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Autore: beat    22/04/2010    4 recensioni
“Tanto prima o poi sarebbe comunque morta anche quella cavalletta.”
“Ma l'hanno smembrata...” quel particolare sembrava stare molto a cuore a Kiba.
Shino sospirò, un rumore appena appena udibile. Lui non si spazientiva mai.
“Il fatto che sia stata fatta a pezzi e mangiata è solo un bene.”
“Eh?!”
“È diventata fonte di vita per quelle formiche.”
Kiba si voltò a fissarlo.
In effetti non aveva tutti i torti.
Era il cerchio della vita.
Anche se un po' più macabro e con più squartamenti di come glielo avevano spiegato fino a quel momento.

[Fiction partecipante al purtroppo annullato "ShinoKiba first contest" di Rota]
Genere: Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Kiba Inuzuka, Shino Aburame
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Disclaimer: i personaggi non mi appartengono e questa storia non è stata scritta a scopo di lucro.

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Autore: beat
Titolo: Bruchi e farfalle
Genere: Malinconico, Sentimentale (con un pizzico di Drammatico e di Introspettivo)
Rating: Giallo
Personaggi: Kiba Inuzuka, Shino Aburame
Personaggi/Pairing secondari: Akamaru, Hinata (Hinata/Neji), OC del clan Inuzuka.
Avvertimenti: One-shot, Yaoi 
Riassunto (facoltativo):
“Tanto prima o poi sarebbe comunque morta anche quella cavalletta.”
“Ma l'hanno smembrata...” quel particolare sembrava stare molto a cuore a Kiba.
Shino sospirò, un rumore appena appena udibile. Lui non si spazientiva mai.
“Il fatto che sia stata fatta a pezzi e mangiata è solo un bene.”
“Eh?!”
“È diventata fonte di vita per quelle formiche.”
Kiba si voltò a fissarlo.
In effetti non aveva tutti i torti.
Era il cerchio della vita.
Anche se un po' più macabro e con più squartamenti di come glielo avevano spiegato fino a quel momento.
Commento (facoltativo):
- Con Shino mi trovo bene, è un bel personaggio da gestire. Kiba non l'avevo mai usato, e scrivere la storia dal suo punto di vista è stato molto difficile. Senza contare poi l'argomento della storia, che mi ha fatto prendere malissimo. é0è
Lamentazioni mie a parte:
- Penso si capisca, ma lo specifico che è sempre meglio. I blocchi di testo in corsivo sono scene random del passato.
- La storia in sé è ambientata circa una dozzina di anni post-Shippuden.


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Bruchi e farfalle


“Papà~~~à”
“Sì?”
“Papà! Raccontami una storia!”
“Tesoro, è tardi, è ora di fare la nanna!”
“No! La storia! La storia della buonanotte! Dai!”
Kiba sospirò.
Da dietro le coperte rimboccate fino al naso, sua figlia lo stava fissando dritto negli occhi: cinque anni appena compiuti, corta chioma ribelle, ginocchia e gomiti sempre ricoperti da cerotti. Una piccola Inuzuka con tanto di pedigree.
“Una storia veloce” provò a contrattare la bambina, vedendo suo padre tentennare invece di cominciare a declamare con entusiasmo di ninja cattivi, demoni a forma di tasso, o edificanti storie di amicizia tra uomini e animali.
“La storia della giraffa che mangia lenta!”
Kiba sospirò: in effetti quella storia era abbastanza corta. Forse riusciva a cavarsela con poco. Anche se con quel diavoletto non si poteva mai sapere: se la storia non era raccontata con estrema precisione – ci voleva la giusta intonazione e le voci dei personaggi andavano impostate correttamente – se ogni dettaglio non era a posto si rischiava di passare il resto della serata a discutere sul fatto che, nella versione della sera prima, nella fiaba c'era una “e” che adesso era misteriosamente sparita.
Kiba si sedette sul bordo del letto della figlia e cominciò a raccontare la storia della giraffa. Fortunatamente per lui, la piccola aveva passato tutto il giorno a giocare e ora le si stavano chiudendo molto velocemente gli occhi. Da bravo genitore, continuò a raccontare la storia finché non fu sicuro che la figlia si fosse addormentata. Le schioccò poi un leggero bacio sul cerotto che aveva in diagonale sulla fronte e, a passi felpati, uscì socchiudendo la porta della stanza.
“Si è addormentata?”
“Sì, oggi è stato facile.”
“Sicuro di non poter partire domani mattina? Le mancherai.”
Kiba annuì.
Aprì l'armadio a muro e ne tirò fuori lo zaino, già pronto per la missione.
“Mi dispiace, ma devo partire questa notte, o non arriverò in tempo.”
“Peccato...”
“Tornerò in un paio di giorni al massimo. Tranquilla.”
“Ma certo, Kiba.”
Gli sorrise, la giovane donna, un sorriso caldo e sincero, anche se non riuscì a nascondere del tutto la preoccupazione, come ogni volta che doveva salutare il marito in partenza per una missione.
Si limitò ad abbracciarlo, alzandosi poi sulle punte dei piedi per poterlo baciare.
Kiba ricambiò, carezzandole i capelli.
“Stai attento” sussurrò sottovoce la giovane donna.
Un bacio sulla fronte, come alla sua piccola bambina nella stanza a fianco, per poi svanire oltre la finestra aperta nella notte di primavera.



