· Pyongyang, Luglio 2319
Erano passati venticinque anni dalla costituzione
della quarta Repubblica Democratica di Corea: le precedenti erano sorte e
cadute come castelli di carta, ripiegate su se stesse, distrutte dai propri
alleati e dalle proprie ambizioni, sempre troppo pretenziose. Erano passati
venticinque anni ed io, per la prima volta nella mia seppur breve vita, ne
varcavo il confine.
Ci fermarono.
Controllarono il visto di mio padre: medico
chirurgo. Un militare ci squadrò silenzioso, scrutando con attenzione il
documento cinese che gli era appena stato porto, poi lo passò ad un suo
sottoposto e indicò mio padre.
Lo sollevarono di forza e lo perquisirono, chiedendogli
di aprire la valigetta in cuoio rovinato che portava sempre con sé: non
trovarono che medicine.
Passarono a me che, nel frattempo avevo sperato di
essere diventata invisibile.
« Lei è a posto! » gridò
papà, cercando di divincolarsi dalla presa ferrea dei soldati. «
È solo mia figlia! ».
Il primo militare parve capire, infatti
sbraitò qualcosa in un dialetto incomprensibile e ci lasciò
passare. Noi eravamo riusciti ad entrare, mentre migliaia di persone morivano
nel tentativo di uscire.
Quello che i fuggitivi probabilmente non sapevano
era che da nessun parte, né sotto l’ala protettiva della Cina
–il mio paese natale-, né sotto quel dannatissimo trentottesimo
parallelo avrebbero trovato libertà e fortuna. Ma il vero problema non
era
L’intera costa occidentale degli Stati Uniti
era stata completamente distrutta un secolo prima, a causa di un disastroso
terremoto lungo la faglia di Sant’Andrea, e la regione dei grandi laghi
ormai non aveva più ragione di chiamarsi in quel modo: un attacco
nucleare e missilistico da parte della Russia aveva prima contaminato
l’intera area, poi sterminato gli abitanti ed infine prosciugato interi
bacini idrici; ora il deserto ricopriva il settanta percento della superficie
dell’America del nord.
La foresta pluviale, una volta chiamata polmone
del mondo, era stata completamente rasa al suolo nel 2020; in Africa
imperversavano da decenni epidemie mortali e inarrestabili, logica
eredità di una spietata guerra batteriologica, mentre le grandi
città europee erano state polverizzate da devastanti bombardamenti e
lotte intestine.
Nessuno, in nessun luogo, poteva dirsi al sicuro.
Prima che mio padre venisse mandato nei pressi di
Pyongyang, io e lui vivevamo nel distretto di Huairou,
nella periferia a nord-est di Pechino; andavo a scuola, uscivo con i miei
amici, leggevo libri e guardavo film, vivevo una vita sostanzialmente normale.
Poi arrivò quella dannata lettera e fummo
costretti ad un trasferimento forzato: dall’oggi al domani radunammo
tutte le nostre cose e senza avere il tempo di renderci conto di ciò che
stava accadendo partimmo.
Odiai
Non appena misi piede nei quartieri
dell’esercito, dove mio padre alloggiava in qualità di medico
militare, sentii il grigiore di quel mondo lacerarmi la carne e penetrarmi le
ossa. Attorno a me non vi erano che enormi palazzi in cemento armato, alcuni
diroccati, alcuni vecchi, altri nuovi, ma tutti tristemente simili agli altri.
« I-insomma, non
è poi così male qui » commentò mio padre, cercando
di abbozzare un sorriso. « E poi… hai visto? La tua camera è
più grande di quella che avevi a Huairou
».
Gli rivolsi un’occhiata scettica.
« Più grande e con meno mobili
» osservai. Infatti all’interno di quelle quattro mura, che
sarebbero diventate la mia stanza, vi era solo un letto in ferro battuto, un
armadio a due ante ed una sedia. « Inoltre le macchie
d’umidità le danno un non so che di vissuto ».
« Siamo solo stanchi » disse lui, massaggiandosi
le tempie. « Abbiamo fatto un lungo viaggio, siamo spossati e
demoralizzati. Vedrai che alla luce del giorno ti sembrerà tutto
migliore ».
