1. La figlia del Bosco Rosso
Spalancò gli occhi, quasi
all'improvviso; non ricordava nulla, l'ultima scena nitida nella sua mente era
di se stesso che festeggiava con i suoi amici, poi un forte dolore al fianco e
le ginocchia che si piegavano…
Ora era steso su un letto sconosciuto
dalle lenzuola pulite, la luce del sole filtrava da una finestra aperta
scaldandogli il petto; gli sembrava di aver dormito per un secolo, e si accorse
di avere molta fame, sarà stato anche per un delizioso odorino che si diffondeva
nella stanza.
Si sollevò lentamente, avvertendo ancora
del dolore al fianco sinistro; si slacciò la camicia e si accorse di essere
fasciato con bende pulite. Mise le gambe nude giù dal letto; quando fu in piedi
pensò che non era bene andare in giro senza pantaloni, soprattutto perché non
sapeva chi si sarebbe potuto trovare davanti. Si guardò intorno,
fortunatamente, su uno sgabello, c'era un paio di pantaloni, che riconobbe come
suoi; se l'infilò lentamente, poi uscì dalla stanza, con passo incerto, seguendo
il profumo della cucina.
Era un'abitazione molto strana, quella
in cui si trovava. Sembrava scavata tra le radici di un albero, in stile
hobbit, ma notevolmente più grande, visto che lui poteva starci in piedi senza
problemi, con tutta la sua altezza di elfo; nel frattempo l'odore si era
accentuato, e proveniva dalla sua destra. Scese alcuni scalini e si ritrovò in
una stanza che era una via di mezzo tra una cucina ed un laboratorio di
alchimista: bracieri e fuochi, alambicchi e strani tubi, pentole e tegami,
pentoloni ribollenti... appesi al soffitto c'erano rami d'erbe in essiccazione,
insieme a padelle e mestoli; un gufo lo guardò minaccioso, dall'alto del suo
trespolo vicino alla finestra.
In mezzo a tutto questo c'era una
ragazza di spalle, apparentemente concentrata sulla sfrenata bollitura di un
grosso pentolone. Aveva lunghissimi capelli colore del fuoco… no, non fuoco,
qualcosa di più tenue, naturale… rossi come le foglie d'autunno... lunghi fin
oltre la vita, ma erano un po' strani.
Erano mossi, un po' ricci un po' no, in
dei punti girati in boccoli morbidi, in altri in onde o ricci stretti come
viticci; nel complesso sembravano la massa più morbida e lucente che avesse mai
visto, ma talmente intrecciata tra se da assomigliare ad una foresta intricata.
"Ma che posto è questo?"
Domandò a bassa voce, quasi in un sussurro; la ragazza si voltò di scatto,
mostrandogli due occhi, leggermente preoccupati, verdi come un prato sotto il
sole.
"Perché vi siete alzato?! Dovreste
riposare ancora!" Esclamò facendo un passo verso di lui.
"Ecco io…" Non poté finire la
frase, poiché il pentolone bollente, annunciandosi con un sibilo, sputò il
coperchio e fece esplodere il suo contenuto contro il soffitto; la ragazza fece
un balzello impaurito verso di lui, alzando le mani, mentre si girava verso la
pentola ribelle.
"Hm… non doveva esplodere
però…" Commentò con noncuranza, aggrottando le sopracciglia sottili; poi
tornò a guardare il giovane elfo, posando le mani sui fianchi, con un
sorrisetto. "Pace, vorrà dire che mi organizzerò… ora pensiamo a noi… Cosa
pensavate di fare ad alzarvi così!" Lo rimproverò, puntandogli contro
l'indice; lui la guardò, ancora sorpreso di tutto quello che era appena
successo, e soprattutto dalla graziosa imperturbabilità della fanciulla.
"Io, veramente… io avrei…" Era
un po' imbarazzato a dichiararle in faccia che moriva di fame: non aveva la
minima idea di chi fosse lei, ma lui era pur sempre un principe… Il suo stomaco
però, al pari di quello di un plebeo qualunque, gorgogliò senza ritegno.
"Fame?" Chiese allora lei,
divertita.
"Hem… beh, sì…" Rispose lui,
chinando il capo imbarazzato.
"Beh, poiché momentaneamente la
cena è appiccicata al soffitto…" L'elfo alzò lo sguardo stupito sulla
massa informe che gocciolava dall'alto. "…dovremo trovare qualcos'altro.
Vieni con me, qui pulirò dopo." S'incamminò, facendogli cenno di seguirla.
Attraversarono uno stretto corridoio
senza finestre, e lui non poteva staccare gli occhi da quella bizzarra, quanto
affascinante, figura che lo precedeva; la fanciulla indossava un semplicissimo
abito marrone, colore della terra fresca, nessun gioiello, probabilmente aveva
i piedi nudi, se solo l'abito non glieli avesse coperti. Il suo viso lo aveva
già potuto ammirare prima, era perfetto, dalla pelle serica, ma con guance dal
colore dei petali di rosa, e due labbra che immaginava perdessero raramente il
sorriso.