“Kiba! Insomma! I tuoi amici sono tutti sposati! Non puoi rimanere scapolo a vita!”
“Nonno, come faccio a sposarmi se tutte le ragazze che conosco sono già accasate?!”
“Ah-ha! Ma lo sai che il tuo vecchio nonno ha la soluzione per tutto, no?!”
Kiba temeva suo nonno. Il capoclan Inuzuka era uno di quegli energici vecchietti che nemmeno la sedia a rotelle impediva loro di fare a gara di corsa con i nipotini. Uno di quegli amabili vecchietti che, indefessi, si informano della salute sessuale dei loro discendenti. Con sommo imbarazzo di detti discendenti.
“Ho io la ragazza giusta per te, nipote mio!”
“Nonno...”
“No, no! Ti assicuro, è una ragazza molto gentile. E poi è davvero un bel bocconcino, non so se mi spiego, eheh!”
“Nonno!”
“E che ho detto adesso? In ogni caso, forse la conosci: è la figlia del cugino del cognato di tua madre.”
“Una Inuzuka anche lei?”
“Ma certo che è Inuzuka! Che domande sono?”
“Hai ragione... Scusa nonno!”



Il latrato di Akamaru risuonò secco nella notte silente.
Kiba accarezzò la testa del suo amato cucciolo, coccolandolo un po'.
“Questa sera vado da solo.”
Un uggiolio di protesta.
“Sto via poco, non preoccuparti. Fa' il bravo e fai la guardia alla casa, mi raccomando.”
Akamaru strofinò il muso contro la mano del padrone. Poi si alzò sulle zampe posteriori e gli leccò la faccia. Kiba rise, abbracciandolo con forza.
“Anche io ti voglio bene! Ci vediamo tra un paio di giorni!”
Il grosso cane bianco scodinzolò. Si fece fare ancora un paio di coccole, per poi dare un ultimo buffetto al braccio di Kiba, prima che questi saltasse sul tetto della casa dirimpetto.
Akamaru restò a guardare il suo padrone, che correva sui tetti di Konoha, l'eco dei suoi passi veloci che si perdeva in lontananza.