Sospirai. Lo speravo.
Il giorno seguente mi svegliai con i primi raggi
del sole: nulla era cambiato.
Salutai mio padre con un bacio, poi mi sedetti di
fronte a lui nella piccola cucina, cominciando a sorseggiare il mio tè.
« Avevi ragione » dissi, ostentando
buon umore. « Ieri sera ero solo un po’ sconfortata. Non mi
troverò male qui ».
Mio padre mi rivolse un’espressione carica
di gratitudine.
« Ne sei certa? Posso sempre chiedere un
trasferimento » tentò. Sapevo che non era vero: gli ordini
venivano dall’alto, molto probabilmente non avevamo altra scelta.
Scossi la testa con vigore.
« Ma no, figurati! » cinguettai.
« Non ti preoccupare ».
« Ora che me lo hai detto mi sento
più sollevato. Temevo che potessi trovarti male… da quando
è morta tua madre sai quanto mi dispiace doverti trascinare nei miei
viaggi di lavoro ».
« Papà, cosa ho appena detto?
».
« Che non mi devo preoccupare, ma…
».
« Appunto! » esclamai contenta.
« Starò benissimo, te lo prometto. Oggi andrò a fare un
giro e vedrai che entro sera questo posto mi farà impazzire ».
Sì, letteralmente.
« Ora non stai un po’ esagerando?
È pur sempre un quartiere dell’esercito, non un parco divertimenti
».
Scoppiai in una fragorosa risata.
« Si vede che mi sottovaluti, allora »
risposi.
« Lo spero proprio, Xiaoyu »
mormorò lui, alzandosi.
« Te ne vai già? » gli chiesi.
« Speravo di disfare le valige insieme a te… ».
Mio padre scosse la testa.
« Devo visitare il campo sud, pare che il
medico che mi ha preceduto sia stato un vero incompetente. Avrò suture
da rifare e problemi vari… è meglio che mi metta all’opera
fin da subito se voglio ottenere al più presto una promozione ».
« Capisco » risposi comprensiva,
continuando a mordicchiare una fetta biscottata.
« Ma prima ho una sorpresa per te ».
A queste parole alzai gli occhi dalla mia
colazione, piacevolmente stupita.
« Cosa? » domandai incuriosita.
« Ma soprattutto, come mai?! ».
Lui rise.
« Devo per forza avere un motivo? »
chiese, dirigendosi in camera. « Però potremmo considerarlo come
un modo per scusarmi di averti portata qui ».
Tornò pochi attimi dopo, stringendo un mano
un pacchettino avvolto in carta di giornale.
« Non guardare la confezione » mi
avvertì. « Certe volte l’apparenza è fuorviante
».
Afferrai l’oggetto che mi stava porgendo
senza smettere di sorridere e lo aprii con impazienza: gli strati di carta
rovinata rivelarono una confezione di velluto blu, che a sua volta
rivelò un piccolo ferma capelli.
« Era di tua madre… credevo di averlo perduto
» mi rivelò. « L’ho ritrovato in un cassetto mentre
facevo la valigia. Ho pensato che ti avrebbe fatto piacere averlo ».
« Io… » non seppi cosa rispondere,
quindi mi limitai ad annuire con gli occhi lucidi e la bocca spalancata.
Lentamente presi il fermaglio tra le mani e me lo misi in testa.
Il verde della giada risaltava tra i miei capelli
neri esattamente come faceva tra quelli di mia madre. Forse era un po’
troppo elegante per me e i fiori incisi troppo raffinati, ma sentivo già
di amarlo.
« Grazie » dissi infine, recuperando
l’uso della voce. « Ne avrò cura, te lo prometto ».
« Non ne dubito, Xiaoyu ».
Rimanemmo in silenzio per qualche istante, poi lui
si schiarì la voce.
« Ehm, credo di dover andare ora »
disse, cercando di riacquistare contegno. « Ci vediamo stasera, ok?
».
« Certo! ».
« Un’ultima cosa… stai attenta.
Se vuoi esplorare i dintorni, cerca di rimanere sempre nel quartiere militare
» mi avvertì. « Il resto della città non è
altrettanto sicuro. Non farmi preoccupare, ok? ».
