Giudizio
dell’autore: Essendo un Anti-UsUk convinto e un FrUk
altrettanto convinto, questa fan fiction potrebbe non piacere a
qualcuno. Non
c’è bashing, e c’è sentimento, ma in maniera moooolto limitata dal
punto di
vista fisico. Ho tentato comunque di essere il più fedele possibile al
carattere e al rapporto dei due, quindi spero vi piaccia ugualmente.
Un bacio a chi legge e due a chi
commenta.
E seguitava a cadere, la pioggia.
Quella maledetta, maledetta
pioggia.
La differenza era che dalla
pioggia potevano trovare riparo.
Ma dal dolore che si sarebbe
abbattuto sui loro cuori, no.
“Nnngh… chiudi il becco.”
“Sono solo preoccupato per le
sorti della nostra guerra.”
“La vostra guerra, eh? Ti sei mai
chiesto perché io sono il comandante e tu una semplice recluta?” Con un
gesto
veloce, Alfred aveva scaraventato giù dalla scrivania il portapenne, il
bloc
notes, la boccetta d’inchiostro, il calamaio e qualsiasi cosa avesse
trovato
sul suo cammino.
“N-non riesco a pensarlo,
Alfred.”
“… Perché questa disperata e
straziante guerra, sta pesando unicamente sulle mie spalle.”
Alfred non era mai stato bravo a
mentire. Forse non ci aveva mai nemmeno provato. Di certo non era come
Arthur,
che nascondeva ogni sentimento dietro una scorza dura e impenetrabile.
Soffriva, soffriva terribilmente
per la decisione che aveva preso. Ma fra amore e libertà, aveva deciso
di camminare
verso la seconda.
Se ci si ferma un attimo a
riflettere, si può intuire facilmente come le due cose siano
inconciliabili.
Quando si ama, lo si fa unicamente verso una persona. Un patto non
scritto, o
ufficialmente riconosciuto col matrimonio, che ipostatizza la relazione
amorosa, negandone qualsiasi altra.
Si ama per libertà di scelta, e la libertà di scelta nega
la libertà.
Alfred si era spaccato la testa
più e più volte, arrovellando il suo cervello in questi discorsi
tortuosi.
Voleva creare il Paese della libertà,
e se ciò avrebbe comportato rinunciare al saldo legame che lo legava al
britannico, allora vi avrebbe rinunciato. Avrebbe messo da parte la sua
libertà
in nome di una maggiore.
Il fatidico giorno avevano
schierato le proprie truppe in maniera semplice, mettendo da parte ogni
pensiero strategico. Tra i due non poteva esserci altro che uno scontro
diretto. Sarebbe stata una carneficina? Chi si sarebbe fatto più male,
loro due
o il resto dei loro eserciti?
“Alfred, non vuoi proprio
ripensarci? Guarda che l’esercito alle mie spalle è più numeroso del
tuo.” Il
britannico, a cavallo, si era posto davanti alle sue truppe, giusto
prima
dell’inizio della battaglia, in un ultimo disperato tentativo di
negoziazione,
nonostante sapesse che ormai la popolazione americana si trovasse al
limite
della sopportazione.
Forse c’è una sola cosa peggiore
dell’odio, a questo mondo: ricorrere
alla violenza per ferire qualcuno che ami. E adesso, quei due, uno
di
fronte all’altro, avrebbero trovato la forza per farlo?
“Non sarà motivato quanto il
mio.”
“La tua forza fisica e d’animo è
rimasta quella di un tempo.”
“E nemmeno le tue sopracciglia
sono cambiate di un pelo, oniichan.”
“… Nnngh. Quel nome. Con che
coraggio trovi ancora il nome di usarlo?”
“Perché, dopotutto, è quello che
sei stato per me.”
“Già. Quello che sono stato. E
che tu hai voluto gettare nel fango.” Rispose in tono acido Arthur,
girando
bruscamente il suo cavallo e facendo ritorno alle truppe che erano
rimaste
immobili dietro di lui.
