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Autore: lynch    10/03/2010    8 recensioni
Il giovane mago si ridestò e per un paio di secondi, che per il principe sembrarono essere eterni, fissò il fuoco, occupato nella sua solita danza, quasi ipnotica. « Non posso ritornare a Camelot, Athur. Non posso. » disse, finalmente, con voce atona. Arthur, lentamente, cinse la sottile vita di Merlin con un braccio, e lo attirò a se. « Farà male » sussurrarono entrambi, all'unisono. Una voce sola.
Genere: Triste, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Merlino, Principe Artù
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Disappear

 

«Vai. Sparisci»

 

Le ultime due parole che gli aveva detto.

"Vai. Sparisci".

Le sole parole che vorticavano insistentemente nella sua testa, da ormai parecchi mesi, troppi mesi. Mesi che avevano portato il peso della sua assenza, mesi che avevano ricordato dolorese immagini di un tempo felice, mesi che avevano portato ad un'unica e certa conclusione: era un babbeo. Lo sapeva, lo aveva sempre saputo che lui aveva ragione: infatti era un babbeo, reale, ma pur sempre un babbeo.

Babbeo, babbeo, babbeo.

Merlin gli aveva rivelato il suo segreto, dapprima, con lacrime di amarezza, pentito di non averglielo confidato precedentemente, e poi con lacrime di tristezza, quando aveva visto la sua reazione, tutt'altro che positiva. Arthur capiva perfettamente perché Merlin non glielo aveva mai rivelato, ora lo capiva. Capiva anche di aver compreso troppo tardi, perché “ora” era troppo tardi.

Gli aveva detto di sparire, e lui era sparito, realmente.

Nonostante i diversi mesi che li separavano, esattamente sette, Arthur non aveva per niente dimenticato il suo valletto, il suo servo, il suo confidente, il suo consigliere, il suo amico, il suo amante.

Aveva perso tutto per due stupide paroline.

E adesso si ritrovava lì, in quella lurida locanda, così lontana da Camelot, cercando di ubriacarsi, in compagnia di un branco di poveracci depressi, probabilmente non tanto diversi da lui.

Ovviamente, ogni qual volta si lasciava andare in questo modo, era vigilato e incatenato sotto lo sguardo vigile di Sir Leon.

Era consapevole, che anche in quel momento, lo stava fissando mentre con il dito seguiva il bordo del boccale di birra.

Sebbene il suo comportamento non rispecchiasse affatto quello di un principe, aveva stretto una sorta di patto con il suo fidato cavaliere, il quale, imponendo la sua presenza, lo lasciava sfogare come voleva: estenuanti e continue battute di caccia, luride locande, stupide feste e aggressivi combattimenti, erano ormai all'ordine del giorno. Poi alla fine di una di queste attività, cadeva nella depressione e Sir Leon lo trascinava al loro alloggio, a seconda dei luoghi in cui si trovavano.

Ordinò un altro boccale di birra, e fece per portarselo alla bocca, ma un braccio fermò il suo. Come osava Leon fermarlo? Ne avevano parlato così tante volte!

Indurì lo sguardo, e si preparò a imprecare verso di lui, ma le parole gli morirono in gola, una volta riconosciuta la figura che torreggiava su di lui.

Un rantolo, soffocato nel dolore e nella tristezza, uscì dalle sue labbra.

« Non credete di aver esagerato questa sera? »

Oh, sì, eccome se aveva esagerato! Se riusciva a vederlo, aveva davvero esagerato. Non gli era mai capitato prima, eppure non si ricordava di aver bevuto tanto da poter subire delle allucinazioni. Inoltre, gli aveva anche parlato, gli aveva fatto una domanda. E il suono della sua voce, di quella voce non aveva perso la melodia e nemmeno quella nota di preoccupazione quando si rivolgeva a lui. Era ancora più bella di come se la ricordava.

« Allora? » chiese Merlin, impaziente di ricevere una risposta.

Arthur, annuì, incapace di fare altro. Si sentiva anche un po' stupido mentre gli rispondeva. Ma visto che Merlin era lì, perché non beneficiarne, illusione o non? Restò fermo ad osservarlo, mentre l'altro faceva lo stesso.