« No problem » concordai. « Fidati di me!
».
Già allora sapevo che non avrei mantenuto
la parola.
Malgrado ciò che avevo sostenuto di fronte
a mio padre, il ghetto dove vivevamo era una delle cose più desolanti
che avessi mai visto. Più percorrevo le vie, più mi sentivo a
disagio: avevo la tremenda sensazione di essere la cosa più colorata nel
raggio di miglia e miglia.
In una città fatta di cemento e popolata da
divise verde scuro, il mio abito rosa shocking attirava
l’attenzione in modo disarmante.
Con mio grande disappunto mi accorsi che la
maggior parte dei negozi era chiusa, forse per fallimento. Grosse travi di
legno erano state inchiodate in modo da sbarrare per sempre le saracinesche
delle botteghe, mentre sotto una mano di vernice ormai scrostata erano ancora
visibili le insegne.
Sbuffai: in un posto del genere perfino farsi
degli amici mi sembrava impossibile.
Vagai senza meta fino all’ora di pranzo,
attraversando strade e vicoli sempre uguali, ritrovando ovunque la stessa
monotona desolazione.
Quando la mia pancia cominciò a brontolare
entrai in un parco, una delle pochissime macchie di natura che avevo incrociato,
e mi sedetti su una panchina pronta a consumare il mio pasto.
Estrassi dalla tracolla una scatoletta colorata e,
una volta impugnate le bacchette, mi apprestai a mangiare la mia frittata di
pollo. Non feci in tempo a masticare il primo boccone che venni distratta da un
fruscio sospetto alle mie spalle.
Mi voltai di scatto e non vidi nulla, solo un
cespuglio rinsecchito che nella calura di luglio non faceva che implorare un
po’ d’acqua.
Indispettita tornai a concentrarmi sul mio pasto,
quando ecco che il fruscio si fece più forte; questa volta mi bloccai
per un istante, ma subito dopo tornai a mangiare, dando la colpa a qualche
animale.
Purtroppo non fui abbastanza accorta,
perché all’improvviso una mano mi sfilò il fermaglio dai
capelli facendoli ricadere sulle spalle; mi girai di rapidamente e intravidi
una figura che scappava tra gli arbusti.
« Ehi! » sbraitai.
Scattai in piedi, lanciando a terra il mio pranzo.
« Quello era il fermacapelli di mia madre!
» scandii, cominciando a correre nella sua direzione.
Era un tipo basso, quasi quanto me, e molto agile.
Si voltò per una frazione di secondo e quando mi vide alle sue calcagna,
decise di correre ancora più rapidamente.
Non mi feci scrupoli e come lui scavalcai senza
problemi le recinzioni del parco.
« Fermati » gridai, mentre lo
inseguivo lungo intricati vicoletti. « Dove diavolo stai andando?!
».
Come ovvio non mi rispose, ma continuò a
correre senza dare segni di cedimento.
Il paesaggio grigio del quartiere militare aveva
lasciato il posto ad una serie di minuscole vie che, al contrario del ghetto,
brulicavano di vita. Stranamente nessuno fece caso a noi, né alle mie
grida infuriate, continuando a fare esattamente ciò che faceva prima.
Zigzagammo tra gruppetti di persone
dall’aria decisamente poco raccomandabile, rischiammo di travolgere barboni
e mendicanti, rovesciai inavvertitamente un barroccio pieno di verdura e per
poco il ladro non venne travolto da un carro.
Continuai a rincorrerlo finché non sentii
le forze venirmi meno.
« Fermati, figlio d’un cane! »
biascicai.
Mi dolevano le gambe ed avevo il fiatone: non
sarei riuscita a continuare in quel modo ancora per molto. Per mia fortuna
anche il ladro cominciava a dare i primi segni di affaticamento: nella speranza
di seminarmi, svoltò di colpo, entrando in un locale fumoso e affollato.
Non appena irrompemmo nel bar, lui per primo ed io
al suo seguito, ogni rumore cessò; gli uomini al suo interno si
bloccarono, fissandoci con ostilità.
« È lui » mormorò
qualcuno.
« Già, ne sono certo » disse
qualcun altro.
