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Autore: Mikayla    19/02/2010    5 recensioni
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In una Venezia del seicento un nobile si nasconde dietro ad una maschera e un ragazzo di strada sogna di volare in alto, dove nessuno potrà raggiungerlo.
Quanto vale un solo istante, prima che ti venga strappato con forza?
Genere: Generale, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Altri, Naruto Uzumaki, Sasuke Uchiha
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Bauta, e la maschera non calerà prima che il tempo sia passato.


“ La stagion del Carnovale
tutto il Mondo fa cambiar.
Chi sta bene e chi sta male
Carnevale fa rallegrar. ”
(Carlo Goldoni)


«Buongiorno Siora Maschera!»*
L’Arlecchino variopinto chinò il capo leggermente, profondendosi poi in un buffo inchino, mostrandosi gioioso a dispetto della nera maschera demoniaca che gli copriva il volto rendendolo serioso e incutendo timore nei bimbi.
Biondi capelli spuntavano sotto il cappello, prontamente tolto dal capo per omaggiare la signora grassottella che l’aveva salutato. Una pasticciera, dedusse dal profumo di frittelle che emanava lungo le calli.
Era solo un giorno che l’Arlecchino si trovava a Venezia, un solo giorno che il Carnevale era iniziato, ma già era stato salutato più di un centinaio di volte -ed era sicuro di aver rivisto due o tre volte le stesse faccie.
Infilò veloce la mano nella saccoccia ed estrasse qualche caramella. Una capriola e le offrì ai bambini seminascosti dietro le sottane materne «Per voi». La voce distorta dalla maschera fece ridacchiare entrambi, portandoli ad allungare le manine per arraffare le caramelle prima che potessero svanire.
La mano più grande scattò sulle loro, facendoli spaventare; poi la grassa risata del ragazzo li rassicurò -mai quanto le due belle caramelle sulle loro mani, in ogni caso.
«A Carnevale ogni scherzo vale!» salutò agitando il berretto in aria, facendo ridere qualche altro passante e delle maschere altezzose nei loro abiti di broccato.


«Ino, non devi guardare le clavette! Fai sembrare che debbano sfuggirti da un momento all’altro!» la voce di donna tuonò nell’angusto stanzino che era stato concesso loro per le prove.
Una ragazza dai lunghi e biondi capelli si distrasse quella frazione di secondo che permise a due clavette di sfuggirle dalle mani, precipitando inesorabilmente verso il terreno. Ne afferrò prontamente una con il piede, l’altra dietro il ginocchio, le altre quattro ancora in aria, giostrate con abilità.
«Scusami, Tsuande!» pigolò sottovoce, lanciando con una contorsione la clavetta in equilibrio sul collo del piede in aria, tornando a giostrarla con le altre.
«UFFA!» un Arlecchino infuriato entrò nella stanza sbottando, aprendo la porta senza tanto pensarci su.
La giocoliera riuscì a schivarla solo per puro istinto di soppravvivenza, facendo cadere le sei clavette, di cui due diritte diritte sulla propria testa. «Ahio!» lamentò accarezzandosi il capo; si ritenne fortunata che Tsunade non la lasciasse provare al chiuso con le clavette incendiate.
«NARUTO!» piombò addosso al ragazzo Tsunade, gli occhi nocciola fiammeggianti d’ira e le codine bionde rizzate per lo spavento. Avevano uno spettacolo per il Doge e la corte, l’indomani sera, non potevano permettersi di perdere un’artista per un idiota patentato.
L’Arlecchino si strinse nelle spalle e tolse la maschera demoniaca, mostrando due occhi azzurri per nulla pentiti di ciò che aveva rischiato di fare. «Qualcuno mi deve spiegare a che serve il Carnevale, se tanto i ricchi li riconosci comunque: ho visto un Arlecchino, venendo in qua, con il vestito adornato di piccoli smeraldi e rubini!»
Ino inspirò profondamente, guardando torva il compagno saltinbanco «Sei ancora un bambino se credi ancora a quelle favole» gli ringhiò contro.
Ino non era cattiva, ma doveva ammettere d’essere invidiosa del ragazzino che aveva davanti: come lei stessa era imparentato con Tsunade -o almeno così sembrava- e si era dovuta prendere cura di lui da quando aveva tre anni. Allora era un bambino vivace, turbolento, particolarmente incapace in qualunque cosa tentasse di fare.
Indimenticabile la volta in cui aveva fatto cadere sette clavette sul suo rotondo faccione, inciampando sull’ottava e ruzzolando giù dal palco fino ad incastrarsi nel baule dei vestiti, dal quale fu estratto successivamente con molta fatica.
Naruto era sempre stato di gomma, e Tsunade l’aveva allenato per tutti quegli anni come contorsionista. Lui, però, aveva trovato nel funambolismo la propria vera vocazione. Era semplicemente stupendo; sulla corda perdeva la propria goffezza, leggiadro come mai era stato prima. Sembrava lì lì per spiccare il volo.
Crescendo, poi, era diventato sempre più abile in quasi tutte le specialità, a un livello rozzo, magari, ma poteva facilmente sostituire qualcuno in spettacoli minori. Un jolly per Tsunade, qualcosa di prezioso.
L’invidia di Ino era scattata quel giorno in cui Tsunade l’aveva minacciata di sostituirla con Naruto se non si fosse impegnata al massimo negli allenamenti. Allora lui aveva quattordici anni, lei vent’uno.
Era stato davvero un colpo duro, inferto alla giovane ragazza di belle prospettive. Era caduta all’improvviso nella realtà, rimpiangendo la propria età e la propria situalzione.
Eppure non avrebbe mai potuto smettere di voler bene a quel bambino di non ancora diciotto anni.
«Ino, recupera le clavette e riprendi a esercitarti. Naruto, smettila di fare l’idiota e preparati: se domani sera farai un solo passo falso, per quanto tu possa recuperare, te la faccio pagare salata» li riprese entrambi Tsunade con cipiglio arrabbiato «Siete cresciuti ormai, smettetela di fare i mocciosi.»
Entrambi si misero al lavoro, chinando il capo alle richieste della vecchia. Le dovevano la vita, potevano sopportare quelle velate minaccie.
«Questa me la paghi, mostriciattolo» gli sibilò Ino, quando Naruto le passò accanto. Il ragazzo le sorrise di rimando, solare, pizzicandole il sedere «Provaci!»