"Stamattina dormivi ancora
profondamente, non immaginavo che ti svegliassi." Disse, ad un certo punto
lei. "Lo capisco che hai fame, dopo tutto questo tempo a pancia
vuota!" Rise poi. "Eccoci." Scese alcuni scalini. "Attento
alla t…" SBONK!
A quel leggero rumore la ragazza si
voltò subito, e lo vide seduto a terra, che si reggeva la fronte con una mano;
l'elfo non ebbe il tempo di riprendersi, che se la vide piombare addosso.
"Santo cielo! Ti sei fatto male?!
La ferita si può essere riaperta!" E cominciò a slacciargli la camicia;
lui reagì subito allarmato.
"Per… per favore, sto bene!"
Protestò cercando di impedirle di denudarlo. "Smettila per favore!"
La ragazza si bloccò all'improvviso, rendendosi conto di aver esagerato.
"Ohh, scusa…" Mormorò lei
pentita, portandosi le mani alla bocca. "Ma sei sicuro di star bene?"
Gli chiese ugualmente.
"Stavo meglio prima…" Rispose
massaggiandosi di nuovo la fronte.
"Mi dispiace, ho cercato di
avvertirti..."
"Non preoccuparti inutilmente,
piuttosto dammi una mano." Taglio corto l'elfo; lei si mordicchiò un
labbro, poi gli passò un braccio intorno al torace, aiutandolo ad alzarsi.
Riuscirono ad sollevarsi senza troppe difficoltà, ritrovandosi occhi
negl'occhi; la ragazza sorrise.
"Perché sorridi?" Le domandò
lui, senza impertinenza.
"E' solo che non ti avevo mai visto
con gli occhi aperti, hai davvero degl'occhi molto belli." Gli rispose
allegramente lei, continuando a sorridere. "Azzurri come il cielo
d'estate." Aggiunse, slacciandosi da lui ed entrando nella stanzetta in
fondo alle scale.
Mangiavano da qualche minuto, lui seduto
su un piccolo sgabello e lei su una botte, in quella specie di cantina; aveva
tirato fuori del pane morbido e una strana crema di erbe, che però era
deliziosa, e l'elfo aveva una fame spaventosa.
"Vuoi un po' di latte?" Chiese
la fanciulla, scendendo dalla botte.
"Huhum..." Annuì lui
deglutendo.
"Ecco." Gli porse una brocca
di legno, colma di liquido bianco e profumato; lei continuava a sorridergli,
confermando ciò che aveva pensato prima, e cioè che quella ragazza perdesse
raramente il buon umore.
"Qu... quanto..." Biascicò,
quando non aveva ancora ingoiato il nuovo boccone; lei si voltò con espressione
sorpresa ma divertita, sgranando gli occhioni verdi.
"Un principe elfo che parla a bocca
piena, il mondo sta proprio andando a rotoli!" Commentò ridendo, una
risata argentina, come lo scorrere di un ruscello tra i boschi; poi si piegò
per raccogliere uno straccio, mettendosi i capelli rossi dietro l'orecchio.
Era un elfo, anche lei, quell'orecchia
appuntita non mentiva, ma non lo avrebbe mai detto prima di vederlo.
"Sei un elfo." Affermò
sommessamente, posando le mani in grembo, mentre ancora reggevano il pane; lei
si rialzò guardandolo.
"Beh, a dire il vero, il maestro
non ne è del tutto certo, mia madre è morta senza rivelare chi fosse mio padre,
così rimane un certo dubbio." Spiegò tranquillamente la fanciulla.
"In effetti, non avevo mai visto un
elfo con i capelli di questo colore..."
"E' particolare, vero?" Disse
allegramente lei, afferrando una ciocca della sua intricata chioma.
"Comunque, tu sai benissimo chi
sono io." Dichiarò lui, continuando ad osservarla, intenta a richiudere il
vasetto della crema di erbe.
"Sì, certo. Sei il principe
Legolas, erede al trono di Bosco Atro." Proclamò lei, in tono solenne.
"Credi che il Maestro avrebbe accettato di prenderti in casa, sennò?
Piuttosto, ti sei accorto che ci stiamo dando del tu?" Domandò poi sorridendo.
"Non amo molto i formalismi."
Rispose lui con un timido sorriso. "Però, forse, se tu mi dicessi il tuo
nome, piccola elfo combina guai, sarebbe un passo avanti." Aggiunse
ironico; lei allargò le labbra in un magnifico sorriso, poi rispose:
"Enid, mi chiamo Enid."
"Dunque, Enid, questo Maestro di
cui mi parli, chi sarebbe?" Chiese il principe portandosi alla bocca un
altro pezzetto di pane; lei cominciò a muoversi tra le botti, quasi danzando. E
sì, aveva i piedi nudi.