Io non mossi un muscolo, ma mi accorsi che il
fuggitivo –nient’altro che un ragazzino rapido come una scimmia-
aveva cominciato a tremare convulsamente.
« Spero per te che Hwoarang non ti trovi
qui! » commentò un uomo, seduto ad un tavolo in penombra, prima di
scoppiare in una fragorosa risata, seguito a sua volta da altri tizi.
« Ti farà a pezzi! ».
« Solo a pezzi? Siete ottimisti ».
Ancora non capivo cosa stesse accadendo. Mi
guardai attorno confusa, ma nessuno sembrava dare peso alla mia presenza:
l’attenzione di tutti era concentrata sullo schifoso ladro di fronte a
me.
« Chi è che non dovrei trovare qui?
».
Una voce alle mie spalle fece zittire tutti
nuovamente. Doveva trattarsi di quel Hwoa… Hwo… oh, insomma, di quel tizio che voleva farlo a
pezzi (con tutta la mia approvazione, tra l’altro).
Mi superò con poche falcate, essendo
decisamente più alto di me, ignorandomi come tutti gli altri.
« Ah, sei tu » sibilò in
direzione del ladro, poi fece scrocchiare le dita e si avvicinò a lui.
« Dimmi, con che coraggio ti fai rivedere da queste parti, eh? ».
Il ragazzino non rispose, immobilizzato dalla
paura.
« Dopo aver spifferato ai militari di quella
partita di alcolici illegali in arrivo da Seul, una persona con un minimo di
cervello avrebbe avuto l’accortezza di sparire » ringhiò direttamente al suo orecchio.
Per un attimo ebbi paura per lui. Hwo… Hwoa… ehm, il
ragazzo che aveva appena messo piede nel locale lo superava di una testa a dir
poco e aveva l’aria di chi, solo volendo, avrebbe potuto staccare la
testa di un uomo senza difficoltà.
« S-scusa Hwoarang
» biascicò il ladruncolo con voce strozzata.
Gli occhi di Hwoarang lampeggiavano dalla rabbia.
« Scusa?
» ringhiò nuovamente. « Hai una vaga idea di quanti soldi mi
hai fatto perdere o sei troppo stupido anche per quello? Sai che li rivoglio
tutti in contanti, vero? ».
Evidentemente in preda al panico, il ragazzino scosse
febbrilmente la testa, poi arretrò di qualche passo, sbattendo contro di
me.
In un istante accadde il finimondo.
Il ladruncolo si accorse di essere, per
così dire, “accerchiato”. Ora aveva due scelte: affrontare
me o affrontare Hwoarang.
Come era logico pensare, si girò verso di
me e facendo appello a tutte le sue forze mi colse di sorpresa scaraventandomi
a terra con un calcio in pieno stomaco. Caddi a rovinosamente, cozzando contro
la parete, mentre lui si dava nuovamente alla fuga.
Hwoarang tentò di seguirlo, proprio come
avevo fatto io, ma alcuni uomini dietro di lui lo fermarono.
« Non ne vale la pena »
commentò uno, bloccandolo. « Vedrai che tornerà prima o
poi. Inoltre puoi sempre prendere la ragazza come ostaggio… sono entrati
insieme, è probabile che siano complici ».
Per un momento riconobbi la genialità
dell’azione, poi mi ricordai che la ragazza in questione era la
sottoscritta.
« Ehi, fermi » mormorai, ancora
intontita per la caduta. « Cosa credete di fare? ».
Hwoarang mi afferrò con un braccio,
sollevandomi come se non pesassi che pochi grammi.
« Ti prendiamo in ostaggio, ovvio »
chiosò, squadrandomi con aria truce.
« Ma… mi ha appena dato un calcio!
» strillai. « Come puoi pensare che sia sua complice? Sei idiota
per caso? ».
« Modera le parole ragazzina, non sai con
chi stai parlando » mi redarguì lo stesso uomo che poco fa aveva
fermato Hwoarang. « Tutti i prodotti del mercato nero di Pyongyang
passano attraverso le sue mani, dovresti portargli rispetto ».
« Rispetto o meno, io non sono complice di
quel sudicio ladro » cercai di spiegare.
« E allora perché l’hai seguito
fin qui? ».