Il palazzo era gremito di persone, in ogni stanza v’erano almeno una ventina di persone, perse nel chiacchiericcio tipico, complimentandosi per le maschere variopinte.
Da lì a poco si sarebbero tutti riuniti nel salone principale, dove il Doge aveva predisposto uno spettacolo di saltinbanchi anche per quella sera.
Una Bauta sedeva alla finestra, in disparte. La maschera bianca era rivolta al buio fuori dalla finestra, oltre il muro che racchiudeva i giardini privati.
Un’altra Bauta gli si avvicinò adagio, con passo ferino ed elegante. Posò una mano sulla sua spalla, attirandone l’attenzione.
«Mnh?» fu l’unico suono emesso dalla Bauta seduta alla finestra. Non voltò nemmeno il capo per vedere chi fosse. Aveva visto il riflesso della maschera nel vetro, e non aveva avuto nessun problema a riconoscerlo nonostante la maschera.
«Sasuke, il Doge ci attende» lo informò con tono impersonale.
La maschera si alzò senza farselo ripetere due volte e senza rispondere. Si affiancarono, uguali in tutto e per tutto, solo una manciata di centimetri li distingueva l’uno dall’altro.
Sasuke si sistemò meglio il tricorno e ignorò i saluti degli ospiti che incrociavano lungo il percorso. Non ricambiò nessun «Buonasera Siora Maschera!» che ricevette, al contrario del fratello che annuiva leggermente, allargando l’abito in un ambiguo inchino. Una Bauta poteva essere sia donna che uomo, era ciò che meglio permetteva la libertà del carnevale in ogni suo aspetto.
Due Colombine, però, sapevano perfettamente difronte a chi si trovavano: le gentili fanciulle s’inchinarono, allungando la mano verso le due Baute.
«Itachi, come facevi a sapere dove si trovava?» domandò la Colombina dai vistosi capelli rosa. Posò la mano al braccio della Bauta più alta, sorridendo dolcemente sotto la mezza maschera di pizzo nero.
La Colombina dai capelli rossi invece si rivolse a Sasuke, imitando l’amica nel prendere sottobraccio il ragazzo, senza però rivolgergli più di un sorriso tirato e leggermente imbarazzato. Era evidente che si sforzasse per apparire naturale benché non sapesse come comportarsi rispetto al ragazzo.
«Conosco bene mio fratello, Sakura» rispose semplicemente Itachi, procedendo lungo il corridoio, seguito dagli altri due. «Come sai non ama la compagnia, e nutre un odio profondo per il Carnevale».
«Itachi, sta’ zitto» zittì stizzito Sasuke, ricordandosi le buone maniere solo dopo qualche secondo «Per piacere» sputò velenoso. Itachi aveva sempre amato infastidire Sasuke, e non aveva mai perso occasione per farlo.
Protetto dalla maschera il fratello maggiore ghignò, senza far trapelare nulla «Vedrai che ti divertirai questa sera: lo spettacolo per i bambini dicono sia meraviglioso!»