“Non risparmiate nessuno. Non si
faranno prigionieri. E lasciate Alfred a me. E’ un ordine. Si
renderanno conto
che chiunque deve inginocchiarsi, di
fronte alla supremazia britannica.”
Alfred calò la testa, nel vedere
il comportamento di Arthur. E così… era cominciato. Quello scontro
fratricida,
quell’infido scherzo del destino era cominciato. Ormai era impossibile
tornare
indietro. L’americano rabbrividì al sentire la tromba britannica che
dava
inizio allo scontro fra le due fazioni, e mentre stringeva saldamente i
pugni
sotto il cielo che iniziava a buttar via le prime gocce d’acqua, lo
scontro era
già cominciato.
I membri del suo plotone
inneggiarono alla libertà, mentre si scagliavano contro il plotone
britannico.
Non servì molto tempo prima che il primo morto cadesse esanime sul
terreno che
incominciava ad infangarsi.
Alfred che non era ancora l’eroe
che più tardi sarebbe stato riconosciuto: indugiava, osservando come i
valorosi
membri del suo esercito si fossero immersi in quel conflitto a fuoco
senza
alcun timore.
Valeva davvero la pena sopportare
tutto questo in nome della libertà?
Sangue, sudore, fango, dolore:
valeva tutto questo?
Un rumore di zoccoli alle spalle
dall’americano lo scosse dai suoi pensieri. Doveva trattarsi di Arthur.
Aveva
probabilmente fatto il giro largo, passando da qualche posto poco in
vista, per
non finire preda dei fucili della resistenza americana.
Alfred trattene il fiato mentre,
fucile sotto l’ascella, torse il corpo di colpo, puntandolo verso
chiunque
fosse alle sue spalle.
“Fermo o sparo.”
“Posa quell’arma barbara. Pare
che tu ti sia dimenticato le buone maniere che ti avevo insegnato.”
“Ti ho detto di stare fermo.”
“E io ti ho detto di posare
quell’arma. Ne ho una migliore per te. Un’arma da gentleman.”
Neanche aveva finito di parlare,
e Arthur aveva già estratto, da una sacca che teneva allacciata alla
sella, uno
stocco di pregiatissima fattura, così lucido e splendente che esporlo
alla
sporca pioggia che stava scendendo sembrava un’azione ignobile.
“Vorresti… vorresti sfidarmi in
un duello? Il mio posto non è qui. Il mio posto è con gli altri membri
del mio
esercito, a lottare per la libertà.”
“Stronzate. Il tuo posto è ancora
accanto a me, come lo è sempre stato. Se proprio dobbiamo farla finita,
beh…
voglio che sia tu a farlo.”
“Arthur!”
“Muoviti e prendila. Non abbiamo
molto tempo. Con quei dannati fucili, gli scontri sono destinati a
durare poco.
Noi ci divertiremo a modo nostro, come ti ho insegnato io, ti va?”
“Arthur… ma lo sai bene che,
nella scherma, io…”
“Non dirlo!”
“Ti supero di gran lunga.”
“Damn it all. Eppure te l’avevo
detto, di non dirlo.”
Arthur usò il suo stocco per
disarmare con grinta l’ingenuo Alfred, provocando una profonda rigatura
sul
fucile dell’americano, finito nel fango. Mentre con un balzo scendeva
dal
cavallo nero che lo aveva accompagnato in quella fatidica decisione,
con un
gesto altrettanto veloce si liberò del mantello, assicurandosi una
piena
mobilità per lo scontro imminente. Quindi, ormai pronto, lanciò l’altro
stocco
ai piedi dell’americano, che lo raccolse con qualche punta di
indecisione ben
visibile nei suoi occhi.
“Facciamolo.” Mormorò, mentre
giusto due lacrime che gli sbucate fuori si confondevano con le prime
gocce
d’acqua che rigavano il suo volto.
“Non sono sicuro di…!” Colto alla
sprovvista, l’americano non aveva potuto finire la frase. Impegnato
nello
schivare un velocissimo affondo del britannico, le parole gli erano
morte in
bocca.
“Allora fai sul serio?!”
“Non posso fare sul serio. Per
quanto male possa riuscire a farti, non equivarrebbe mai al dolore che
mi hai
provocato tu.”