Cominciai a spazientirmi.
« La parola sudicio ladro non vi dice nulla? » chiesi. « Lo stavo
inseguendo, che diamine! ».
Hwoarang sbarrò gli occhi, per poi
rivolgersi a me con tono canzonatorio.
« Vuoi farmi credere che quel ratto di fogna
scappava da te? » mi chiese,
trovando la cosa terribilmente divertente.
« Precisamente » sibilai,
divincolandomi dalla sua presa e togliendo la polvere dal mio abito. « Io
e lui abbiamo un conto in sospeso ».
« Ti ha rubato le caramelle o tirato i
capelli per caso? » mi prese in giro. « Oppure, non so, ti ha
sottratto l’altalena all’ultimo momento? ».
Io non risposi, limitando a socchiudere gli occhi.
« Capo, non è che una ragazzina, non
ne vale la pena! » lo avvisarono, ma lui fece cenno di tacere.
Hwoarang mi squadrò nuovamente da capo a
piedi.
« Non ti credo » sentenziò
infine.
« Cosa?! » esclamai, contraendo il
volto in una smorfia e stringendo i pugni. « Ma… dannazione, non senti il mio accento?
Non sono nemmeno del posto! »
« Accento cinese… ancora più
sospetto. Grazie per avermelo fatto notare: è un punto in più a
tuo sfavore ».
Ma come diavolo ragionava questo?
Io e quel sorcio disgustoso abbiamo un conto in
sospeso » sbraitai. « Non possiamo in nessun modo essere complici,
lo vuoi capire? Lo odio e basta! ».
« Sì? Per caso ti deve trentamila won o, in alternativa, tre container ricolmi di alcolici
destinati al commercio illegale? ».
« Ha rubato il fermaglio di mia madre
» risposi, cercando di mantenere la calma.
« Beh, sai che perdita » sbuffò
lui. « Sei sempre meno credibile, lo sai? Seung,
Pak, portatela al piano superiore. Appena si calma
potremo interrogarla con calma ».
« No, no, fermi! » gridai, dimenandomi
furiosamente e cercando di sfuggire alla stretta dei due energumeni. «
Sei fuori strada, io non c’entro nulla! ».
Cercai di urlare ancora, ma pochi attimi dopo
persi completamente i sensi.
Ripresi conoscenza quando qualcuno molto, molto
irritante mi rovesciò un bicchiere d’acqua gelida in faccia.
Riaprii gli occhi gridando.
« Sveglia bella addormentata, non sei qui
per fare il tuo sonnellino di bellezza ».
« Idiota » ringhiai cercando di
afferrare i suoi stupidi capelli rossi, per accorgendomi subito dopo di avere
mani e piedi legati.
La stanza era buia ed angusta, ed io mi ritrovavo
sdraiata su scomodi sacchi di iuta ricolmi di caffè.
« Che ore sono? » domandai immediatamente,
pensando a mio padre; gli avevo promesso che non mi sarei messa nei guai, e
invece…
Hwoarang sollevò le sopracciglia, cercando
di capire se lo stessi prendendo in giro o meno.
« Le quattro del pomeriggio » mi
informò. « Hai dormito per ben tre ore ».
« Dormito? Dormito? » chiesi, scandendo bene le parole e celando il
panico. « Sono svenuta! ».
« Sì, come vuoi tu mocciosa »
rispose lui, sollevando le spalle con noncuranza.
« E non chiamarmi mocciosa! ».
« Solo se la smetti di strillare, per una
buona volta » esclamò Hwoarang, dando un calcio ad un sacco di
caffè. « La tua vocetta stridula mi
perfora i timpani. Tu non parli: emetti ultrasuoni ».
« Almeno non do fiato alla bocca solo per
dire cazzate » ribattei irritata.
« C’è gente a cui ho spezzato
le braccia per molto meno » mi avvertì guardandomi in tralice.
Arricciai il naso indispettita, ma non parlai.
Forse non era solo un montato, c’era anche la remota probabilità
che facesse sul serio.
« Allora » incalzò « Ti
decidi a confessare? Sai o no dove si nasconde quello schifoso ladro? ».
