DAWN
CAPITOLO UNO
VULCAN NIGHT
Molte persone entreranno
ed usciranno dalla tua vita,
ma soltanto i veri
amici
lasceranno impronte nel tuo
cuore.
Eleanor
Roosvelt
La grande casa al limitare del deserto era
silenziosa.
Il caldo giorno aveva ceduto il posto alla notte,
fredda e ventosa, il sonno aveva preso possesso dei corpi di tutti, conducendo
le menti verso il meritato riposo.
Turbini di sabbia si alzavano di quando in quando,
sollevati dalle forti correnti d’aria che imperversavano nell’area
desertica, il grido solitario dei selhat e dei le-matya rompeva il
silenzio della notte; nella grande dimora dell’ambasciatore Sarek, tutte le luci
erano spente ormai da ore, ognuno degli abitanti era a riposo nei propri
alloggi.
Solo un’ombra scura vagava senza pace per gli ampi
corridoi illuminati dalla luce lunare.
La sagoma nervosa dell’ammiraglio James T. Kirk
raggiunse la grande terrazza che dava direttamente sulla distesa sabbiosa,
inargentata dai raggi dell’astro
notturno.
Era inquieto, il celebre ufficiale della Flotta, non
sarebbe riuscito a prendere sonno, non quella notte
almeno.
Il suo riposo, tormentato da incubi, non era
ristoratore, il pensiero del figlio perduto, la vista del suo corpo straziato
dai Klingon, il rivedere la propria nave prendere fuoco e percorrere come una
stella cadente ormai morente il cielo in tempesta di Genesi, lo sguardo vuoto e
privo di luce del suo migliore amico una volta risvegliatosi dal
fal-tor-pan…
Con rabbia, strinse i pugni, lasciando vagare il
proprio sguardo all’orizzonte, contro il cielo nero si stagliava la sagoma fiera
del monte Seleya.
Decisamente non sarebbe riuscito a dormire quella
notte, poco importava se il suo corpo reclamava il giusto relax dopo gli sforzi
compiuti, poco importava se avesse avuto bisogno di ogni grammo di forza nei
giorni a venire.
“Ammiraglio, cosa ci fa ancora in
piedi?”
Una gentile voce femminile e preoccupata fece
trasalire il comandante dell’Enterprise che si voltò di
scatto.
Sulla soglia del terrazzo vide la sagoma sottile e
minuta di Lady Amanda, lambita dal chiarore diafano che splendeva nella notte
vulcanita, che veniva verso di lui con passo lento e nobile, ritta e fiera, ma
il viso dolcemente illuminato da un naturale sorriso; Kirk fece un leggero
inchino, “Non riuscivo a prendere sonno.” ammise l’ufficiale, baciandole
galantemente la mano.
Lei fece fare: “Dovrebbe invece provare, almeno per
qualche ora,” disse con tono calmo e fermo, eppure senza perdere quella serenità
innata che la contraddistingueva, “la notte è fatta per dormire, riposare e
lasciarsi alle spalle ogni ricordo e paura, per placare l’animo… E sento che lei
ne ha un grande bisogno.” concluse, scostando il lungo vestito per poggiarsi al
parapetto del ballatoio, nel suo sguardo si specchiavano le stelle di
Vulcano.
Jim non rispose, si limitò a poggiare i propri gomiti
affianco ai suoi, il viso adagiato sui palmi delle
mani.
Nel silenzio placido della notte, si udivano solo i
respiri dei due.
“Ho perso mio figlio su Genesi… Ho perso una vecchia,
carissima amica, ho rischiato di perdere anche i miei compagni…” sussurrò con un
filo di voce il comandante dell’Enterprise, gli occhi lucidi, “e il mio migliore
amico…”, Amanda sentì chiaramente il dolore nelle parole dell’ammiraglio e per
poco non ne fu sopraffatta: aveva anche lei perduto un figlio, il suo unico
figlio, eppure le era stato restituito.
