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Autore: rhys89    22/03/2010    10 recensioni
«No… nemmeno io credo che per Lady Morgana questo sia un problema. Ma un giorno Camelot esigerà da quell’asino del suo principe un legittimo erede al trono… ed io non posso certo darglielo.»
«Ma… ma… tu…» Balbettò Gaius, decisamente confuso.
«Mi sono innamorato di Artù. » Terminò il giovane al suo posto. «Già… credo che in fondo non avesse tutti i torti a chiamarmi idiota.»

E' una storia strana, quella di Artù e Merlino: non c'è un principe azzurro, ma un asino reale. Nessuna principessa in pericolo da salvare, ma un servo idiota che piuttosto salva dal pericolo. C'è la magia, vero... ma è soltanto un altro ostacolo, non un aiuto.
Eppure anche questa strana favola, forse, riuscirà ad avere il suo lieto fine...
Genere: Commedia, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Gaius, Merlino, Principe Artù | Coppie: Merlino/Artù
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Prima stagione
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Angolino dell'autrice


Salve gente! ^^
Allora, premetto che sono una novellina in questo fandom (nonostante abbia letto tuuuuuutte le Artlin presenti XD), quindi chiedo venia se la storia lascia a desiderare. Sappiate che è una fic senza pretese, un puro e semplice esperimento nato da uno dei miei viaggi mentali e portato a termine per il gusto di non finire le diecimila storie iniziate, ma intraprenderne di nuove.
Spero di aver mantenuto l'IC, ma in caso non fosse così vi prego di farmelo notare: apporterò le modifiche necessarie o, al massimo, metterò l'avviso di OOC.
Per il resto ho poco da dire: la storia è ambientata in un punto imprecisato verso la metà della seconda stagione, ma e quasi totalmente scissa dagli eventi della serie - salvo leggerissimi accenni.

Disclaimer: i personaggi di questa storia (purtroppo) non mi appartengono, dunque non ne detengo i diritti. Inoltre la suddetta storia non è scritta a scopo di lucro.

E con questo mi pare sia tutto...

Buona lettura a tutti! ^_^

Una strana favola

Era un nuovo giorno a Camelot. Un nuovo, lungo, tediosissimo giorno di lavoro, e a breve Gaius sarebbe venuto a svegliarlo per mandarlo ad adempiere ai suoi doveri di valletto del principe.
Merlino non ricordava nemmeno più da quanto tempo era, ormai, che i suoi pensieri lo strappavano dal mondo dei sogni ben prima che il medico venisse a chiamarlo. E tutti vorticavano verso un’unica direzione…
«Merlino!»
Il ragazzo sorrise nel sentire quella voce bonariamente arrabbiata, chiuse rapido gli occhi e finse di essere ancora addormentato.
Perché?
Non avrebbe saputo dirlo. Forse perché quel teatrino rappresentava uno dei pochi aspetti della sua vita che il suo destino non aveva sconvolto.
Non ancora, almeno.
«Ragazzo, alzati!» Esclamò il suo tutore, entrando nella stanza a passo di marcia.
Prima o poi gli avrebbe chiesto dove trovava tutta quell’energia di primo mattino.
Quando si sentì scuotere - nemmeno troppo delicatamente, a dire il vero - una spalla, il mago decise che era il momento di “svegliarsi”. Si esibì in un mugolio infastidito, aprendo piano gli occhi e stiracchiandosi lentamente, mentre Gaius lo osservava spazientito.
Forse non era un gran bugiardo, pensò, ma come attore se la cavava decisamente bene.
«È già l’alba?» Borbottò, continuando la commedia.
«Da un pezzo.» Rispose l’altro. «E tu farai meglio a darti una mossa, o il principe ti metterà alla gogna… di nuovo!» Concluse con un sorrisetto divertito.
Merlino rabbrividì appena all’idea e si affrettò a vestirsi.