Merlin, ovviamente, non era un illusione, anche se in quel momento avrebbe voluto esserlo. Un attimo di distrazione, ed ecco rovinato il lavoro di sette, lunghissimi, dolorosi mesi. Si era imposto lui stesso di voltare le spalle a quella stupida locanda, appena lo aveva scorto al bancone. Ma quello sguardo gli aveva schiacciato la verità in faccia: Arthur, il suo Arthur, era lì, sofferente, stanco di andare avanti senza di lui. Lo aveva capito grazie a quegli occhi, pezzi di ciel sereno, che non avevano mai potuto nascondergli niente dal momento in cui si erano giurati amore.

Come in una sorta di trance, si era avvicinato e aveva posato il braccio sul suo, impedendogli di rovinarsi ulteriormente con quel boccale di birra, rivelandogli la sua presenza. E le parole si erano ammassate in gola, e spingevano, spingevano. Non aveva potuto trattenerle, ed ecco fatto! Stupido, stupido, stupido.

Riportò la sua attenzione totale sul suo principe, che lo fissava incredulo: forse si stava chiedendo che cosa ci facesse il suo servo in quella locanda, ma, sinceramente, quella era la domanda che Merlin doveva rivolgergli.

« Sono in viaggio » sussurrò, improvvisamente desideroso di dare spiegazioni.

« Battuta di caccia » sussurrò a sua volta il principe.

Silenzio. Lunghissimi attimi di silenzio, in cui si perforavano l'anima a vicenda, analizzando ogni singolo granello di emozione, dolore, tristezza, solitudine.

Arthur però si riscosse, scuotendo il capo, dicendo a se stesso che quello che stava vedendo non era reale.

« Tu non sei qui, tu.. non sei reale. » sussurrò ancora, lamentoso, supplichevole.

Merlin sgranò gli occhi a quelle parole. Certo, non si aspettava di trovare le braccia aperte, di quello che un tempo era stato il suo padrone, pronte ad accoglierlo nonostante tutto, ma arrivare a dire che non era reale non era propria stata presa in considerazione, come possibilità.

E nuovamente la verità arrivò a colpirlo come un potente schiaffo: Arthur era così distrutto da crederlo frutto della sua immaginazione? Arthur stava così soffrendo per lui?

Tremò, sotto il peso di quelle domande, troppo dure anche per se stesso.

Sapeva che avrebbe sofferto, lo aveva capito quando gli aveva rivelato chi era, quando gli era stato detto di sparire, ma non credeva che potesse distruggersi in questo modo.

In quei mesi di lontananza, Merlin si era sentito prima vuoto, poi sofferente. Questa sofferenza poi si era tramutata in lenta agonia, con cui aveva cominciato a convivere. Era sempre presente, anche mentre dormiva, nascosta dietro l'angolo del suo cuore, pronta a far capolino ogni volta che voleva, a tradimento. E ogni volta faceva sempre più male, colpendo come mille piccoli aghi conficcati nella sua carne, pulsanti, vivi, e intinti in un veleno non mortale, di cui però non c'era rimedio.

« No, Arthur, sono reale. »

Questa volta a sgranare gli occhi fu il principe: non era possibile che Merlin fosse lì, davanti a lui, dopo tutti quei giorni di separazione. Sentì l'impulso di testare la verità delle sue parole, e raccogliendo tutta la forza che poteva per parlare e per dargli, forse, l'ultimo ordine della sua vita, disse: « Aspettami fuori allora. »

Sapeva che con quell'ordine avrebbe messo fine all'illusione, se tale era, mandandolo via. Ancora una volta lo stava allontanando da se stesso. Merlin nel frattempo si era girato, pronto ad uscire fuori, cogliendo così la palla al balzo: sarebbe sparito, una volta fuori, facendogli credere per davvero che tutto fosse stato frutto della sua mente. Sorrise amaramente verso Sir Leon, che li aveva guardati sgomento per tutto quel tempo, restando in silenzio. Il cavaliere per tutta risposta, annuì, appoggiando la scelta di sparire di Merlin, intuita dallo sguardo del vecchio servo di Camelot.

Il mago mosse un passo verso l'uscita, ma venne bloccato dalla mano di Arthur, che si legò alla sua, ritrovando il calore di un tempo. Un brivido gli attraversò la schiena, potente e veloce. Si girò, incontrando di nuovo lo sguardo di Arthur, in cui lesse il disperato bisogno di trovarlo fuori da quel postaccio. E così, ancora una volta, non riuscì a fermare le parole.

« Ci sarò » promise, e così se ne uscì.

Pochi secondi e il principe era di nuovo davanti a lui.