"E' Rodolenus, il più grande guaritore
elfo in vita, colui che si è occupato di me, mi ha cresciuta, e mi ha insegnato
la sua arte!" Proclamò Enid con allegria, accompagnando il tutto con
cristalline risate.
"Mi hai curato tu?"
"Sei curioso, mio Principe!"
Esclamò la fanciulla, spuntandogli alle spalle, col viso inclinato verso di lui
e la massa dei capelli, morbidi come una nuvola, tutta da una parte; lui si
girò, per trovarsi a pochi centimetri dal suo splendente sorriso.
"Comunque..." Continuò Enid, dandogli una pacca sulle spalle con
entrambe le mani. "Quando sei arrivato, il Maestro ha subito cominciato a
preparare i suoi intrugli, spiegandomi cosa dovevo fare, poi è ripartito
lasciandoti nelle mie mani, perciò, sì, ti ho curato io." Mentre diceva
questo era salita in piedi su una botte, poi si era sollevata la gonna fino
alle ginocchia perfette e si era seduta incrociando le gambe.
"Il Maestro sta via per molto
tempo?" Domandò incuriosito Legolas.
"A volte anche per mesi..."
Rispose lei, stringendosi nelle spalle.
"Io, da quanto sono qui..."
Mormorò l'elfo.
"Quasi una luna." Intervenne
Enid; lui rialzò lo sguardo sulla fanciulla, sorpreso.
"Così tanto?!" Esclamò.
"Huhum." Annuì lei. "Sei
stato colpito da una lama malefica, non da un'arma normale." Spiegò poi,
con l'aria di saperla lunga; Legolas non poté fare a meno di sorridere.
"Sì, ridi pure, ma ti abbiamo ripreso per i capelli..."
"Tu... mi hai ripreso..." Le
disse con gratitudine; stavolta il sorriso di Enid fu molto dolce.
"Fortuna che li hai lunghi, i
capelli, mio bel Principe!" Scherzò la ragazza, balzando dalla botte con
agilità. "Sta arrivando il Maestro." Aggiunse.
"Cosa?! E come lo sai?"
Stavolta il giovane elfo era decisamente stupito.
"Non senti il canto di
Calliope?" Legolas si mise in ascolto.
"Sento il verso di una cornacchia..."
"Non una comune cornacchia! Lei è
Calliope, mi avverte quando il Maestro arriva dal sentiero!" Spiegò
entusiasta la fanciulla.
"ENID!" Una vociona profonda
la chiamò da fuori la casa.
"Visto." Dichiarò la ragazza,
strizzandogli l'occhio; poi si allontanò su per le scale, alzandosi l'orlo del
vestito. "Eccomi, Maestro!" Aggiunse, mentre lo raggiungeva.
"Sapete Maestro, il Principe si è
svegliato!" Annunciò entusiasta la fanciulla, appena ebbe raggiunto il suo
mentore.
"Hm, bene... Che c'è per cena?"
Domandò lui senza scomporsi; Enid fece un'espressione leggermente preoccupata,
ricordandosi della fine dello stufato, e cercando con velocità una soluzione
alternativa.
"Uova?" Suggerì timidamente.
"Perfetto." Acconsentì il
Maestro, poggiando il suo lungo bastone contro la parete dell'abitazione e
sedendosi su una panca di legno che costeggiava il muro assolato.
"Ve le preparo subito!" Reagì
allegra Enid, voltandosi per rientrare in casa, ma sbatté conto Legolas che ne
stava uscendo; l'elfo la tenne per le braccia, impedendole di cadere
all'indietro. "Oh, scusa, non ti avevo visto..." Gli disse.
"Non fa niente." Rispose lui,
con un sorriso dolce; lei ricambiò, poi lo aggirò con grazia e scomparve
all'interno dell'abitazione.
"Altezza." Rodolenus lo salutò
con un cenno del capo.
"Maestro." Rispose Legolas,
sedendosi vicino a lui.
Il Maestro era un elfo dall'apparenza
piuttosto antica, era alto e magro, con lunghi capelli color argento, un volto
scavato e severo, ma un'espressione curiosa e intelligente; sedeva composto,
osservando il sole che cominciava a tramontare, con aria assorta.
"Sono felice di vedere che state
meglio." Affermò, dopo qualche attimo di silenzio.
"Per merito della vostra fedele
allieva." Ribatté il principe.
"Se non fossi certo di averle
insegnato bene, pensate che le avrei assegnato al vostra cura mentre ero
via?" Domandò il guaritore.
"Certo che no, altrimenti potreste
stare certo che ne sarebbe informato mio padre." Dichiarò Legolas.
"Ahahah!" Rise il vecchio
elfo. "Se non fosse brava, ora voi non sareste qui per riferirlo a vostro
padre!" Esclamò poi; il giovane lo guardò stupito, capendo che aveva
ragione, poi chinò il capo con un sorriso ironico.
