così coriaceo da farle male.



N/A
A dire il vero, non sapevo se pubblicarla. Ma la pagina autrice vuota è così deprimente...
Dato che una mia amica mi ha detto che la sua visione le ha "schiarito le idee", metto qui il link dell'immagine che ha ispirato questa fic. ->  http://yfrog.com/0a22533104006212956891100j Ps: ho cambiato il font e la grandezza in seguito ad una recensione, per facilitare la lettura. Grazie. :)

  
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