« Merlin » sussurrò incredulo.

Era davvero lui, in carne ed ossa. Gli occhi gli si illuminarono e sorrise, in pace con se stesso. Il principe si rese conto che la capacità di Merlin di farlo sentire al sicuro, non era andata perduta. Chiuse gli occhi, leccandosi inconsciamente le labbra. Su di esse sentiva il suo sapore, che non le aveva mai abbandonato. Respirò l'inconfondibile profumo del suo amante, e si sentì completo, al sicuro, a casa.

Riaprì gli occhi e non resistette alla tentazione di sentire di nuovo la sua stessa pelle al contatto con quella di Merlin, e lo abbracciò.

Quest'ultimo non ci mise molto a ricambiare la stretta, anche se convinto di sbagliare tutto. Non poteva rimanere con lui, non poteva ritornare a Camelot come se niente fosse stato, non poteva pretendere che Arthur portasse il peso del suo segreto anche davanti al padre, mentendo a lui e a tutte le persone care. No, non poteva.

Erano queste le ragioni per cui non aveva voluto rivelargli la sua natura, rimandando e rimandando, oltre alla paura di perderlo e di non poterlo più proteggere. Cosa che alla fine era successa.

« Oh Merlin » sussurrò il principe al suo orecchio. « Vieni » continuò poi.

Prese la mano di Merlin tra una delle sue, e lo trascinò per la strada, diretti al piccolo accampamento che avevano allestito lui e Sir Leon. Non avevano alloggiato in città, perché da quando Merlin se ne era andato, Arthur detestava stare in mezzo alla gente, fingersi felice e spensierato, mentre dentro piangeva di dolore. L'unico che non lo infastidiva era Leon, che sapeva la verità, o almeno una parte. Arthur, nel raccontargliela, aveva omesso la vera natura di Merlin, dicendo che se ne era andato, partendo per chissà dove.

Arrivati, Arthur si sedette vicino al fuoco appena acceso, affiancato subito dopo da Merlin. Si guardarono per lungo tempo, prima che uno dei due cominciasse l'inevitabile discussione.

« Perché te ne sei andato? » chiese Arthur, supplichevole.

« Me lo avete detto voi! A quel tempo era ancora il vostro servo, e in quanto tale, sono sparito.»

Arthur aggrottò la fronte per più di un motivo: ormai era passato il tempo in cui Merlin gli dava del “voi” e quel tono formale e distaccato lo irritava. Si impose la calma: non doveva scoppiare adesso, non dopo averlo ritrovato.

« Lo sai che non intendevo sul serio. Non ti avrei mai mandato via, Merlin. Come potevo farlo?»

« Eppure è successo, Sire. »

« Ma io- » protestò il principe, ma fu subito interrotto da Merlin.

« Era una questione delicata! Se l'avete presa sotto gamba, non è certo mia la colpa. » disse duramente il mago, per poi addolcirsi, almeno un po' « Arthur, io vi amavo con tutto me stesso, e non avrei mai fatto nulla da cui avrei potuto trarre vantaggio o con la quale avrei potuto danneggiarvi. Io sono nato così, e credevo che la mia vera natura, seppur magica, non avrebbe cambiato niente tra noi, per quanto potessi essere restio a rivelarvela. »

Arthur si ritrovò spiazzato da quelle parole. Merlin non gli aveva mai fatto un discorso così.. terribilmente formale. Le parole erano sincere, ne era certo. Abbassò lo sguardo, in un moto di tristezza, che si trasformò subito in rabbia e sfrontatezza.

« Un mago! Merlin, tu mi hai rivelato di essere un mostro! » sbraitò, senza pensare veramente a quello che stava dicendo, pentendosi all'istante

A Merlin gli si fermò il respiro per la potenza di quelle parole, e annaspò per riprendere il fiato, facendo uscire un lamento strozzato. Era così che lo definiva, un mostro?

« Un mostro? Un mostro. »

Il suo sguardo si perse nel vuoto, e per un momento vacillò nella più completa oscurità, in una sorta di oblio mentale.

« Merlin... io non volevo dire questo. Io... lo so che tu non sei malvagio, ne tanto meno un mostro. E mi dispiace, mi dispiace per tutto quello che è successo. »

Il giovane mago si ridestò e per un paio di secondi, che per il principe sembrarono essere eterni, fissò il fuoco, occupato nella sua solita danza, quasi ipnotica.