“Arthur, cerca di ragiona…!”
Un altro velocissimo affondo, che
Alfred aveva parato muovendo impulsivamente lo stocco verso l’alto,
dimostrando
la sua netta superiorità nei confronti del britannico.
“Ragionare! Dimmi tu che cosa c’è
di ragionevole nel voltare le spalle a chi si è preso cura di te per
giorni,
mesi, anni, con tutte le attenzioni che potesse riversare nei tuoi
confronti.”
“Io penso che potrei ripagare in
qualche mo…”
“RIPAGARE COSA!” In uno scatto
d’ira Arthur aveva gettato il suo stocco ai piedi dell’americano,
perdendo ogni
minima voglia di lottare. Il suo corpo venne pervaso da singhiozzi,
mentre
ormai, perso ogni controllo, iniziava anche a lacrimare.
“Non mi sono solo preso cura di
te. Io… ti ho anche amato.”
Umiliato dall’evolversi del
duello, e imbarazzato dalle sue stesse parole, Arthur non poté far
altro che
calare la testa, aspettando una reazione dell’americano. Si arrese al
fatto di
poter solo piangere, conscio, da quello che aveva osservato poco prima,
che
persino il suo esercito aveva iniziato a ritirarsi, vedendosi mancare
il suo
leader ad indirizzarli.
“…”
“Non c’è rimedio ad un cuore
spezzato. Questo almeno lo riesci a capire?”
“Guarda che… la mia decisione non
è stata per niente semplice.” Mormorò l’americano con un filo di voce,
straziato dall’immagine del britannico in quelle condizioni, e logorato
dai
sensi di colpa.
“Ma tu l’hai resa tale.” Il
britannico era ormai ai limiti della sopportazione. Quando anche la
forza di
volontà lo abbandonò, anche il suo corpo cedette. In meno di un attimo
si
ritrovò in ginocchio di fronte all’americano.
“Se la tua vittoria equivale a
separarmi da te, allora uccidimi. Prendi il fucile e sparami. Se hai
deciso di
rinunciare all’amore, fa’ godere anche me di questo diritto. Liberami
da questo
amore.”
“Non farò mai una cosa del
genere.”
“Sei o non sei in debito con me?
Ho passato parte della mia vita a darti ciò di cui avevi bisogno.
ADESSO DAI A
ME CIO’ DI CUI HO BISOGNO!” L’invocazione uscì potente dalla sua gola,
consumando tutte le corde vocali. Che fosse disperazione, o un ultimo
tentativo
di riacquistare la sua autorità di educatore, ciò che conta è che lo
straziò
dentro, rendendolo ormai totalmente inoffensivo.
Gli occhi di Alfred si svuotarono
in un solo colpo, scosso nel profondo dalla disperazione di
quell’invocazione.
Con gesto meccanico prese il fucile, posizionandolo sotto l’ascella,
guardando
ancora con occhi spenti quell’immagine pietosa di Arthur che al pari di
un
verme, poggiava con le ginocchia sul terreno fangoso, ormai
completamente
inzuppato e privo di energie.
Dei passi veloci risuonarono alle
sue spalle: si voltò e scorse alcuni membri dell’esercito americano
correre
sotto la pioggia, segnati in volto dalla durezza dello scontro a cui
erano
stati sottoposti.
“Alfred! Alfred! Ce l’abbiamo
fatta…”
Alfred inarcò le labbra giusto il
minimo necessario per abbozzare un falso sorriso, mentre quei pochi
soldati lo
raggiungevano.
“Allora, anche tu hai vinto la
tua battaglia a quanto pare? Cosa stai aspettando? Fai fuori questo
demonio!”
“Ricordati la condotta da tiranno
che ha adottato nei nostri confronti.”
“Elimina il suo brutto ricordo,
in favore della libertà ormai conquistata!”
Preso tra le voci dei suoi
compagni, e l’invocazione precedente di Arthur, Alfred si sentiva in
una morsa.
Incapace di pensare a mente lucida, decise di far viaggiare il suo
cervello
verso ricordi ormai lontani nel tempo.
