TORNARE A VIVERE
Un senso di nausea improvviso colse Shun, sdraiato al
buio, nella sua camera, incapace di prendere
sonno.
Aveva caldo, il suo corpo tremava insistentemente per
i conati di vomito che lo assalivano a ondate continue e che si sforzava di
reprimere; si rannicchiò, sfregando il viso stanco e sudato sul cuscino umido di
lacrime.
Una fitta al cuore gli strappò un gemito, attutito
dalla morbida consistenza della stoffa, sentiva la pelle del viso bruciare, gli occhi gonfi e
rossi di lacrime lo facevano sembrare uno spettro errante, uno di quegli yokai
che affollano il folklore tradizionale
giapponese.
Artigliò il tessuto di cotone, come a voler restare
aggrappato con tutto sé stesso alla realtà e alla coscienza, sentiva la testa
girare; percepiva il ruvido e caldo pigiama che avvolgeva il suo fisico
terribilmente magro ed emaciato, i pantaloni scivolavano via a ogni movimento,
troppo larghi per un fisico così
sciupato.
Goffamente, il ragazzo se li levò, gettandoli lontano,
la casacca quasi gli faceva da vestito, aveva perso così tanto peso in quei
giorni che si sentivano perfino le costole sotto la pelle, che pareva fatta di
carta di riso tanto sembrava fragile al tatto e alla
vista.
Un nuovo
accesso di nausea lo aggredì con violenza, lasciandolo prostrato tra le
lenzuola, socchiuse gli occhi, cercando di regolarizzare il battito convulso del
proprio cuore; quando riuscì a riprendersi, quasi gli parve di sentire il buio
alitargli addosso un vago sentore di morte e dolore, una paura mai provata sino
a quel momento si impossessò di lui, le lacrime ricominciarono a
scendere.
Avrebbe voluto urlare, ma le parole non volevano
uscire, la voce sembrava essergli stata portata
via.
Il ragazzino squittì come un topolino spaventato,
immagini spaventose invasero massicciamente il suo cervello, sangue, dolore e
distruzione; il viso sofferente e pallido, insanamente pallido, solcato da
rivoli scarlatti di sangue, di Seiya assorbì interamente la sua mente, un nuovo
doloroso affondo ad un animo già martoriato da una vita passata sui campi di
battaglia fu il colpo di grazia.
Si lasciò scivolare giù dal letto, singhiozzante, a
fatica si mise in piedi, cercando a tentoni nel buio la porta della stanza;
finalmente, le sue dita si strinsero attorno al fresco pomo di ottone, i suoi
piedi sentirono il soffice contatto con la moquette del corridoio. In preda alla
paura, scivolò lungo il muro, cercando di tenere a bada i battiti convulsi del
suo cuore.
La porta in fondo al corridoio era
aperta.
Velocemente, entrò nella stanza, rassicurandosi per il
respiro per il respiro pesante e tranquillo di Ikki, profondamente addormentato;
asciugandosi le lacrime, Shun si sforzò di non piangere né singhiozzare, per non
disturbare il meritato riposo del
fratello.
Piano, senza fare il benché minimo rumore, si sedette
sulla poltrona che, lo sapeva, stava proprio in fondo alla stanza, sotto la
finestra; un debole raggio di luna filtrava attraverso le pesanti tende di
broccato, andando a colpire il viso del fratello maggiore, la pelle abbronzata
era costellata da graffi e ferite recenti appena rimarginate, la fronte era
aggrottata, quasi come se la stanchezza dei lunghi e dolorosi giorni appena
trascorsi avessero lasciato indelebili segni su quel corpo, su quel volto che il
piccolo tanto adorava.
Con un sospiro stanco e rassegnato, facendo quasi
violenza a sé stesso, Shun diede le spalle al letto, andandosi a rannicchiare
sulla poltrona, trattenendosi dal rifugiarsi, come quando era bambino, sotto le
coperte assieme a Ikki.
Ma questa volta non lo avrebbe
fatto.
Non lo avrebbe svegliato per alcuna ragione al
mondo.
Voleva solo averlo
vicino.
Gli bastava
quello.
Cullato dal ritmico respiro del dormiente, il bruno si
lasciò avviluppare dal sonno, un sonno, però, agitato, e pieno di
incubi.
§§§
Un rumore proveniente dall’interno della casa svegliò
Ikki, i nervi tesi lo fecero scattare come una molla; tese l’orecchio, cercando
di distinguere la fonte di tale fastidio, ma la grande proprietà sembrava
assolutamente silenziosa.
“Maledizione…” imprecò, sfregandosi gli occhi, le dita
si strinsero attorno a un lembo di lenzuolo, così forte che si sarebbe anche
potuto strappare; a poco a poco, si calmò, socchiuse gli occhi, concentrandosi
sul silenzio.
Un silenzio che però non era
tale.
Il ragazzo aprì sorpreso gli occhi ancora gonfi di
sonno; sulla poltrona c’era qualcuno, ne percepiva il respiro a
singhiozzo.