« Ovviamente no, io non c’entro nulla
con tutta questa storia, quante volte devo dirtelo?! ».
« Allora dimostrami di avere un alibi
convincente, no? »
« Slegami almeno le caviglie, sto
cominciando a perdere sensibilità dei piedi » gli chiesi,
mantenendo questa volta un tono di voce normale.
« Che piaga che sei » sbottò
lui, cominciando ad allentare le corde. « Se sarai credibile, ti
lascerò andare. Se e solo se. Non mi fido completamente di te
».
Sbuffai, allungando le gambe per sgranchirle.
« Già, perché tra i due sono
io la criminale incallita ».
« Criminale incallito ma di parola »
precisò Hwoarang, gonfiando il petto.
« Sì » commentai scettica.
« Se ti piace crederlo… ».
« Smettila di cambiare argomento,
dannazione. Questa è una tecnica tipica dei furfanti! ».
Scandalizzata spalancai la bocca senza emettere un
suono.
« Beh? Parla! ».
« Sei un po’ duro d’orecchi
» borbottai. « Te l’ho già detto: ha rubato il
fermaglio di mia madre ».
« Questa è una vecchia scusa…
» sminuì. « Nient’altro da dichiarare? ».
« Sì: dei un deficiente! ».
« Ti conviene smetterla con gli insulti se
non vuoi tornare legata come un salame ».
Sospirai sconsolata, ma poi cominciai a parlare.
« Mi chiamo Xiaoyu, mi sono trasferita da Huairou solo ieri, mia madre è morta, mentre mio
padre è un medico che lavora per l’esercito ».
« Ecco, sapevo che c’era qualcosa
sotto » commentò amareggiato. « Sei una spia
dell’esercito ».
« Cosa? No! Lasciami finire di raccontare
almeno » lo supplicai, tirando calci al vuoto. « Questa mattina mio
padre mi ha dato quel fermaglio, aveva l’aria di essere molto prezioso
per lui. Purtroppo mentre esploravo il nuovo quartiere quel… quel figlio d’un cane me l’ha
rubato. Non ho potuto fare altro che rincorrerlo attraverso la città ed
ora eccomi qui. Legata. In ostaggio. Accusata di essere complice di
quell’essere inqualificabile » conclusi acida.
« Vuoi farmi credere che sei riuscita a
rincorrere Jae-hi dal ghetto militare fin qui?
» domandò incredulo. « Sono.. sbalordito ».
« Te l’ho detto, ha rubato il
fermaglio di mia madre » dissi a voce bassa, mentre mi si inumidivano gli
occhi. « Io farei qualsiasi cosa per riaverlo indietro. È
l’unica cosa che mi è rimasta di lei ».
« Ah, dannazione! Te recupero io quello
stupido fermacapelli, basta che ora non ti metti a piangere »
sbottò, palesemente a disagio.
Pensai di cogliere la palla al balzo.
« Davvero? ».
« Cosa?! ».
« Recupererai il fermaglio? ».
« Io… insomma, dicevo così per
dire ».
Non parlai, lasciando che due enormi lacrime mi
luccicassero ai lati degli occhi.
« Ok, ok, basta che la smetti! Non sopporto
le donne che piangono, men che meno le bambine
».
« Quindi ora mi credi? » chiesi
trionfante.
Hwoarang sorrise spavaldo.
« Ho ancora qualche ragionevole dubbio su di
te » disse. « Ad esempio: perché qualcuno che non vorrebbe
farsi notare –o passare dei guai- se ne andrebbe in giro con un vestito
rosa? ».
« Forse perché a differenza di
voialtri questo qualcuno ha una vaga idea della moda » risposi calma.
« Ora non è che mi slegheresti anche le mani? Così prima ti
strozzo e poi torno a casa ».
Il mio sequestratore cominciò
inaspettatamente a ridere.
« Tu non mi farai un bel niente » mi
prese in giro, slegandomi. « Ora vedi di sparire! Quando riuscirò
a prendere Jae-hi, sarò io a farmi vivo
».
« Non se ne parla nemmeno! » esplosi.
« Voglio partecipare alle ricerche, voglio mettere le mie mani su quel
rifiuto della società e strappargli la pelle dal volto in maniera lenta
e dolorosa ».