Fu come ritrovarsi nei panni del
suo corpicino da bambino. Arthur lo sovrastava, con la sua altezza, ma
distruggeva
ogni barriera di cinismo, di fronte al piccolo americano. L’aveva preso
in
braccio, gli aveva comprato vestiti, giocattoli, si era messo in
imbarazzo pur
di far comparire magicamente un sorriso sul volto del piccolo…
Era sempre stato più grande di
lui.
Eppure adesso, a vederlo così,
nessuno l’avrebbe mai detto.
Alfred abbassò lentamente il
fucile, continuando a tenere lo sguardo fisso sul suo avversario, senza
muovere
un ciglio.
“Sembravi… Sembravi così grande.” Mormorò con un filo
di voce,
mentre il fucile gli cadeva dalle mani, troppo impegnato a cercar di
frenare le
lacrime che con forza imploravano di uscir fuori dai suoi occhi.
Arthur non fece parola. Solo il
battere della pioggia incessante dominava la scena.
Sì, dalla pioggia avrebbero
potuto trovar riparo.
Ma dal dolore che si era ormai
incancellabilmente scritto nei loro cuori, no.
“Lasciatemi da solo con lui. Devo
definire le condizioni della sua resa. Dite agli altri abitanti che da
oggi
saranno dei cittadini liberi, e offrite a tutti i cadaveri una degna
sepoltura.”
Senza fiatare, in segno di
rispetto verso l’avversario ormai sconfitto, i membri dell’esercito si
misero
sull’attenti, muovendosi poco dopo, attraverso una rocambolesca corsa,
verso il
villaggio più vicino, per riferire le parole di Alfred.
“Allora? Cosa hai intenzione di
fare?” Mormorò un Arthur che stringeva tra le mani la fanghiglia sulla
quale
era poggiato.
“… Quello che avrei dovuto fare
prima di questo scontro deleterio.”
Alfred si sbarazzò del fucile,
avvicinandosi cautamente al suo avversario. Quando gli fu accanto,
ginocchioni
sulla fanghiglia, avvicinò le sue labbra all’orecchio britannico,
riferendogli
finalmente le parole che aveva per lungo tempo taciuto.
“Ovvero dirti quanto ti amo.”
“Ngh.”
Arthur sussultò, dandosi una
spinta all’indietro, come a scostare l’americano, finendo col sedere a
terra. I
loro sguardi per un attimo si incrociarono, e avendo il volto ancora
segnato
dalle lacrime, si riparò con un braccio, impedendo all’americano di
osservare
il penoso spettacolo.
Alfred senza scomporsi
minimamente, strisciò con le ginocchia su quel marciume, per scostare
quel
braccio parato a mo’ di scudo. La resistenza fu minima, e con quel
gesto di
guadagnò la vista del britannico, dal volto ancora arrossato e dagli
occhi
lucidi.
“Fuck. Non osare avvicinarti più
di tanto.”
“Arthur…”
Le mani dell’americano si
insinuarono dietro le orecchie dell’inglese, attirandolo a sé in
maniera
irresistibile. L’americano appoggiò le sue labbra su quelle di Arthur,
trasformando quel contatto in un sensuale quanto caldo bacio tra i due.
Era la prima volta che il loro
rapporto si spingeva così lontano. Forse era un bacio di addio, o forse
solo il
sentimento che Alfred non aveva mai voluto esprimere in quel momento.
Forse era
solo il triste coronamento dell’amore sull’odio che si era perpetrata
in quello
scontro, o forse era solo un gesto avventato che l’americano aveva
compiuto
spinto dalle parole udite e dalla compassione che aveva suscitato in
Alfred
l’inglese.
O, era semplicemente amore fra i due.
Dopo aver strappato quel piccolo
assaggio, Alfred distaccò le sue labbra, osservando il britannico in
maniera
imbarazzata.
“Questo… questo amore… ha lo stesso sapore della libertà.”
“Se è questa la libertà che vuoi…
sei libero di prendertela.” Replicò mogiamente e desiderosamente
l’inglese.
E si baciarono nuovamente.
…