"La cena è pronta!" Squillò la
voce di Enid; il Maestro si alzò e lentamente entrò in casa, senza dire una
sola altra parola.
Durante la cena Legolas ebbe modo di
accorgersi che il rapporto tra il Maestro e Enid era più quello tra un padre ed
una figlia (forse più un nonno e una nipote), che quello tra insegnante e
allieva; si accorse anche che la ragazza era raggiante, e spesso passava lo
sguardo da lui al vecchio elfo, sorridendo felice. Immaginando quando potesse
essere solitaria la vita di Enid, nei lunghi mesi d'assenza del Maestro, il
cuore del principe ebbe un moto di tristezza; quella ragazza piena di vita,
sola, in quella casa in mezzo alla foresta, senza alcuno con cui parlare, era
un'immagine davvero malinconica.
Scesa la notte tutti e tre andarono a
dormire; Legolas salutò Enid, dopo che lei gli ebbe cambiato la fasciatura,
mostrandogli la sua abilità. Si sentiva piuttosto bene, e la ragazza aveva
detto che la ferita era in via di guarigione, ma comunque era sempre meglio
cercare di riposare, anche se moriva dalla voglia di sapere che fine avevano
fatto i suoi amici.
Era notte fonda, quando Legolas si
svegliò assetato; in effetti, le uova cucinate da Enid erano un po' troppo
saporite, anche se buonissime. La brocca sul tavolino era vuota; si vede che la
possibilità di scambiare due parole (che poi due... quando cominciava a parlare...)
con una persona che non fosse il vecchio maestro, o il gufo Balthasar, doveva
aver distratto la fanciulla dai suoi doveri di guaritrice. Scese dal letto
sorridendo e s'infilò i pantaloni, poi scese di sotto.
Una luce, proveniente da una porta alla
sua sinistra, lo distrasse mentre si dirigeva in cucina; l'elfo socchiuse la
porta e vide una candela accesa sul tavolo di quello che sembrava uno studiolo;
la stanza era colma di libri, posti sugli scaffali, sui mobili, perfino sulle
sedie. In un angolo c'era una specie di giaciglio, fatto con quei materassi di
paglia su cui dormono i servi, anche se coperto da una deliziosa trapunta che
sembrava ricamata a mano.
Legolas si piegò per osservare meglio
quel letto arrangiato, quando entrò Enid, che vedendolo sorrise imbarazzata: le
stava davanti, in piedi, con addosso solo i pantaloni, ed il torso coperto
soltanto dai bendaggi, ed in più la guardava con espressione tra il sorpreso e
l'arrabbiato.
"Tu
dormi qui?!" Le domandò con aria minacciosa, indicando il giaciglio; Enid
inarcò le sopracciglia stupita.
"Sì." Rispose semplicemente,
stringendosi nelle spalle. "Nel mio letto ci stai tu." Aggiunse
avvicinandosi.
"Non permetto che tu sia costretta
a riposare in questo giaciglio!" Sbottò il principe.
"Questo non è un palazzo reale, e
io non sono una principessa, e poi ci sto proprio bene." Replicò lei.
"Esigo che tu riprenda possesso del
tuo letto." Dichiarò Legolas, mettendo le mani sui fianchi.
"Non posso, tu ne hai più bisogno
di me." Ribatté Enid, facendo altrettanto.
"E' vergognoso che tu debba dormire
là!" Esclamò spazientito l'elfo, indicando il materasso.
"Ti ripeto che ci sto bene, e poi
cosa vorresti fare? Dormirci tu? Ti ricordo che sei ferito..." Rispose lei
calma, fissandolo negli occhi.
"Io pretendo che..."
"Cos'è questa confusione? E' notte
fonda!" Sberciò la voce autoritaria del Maestro, zittendo all'istante i
due giovani elfi bellicosi; Legolas e Enid si voltarono verso la porta,
trovandosi davanti Rodolenus con addosso la sua camicia da notte e la papalina
moscia da letto. I due ragazzi si scambiarono uno sguardo fulmineo, trattenendo
un risata.
"Niente, non vi preoccupate
Maestro." Il vecchio elfo inarcò un sopracciglio, con aria dubbiosa.
"Abbiamo risolto, non e vero, Altezza?" Domandò a Legolas, lanciandogli
un'occhiata di sbieco; lui fece una smorfia poco convinta.
"Hm, sì." Rispose poi,
incrociando le braccia. "Tornate pure a dormire, Maestro:" Aggiunse
il principe.
"Siamo sicuri che non mi
sveglierete di nuovo, giovani virgulti dai bollenti spiriti?" Enid e
Legolas si guardarono di nuovo, ma stavolta lui le fece un leggero sorriso, poi
entrambi si rivolsero a Rodolenus, annuendo profondamente.
"Bene..." Il Maestro girò i
tacchi e uscì dalla stanza, sistemandosi la papalina sulla testa.