Con autentico affetto e comprensione, ella poggiò con
forza le proprie mani sulle spalle di Kirk, gli fece sollevare il viso,
sorridendogli maternamente: “Saavik mi ha raccontato tutto… Quel Klingon aveva
scelto lei come prima vittima, suo figlio si è gettato su di lui per impedirlo;
anche se non lo dava a vedere, era molto scossa, credo che non rientrerà più
nella Flotta. David è stato un eroe, della stessa pasta di suo padre, e io non
posso non ringraziarla per tutto quello che ha fatto, ammiraglio.” anche lei
aveva gli occhi lucidi, “Non pensi al passato, pensi solo che lui vivrà in
eterno nei cuori di chi gli ha voluto bene,” affermò, una lacrima silenziosa
scivolò lungo la guancia diafana, “e che il suo sacrificio non è stato vano. Lei
ha perduto un figlio, ma le resterà in eterno la gratitudine di una madre.”
mormorò lei, abbracciandolo.
Per un attimo, Kirk restò stupito dalla reazione della
donna, imbarazzato quasi da un contatto così intimo da parte sua, ma non poté
non ricambiarne la stretta.
“Jim! Finalmente ti ho
trovato!”
La voce seccata di Bones ruppe improvvisamente il
silenzio e il dottore comparve sulla soglia del
terrazzo.
I due sciolsero l’abbraccio, il medico notò solo in
quel momento la presenza della padrona di casa; come già il suo amico, fece un
leggero e imbarazzato inchino, seguito dal baciamano: “Non li fanno più uomini
così, hanno buttato via lo stampino.” ridacchiò lei, cercando di asciugare
furtivamente le lacrime, “Mi scuso Lady Amanda, non l’avevo proprio notata.”
disse il vecchio brontolone sorridendole, “Jim, dannazione a te, ti ho cercato
dovunque. Il tranquillante che ti ho dato avrebbe dovuto fare ormai effetto.”
sbottò poi, tirando fuori dalla tasca l’analizzatore, “Lascia perdere Leonard.”
tagliò corto lui, sfregandosi gli occhi per cancellare i segni di commozione,
“sto bene… Perché mi stavi cercando?” domandò con curiosità, ravvivandosi i
capelli, “Contento tu… Ti stavo cercando perché siamo già tutti in piedi, Scotty
e Hikaru hanno insistito per andare dallo Sparviero, hanno buttato giù dal letto
anche Pavel e me. Uhura ha sentito il chiasso che hanno fatto e si è unita a
noi, manchi solo tu.” borbottò, rimettendo a posto il piccolo
apparecchio.
Jim sorrise, annuendo: “Vi raggiungo
subito.”.
I tre lasciarono la terrazza, rientrando in
casa.
Nessuno si accorse della sagoma umanoide che,
lentamente, sbucò dall’ombra.
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“Notizie
dalla Federazione, Pavel?”
“Niente di niente amico! I casi sono due, o le
comunicazioni non riescono a filtrare attraverso il sistema dello Sparviero,
oppure non ci hanno ancora rintracciato.” esclamò Chekov, levandosi con stizza
microfono e cuffia, “E in entrambi i casi, non so se esserne contento oppure
no.” concluse, alzandosi dalla sedia.
Sulu annuì, avvicinandosi a lui: “hai ragione, è una
cosa insolita… Io propenderei per la prima opzione però, in fondo non hanno
ricevuto comunicati da parte nostra, a parte il segnale di esplosione
dell’Enterprise… Crederanno che siamo morti nello scoppio.” disse l’asiatico con
tono grave.
Chekov scrollò le spalle: “Una seccatura in meno per
loro, sei persone in meno da giudicare e condannare ai lavori forzati.” decretò
con aria falsamente allegra.