Quando scese le scale vide che sul tavolo era già pronta la sua magra colazione e Gaius lo stava aspettando per mangiare insieme, una volta tanto: di solito lui era molto più mattiniero.
Il giovane, tuttavia, era troppo stordito per fare caso a quella stranezza, così si limitò a sorridere e sedersi.
Consumarono il pasto quasi in assoluto silenzio, poi Merlino si alzò, augurò buona giornata al medico e fece per uscire dalla casa.
«Non dimentichi niente?»
Quella domanda lo fermò sulla porta d’ingresso. Si voltò verso Gaius, confuso, e vide che si era alzato. Tra le mani teneva il suo fazzoletto rosso.
Con una mossa alquanto stupida, capì dopo, si portò una mano al collo per constatare che, in effetti, era scoperto.
«Emm… grazie.» Disse leggermente imbarazzato, prendendo il pezzo di stoffa.
Si voltò di nuovo verso la porta, ma fu costretto a fermarsi di nuovo.
«Merlino, ma sei innamorato?»
Il moro si sentì gelare. Rimase per un attimo con gli occhi sbarrati e la mano tesa verso la maniglia, poi si costrinse a voltarsi.
«Perché me lo chiedi?» Domandò infine, con una finta naturalezza che non avrebbe ingannato neppure un sordo.
Menomale che si credeva un buon attore.
Gaius sorrise, convinto di aver colto nel segno.
«Sei strano ultimamente.» Gli spiegò, sistemandogli il fazzoletto attorno al collo.
«Strano?» Ripeté lui, nella voce una nota vagamente isterica.
«Già. Non hai appetito, sei perfino più distratto del solito - cosa che onestamente non avrei creduto possibile - e spesso ti vedo con lo sguardo assente, come se avessi la testa da un’altra parte. Inoltre, lasciatelo dire: le tue occhiaie sono troppo evidenti per qualcuno che riposa a dovere.» Concluse, dandogli un’affettuosa pacca sulla spalla.
Merlino rimase in silenzio. Del resto cosa poteva dire?
«Allora, ho indovinato?» Domandò ancora Gaius.
Optò per la verità. Tanto prima o poi l’avrebbe scoperto comunque…
«Purtroppo temo di sì…» Confessò quindi, con un sospiro stanco.
Vide il volto del suo tutore illuminarsi, e si sentì stringere il cuore.
«Ma è meraviglioso, ragazzo! Sono felice per te…» Esclamò, regalandogli un breve abbraccio.
«Non esserlo, davvero.» Mormorò lui, rimanendo immobile, cercando di lottare con il nodo che gli aveva stretto la gola. «Io non lo sono.» Precisò con un filo di voce.
«Non dire così, Merlino.» Lo ammonì gentilmente l’altro. «Capisco che può essere doloroso, a volte… ma ciò non toglie che il primo amore sia comunque un’esperienza sensazionale.»
Merlino scosse la testa, cacciando lontano quelle parole che, crudeli, rigiravano il coltello nella piaga. Ma questo l’altro non poteva saperlo.
«Credimi, non puoi capire.» Disse quindi, distogliendo lo sguardo da quell’uomo che considerava come un padre ormai, per puntarlo invece sul cortile esterno, appena colorato dalle luci dell’alba.
«Credi forse che non mi sia mai innamorato?» Insinuò, con lo stesso tono che gli adulti usano per far capire qualcosa di semplice a dei bambini capricciosi.
«No, è solo che è… complicato, ecco. Per questo non puoi capire.» Ripeté, avvicinandosi alla finestra ed appoggiando la testa sul vetro.
Passarono alcuni secondi di assoluto silenzio, poi «Mettimi alla prova.» chiese Gaius.
Il giovane sorrise appena, suo malgrado: erano le stesse parole che aveva detto sua madre per spingerlo a confidarle di avere dei poteri.
E d’un tratto decise: se voleva essere messo alla prova, l’avrebbe accontentato.