« Non posso ritornare a Camelot, Athur. Non posso. » disse, finalmente, con voce atona.

Arthur, lentamente, cinse la sottile vita di Merlin con un braccio, e lo attirò a se.

« Farà male » sussurrarono entrambi, all'unisono. Una voce sola.

Quelle maledette parole riecheggiarono nell'aria per tutta la notte, sfiorando le menti dei due amanti, logorandole a causa della loro verità.

Arthur sapeva che il mattino seguente, quando il mago se ne sarebbe andato, il dolore sarebbe stato straziante, quasi impossibile da sopportare, ma il bisogno di averlo tra le braccia, di sapere che lui lo amava, superava ogni paura, ogni dolore, ogni sofferenza.

Merlin era con lui, e questo gli bastava. Se lo sarebbe fatto bastare comunque.

Infatti, entrambi sapevano che il momento in cui si sarebbero rivisti, era lontano, un futuro remoto, che non li avrebbe raggiunti molto presto.

Arthur avrebbe portato sul capo la corona, fiero di proteggere Camelot da Re, avrebbe rivoluzionato il suo regno, avrebbe fatto si che le persone come Merlin potessero camminare tranquillamente per le strade della sua città, senza terrore, e avrebbe permesso il suo ritorno.

Ormai, era quasi l'alba, ma il principe, ostinato e cocciuto, non voleva abbandonarsi nella braccia di Morfeo, giacché non voleva perdere nemmeno un istante, nemmeno un gesto.

« Devi riposare, Arthur. » gli sussurrò Merlin all'orecchio.

Chiuse gli occhi, e nel dormiveglia, lasciò che le parole fossero guidate dal suo cuore.

« Solo... quando te ne andrai, fa in modo che tutto questo non sia stato un sogno, Merlin» sussurrò flebile. Un sorriso si stampò sulle sue labbra, quando il moro si abbassò per baciarlo.

Un ultimo bacio, un regalo donato per rendere più dolce l'assenza.

Merlin si staccò, guardando il suo principe dormire: era lo spettacolo più bello che potesse avere l'onore di vivere, in prima persona. Chiuse gli occhi per imprimere nella mente quel meraviglioso pezzo di vita, e con gesti decisi, si sfilò il suo inseparabile fazzoletto rosso.

Lo legò vicino al fodero della spada del principe, segno del suo amore, e solenne promessa, che un giorno, sarebbe tornato, per riprendersi ciò che era suo di diritto: il suo fazzoletto, e il suo amore.

 

 

 

Ta-dààààn XDD

Eccomi qui, tremate u.ù

Alooora ò.ò

Questa storia è piuttosto.. penosa, a dire il vero, ma chissà per quale ragione ho deciso di condividerla con voi **

Su, avanti, non fate quelle facce scocciate ç_ç

Se siete arrivati fino a qui, potreste farmi la cortesia di scrivere una piccola recensione con il vostro parere, o anche per consigliarmi di darmi all'ippica o per minacciarmi di morte ò.ò

Scegliete voi *w*

Occhei occhei ora faccio la seria u.ù

 

Ho voluto scrivere questa One-shot {che in principio avevo immaginato più corta ò.ò}, per esprimere l'immenso dolore e il disperato bisogno di aver l'uno a canto all'altro che i nostri due baldi giovanotti provano u.ù

Ho sempre pensato che Merlin non sia davvero così stupido da pensare che Arthur non tenga a lui nemmeno un po', e che fosse consapevole del dolore, che una possibile separazione, avrebbe potuto scaturire u.ù

Quindi, ho cercato di mettere in pratica la mia teoria, scrivendo queste righe.

Spero vivamente che siano gradite.

Ah, ci tenevo a ringraziare tutte le persone che hanno recensito i miei due primi lavori {“Polvere di stelle”, e “Non importa che cosa sei, Merlin”}, ovvero: ginnyx, mandix95, Taila, IcePrincess__, GiulyB, elyxyz, __ichigo__85 e Cucci__4__ Lollosa.

Grazie enorme e tutte voi <3

Un grazie speciale a ginnyx, che con le sue lodi, mi ha fatto sentire un po' meno incapace di quanto io non mi senta già, e che mi ha dato la forza di continuare a scrivere su questo meraviglioso sito, culla di bravissimi scrittori, che hanno anche recensito le mie storie.

Grazie, grazie davvero.

 

lynch <3

 

 



   
 
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