Il giapponese ridacchiò, battendogli una mano sulla
spalla: “Non fare quella faccia, non è ancora detto nulla, dobbiamo vedere cosa
deciderà l’ammiraglio. Quindi, sta su!” esclamò ottimista il timoniere,
procedendo a una analisi totale dei
sistemi.
Il russo annuì impercettibilmente, concentrandosi
sulla strumentazione.
Un attimo dopo, udirono il sibilo di apertura delle
porte e sul ponte comparvero Jim e Leonard; i due ufficiali fecero per alzarsi
in piedi ma Kirk li bloccò con un gesto della mano: “Non è necessario…
Piuttosto, come mai tutti qui?” chiese con un leggero sorriso, “Volete
organizzare una nuova cospirazione senza di me?” domandò, accomodandosi sulla
poltrona di comando.
Sulu e Chekov si guardarono, non trattenendo un
espressione sollevata: “Semplicemente non riuscivamo a dormire… Checché ne dica
il dottore, anche lui era completamente sveglio.” assicurò il russo,
guadagnandosi un’occhiataccia da parte del medico brontolone, “Abbiamo pensato
che fosse meglio occuparci di dare una sistemata qui, e di fare il punto della
situazione.” aggiunse Sulu, poggiando i gomiti sui ginocchi, “E decidere che
fare.”.
Un silenzio riflessivo cadde tra loro, i tre
sottoposti guardavano il loro comandante in attesa di un qualsivoglia
ordine.
Il viso di Kirk si fece pensieroso per qualche
istante.
Poi, l’ammiraglio si alzò in piedi, si avvicinò alla
console e premette un pulsante: “Scotty, Uhura, dovunque siate, salite da noi,
dobbiamo parlare.”.
Mezzo
minuto dopo, i due membri mancanti fecero la loro comparsa sulla soglia del
turbo ascensore, prendendo posto attorno alla poltrona del comandante, le mani
dell’ingegnere erano sporche di grasso e abrase in più punti, la veste della
donna era nelle medesime condizioni; fece segno ai suoi uomini di avvicinarsi,
prese un bel respiro, guardandoli fissi uno per uno: “La nostra situazione non è
per nulla rosea. Se rientriamo nello spazio aereo terrestre, verremo subito
presi in consegna e processati per ribellione,” cominciò lentamente, “Ho
controllato il regolamento, abbiamo sul groppone nove capi d’accusa, abbastanza
da condannarci in toto ai lavori forzati a Rura
Penthe, tra neve, ghiaccio, vento e pidocchi.” sbuffò Bones, più per abitudine
che per altro.
Sulu e Chekov ridacchiarono sommessamente: “Grazie per
la precisazione, Leonard.” affermò sibillino l’ammiraglio, “Ora,” riprese, “la
decisione spetta a voi. Io non ho nulla di cui vergognarmi, sono partito in
questa avventura per salvare un amico in pericolo e accetterò con tranquillità
ogni pena mi verrà commutata. Voi però non siete obbligati a condividere il mio
destino, la colpa di tutto è solo mia, potreste restare qui su Vulcano finché le
acque non si saranno calmate e…” ma la reazione dei suoi uomini troncò il
discorso.
“Con tutto il rispetto, signore, abbiamo deciso noi di
venire con lei, e ci assumeremo le nostre responsabilità!” esclamò decisa Uhura,
rassettandosi la divisa, “col cavolo che ce ne resteremo qui a diventare sabbia
per il deserto!” sbottò Bones, alzandosi in piedi di scatto, “Non dopo tutta la
fatica fatta per salvare quell’indisponente demonio dalle orecchie appuntite! Se
dobbiamo essere puniti, affronteremo tutto assieme, Jim, siamo coinvolti anche
noi, e non solo fisicamente, anche emotivamente!” concluse il medico,
incrociando le braccia al petto.
“Soprattutto emotivamente…” borbottò, senza che
nessuno udisse le sue ultime parole.