Tsunade ricontrollò per la decima volta tutto il materiale, dalle marionette di Kankuro, all’affilatura dei coltelli di Gaara, passando per le clavette semplici e quelle incendiabili di Ino, arrivando al filo su cui Naruto avrebbe dato spettacolo, a cinque metri da terra.
Se quella sera avesse dato il meglio di sé sarebbe diventato famoso, ottendendo il posto di colomba del Carnevale.
«Dov’è quel benedetto ragazzo?» sbottò contrita, voltando lo sguardo all’indirizzo di Kiba, l’ammaestratore di cani. Solitamente il funambolo se ne stava lì, giocando con i bestioni e facendosi sbavare sul costume, oppure ronzava attorno a Ino, disturbandone la concentrazione.
Quella volta, però, sembrava essersi volatilizzato nel nulla. «Quando mi capita tra le mani lo ripasso io, quello scavezzacollo!» borbottò tra sé e sé Tsunade, dando indicazioni a Shikamaru sull’organizzazione della serata.
«I vestiti di scena?» domandò Shikamaru, cercando di non soffocare tra gli indumenti che lo addobbavano. Aveva fatto una fatica indicibile per separare i costumi delle serate importanti da quelle mondane, senza confonderli con le maschere per il Carnevale. Ci aveva impiegato tutto il pomeriggio, tra un pisolino e l’altro.
Tsunade scrollò le spalle «Sembra che il Doge preferisca gli abiti semplici per lo spettacolo: la maschera rischierebbe di farci confondere tra loro. Procura le calzemaglie, cerone, trucco e... Sì, Ino e Shizune avranno bisogno di una gonna corta, magari anche I foluard che abbiamo utilizzato a Padova».
Nara sbuffò «Non bastavano i costumi normali?» azzardò, pensando a tutto il lavoro che gli sarebbe toccato fare in così poco tempo. Cercare qualcosa nei bauli era sempre difficile.
«Non fare il pigro, Shikamaru! Per il trucco chiedi pure a Ino, di solito è lei a occuparsene» sbrigò veloce, dirigendosi con passo sicuro verso l’ammaestratore di cani.
Akamaru abbaiò alla vista della donna e si ritrasse spaventato dall’imponente figura «Kiba, hai visto il moccioso?» domandò sbrigativa.
Sparire a un’ora dallo spettacolo era imperdonabile. L’avrebbe rinchiuso in qualche sgabuzzino finché non avesse imparato qual’era il suo posto nel mondo; oh, prima o poi le avrebbe fatto venire i capelli bianchi!


Nel salone delle feste il vociare era alto e fastidioso, a fatica si riusciva a carpire le parole rivolte dalla persona a cui si stava accanto. L’anonimato delle maschere permetteva di parlare con maggiore libertà, ridendo e scherzando con nomi fittizzi tutti uguali.
Il Doge e la Dogessa erano le uniche maschere riconoscibili; sedevano sui troni alti, nel mezzo del salone, dove la visuale per il palco era migliore.
Molte maschere si attorniavano alla coppia, con riverenze e cortesie, ridendo di scherzi e battute. Il Carnevale riusciva davvero a rinfrancare lo spirito.
Sakura voltò lo sguardo alle maschere di Bauta: erano almeno una trentina. Troppe per poter pensare di rivolgersi a tutte per trovare qualcuno in particolare.
«Cercavi me?» domandò una Bauta dietro di lei, attirandone l’attenzione. Colombina sorrise «Temevo d’averti perso, Itachi» rispose allegra, inchinandosi alla maschera. Con tutti i Carnevali a cui aveva partecipato il suo inchino era diventato molto raffinato ed elegante.
«Sasuke invece? Karin lo stava cercando, era andato a prendersi da bere dopo che avete parlato al Doge e non si è più visto...» fece con tono vago, cercando d’individuarlo nella folla. Non che sperasse davvero di riuscire a trovarlo a quel modo.
Itachi alzò le spalle, invitandola a sedere con lui «Karin non avrà vita facile: Sasuke ama starsene tranquillo e per conto suo, malsopporta la vicinanza di chiunque.»
Sakura si portò l’indice alle labbra, sovrappensiero «Se Karin lo ama davvero potrà soprassedere a queste piccolezze». Inspirò lanciando uno sguardo alla Colombina dai rossi capelli «Infondo l’unico obbligato a sposarsi è Sasuke, lei lo ha scelto. Poteva benissimo non accettare le nozze...»
Sakura si sedette accanto Itachi, intreccando la propria piccola mano con quella più grande «Per quanto tempo possa conoscere voi Uchiha, non capirò mai cosa vi passi per la testa: escluso vostro Zio Madara siete gli unici eredi, cosa vi costringe a sposarvi? Cosa ti ha portato a sposare me
La ragazza si era sempre domandata cos’avesse spinto il bel ragazzo ad accettare il proprio amore per lui, rendendola sua moglie.
Itachi sorrise sotto la maschera. Si era rivolto più volte quella domanda, e più volte aveva cercato la risposta. Conosceva Sakura da quando era solo un maschiaccio che si divertiva a correre per le calli quando scappava dalla balia. All’apparenza di quella ragazzina-maschiaccio non c’era più nulla ma nell’intimità della casa, lontana dalle malevoci, Sakura era sempre la stessa.
«Inizia lo spettacolo» disse solo, precedendo l’abbassarsi delle luci.
Sakura non trattenne uno sbuffo divertito «Ho imparato che questo vuol dire che non vuoi dirmelo» disse piccata, pungolando il marito con l’indice. Trovò solo la stoffa dei vestiti, poi la mano di Itachi si richiuse sul dito, indicando con il capo l’ingresso di una giovane giocoliera dai lunghi capelli biondi.