"Vieni con me." Legolas
abbassò gli occhi e vide Enid tendergli la mano, la guardò e lei gli sorrise;
era la prima volta che notava le sue mani, erano le più belle che avesse mai
visto, talmente candide e perfette da sembrare irreali. L'elfo prese le dita
sottili della ragazza tra le sue e si fece condurre al piano superiore.
"Adesso rimettiti a letto, che devi
riposare." Gli ordinò dolcemente la fanciulla.
"Mi ero alzato perché avevo
sete..." Mormorò lui nella penombra permessa dalla luce della luna piena.
"Ti porto un po' d'acqua."
Affermò lei allontanandosi, e tornando poco dopo con una brocca.
"Perché non hai voluto riprenderti
il tuo letto?" Le domandò, qualche momento dopo.
"Ascolta." Gli disse Enid,
sedendosi accanto a lui e posandogli una mano sul braccio. "Il mio compito
è curare coloro che hanno bisogno, e occuparmi di loro nel modo migliore. Io
sono una persona semplice, se devo rinunciare a qualche comodità, per
permettere a persone come te di guarire bene, per me non è un sacrificio. A me
basta poco, un materasso morbido, la coperta ricamata dalla mia mamma, e dormo
bene. Perciò non crucciarti Legolas, io starò benissimo dove sono." Spiegò
la fanciulla con dolcezza, accarezzandogli il volto.
"Ho capito, ma non ne sono
contento." Dichiarò lui serio. "Ad ogni modo... sei dolce,
Enid."
"Ohoh, che complimentone!"
Rise la ragazza. "Adesso fai la nanna." Gli ordinò.
"Non trattarmi come un
bambino!" Protestò divertito lui.
"Perché? Tu sei peggio di un
bambino, sei il Principe degli Elfi Testoni, ecco cosa sei!" Ribatté la
fanciulla alzandosi; poi gli diede un bacio sulla fronte.
"E questo, cos'è?" Chiese
sorpreso Legolas.
"Il bacio della buonanotte."
Annunciò lei, volteggiando su se stessa. "Non te lo dava, tua madre?"
Domandò sorridendo. Domanda retorica.
"Certo che sì, sempre."
Rispose malinconicamente l'elfo, ma l'ultima cosa che vide, prima che lei
sparisse oltre la porta, fu il dolce sorriso di Enid.
Erano passate quasi due settimane dal
risveglio di Legolas, e lui si stava abituando ai ritmi strampalati della casetta
nel bosco; la sua ferita si era ormai rimarginata quasi completamente, grazie,
soprattutto, alle cure di Enid, anche perché il Maestro era ripartito appena
due giorni dopo il suo arrivo.
Doveva confessare che non era così male,
starsene da solo con Enid in quella specie di paradiso che era il Bosco Rosso;
ammetteva che, in dei momenti, si divertiva come un bambino. Enid era pura e
limpida come una sorgente, ma intelligente e attenta come ci si aspetta che sia
un'apprendista guaritrice, ingenua e allo stesso tempo saggia, come deve essere
colui che impara dalla natura e ricava dalla sua eterna vita insegnamenti
infiniti; era una meravigliosa creatura solitaria, che parla con gli animaletti
della foresta, fa marmellate di biancospino, va in giro con le foglie secche
tra i capelli e i piedi nudi, ti stupisce con una risata cristallina e
improvvisa, e ti conforta con il suo genuino calore. Non aveva mai conosciuto
nessuno come lei, ogni giorno era una sorpresa con Enid; lei stava curando le
ferite del suo cuore, esattamente come quelle del suo corpo.
Quella mattina si era svegliato presto,
ma, nonostante l'avesse cercata per tutta la casa, non riuscì a trovare la
ragazza, così decise di uscire.
Il sole non era ancora del tutto sorto e
la sua luce tiepida dava al bosco un colore rosato; una nebbiolina sottile
attorcigliava ancora i tronchi degli alberi, dando a tutto un'atmosfera onirica
e ovattata, l'aria era umida e frizzante. Gli uccelli cominciavano a lanciarsi
richiami da un ramo all'altro, con i loro cinguettii, che un elfo impara a
conoscere e a distinguere fin da bambino; ma, quasi all'improvviso, al canto
degli abitanti degli alberi si unì una voce... imitava i canti con armoniosa e
cristallina grazia, attraversava la radura, chiaramente lontana, ma nitida. Era
un canto melodioso e dolcissimo, che sembrava provenire da un'ugola di
trasparente cristallo, tanto limpido giungeva alle orecchie di chi ascoltava.
Non
può essere lei..>. Si disse Legolas; eppure, in quell'angolo di sperduta
foresta, non avrebbe dovuto esserci altra presenza femminile.