“Grazie per la gentile definizione,
dottore.”.
Una voce posata e ferma riecheggiò improvvisamente nel
piccolo ambiente, ponendo fine alle
discussioni.
I Sei si voltarono in simultanea, scorgendo sulla
soglia la sagoma del loro compagno, seguito dal padre, entrambi indossavano le
tuniche grigie da viaggio vulcanite.
Jim si alzò incredulo, sgranò gli occhi, mentre l’ex
primo ufficiale si avvicinava a loro, sempre seguito da
Sarek.
Padre e figlio si fermarono al centro del gruppo, lo
sguardo di Spock celava ancora vaghe ombre, anche se era già possibile notare
una sorta di luce, più debole rispetto a quella del passato, eppure
presente.
“Mia moglie mi ha riferito che vi trovavate tutti
qui.” disse l’ambasciatore, poggiando una mano sulla spalla del figlio, “e lui
ha insistito per potervi raggiungere.” aggiunse solo, spingendolo delicatamente
in avanti; “chiedo il permesso di unirmi a voi.” chiese tranquillo lo
scienziato, le lunghe maniche della tunica gli coprivano le mani, i ciuffi neri
come l’ebano si stendevano in parte sopra le punte delle orecchie, aveva un’aria
così indifesa, lontana anni luce dalla compostezza che aveva esibito con
orgoglio per tutta la sua vita.
Uhura, Scotty, Chekov e Sulu non aspettarono risposta
dal capitano che già si erano alzati in piedi per farlo passare e sedere a una
delle loro postazioni; per un attimo, Spock restò interdetto, guardandoli
interrogativamente, quasi attendesse un ordine, ma i sorrisi gentili di Jim e
Leonard lo incoraggiarono.
Con passo lento e leggermente goffo, si accomodò al
posto di Sulu, intrecciando le dita delle
mani.
Con un cenno, l’ammiraglio rassicurò l’ambasciatore, e
questi, con un veloce inchino, si congedò, scendendo dalla
navicella.
“Bene!” esclamò con aria allegra Bones, “ora che ci
siamo finalmente tutti e la decisione è stata presa, possiamo anche uscire da
questo puzzolente macinino e starcene qui fuori a parlare, non c’è così freddo
da impedircelo!” esclamò convinto, cercando con lo sguardo il supporto di Jim;
Kirk scoppiò a ridere, e fu una risata cristallina, contagiosa per tutti, Sulu e
Chekov esibivano le loro dentature, e così Uhura e Scotty, che ridevano di
gusto.
In pochi istanti, la plancia di comando dello
Sparviero sembrò più calda e familiare del normale, per un attimo fu come se
fossero sulla loro Enterprise: “D’accordo Leonard, come vuoi.” decretò
l’ammiraglio, alzandosi, “Andiamo.” disse dolcemente, guardando con affetto
tutti loro negli occhi.
Non poté trattenere un moto di tenerezza nel profondo
dell’animo quando vide la sagoma barcollante del suo migliore amico affiancata
dal dottore.
Chiacchierando, lasciarono il vascello da guerra,
uscendo all’aria aperta.
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“Sarek…”
Il tono calmo e fermo della moglie fece lentamente
voltare l’ambasciatore, placidamente disteso tra le lenzuola del grande
letto.
Nella semioscurità, egli distinse chiaramente il
profilo gentile di Lady Amanda, i grandi occhi chiari puntati con insistenza su
di lui, la mano poggiata a sorreggere la testa: “Sarek…” ripeté lei con un filo
di voce, “Non c’è ragione di essere preoccupata.” la prevenne l’ambasciatore,
“Sono perfettamente in grado di occuparsi di lui, ora come ora, è la cosa
migliore da fare…” replicò secco, mettendosi
seduto.