Un Arlecchino correva a perdifiato per i corridoi, senza riuscire a incrociare anima viva. Era in ritardo, e per quanto desiderasse arrivare al più presto non trovava qualcuno in grado d’indicargli la strada.
«Perché quando serve non si trova mai qualcuno?» sbottò infastidito ed esasperato, varcando l’ennesima soglia dell’ennesima stanza sbagliata.
Alzò le braccia al cielo, in un gesto disperato, e scosse il capo «Maledizione!»
«Vada ad imprecare altrove» rispose una voce atona proveniente da una delle poltrone di spalle alla porta.
L’Arlecchino pensò di non poter essere più fortunato di così e corse immediatamente dal proprietario di quelle parole indolenti e fastidiose, ma sua unica fonte di salvezza. Davanti all’impassibile Bauta esitò un attimo, ma gli bastò poco per riprendersi.
«Buonasera Siora Maschera» salutò convenevole, per interrompere quel silenzio pesante «Mi saprebbe indicare la strada per il ballatoio del salone dove si tiene lo spettacolo?»
Perché l’Arlecchino si sentisse in dovere di sfoggiare quel poco di buone maniere che conosceva, non seppe, ma l’impassibilità della Bauta lo aveva reso nervoso. Avrebbe voluto strappare quella maschera e potersi confrontare con la persona sotto di essa.
Uomo o donna, poi? Non era davvero capace di dirlo.
La maschera si strinse nelle spalle «Il ballatoio è per i servi, non ho idea di dove si trovi l’ingresso. Se dovevate vedervi con una delle sguattere avreste fatto meglio a darvi appuntamento in altri lochi più accessibili.»
Arlecchinò s’infervorò e stava per decidere che un pugno non l’avrebbe levato nessuno a quella Bauta, donna o uomo che fosse, quando si rese conto del fraintendimento: quella maschera pensava che lui fosse un nobile.
L’ira si trasformò in una risata contagiosa, che però non toccò l’animo della Bauta. Era rimasto scioccato da quella reazione, del tutto irrazionale, e provava un’insolita curiosità per quello strano comportamento.
Si ritrasse di un poco, come ferito da quelle risate così sguaiate. Gli dava fastidio che qualcuno potesse essere così felice, e poco gli importava che a Carnevale quella fosse la normalità.
Con la stessa velocità con cui era arrivata, la risata si fermò.
«Sei proprio inutile, o hai almeno idea di dove possa essere?» domandò troppo preoccupato per il ritardo che stava accomulando per rendersi conto d’aver trattato la nobile Bauta come una persona qualunque.
Dal canto suo, la Bauta ancora cercava di associare la parola inutile riferito a sé stesso. Non c’era alcun modo che ciò potesse avvenire, e lo avrebbe dimostrato a quello stupido Arlecchino.
«Seguimi, idiota, probabilmente sarà verso il penultimo piano, prima degli alloggi della servitù. Se non ricordo male le scale secondarie non avevano porte su questo piano, quindi dovrebbero portare direttamente al piano servile» ragionò con lucidità, superando l’Arlecchino di qualche passo.
Si voltò di scatto e ghignò protetto dalla maschera «Resti qui, idiota?»
Il ragazzo borbottò qualche insulto a mezzavoce ma si apprestò ugualmente a seguire la Bauta: ora che aveva trovato qualcuno - anche se bastardo - che lo accompagnasse al ballatoio non poteva lasciarscelo sfuggire.
Se avesse tardato anche di un solo secondo Tsunade l’avrebbe ucciso. Sul serio.
Arrivare alle scale secondarie fu più difficile di quanto la Bauta avesse pesato, ma una volta raggiunte quelle trovarono il ballatoio con estrema facilità. Era la prima volta che vedeva uno spettacolo dall’alto; sul palco sottostante un cane bianco salta attraverso a un cerchio di fuoco, camminando su due sole zampe.
Si perse a guadare lo spettacolo pochi istanti e quando si girò di nuovo vide la cosa più inaspettata a cui mai avrebbe pensato: Arlecchino tastava con attenzione i bordi del ballatoio, saggiandone la consistenza con i polpastrelli, quasi fosse alla ricerca di qualcosa.
Poi, d’improvviso, saltò sul cornicione con agilità, le mani dietro la schiena.
D’istinto si slanciò in avanti, protendendo le braccia verso l’incoscente. Il brusco movimento fatto lo portò a perdere tricorno e maschera, lasciando scoperto il bel viso di un giovane ragazzo, mostrante un’espressione preoccupata.
Arlecchino avanzò di due passi e un fascio di luce lo colpì in pieno, seguito da un’ovazione dalla platea sottostante.
Ritirandosi nell’oscurità Sasuke comprese finalmente la situazione. Osservò ammirato l’Arlecchino privarsi della maschera e del cappello, cominciando la propria esibizione di funambolo.
Intravidero per pochi istanti i rispettivi visi e il ragazzo biondo sorrise in risposta alla preoccupazione sul viso dell’altro; poi Naruto si fece improvvisamente serio, mentre Sasuke si allontanava da lì, tornando al piano nobile.
La maschera e il tricorno in mano Sasuke cercava di capire cosa l’avesse colpito così tanto di quel moccioso; non si rese neppure conto d’essere stato in compagnia di un umile popolano che aveva osato dargli dell’inutile.
Strinse il pugno attorno al tricorno e abbassò lo sguardo.
«Sasuke!»
Karin era in piedi davanti a lui, la mascherina tolta e un’espressione preoccupata sul viso. Gli corse incontro, tacchettando sul pavimento e strisciando la lunga gonna.
«Non ti sei sentito bene? Come mai sei qui?» gli domandò con ansia prendendo il viso tra le mani guantate.
Sasuke si scostò di poco, rimettendosi il tricorno «Avevo bisogno di una boccata d'aria, Karin. Non mi sembra di doverti dire tutto ciò che faccio» le rispose maleducato. Indossò nuovamente la propria maschera e si sentì finalmente protetto.
Era una Bauta, ora, un essere antropomorfo ed ermafrodito; non più il nobile Sasuke ultimo erede degli Uchiha assieme al fratello.