« Per quanto la tua idea mi alletti… no, non se parla nemmeno »
sbottò. « Questo non è posto per una bambina ».
Ignorai quel fastidioso commento per la millesima
volta, quindi mi rialzai e mi ravvivai i capelli, cercando di darmi un tono.
« E chi mi assicura che manterrai la parola?
».
« Dubiti di me? » chiese, esibendosi
in un sorriso smagliante.
Alzai le spalle.
« Tu dubiti di me, io dubito di te »
chiosai. « Mi pare logico ».
Hwoarang si massaggiò le tempie,
evidentemente esasperato dalla situazione.
« Mi stai facendo venire un tremendo mal di
testa, sai? » disse.
« Peggio per te, non avresti dovuto farmi
trascinare fin qui » mi ritrovai a rispondere. « Inoltre come
faccio a sapere che agirai tempestivamente? Probabilmente ora il mio fermaglio
sarà già stato venduto per un decimo del suo valore e in viaggio
per chissà quale continente… ».
« E così si elimina il problema alla
radice! » esclamò lui, giubilante. « Nessun fermacapelli,
nessun problema. Ora vuoi, per favore,
sparire? ».
« No! Non siamo certi che l’abbia
realmente venduto » obbiettai, piazzandomi tra lui e la porta, con il
mento alzato e le mani ai fianchi.
« Cosa ti aspetti che faccia, ragazzina? Che
sguinzagli tutti i miei sottoposti per l’intera Pyongyang oggi stesso?
» domandò lui, avvicinandosi fino a sovrastarmi.
Deglutii rumorosamente, chiaramente messa a
disagio dalla situazione.
« Ti deve pur sempre ventimila won » mormorai, facendomi coraggio.
« Trentamila
» puntualizzò lui, serrando la mascella con forza.
« Ecco, ancora peggio » tentai di
convincerlo. « Senti il mio piano: prima prendiamo Jae-hi,
poi io lo torturo finché non mi ridà il fermaglio, successivamente
tu lo torturi finché non ti ridà i soldi, infine ce la filiamo ed
io sparisco per sempre ».
Hwoarang tacque, appoggiandosi con entrambe le
mani alla porta dietro di me.
« Mi piace » commentò dopo un
attimo di riflessione. « Soprattutto la parte dove tu sparisci per sempre
» concluse sorridendo malignamente.
Nonostante la posizione, trassi finalmente un
sospiro di sollievo; era fatta.
« Ehm. Bene » dissi. «
Quindi… insomma…come ci teniamo in contatto? ».
« Presentati domani alla metropolitana di Sadong » ripose senza un attimo di esitazione.
« Alle otto e trenta, non un minuto prima, non uno dopo. Intesi? ».
Annui rapidamente nel timore che si rimangiasse la
parola data.
« Beh, cosa aspetti? Vattene! » mi
intimò.
« Lo farei, se solo tu non mi tenessi, ehm,
inchiodata alla porta » tentennai, arrossendo.
« Ah, giusto ».
Non appena Hwoarang si spostò, io aprii la
porta e corsi fuori da quel posto tremendo il più velocemente possibile;
non mi guardai indietro nemmeno per vedere la sua espressione. Oltrepassai
nuovamente la fumosa sala del bar e percorsi quasi alla cieca il complicato
intreccio di strade e vicoli, raggiungendo finalmente il quartiere militare
stanca ed ansante.
Mi trovavo a Pyongyang da meno di ventiquattrore e
nel frattempo ero riuscita, nell’ordine, a mentire a mio padre, perdere
un oggetto preziosissimo appartenente a mia madre, entrare nel covo di
un’organizzazione criminale operante nel mercato nero, farmi sequestrare
per una manciata di ore, perdere i sensi, riprendere conoscenza ed allearmi con
uno degli individui meno raccomandabili dell’intera nazione.
Quello era senz’altro un record per
chiunque.
___________
Xiaorang in
due capitoli (questo è solo il primo, cominciate pure a disperarvi!),
ufficiosamente dedicata a Valy, ovvero colei che
crea, supporta ed alimenta le mie follie letterarie <3
Ci vediamo al prossimo aggiornamento.
Clà