Cautamente, la signora lo imitò, il corpo avvolto per
tre quarti dal sottile lenzuolo: “Non è di questo che ho paura… è della sua
mente…” sussurrò Amanda, cercando nel buio un contatto con il marito, “La
rifusione… ha avuto successo, il Katra è tornato, ma Spock ha perso tutti i
sentimenti e le sensazioni che il suo essere un sanguemisto comportava, tutto
ciò che ha imparato nella sua vita è rimasto solo a livello teorico… Per quanto
possa essere rieducato, sarà pur sempre un mezzo umano, educato alla maniera
vulcaniana, si, ma privo di quella parte fondamentale che lo caratterizzava… è
di questo che sono spaventata… Ci è stato restituito, ma la parte più bella di
lui è andata perduta…” gemette.
Per qualche minuto, nella stanza si udirono solo i
singhiozzi della donna, a stento
trattenuti.
“Sono sicuro che c’è
ancora…”
La voce dell’ambasciatore placò per un attimo la
disperazione della moglie, che alzò di scatto la
testa.
Timidamente, l’indice destro di Sarek raccolse una
lacrima dall’occhio di Amanda, gettandola via: “Sono certo che non sia andata
interamente persa… Vive ancora, nello spirito dei suoi amici.” continuò serio,
“Ora come ora, bisogna solo attendere che la loro vicinanza faccia il suo
effetto, a poco a poco, sono sicuro che ritornerà completamente sé stesso; i
loro sentimenti nei confronti di Spock sono sinceri, sono forti, più forti di
qualunque altra cosa, l’ammiraglio e il dottore soprattutto sono molto legati a
nostro figlio.” disse lui, “Illuminazione due.” ordinò poi al computer
centrale.
La stanza da letto si rischiarò
debolmente.
L’ambasciatore prese nelle sue le mani della moglie,
stringendole con amore.
“Starà bene.” la
rassicurò.
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La conclusione del canto di Uhura fu accolta con un
applauso unanime da parte di tutti i presenti e dai fischi di approvazione di
Chekov.
La donna sorrise, poggiando accanto a se lo strumento:
“Era da tanto che non cantavo questa canzone!” ammise soddisfatta, “L’ultima
volta la cantai per Riley.” disse, “Me lo ricordo, credo che da quel giorno si
sia perdutamente innamorato di te!” esclamò Sulu, facendo il verso del vecchio
compagno d’equipaggio, “Lo credo anche io, ti stava sempre intorno!” aggiunse il
russo, scatenando le risate di Jim, comodamente seduto su una larga pietra
dietro di loro.
“Non mi ero mai accorto di questo interesse.” ammise
Kirk, incrociando le gambe, “E invece è così, da allora non l’ha più mollata,
ogni volta che era fuori turno, le andava dietro come un cagnolino!”
sogghignarono i due amici.
“Jim, il dottore e il signor Spock dove sono finiti?”
chiese improvvisamente Scotty, guardandosi attorno con fare preoccupato, “ha
ragione, è da un po’ che non li vedo più in giro…” borbottò Pavel, guardandosi
nervosamente attorno.
Il gruppo scivolò nuovamente nel
silenzio.
L’ammiraglio sorrise malinconicamente, alzando lo
sguardo al cielo, la volta celeste era trapunta di stelle: “Dovevano parlare di
qualcosa di molto importante…” replicò a bassa voce, mentre una leggera brezza
fredda prendeva a soffiare su di loro.
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Leonard non era un tipo
nervoso.
Irascibile si, ed era uno dei suoi più grandi difetti,
ma non si faceva quasi mai prendere dal nervosismo, tranne che in casi
eccezionali.
Eppure, in quel momento, ringraziava qualunque Dio per
aver inventato la notte; solo così, poteva sperare che il suo compagno non
notasse il tremito convulso delle mani e del
corpo.
Dannato il suo corpo e le sue
reazioni!
Davanti a lui, l’ex ufficiale scientifico lo fissava
con sguardo vacuo e quasi triste,
spento.