“Kiba-kun?”
“Hinata? Che ci fai in giro? Non dovresti essere a letto?”
La ragazza arrossì appena, borbottando una scusa inintelligibile.
“Ti accompagno a casa.”
“No... Non ce n'è bisogno. Ma grazie. Volevo solo parlarti un attimo.”
“Va bene, ma prima siediti.”
Kiba la condusse alla prima panchina in vista.
Hinata vi si sedette, con non poca fatica visto il pancione che ormai aveva.
“Scommetto che Neji è agitatissimo.”
“Cosa?”
“Ah, ne sono sicuro: sotto quella maschera impassibile mi sa che è un apprensivo della peggior specie! Sono quasi stupito che non sia già qui a rincorrerti per farti tornare a letto.”
“Kiba-kun...”
Kiba si zittì. Sapeva perché Hinata si era arrischiata ad uscire per andare a cercarlo, nonostante mancassero pochissime settimane al parto.
Era sempre così: dolce e tenera Hinata, sempre a preoccuparsi per gli altri. Per lui.
“Kiba-kun... Andrai anche domani?”
Sì.
Questo avrebbe risposto, se la voce non gli si fosse improvvisamente bloccata in gola.
“Perché non lasci perdere?”
“Perché sento che devo farlo.”
Istinto.
L'avevano sempre preso in giro per quella sua parte così spiccatamente ferina.
Ma per Kiba l'istinto era la parte fondante del suo essere. Non poteva ignorarlo, sarebbe stato come per il cuore ignorare l'ordine del cervello di continuare a pompare sangue.
Hinata lo sapeva, lo sapeva meglio di chiunque altro. Erano cresciuti assieme e sapeva bene quanto Kiba che la cosa non poteva essere lasciata perdere.
Per cui non poté fare altro che annuire, stringerli una mano con affetto e sorridergli.
“Salutalo anche da parte mia.”



La notte era fresca.
L'estate si avvicinava, ma con calma, senza apparente fretta.
Quelle notti primaverili erano ancora straordinariamente tranquille.
Kiba corse veloce, nessun ostacolo a sbarrargli il passo. Saltò da un ramo ad un altro, di albero in albero, i tronchi di antica data della foresta di Konoha come unica compagnia in quella notte scura.
La luna brillava alta nel cielo, ma le folte chiome non lasciavano quasi filtrare la sua luce.
Kiba continuò a correre, saltare e arrampicarsi. Procedeva sicuro, la sicurezza di chi conosce da sempre ogni singolo albero di quell'immensa foresta.
Nelle orecchie aveva solo il rumore dei suoi passi, secchi e cadenzati, e il frusciare delle foglie mosse dalla brezza notturna.
Lasciò la sua mente libera. Cercò di non pensare a nulla.
Permise solo agli odori della foresta di entrare nella sua mente, altrimenti svuotata di ogni altro pensiero. Sentì il profumo delle foglie, l'aroma penetrante della notte che abbracciava tutto ciò che lo circondava. In lontananza sentì anche la dolce fragranza del gelsomino.
E infine giunse.
La sua meta gli si parò davanti all'improvviso.
Kiba strinse le mani a pugno, per evitare che tremassero. Ma non riuscì a impedire al cuore di sussultare.
Deglutì, due volte, per cacciare via il groppo che gli era salito in gola.
Respirò a fatica.
Inspirò dal naso, finché i polmoni non premettero dolorosamente contro il costato.
E poi espirò lentamente.
Affondò le unghie affilate nei palmi.
Nel silenzio della notte i suoi passi risuonavano strascicati e pesanti.
Un raggio di luce lunare si rifletté sulla lapide di fronte a lui.
La pietra bianca lo mise di fronte ancora una volta a quel dolore a cui non poteva pensare senza che l'animo gli si lacerasse.
I palmi delle mani presero a sanguinare, e Kiba non poté impedire al suo corpo di tremare come se fosse stato appena investito dal freddo più intenso.
Non chiuse gli occhi.
Si morse le labbra a sangue, ma non distolse lo sguardo.
Restò lì, immobile, a fissare quelle due parole incise nella bianca pietra.
Un ululato si levò dal folto della foresta.
Un urlo, talmente intenso e pieno di strazio da non parere nemmeno un umano.
Solo quella pietra tombale poteva assistere a quel terribile spettacolo di sofferenza. Muta e indifferente, si limitava a restare lì. Senza giudicarlo.
Era la sola testimone delle lacrime di Kiba.

Qui è caduto
servendo Konoha
Shino Aburame.



