Tredici sigarette allineate
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Sul mio tavolo ci sono tredici
sigarette.
Tredici sigarette allineate.
Questa notte progetto di rimanere
sveglio all’alba, fino a quando il sole non penetrerà dalla vetrata del loft
ricordandomi che è già mattino.
Che è di nuovo mattino.
Sul mio tavolo ci sono tredici sigarette
allineate.
Non ne fumo mai più di così quando resto sveglio, ma neanche posso
farne a meno; ci ho provato una volta, sono dovuto uscire a comprare un
pacchetto al distributore automatico.
Troppa fatica, troppo turbamento.
Le preparo la sera prima, controllo che siano a distanza perfetta l’una
dall’altra, due centimetri, non un millimetro di più, non uno di meno.
Dicono che sono maniacale.
Hanno ragione, ma una cosa di sicuro non
possono saperla.
Ci sono tredici sigarette sul mio
tavolo.
Tredici sigarette allineate.
La prima sigaretta è per la morte.
Il fumo
scende per la trachea e tu senti il catrame che si insinua bastardo a ricoprire
le cellule, per ucciderle certo. Sai che prima o poi questo vizio potrebbe
ucciderti e il brivido che ti procura questa prospettiva è a dir poco
esaltante.
La seconda sigaretta è per tua
madre.
Quando avevi quattordici anni provasti a fumare per la prima
volta, ricordi che dopo averla accesa a fatica provasti ad aspirare quel fumo
grigiastro, iniziasti a tossire senza riuscire a fermarti e poi vomitasti. Tua
madre attratta dal rumore ti raggiunse dietro il capanno degli attrezzi e quando
ti vide con una sigaretta ti mollò uno di quei ceffoni da attaccarti al muro in
senso più che letterale. Ti rimase il segno delle cinque dita e ben poca voglia
di fumare.
La terza sigaretta è per tuo
padre,
che ne fumava una ventina al giorno e poi si faceva di eroina. Un
simpatico modo di passare il tempo per un disoccupato quarantenne le cui uniche
parole di affetto verso di te sono state "vai nell’altra stanza o ti meno". Se
eri abbastanza veloce a quelle parole potevi riuscire a scappare abbastanza
velocemente perché non ti menasse davvero.
La quarta sigaretta è per
tua sorella.
Aveva quattro anni quando un ubriaco in macchina la mise
sotto mentre raccoglieva la palla caduta in mezzo alla strada, tua madre se la
prese con te perché non eri andato tu, figlio di un preservativo bucato, a
raccoglierla. Ricordi ancora il suo sorriso dolce e la sua voce delicata, ti
chiama "Fratellone" e si aggrappava alla tua mano come fosse stata l’unico
appiglio di tutta una vita. E tu l’hai lasciata morire.
La quinta
sigaretta è per Jack, il tuo migliore amico.
Sparito chissà dove in
Antartide durante una missione di ricerca. Un brav’uomo, fu lui il primo a
tenderti la mano quando tuo padre ti menava e tua madre cercava di addossarti le
colpe della sua incapacità di vivere. E fu l’unico ad avere completa fiducia
nelle tue capacità, probabilmente il vero motivo per cui è scomparso. Alla fine
non sei mai riuscito a trovarlo.
La sesta sigaretta è per la facoltà
di giurisprudenza di Harvard.
Una gran figata, giovani coglionazzi in
divisa che mostrano il loro Q.I. superiore. Qualità che hai scoperto di
possedere solo dopo anni passati nella merda più nera. Tornando al discorso, una
bella facoltà, piena di stronzi figli ricchi di stranissima gente ricca, ha
contribuito a trasformarti in quello che sei. Un avvocato di successo il cui
unico problema nella vita è se comprare un vestito di armani blu o nero a
seconda della squillo con cui passerai la notte.
La settima sigaretta
è per Jen.
La piccola Jen, la dolce Jen, l’unica donna che tu abbia mai
amato tanto da sposare. Manine piccole e candide, una cascata di ricci rossi e
quello stracazzo di sorriso da cui non sei mai riuscito a distogliere lo
sguardo. Ti bastava una parola, una singola parola per cambiare completamente
umore, per lei avresti scalato una montagna, al diavolo la tua paura delle
altezze; per lei avresti perfino potuto uccidere, avresti davvero fatto di
tutto. Ma sei solo umano e nemmeno un medico, e una cura per la leucemia non sei
riuscito a trovarla.
