Claire de lune
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pento. Volteggia stanco lo sguardo nella
stanza, e trema, vibra all'interno dell'occhio e si ferma. Un ansimo.
Impalpabile, che si scuce tra le labbra semichiuse. Vuoto. Distinguibile nel
petto che s'alza e s'abbassa con l'intensità del riverbero del respiro. Sale e
scende, sale e scende, sale e scende, sale e scende.
Il palmo aperto si stacca dal petto,
sollevandosi nell'etere immobile, a tentar di catturare il respiro stesso tra
le falangi ora. E' ciò che voglio, è ciò che voglio, è ciò che voglio.
Oro, che si fonde alla volta della
notte, unendovisi come devoto servo, in un complice e fermo contatto. Tu ed io,
innegabilmente padroni di quest'attimo.
La stanza vuota e piena allo stesso
tempo, pare distendersi oltre un punto focale ben definito ora, tracciando
linee immaginarie attraverso la reale composizione delle quattro mura,
divenendo impalpabile, raggiungendo l'esterno, per migrare altrove, dopo la
finestra, al di fuori del mondo che non si ferma.
Pieno, vuoto, dentro, fuori, oro, nero,
respiro e morte all'unisono.
Piego il collo quel tanto che basta per
scorgere il segnale intermittente della sveglia, quattro e trenta, quattro e
trenta, quattro e trenta. Non smette, follemente, d'indicare la stessa ora ai
miei occhi da più di venti secondi; ed il tempo non scorre, s'avviluppa,
s'accartoccia, si libra col respiro sino ad amalgamarsi completamente.
L'istante diviene ora, ed il tempo si ferma ancora, come l'attimo precedente, e
quello ancora prima. Quant'è lunga l'attesa?
Piego la gamba, muovo il braccio, frego
le nocche sul cuscino, trattengo il fiato, mi concentro sui suoni, mi alzo e mi
stendo. Eppure il tempo non passa.
Notte buia, quella d'ora, che si piega
su di me coi suoi riflessi inargentati, diramandoli sul petto come rami spogli
di qualche albero in gracili ombre.
Agitazione e attesa, calma e noia, caldo
e freddo, fragilità ed onnipotenza.
Specchio specchio delle mie brame, se il
mio riflesso esistesse, mi daresti risposta? Sono semplici metà di una maschera
quelle che porto disegnate sul volto mattina, giorno e sera. Riconosceresti
l'immagine giusta tra le mille che si rimescolano dinanzi a questo volto? E
dimmi ancora specchio, quando riuscirò a scorgere la mia tra mille dubbi?
Disteso, mi alzo, cammino, mi fermo,
m'adagio dinanzi alla figura che vedo. Il riflesso della mia faccia su di un
vetro lucido. Il respiro si contorce tra i polmoni, raggiunge la superficie
liscia dell'ovale e vi lascia una forma indecifrabile. Cancella l'altra metà
del mio volto.
Ora siamo solo io e te, o mio riflesso,
ad evocare i bei ricordi! Alzo il braccio, stendo il braccio, piego il braccio,
calmo il braccio dal tremore. La mia mano si posa sulla guancia oscurata
dall'alito che ancora macchia lo specchio. Quando la condensa svanisce rimango
ancora col volto a metà. Non mi piace vedermi per intero, non mi piace
osservare ciò di cui non ho la certezza. La mia anima è macchiata, così lo dev'essere anche l'immagine che vedo riflessa.
Freddo, freddo, freddo. Gelo!
Un brivido sul braccio, che mi costringe
a spostare l'attenzione verso la finestra aperta. Il chiaro di luna. Chiudo gli
occhi, riportando l'attenzione sullo specchio. Quando un'innocente filo di luce
filtra eccessivo, quando l'anima della stanza si spoglia dei suoi scuri veli,
comincio ad alzare l'altro braccio.
Battito cardiaco che s'espande, oro che
diviene nero, forze che vengon meno.
Caldo, caldo, caldo. Fuoco!
Alzo l'altro braccio, stendo l'altro
braccio, piego l'altro braccio, calmo di nuovo il braccio dal tremore. Ora è la
mano opposta a coprire l'altra metà della mia faccia, perché
ciò che di me ora vedo è l'altra parte di me.
Prima demone, ora uomo. Quand'è che di
me stesso, riuscirò dunque a scorgere il vero riflesso, specchio? Basta ancora un
chiaro di luna, per dividermi ancora e ancora a metà.
Chiudo
gli occhi,
abbasso entrambe le mani, non c'è più
alcun riflesso ora.