Rimase immobile sulla soglia, ascoltando
rapito quella voce quasi ultraterrena; fu molto dispiaciuto, quando, mentre si
avvicinava, il canto si spense. L'elfo riaprì gli occhi, che aveva chiuso per
gustarsi meglio la melodia, deluso; pochi istanti dopo, dal fondo della radura,
dove la nebbia si era ormai diradata, comparve Enid con un cesto al braccio,
accompagnata dai suoi amici animaletti.
"Buongiorno!" Lo salutò
allegramente la ragazza, quando gli fu vicino; non le rispose subito, ma la
guardò distratto. Lei spalancò gli occhi, con espressione interrogativa.
"Eri tu che cantavi?" Le
domandò infine.
"Sì." Rispose Enid annuendo,
fissandolo negli occhi senza capire cosa gli succedeva.
"Tu possiedi una voce...
magica." A quel punto lei poté fargli un grande sorriso.
"Grazie." Gli disse, dandogli
un bacio sulla guancia. "Guarda, ho trovato molti lamponi. Ti vanno per
colazione?" Continuò poi; Legolas guardò nel cesto, pieno di frutti rossi
e invitanti.
"Sì, sembrano splendidi."
Rispose l'elfo sorridendo; lei ricambiò il sorriso ed entrò in casa, col suo
passo danzante. E così, aveva scoperto un'altra dote della figlia del Bosco
Rosso.
Il pomeriggio di quel giorno fu assolato
e limpido come un giorno d'estate; Legolas si godeva i raggi del sole, seduto
sulla panca vicino al muro, mentre Enid lavava i panni in un catino di legno
scuro. Vedendo la ragazza, con l'abito arrotolato fino alle ginocchia ed un
grosso grembiule sul davanti, che stropicciava con energia le lenzuola sull'asse
di legno, con sul viso un sorriso soddisfatto, pensò a quanto, rispetto a lei,
fossero ingessate le nobili fanciulle elfiche che conosceva, compresa la
bellissima e anticonformista Arwen. Gli venne da sorridere, pensando
all'altezzosa e gelida Ithladiel, nipote di Galadriel, che suo padre, più di
una volta, gli aveva proposto come futura moglie, puntualmente bocciato dal
cocciuto figlio. Lui e Arwen, del resto, si erano scambiati una promessa, il
giorno in cui per poco non fecero morire di crepacuore i rispettivi genitori:
sciolsero quel fidanzamento imposto, giurandosi che si sarebbero sposati solo
per amore, e lei lo stava per fare.
Chissà perché gli venivano tali pensieri
guardando quella bizzarra fanciulla elfo, dai capelli rossi come le foglie
d'autunno, stendere i panni al sole?
Si passò una mano tra i lunghi capelli
biondi, poi reclinò il capo all'indietro, fino a toccare il muro con la nuca, e
socchiuse gli occhi; gli piaceva stare lì, ma gli mancavano i suoi amici. Che
stava facendo Gimli in quel momento? E Aragorn? Forse era intento ad
organizzare il suo matrimonio, o a combattere chi voleva organizzarlo a modo
proprio...
"Malinconia?" La voce
melodiosa di Enid, insieme ad una leggera pressione sulle sue ginocchia, gli
fece riaprire gli occhi; la ragazza era davanti a lui e gli posava le mani
sulle gambe. Legolas le sorrise, ricambiato.
"Non fraintendere, stare qui mi
rilassa, ma, dopo mesi di avventure, forse non sono più abituato
all'ozio..." Rispose pacatamente il principe elfo.
"So io come farti tornare di buon
umore!" Affermò entusiasta la ragazza. "Un bel tuffo nelle
foglie!" Esclamò allegra.
"Un tuffo nelle... foglie?"
Ripeté esterrefatto Legolas.
"Sì! C'è un posto fantastico qui
vicino, vedrai, ti sgranchirai le gambe e ti divertirai, garantito!"
Continuò Enid prendendogli le mani.
"Se lo dici tu..." Accettò
titubante l'elfo, alzandosi quasi sollevato da lei.
"Vedrai, vedrai, ti piacerà!"
Insisteva lei. "Vieni su!"
Arrivarono, dopo aver camminato per
qualche minuto, ad un verde declivio, in fondo al quale c'era un boschetto di
alberi caduchi, con le foglie dello stesso sfolgorante colore dei capelli di
Enid; il sottobosco era ricolmo di foglie secche. La ragazza si lanciò di corsa
verso la base del declivio, gettandosi poi tra la massa frusciante con una
risata felice; Legolas capì, vedendola, cosa significava "un tuffo tra le
foglie".
Enid risalì la collinetta dopo qualche
momento, coperta di fogliame, che le si era impigliato un po' dappertutto,
specialmente tra i suoi già intricati capelli; aveva sulla faccia la gioia di
un bambino che ha appena fatto il suo gioco preferito.
"Hai mai giocato con l'autunno,
Legolas?" Gli domandò con sguardo limpido; lui non sapeva se rimanere
affascinato o sconcertato da ciò che aveva appena visto.