L’ottava sigaretta è per il tuo
loft.
Tanta di quella luce da ucciderci un vampiro di giorno e così in
alto che di notte sembra di poter toccare la luna. Una figata fotonica, ogni
volta che ci porti una donna ne rimane così estasiata che non può fare altro che
aprire le gambe. Deve essere il fascino del mogano o forse tutto quel bianco che
le manda in estasi, o magari non gli è mai capitato di incontrare un uomo
ordinato.
La nona sigaretta è per quello
stronzo del tuo gatto.
Si chiama JJ, è un botolo lardoso nero, lo hai
preso perché faceva un contrasto artistico a te particolarmente gradito, se
affiancato al bianco dei tuoi mobili. O almeno questo è quello che dici in giro,
in realtà lo hai trovato per la strada e ti faceva pena, poteva anche essere
verde e lo avresti raccattato. Ultimamente il suo hobby è diventato quello di
farti impazzire, ti ha già distrutto un divano di pelle e ora mira a demolire la
libreria lasciando su scaffali e libri i segni delle sue unghie. Non avresti
dovuto farlo castrare.
La decima sigaretta è per i
colori.
Non che tu sia mai stato daltonico o cagate del genere,
chiariamolo subito, ma da quando il suo cuore aveva smesso di battere il tuo
mondo aveva perso qualsiasi attrattiva, i colori avevano smesso di esistere e
ogni cosa si era tinta di bianco e di nero. Uno schifo di vita in cui ogni cosa
veniva classificata in base a una scala di grigi e più le tinte si facevano cupe
più il tuo umore si altera ed aumentano le probabilità che tu te la prenda
ingiustamente con qualcuno dicendo qualcosa di cui non ti pentiresti il giorno
dopo.
L’undicesima sigaretta è per Cher.
È la tua assistente
da quasi tre anni e sai benissimo che è follemente innamorata di te, d’altro
canto è pressoché impossibile resistere al tuo fascino. E’ minuta e bionda e per
vederti felice resusciterebbe tua moglie, cosa che ovviamente andrebbe tutta a
suo svantaggio. Ti fa tenerezza, ma cerchi di evitarla il più possibile al di
fuori dell’orario di lavoro, non ha l’esperienza di una squillo e proprio quel
tipo di donna da cui ti faresti coinvolgere e certi problemi preferisci
evitarli.
La dodicesima sigaretta è per tuo
figlio,
che non è mai nato e che probabilmente non nascerà mai visto il
tuo modo di pensare; un tempo lo desideravi e te lo ricordi, ma nonostante tutto
pensarci ti fa troppo male e preferisci chiuderti in te stesso e parlare con il
gatto, che sicuramente ti fa penare meno di un bambino. Probabilmente anche JJ
se sapesse cosa pensi ti riempirebbe di graffi.
La tredicesima
sigaretta è per te stesso.
Perché ti stai accorgi, sempre di più, di
come la tua vita in realtà non sia altro che un agglomerato di inutili
frivolezze; tutto quello per cui valeva la pena vivere oramai è perduto. Per
questo motivo una volta al mese rimani sveglio tutta la notte, con lo sguardo
perso oltre la finestra, a fissare qualcosa che vedi solo tu, pensando quante
opportunità ti sono scivolate tra le mani e quante ti stanno sfuggendo dalle
dita in questo momento. E sai che se volessi potresti essere felice, perché sei
più che convinto che la propria felicità la si trova da soli, ma non vuoi essere
felice. Ti basta vivere.
La cenere della tredicesima sigaretta
cade sul tavolo di vetro, mancando di pochi centimetri il posacenere.
Merda.
L’ho mancato.
Oramai è l’alba e questa luce troppo chiara mi da fastidio
agli occhi. Marzo è un mese di merda, finge di iniziare ad esserci il sole, ma
non è che una luce albina riflesso di qualcosa che è stato e il suo calore non è
che l’imitazione di qualcosa che sarà solo tra qualche mese, ti illude, come fa
la vita ogni giorno.
È così che viviamo noi uomini, avvolti dalla sottile
patina dell'illusione
Io lo so.
Sono gli altri che non lo
sanno.
Note
Autrice:
Questa shot partecipa
all'iniziativa 2010 a year together indetta dal
forum «
Collection of starlight », said Mr Fanfiction Contest, « since 01.06.08 »
- Il prompt scelto era 68.Tredici Sigarette
Allineate.
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