«Bene…» iniziò quindi, voltandosi di nuovo verso di lui. «per prima cosa ci sono le questioni di rango: da che mondo è mondo un plebeo può soltanto servire un nobile, non può essergli amico… figuriamoci altro!»
E lui lo sapeva bene: ci aveva già pensato qualcuno a rinfrescargli la memoria, in caso se lo fosse scordato…
«Poi,» continuò, scacciando il pensiero come una mosca fastidiosa «c’è quel piccolo particolare della mia magia: se pure decidesse di non denunciarmi, i suoi rapporti con Uther sono già abbastanza complicati senza avere sulle spalle il peso del mio segreto. Senza contare il fatto che l’aver tenuto nascosta la mia natura per tutto questo tempo potrebbe essere preso come mancanza di fiducia nei suoi confronti… e non saprei proprio come giustificarmi.»
Fece una pausa per riordinare le idee, fingendo di ignorare la smorfia di compassione che stava facendo capolino sul volto di Gaius. Tornò a guardare fuori dalla finestra, attento a non incrociare il suo sguardo. Poi riprese.
«E, se tutto questo non bastasse, il suo cuore appartiene già a qualcun altro…» Concluse, con un sorriso amaro che male si addiceva a quel volto in genere tanto allegro.
«Adesso credo proprio di capire, figliolo… ma tu non devi comunque…»
Ma Merlino non lo ascoltava. Aveva l’espressione concentrata, come se cercasse di ricordare un particolare importante.
«Ah, ma certo.» Mormorò infine, alzando gli occhi al cielo e dandosi mentalmente dello stupido: aveva dimenticato di elencare il problema principale.
«Inoltre, ovviamente,» spiegò quindi, interrompendo qualsiasi discorso di conforto/ammonimento stesse facendo l’altro «se anche per qualche miracolo mi ricambiasse, rimarrebbe sempre e comunque l’ultimo, insormontabile, ostacolo: sono un uomo
E con questo aveva davvero concluso, pensò.
Fu sorpreso nel vedere la confusione prendere il posto della consapevolezza, sul viso del suo tutore. Ma mai come lo fu nell’udire le sue parole.
«Non credo che Lady Morgana abbia niente a che ridire su quest’ultimo punto…»
Lo guardò sconcertato per qualche momento, riflettendosi nella sua espressione perplessa. Poi, finalmente, capì. E si lasciò andare ad una risata, tanto spontanea quanto spenta, amara.
«No…» disse poi «nemmeno io credo che per Lady Morgana questo sia un problema. Ma un giorno Camelot esigerà da quell’asino del suo principe un legittimo erede al trono… ed io non posso certo darglielo.»
«Ma… ma… tu…» Balbettò Gaius, ancora più confuso.
«Mi sono innamorato di Artù.» Terminò il giovane al suo posto. «Già… credo che in fondo non avesse tutti i torti a chiamarmi idiota.»
Cadde il silenzio nell’umile dimora del vecchio medico, interrotto soltanto dal lieve vociare delle guardie nel cortile.
«Allora, che ne dici? Ti sembra sempre meraviglioso?» Fece il ragazzo dopo un po’, con un’arroganza di cui però si pentì subito: dopotutto il suo tutore non aveva alcuna colpa.
«Scusa.» Mormorò infatti. «Non ce l’ho con te… è solo che questa situazione mi sta facendo impazzire…»
«Merlino, io… non so davvero cosa dirti.» Ammise infine, scuotendo la testa.
«Non importa, Gaius. Non c’è niente da dire.» Lo rassicurò lui.«Ma adesso è meglio che vada, prima che, il mio destino mi metta alla gogna… di nuovo.» Scherzò facendogli il verso, riuscendo a strappargli un sorriso.
Poi uscì, si chiuse la porta alle spalle e, come ogni giorno, andò a testa alta ad affrontare il suo inferno personale.
Era talmente concentrato che non vide una figura scomparire velocemente dietro l’angolo della casa da cui era appena uscito.