Stava poggiato alla poppa dello sparviero Klingon, le
braccia ricoperte dalla tunica abbandonate lungo il corpo magro e sottile, il
viso pallido splendeva di una luce irreale sotto lo spettro luminoso emanato
dalla luna di Vulcano, i corti capelli neri sembravano brillare di luce propria,
dolcemente smossi da una debole brezza.
Ma ciò che lo colpì maggiormente fu l’espressione
stanca che permeava tutta la figura che aveva
davanti.
Non era mai stato un tipo molto allegro, Leonard
l’aveva visto sorridere pochissime volte, talmente poche che si potevano contare
sulle dita di una mano, ma non lo aveva mai visto così… spento e
sconfitto.
Non aveva mai visto quell’espressione così
indifesa.
Per un attimo, si sentì un
estraneo.
“Dottore, se è ancora preoccupato per la mia salute,
si rassicuri, sto benissimo.”
Bones sbuffò, tirando fuori dalla tasca il tricoder
medico e avvicinandosi ulteriormente allo scienziato, la luna avvolse di un
delicato candore anche lui: “Questo lo lasci dire a me, non mi sono mai fidato
dei metodi Vulcan, e questo lo sa bene!” replicò secco, passando il rilevatore
su tutto il corpo del compagno, “E se ricordo ancora come leggere i suoi valori,
lei è tutto fuorché in salute…” borbottò, mentre il tricorder rumoreggiava
inquietantemente, “Avrebbe dovuto restare a letto.” continuò, riponendo il
dispositivo ed estraendo al suo posto una iposiringa pronta
all’uso.
“A cosa serve?” domandò con una punta di, Bones ne era
sicuro, timore; sorridendo in modo preoccupante, il medico si voltò verso di
lui: “A cosa crede che serva?” interloquì sornione, avvicinandola a lui, “Forza,
il braccio!” esclamò deciso, rimboccando la manica della
tunica.
ANGOLO DEL LEMURE
VIOLETTO:
Buongiorno!
Ed eccomi a voi con la mia nuova fic in due
capitoli!!
Questa volta, l’ho ambientata a metà tra il III e il
IV film, subito dopo la rifusione del katra di Spock dal corpo di Bones e poco
prima della partenza dei nostri eroi alla volta della
Terra^^
Diciamo che è stata una sfida con me stessa,
all’inizio, volevo solo approfondire un po’ il ruolo di Amanda nei film, ma poi
mi è sfuggito il controllo e sono finita a scrivere questa
fic.
Le tematiche di questo racconto dolceamaro sono varie
e spero di riuscire ad esprimerle tutte.
L’amicizia, la base della fic, l’unica ragione per cui
i Sei dell’Enterprise si trovano su Vulcano, il rapporto strano e allo stesso
tempo indissolubile che c’è tra il capitano, il suo primo ufficiale e il medico
di bordo, tra i loro quattro compagni e tra tutti
loro.
La famiglia, Kirk ha perso David per cercare di
recuperare la persona che è quasi un fratello per lui, Amanda deve a Jim e ai
suoi compagni la vita del suo unico figlio, Sarek lo
stesso.
L’amore, perché io sono una slasher convinta, e anche
se piccolo, un accenno alla Spock/Bonny, l’attuale coppia totem, ce lo devo
mettere per forza.
La determinazione e la volontà che muovono l’Universo,
perché se non avessero davvero voluto salvare Spock, non sarebbero mai partiti,
se Chekov, Uhura, Scotty e Sulu non avessero voluto VERAMENTE seguire il loro
capitano per andare in soccorso del Primo Ufficiale, forse non sarebbero mai
riusciti a riportarlo tra i vivi.
Grazie della lettura, spero di non essere la sola a
imbarcarmi in questa avventura.
Lo dedico a Maya, Rowen ed Eerya! GRAZIE DI
TUTTO!!
KISS
SHUN