Il suo corpo si irrigidì, pronto ad attaccare, ma
riconobbe con stupore una fragranza di albicocca aleggiare nell’aria; si mise
subito in piedi, barcollando leggermente, e si diresse a larghi passi verso il
morbido elemento d’arredo.
Gli si strinse il
cuore.
Il corpicino emaciato e macilento del fratellino gli
faceva sempre questo effetto, in cuor suo soffriva ogni volta che lo vedeva così
debole e fragile, stava male quando il bruno non riusciva quasi a mangiare
nulla; il suo piccolo si stava spegnendo, e lui non avrebbe potuto fare nulla,
anche se, per lui, avrebbe fatto qualunque
cosa.
Si stava spegnendo, lentamente, proprio come
Seiya.
Ikki cercò di scacciare via quei pensieri,
inginocchiandosi al suo fianco, gli sfiorò la fronte calda con le labbra,
poggiando un delicato bacio sulla pelle insanamente pallida di Shun; poi, lo
prese tra le braccia e lo depose tra le calde coperte del letto, la testolina
poggiata sul morbidissimo cuscino: “combatti, piccolo…” gli sussurrò,
infilandosi sotto le coltri a sua volta, allacciò le proprie braccia attorno
alla vita sottile del brunetto e lo strinse a
sé.
Poi coprì entrambi con la pesante trapunta, nel
tentativo di scaldarlo, tremava e sussultava nel suo abbraccio quello scricciolo
di uomo, se per paura o freddo non lo sapeva, ma di una cosa era
certo.
Non lo avrebbe lasciato
solo.
§§§
“SEIYA!!”
Il grido di dolore senza speranza del più piccolo
giunse inaspettato e improvviso per la Fenice, che si rizzò a sedere, evitando
per un soffio un calcio da parte di Shun, il bruno si divincolava dalla stretta
del fratello, gridando e piangendo, tossendo e singhiozzando, tremando
terrorizzato; il moro si gettò su di lui, cercando di frenarlo senza fargli
eccessivamente male: “Piccolo, svegliati! Sono io! È stato solo un incubo,
tranquillo…” disse, scuotendolo leggermente, una mano si allungò a sfiorare quei
ciuffi disordinati e spenti, mentre l’altra andava ad accendere la luce sul
comodino.
Andromeda spalancò gli occhi, riconobbe all’istante il
fratello, chino su di lui: “Niisan… Ma…” bofonchiò, cercando di alzarsi, ma Ikki
lo trattenne, scuotendo il capo, “Resta giù… non muoverti.” lo rimbeccò,
mettendogli un cuscino sotto la testa; la pelle diafana era impregnata di
sudore, ardeva di febbre.
Il ragazzo si sporse verso il mobiletto, c’era ancora
dell’acqua nel bicchiere; intinse un pezzo del proprio pigiama nel liquido e
cominciò a rinfrescare il volto del piccolo, umettandogli con cura anche e
labbra e le tempie; dopo qualche minuto, gli permise di mettersi seduto, lo
sorresse, facendolo poggiare con la schiena contro la testata del
letto.
“Niisan… Io..” cercò di giustificarsi il ragazzino
quando un forte accesso di tosse gli mozzò il respiro, il suo corpo si mosse,
quasi senza controllo; Ikki si gettò nuovamente su di lui, bloccandolo con tutta
la forza che poteva, ma quel piccolo era
forte.
Quando finalmente anche quell’assalto si concluse,
Andromeda fissò Fenice con uno sguardo estremamente triste e colpevole, le
lacrime venivano a stento trattenute da quegli occhi così belli e velati di
dolore; non lo sopportava più. Senza preavviso, Ikki lo abbracciò forte, quasi
spariva nella sua stretta affettuosa, gli accarezzò la schiena, cercando di
rilassarlo: “Shh… cerca di dormire… non pensare… anzi no… dimmi cosa pensi…” gli sussurrò all’orecchio,
“lo affronteremo assieme… non lascerò che ti faccia del
male.”.
E tra le
lacrime di un piccolo pulcino implume, si aprì uno scrigno di dolore oscuro, di
paure e incubi, di sangue e distruzione, di desideri e profonde ferite del
cuore; nel delirio, Shun cercava Seiya, piangeva e lo vedeva soffrire, lo vedeva
morire sotto ai suoi occhi.
Il rimorso, la convinzione di essere stato in parte la
causa di tale situazione lo stava
logorando.
Hades era
lui, Hades sapeva che così facendo, avrebbe comunque avuto la propria
vendetta.
Shun pregava Athena di salvare il Pegaso, pregava Zeus
di prendere anche la propria vita per salvare il proprio fratellino,
singhiozzava, e a ogni singhiozzo, Ikki sentiva il proprio cuore creparsi sempre
di più.