Nota dall’oltre tomba:
Il Carnevale è finito, ne sono pienamente consapevole, ma questa storia l’ho finita solo ora, e poiché non posso tornare indietro nel tempo la pubblico adesso. Tre capitoli in tutto, senza alcuna pretesa.
Il titolo della storia è un omaggio (?) a Carlo Goldoni, che scrisse una commedia proprio con questo titolo. Sperando che non si rivolti nella tomba... Anche la strofa della poesia è sua, come già creditato. La scelta dei paring… ehm, lo ammetto, è casuale. Sì, avetete capito bene.
La scelta dei paring… ehm, lo ammetto, è casuale. Sì avetete capito bene. L’unico paring che interessava me era il SasuNaru, ma dovevo a fini di trama, trovare anche un altro paring per Itachi e Sasuke. Ho scelto ItachiSakura perché non mi dispiacciono come caratteri messi assieme, il SasukeKarin è perché (SPOILER) sperando che finalmente muoia come sembrerebbe, dato che è sempre stata abbastanza inutile (fine SPOILER) volevo darle il contentino e fare Sasuke suo per una volta.
Ora torno nell’oltre tomba, dove temo mi vorrete mandare voi stessi ^^’
Au revoir.

*in veneziano, buongiorno signora maschera, così si salutavano le maschere a Venezia ai tempi andati. ^^





Carnevale di Venezia
@ Fanworld.it
Autore: Yukino Miyazawa
Mikayla
#1. Colomba
#2. Sposa
#3. Bauta
Storie terminate: 3/3
   
 
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