"Tutti da bambini ci siamo
divertiti con le foglie secche..." Rispose, con lieve imbarazzo.
"Vuoi dire che non hai mai fatto un
tuffo?" Gli domandò.
"No." Rispose secco lui.
"Oh, che peccato..." Affermò
con tono deluso Enid, dandogli le spalle; l'elfo si guardava intorno indeciso.
"Si deve assolutamente... RIMEDIARE!" Gridò all'improvviso la
ragazza, tornando sui suoi passi; prese la rincorsa e spinse con tutta la forza
Legolas giù per il declivio, con sulle labbra un sorriso soddisfatto.
Rotolarono abbracciati fin dentro il
mare di foglie secche, riemergendone lui con gli occhi spalancati e lei con un
sorriso dalla gioia indescrivibile.
"Non è la cosa più divertente che
tu abbia fatto?!" Gli domando Enid, seduta di fronte a lui ridendo, con le
foglie fino alla vita.
"E anche la più assurda…"
Ammise Legolas, senza trattenere un sorriso incredulo, pensando a come avrebbe
reagito suo padre, vedendolo fare qualcosa del genere.
"Ahahahaha!!!"Enid gli lanciò
addosso una massa di fogliame con le mani, continuando a ridere, poi sparì
sotto la massa frusciante del colore dei suoi capelli; Legolas si guardò
intorno, con espressione curiosa e divertita, cercando di capire dove era
finita la ragazza. All'improvviso Enid
sbucò alla sua destra, lanciandogli addosso foglie secche e profumate; se la
ritrovò addosso, ed entrambi caddero stesi a terra. La ragazza ansimava
leggermente, contro il suo petto; lui la strinse a se con delicatezza,
aspirando il suo profumo.
Enid profumava di bosco, si sarebbe
meravigliato del contrario; sapeva di alberi, di terra fresca, di muschio e
biancospini… Il principe elfo si sentiva bene, troppo bene, vicino a quella
incredibile, spontanea, creatura dei boschi…
"Allora, è stato divertente?"
Gli domandò, senza alzare il capo dal suo petto.
"Grazie, sì, mi ha fatto bene,
Enid." Rispose dolcemente Legolas.
"Forza, alziamoci e giochiamo un
altro po'!" Esclamò la ragazza, alzandosi in ginocchio e ricominciando a
tirargli mucchi di foglie; stavolta lui non si fece trovare impreparato, e
rispose con un'ondata frusciante, che la ricoprì. Enid cominciò a ridere
alzando le gambe in aria, poi si alzò di scatto, fuggendo tra gli alberi; ma
Legolas la riprese e, insieme, rotolarono nuovamente su un mucchio di foglie,
ridendo come bambini.
"E' molto più divertente che farlo
da sola." Affermò la ragazza, sorridendogli.
Tornarono a casa ancora allegri,
tenendosi per mano, ma trovarono sull'uscio il Maestro che li osservava con
espressione di severo rimprovero, probabilmente dovuta al fatto che avevano
foglie secche appiccicate ovunque.
"Altezza." Mormorò Rodolenus
storcendo il naso; Legolas, imbarazzato, si riscosse il fondo dei pantaloni,
mentre Enid cercava di non sorridere.
"Siete già tornato Maestro?"
Domandò la ragazza.
"Sì." Rispose secco lui.
"Sono passato alla reggia di Bosco Atro ed ho parlato con il re,
comunicandogli che suo figlio si è ormai rimesso." Raccontò con tono
gelido. "Egli ha espresso il desiderio che il Principe faccia rientro al
più presto a corte, ha anche mandato un cavallo." Aggiunse, incrociando le
braccia.
Legolas e Enid si scambiarono uno
sguardo molto significativo, mentre il sorriso della fanciulla andava
spegnendosi; lui le strinse la mano solo un po' più forte, con sguardo
dispiaciuto.
Era sera, ormai, e l'elfo stava
preparando le sue cose, deciso a partire l'indomani mattina; si era accorto,
però, che Enid era particolarmente silenziosa a tavola, e lui sapeva perché.
Sentiva una stretta al cuore, pensando di doverla lasciare di nuovo sola;
quella ragazza aveva così tanto da dare, e non poteva dimenticare quanto era
stato bene con lei in quei giorni di convalescenza. Bussarono alla porta,
Legolas invitò ad entrare; era Enid, col capo chino, si fermò sulla soglia.
"Vieni." La incitò dolcemente
lui; silenziosa lei ubbidì, sedendosi sul letto, vicino alla sacca dell'elfo.
Si guardarono negl'occhi. "Non essere triste, Enid..." Le mormorò
sfiorandole il viso con le dita.
"Non sono triste, sapevo che te ne
saresti andato presto." Rispose calma lei. "Però..."
"E' stato bello." Fu Legolas a
terminare la frase; Enid sorrise.
"Sì." Confermò poi.
"Non sai quanto mi dispiace,
lasciarti sola..."