“Bravo piccolo.. Sfogati… Passa a me tutto il tuo
dolore…” gli sussurrò, accarezzandogli i capelli sudati, “Ci penso io a
sopportarlo per entrambi… dormi…” lo cullò; lentamente, il ragazzino si lasciò
avvolgere dall’abbraccio caldo del sonno, si abbandonò dolcemente contro il
corpo del maggiore, il respiro si fece sottile e
regolare.
Il fisico prostrato del fanciullo, finalmente
addormentato, venne deposto con cura sul materasso, ricoperto dalle lenzuola
stropicciate e dalla trapunta calda;
non appena il maggiore si distese accanto a lui, Shun gli si rannicchiò
contro, cercando tepore, affetto e sicurezza: “buona notte,
piccolo.”.
§§§
Il mattino giunse
velocemente.
I due ragazzi facevano colazione nel salottino quando
Tatsumi entrò nella stanza, consegnando loro un cordless: “Saori-sama vuole
parlarvi” disse piatto, abbandonandolo sul
tavolino.
Svelto, Ikki lo afferrò: “Athena!” esclamò, Shun
sgranò gli occhi, tenendo sollevata la tazza di thè fumante, tremava e invano il
fratello lo accarezzava nel tentativo di
tranquillizzarlo.
Dall’altro capo del telefono, la fanciulla non
rispose, si udivano solo singhiozzi bassi e dolorosi; le nocche di Phoenix
sbiancarono, le dita si chiusero come una morsa d’acciaio mentre gli occhi
smeraldini di Andromeda si riempivano di lucciconi: “Athena, cosa succede?”
ripetè il ragazzo, non lasciando il contatto con il braccio del fratellino,
lottando contro il desiderio di piangere a sua volta, con le lacrime che
affioravano, pungendogli gli occhi.
Udì un borbottio agitato e un fruscio, poi la voce di
Hyoga sostituì quella della Dea, anche lui, lo sentiva, stava lottando per non
piangere: “Ikki…” sussurrò con voce rotta, “Cosa è successo?” domandò di nuovo,
seccato e impaurito, Shun sussultò, cercando di prendere il telefono, ma era
troppo alto per lui.
“Seiya… Seiya…” balbettò il Cigno, Phoenix sentì il
proprio cuore perdere un battito, la gola secca, i polmoni svuotati di
aria.
Per un attimo, si ritrovò a
pregare.
E poi, le parole più belle del mondo, parole che
riportarono il soffio vitale nel suo
corpo.
“Seiya s’è svegliato.” nella voce di Hyoga c’era
genuina gioia, “Ce l’ha fatta ancora una volta…” disse tra i singhiozzi il
russo, “non se n’è andato… è ancora qui…”; la Fenice restò in silenzio per
lunghissimi minuti, incapace di proferire verbo, sentiva il cuore esplodergli
nel petto per la felicità della notizia, le lacrime, ormai non tentava nemmeno
più di bloccarle.
Distrattamente, salutò il russo e chiuse la
comunicazione.
“è vivo, vero?” mormorò Shun, mordendosi le labbra,
nei suoi occhi leggeva una speranza a cui si stava aggrappando coi denti e con
le unghie, “è vivo… vero, niisan?” ripeté testardamente, “non è…” ma la frase
gli si mozzò in gola, non riusciva più a
proseguire.
Il moro sfiorò con due dita quel viso di bimbo, poi
annuì, sorridendo appena: “Si è
svegliato…”.
Seiya stava
bene.
Era vivo, si convinse Ikki, non era un
sogno.
Le mani piccine del fratello si poggiarono
delicatamente sulle sue spalle, sorridendo appena tra i lucciconi: “Andiamo da
lui, ti prego niisan, andiamo.”.
§§§
“Ehi… cos’è quella faccia? Non sono mica
morto..”
La voce arrochita e affaticata del Pegaso accolse i
due fratelli mancanti al loro arrivo in ospedale, un sorriso appena abbozzato li
ripagò di tutte le sofferenze provate.
Shun non salutò quasi nessuno, si gettò semplicemente
sul lettino: “Se osi… Se solo osi lasciarci…” singhiozzò, nascondendo il viso
sulla spalla del piccolo di casa, “Ho imparato la lezione…” ammise Seiya,
socchiudendo gli occhi, cercando il contatto con la mano del fratello,
“Scusami…” disse dispiaciuto, cercando di resistere al
sonno.
Una mano andò a sfiorare la fronte ancora calda del
brunetto disteso sul lettino: “Ora pensa a riposare e a riprenderti…” disse
Shiryu, “noi restiamo qui, non ce ne andiamo…” sussurrò serio, accarezzando il
dorso della mano del minore, come a volerlo rassicurare; Seiya annuì
impercettibilmente, abbandonandosi alla
stanchezza.
Tutto gli sembrava nebuloso in quel momento ma, ne era
certo, sarebbe stato tutto molto più chiaro al
risveglio.
Finalmente era tornato a
vivere.
E con lui, anche i suoi
fratelli.
Niente più incubi, solo bei sogni.