Quando entrò nelle stanze di Artù, dopo essere passato dalle cucine a prendergli la colazione, lo trovò sulla sedia di fronte al camino. Già vestito.
“Oh, cavolo!” Pensò.
«Dobbiamo chiarire alcune cose, noi due.» Esordì l’erede al trono, lasciandogli appena il tempo di varcare la soglia di camera.
Ma Merlino non aveva voglia di sentire prediche, non di prima mattina e soprattutto non quella mattina. Quindi, lasciato il vassoio sul tavolo, si voltò verso il suo signore, interrompendo sul nascere qualsiasi discorso avesse in mente di fare.
«Sì, lo so, sono un servitore inetto, non riesco nemmeno a svolgere i compiti più semplici ed a causa del mio ritardo siete stato persino costretto a vestirvi da solo, dunque sono un idiota.»
Snocciolò tutto d’un fiato, per poi cominciare a riordinare, almeno in parte, il caos della stanza.
D’un tratto sentì Artù, ripresosi dallo stupore, scoppiare in una breve risata divertita.
«Non hai mai detto niente di più vero.» Fece quindi, guardandolo con un sorriso ironico. «Ma non è di questo che volevo parlarti.» Aggiunse, facendosi più serio.
«E allora cos’altro dovevate chiarire, sire?» Chiese Merlino senza prestargli particolare attenzione. Almeno fino a quando non si vide togliere di mano i vestiti che stava per riporre.
«Quello che volevo… che dovevo dirti, Merlino,» riprese poi il principe, mettendogli una mano sulla spalla e cercando il suo sguardo «riguarda… altro. Perché, devi sapere, da che mondo è mondo i nobili tendono a fare ciò che vogliono, sotto la facciata della società perbenista dietro la quale sono costretti a nascondersi. E questo include qualsiasi tipo di relazione, con chiunque
“Oh. Santo. Cielo.”
Il moro rimase pietrificato a sentire quelle parole… parole che sembravano maledettamente simili ad una risposta al suo discorso di poco prima, con Gaius.
E se Artù aveva sentito tutto il discorso… allora era veramente nei guai.
Aprì la bocca, - per dire cosa non lo sapeva - ma l’altro lo zittì con un leggero movimento del capo, riprendendo a parlare.
«E poi, Merlino, io so già che sei un mago. E da molte veglie, ormai… e non solo hai ancora la testa sul collo, ma, in caso tu non l’abbia notato, io non sono una fragile damigella: so sopportare il peso di un segreto, per quanto grande esso sia. Senza contare che non sono così asino da non capire perché me l’hai tenuto nascosto.»
Fece una pausa, e nel silenzio risuonò chiaramente il sospiro di sollievo del giovane mago. Il principe gli scompigliò scherzosamente i capelli, poi continuò il suo monologo.
«Per quel che riguarda il mio amore per Ginevra, o quel che era… bhé, ormai è solo un ricordo: da tempo ho… altri pensieri, per la testa.» E qui gli sorrise. Un sorriso diverso dal solito, quasi… impacciato, se mai tale aggettivo potesse essere riferito ad un Pendragon.
«Su una cosa, però, hai ragione:» continuò, portando la mano - quella stessa mano che fino ad allora aveva tenuto sulla sua spalla - ad accarezzargli piano una guancia «un giorno il mio popolo esigerà da me un erede… ma per allora tu sarai un mago talmente potente che nessuno oserà allontanarti da me, se tu non vorrai…» Terminò in un sussurro, facendosi sempre più vicino…
E poi lo baciò. Un bacio leggero, casto, ma che lo fece rabbrividire fin dentro le ossa.
«Allora, ho chiarito i tuoi dubbi, Merlino?» Mormorò poi, allontanandosi dal suo viso quel tanto che bastava per guardarlo negli occhi.
«In effetti non sono ancora tanto sicuro…» Ribatté il mago con un sorriso, riappropriandosi delle labbra del suo principe… che non si fece certo pregare.
Gli circondò i fianchi con le braccia, ripagando con gli interessi quell’abbraccio mancato di pochi giorni prima, pensò Merlino.
Ma quando sentì Artù mordergli piano il labbro inferiore, per approfondire il bacio, scollegò il cervello.
Immerse le mani in quella cascata di fili d’oro, proprio come aveva sempre sognato, e si abbandonò a quelle sensazioni di cui, ormai lo sapeva, sarebbe sempre stato schiavo.
Quando poi si separarono il principe gli sorrise, appoggiando la fronte alla sua e stringendolo ancora di più a sé.
«Devo andare,» disse, una volta regolarizzato il respiro «ho una riunione con mio padre… e poi tu devi ancora lucidarmi l’armatura, ripiegare i vestiti, pulire le stalle e tutto il resto… non vorrei distrarti dai tuoi compiti!» Aggiunse, riprendendo il tono dispotico che usava con lui quando gli impartiva gli ordini.
«Ma come siete buono, mio signore…» Rimbeccò acido il giovane mago.
Il biondo gli sorrise ancora, catturando quelle labbra indisponenti per un ultimo bacio, prima di sciogliere l’abbraccio ed uscire dalla camera.

Si riaffacciò poco dopo, tanto che l’altro non si era ancora ripreso del tutto dalla sorpresa.
«Ah, Merlino?» Lo chiamò.
«Sì?» Chiese lui, cauto.
«In caso non fosse chiaro… ti amo anch’io.»
E uscì di nuovo, lasciandolo solo in quella grande stanza a sorridere come un idiota.
No, tutto sommato il primo amore non era poi così male.
   
 
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