"Ma io non sono sola, c'è il
Maestro." Ribatté sorpresa la ragazza.
"Lui ti vuole bene, Enid, ma lo sai
meglio di me, non c'è mai..." Replicò il giovane elfo.
"Beh, io ho un sacco di cose da
fare, poi ci sono i miei amici animaletti..." Affermò allora lei,
distrattamente; ma, in realtà, sapeva bene che Legolas aveva ragione, la
solitudine poteva essere dura, molto dura, specie dopo che hai conosciuto uno
come lui...
"Mi mancherai tanto." Le
disse, mentre accarezzava con tenerezza infinita il suo viso.
"Se fai così mi viene voglia di
piangere..." Mormorò la fanciulla, già con gli occhi lucidi; Legolas
sorrise dolcemente, fermando la mano sulla sua guancia.
Enid reclinò il capo da un lato,
cominciando a piangere sommessamente, i lunghi capelli le coprivano
completamente il viso; l'elfo sospirò addolorato, poi si sedette accanto a lei.
"Piccola Enid..." Le sussurrò,
circondandole le spalle; lei si teneva le mani sul viso. "Ci rivedremo,
sai." Affermò allora lui, sicuro; la fanciulla rialzò gli occhi.
"Davvero?" Chiese speranzosa.
"Ma certo." Annuì lui
sorridendo e stringendola a se. "Adesso andiamo a dormire, ci saluteremo
domani mattina, va bene?" Enid annuì sorridendo; era bastato poco per
farla tornare la creatura gioiosa di sempre, e Legolas ne era felice.
Il mattino dopo Enid preparò
accuratamente qualcosa da mangiare, per il viaggio di ritorno dell'amico,
decisa a non commuoversi, quando lo avesse visto montare a cavallo.
Il momento venne, ma la ragazza aveva
gli occhi lucidi già mentre lui caricava la sua sacca e prendeva dalle sue mani
il cestino con il cibo; cercava di sorridere, di essere serena, ma era
parecchio dura. Legolas, infine, si avvicinò per l'ultimo saluto; le sorrideva
tristemente, Enid faceva altrettanto.
"Ci siamo." Commentò senza
convinzione l'elfo.
"Eh, sì." Confermò lei, in
piedi di fronte a lui, ad un passo di distanza.
"Ho una cosa per te." Lo
sguardo di Enid s'illuminò a quelle parole.
"Veramente?" Domandò giungendo
le mani; lui annuì, traendo qualcosa da una tasca, poi glielo porse.
Era un piccolo oggetto di legno chiaro,
un ciondolo intagliato con la forma di un fiore di rosa canina, dalla fattura
finissima, scolpito da mani abili, le sue...
"Oh, Legolas, è... è
bellissimo!" Esclamò entusiasta e commossa Enid. "Lo hai fatto
tu?" Gli chiese poi; l'elfo annuì sorridendo.
"Per ricordarti di me."
Dichiarò poi, mentre lei stringeva il piccolo oggetto tra le dita.
"Non ce ne sarebbe stato bisogno,
lo sai, ma lo porterò sempre." Rispose Enid, alzando lo sguardo e
fissandolo negl'occhi. Legolas, a quel punto, la tirò a se, abbracciandola.
Enid posò il capo sulla sua spalla,
mentre lui le carezzava dolcemente i capelli, sfiorando col mento la loro lucente
morbidezza; ora la ragazza era più serena, non sentiva più la tristezza, quel
regalo l'aveva rincuorata.
"Ci rivedremo presto, me lo
sento." Affermò sicura Enid, quando si staccarono; lui sorrise.
"Anch'io." Confermò Legolas;
poi abbassò il capo, sfiorandole le labbra con un bacio leggero.
"Arrivederci, piccola Enid." La fanciulla rimase con un'espressione
stupita sul viso, finché non lo vide salire a cavallo, poi si ridestò, mentre
lui già cavalcava allontanandosi. E una lacrima, inevitabile, le scese sulla
guancia.
Enid, quella sera, rimase per qualche
istante ferma, in piedi davanti al letto del quale riprendeva possesso dopo
molto tempo; lo fissava cercando di togliersi dalla mente quanto era bello il
corpo di Legolas quando vi giaceva, e anche il modo in cui si era presa cura di
lui mentre era incosciente. Guardò, ancora una volta, il ciondolo, sorrise e se
lo strinse al cuore, dicendosi che forse era un po' innamorata di lui già
quando lo curava, immerso nel sonno; finalmente si mosse, sedendosi tra le
coperte, poi si sdraiò, sempre tenendo il regalo ben stretto tra le mani.
Perché non ho
cambiato le lenzuola? Si chiese coprendosi. Beh,
erano quasi pulite, le ho cambiate solo ieri... Non è vero, non le ho cambiate
perché sanno di lui... Sprofondò il viso tra il cuscino e le coperte,
respirando il profumo del principe degl'elfi.
CONTINUA….