“Ehi, Shino! Che ne dici di una vacanza?”
L'Aburame alzò gli occhi della coccinella che gli stava passeggiando sul dito.
“Una vacanza?”
“Sì! Da qualche parte!”
“Perché?”
“Per stare un po' da soli. Io e te.”
Shino guardò il piccolo insetto rosso alzarsi in volo. Lo seguì con lo sguardo finché non sparì in un cespuglio dall'altra parte del campo d'allenamento.
“Mi sembra che stiamo da soli già abbastanza.”
Kiba cominciò ad agitarsi, rotolando nell'erba.
“Tu non sai proprio che cosa sia un po' di romanticismo!” si lamentò poi, alzandosi seduto di scatto, incrociando le braccia al petto e mettendo il broncio.
Shino lo fissò con un sopracciglio inarcato. E, come sempre, la sua risposta fu un pregnante silenzio.
Kiba, indispettito, sbuffò e si sdraiò di nuovo sull'erba, berciando qualche cosa di poco chiaro.
Shino scosse appena il capo, per poi calare sul borbottante Kiba, impedendogli fisicamente di continuare a lamentarsi. Non fece nemmeno finta di avercela ancora con lui, l'Inuzuka. Passionale e assolutamente poco incline al malumore com'era, accolse con frenetico entusiasmo il bacio di Shino. Gli passò le braccia attorno il collo, tirandoselo addosso.
E non accennò a volersi staccare da lui finché non fu lo stesso Shino ad allontanarsi per riprendere fiato.
“Allora? Riesco ad essere romantico anche io?”
“Proprio no, Aburame. Ma mi piaci lo stesso!” ghignò Kiba, prima di baciarlo di nuovo.



Il morbido muschio aveva attutito il colpo.
Kiba era caduto in ginocchio, le gambe non erano riuscite a reggerlo a lungo.
Il corpo scosso dai singhiozzi non accennava a voler smettere di tremare.
E intanto l'alba cominciava a far capolino da dietro le folte chiome dei secolari alberi.
Un morbido raggio di luce dorata rischiarò il sottobosco, sfiorando tiepido il volto rigato di lacrime di Kiba.
A fatica, il giovane uomo si rialzò.
Si passò la manica sul viso, respirando a fondo per bloccare singulti e lacrime.
Le lacrime erano concesse solo nel buio della notte, quando non c'erano altri testimoni che il bosco silente e quella lapide muta.
Kiba alzò il viso, bagnandosi della luce del sole.
Si sedette sul muschio, di fronte alla bianca tomba.
Dallo zaino tirò fuori un involto di carta, che srotolò, estraendone delle polpette di riso.
Ne prese una per sé e poggiò le altre davanti alla pietra.
Non dovette aspettare molto per vedere le prime formiche sbucare dal terreno, aggirarsi curiose attorno al cibo, e poi cominciare solerti il rapido via vai per smantellarle e portare i chicchi di riso al formicaio.
Sorrise appena Kiba, le labbra tirate sul viso stanco.
Addentò la sua polpetta e rimase a guardare le operose formiche.
“Ce ne sono di cose da raccontare, amico mio.” cominciò a dire, sottovoce, per non rovinare l'incanto che sembrava permeare quel luogo.
“Hinata ti saluta tanto. Purtroppo quest'anno non credo che riuscirà a passare. Ha un pancione gigantesco, non mi stupirei se questa volta fossero addirittura due gemelli.” Kiba rise, immaginandosi Neji a dover stare dietro all'addestramento di una coppia di gemelli Hyuuga. A quanto si diceva, aveva già avuto il suo bel daffare con la loro prima figlia: una piccola stacanovista che non lasciava un attimo di respiro al suo povero padre. Neji si era allenato quasi di più in quei sette anni di vita della sua primogenita che in tutto il resto della sua esistenza.
“Mi manchi.”
Lo disse sottovoce, poco più che un sussurro.
Le formiche aveva quasi finito la loro opera. Non rimanevano che pochi resti, e una lunga e ordinata fila di insetti che facevano ritorno alla tana.




Le formiche aveva quasi finito la loro opera. Non rimanevano che pochi resti, e una lunga e ordinata fila di insetti che facevano ritorno alla tana.
“Hanno smembrato quella cavalletta!”
Kiba lo disse con stupore, misto anche ad un po' di disgusto.
“Anche degli esseri molto piccoli possono vincere se uniscono le forze.”
“Questo lo so anche io. Ma hanno fatto a pezzi quella povera cavalletta!”
Shino lo guardò negli occhi.
“Ti commuovi per una cavalletta?” chiese, incuriosito.
“Non è che mi commuovo! È solo che mi ha fatto un po' senso vederle ucciderla e farne a pezzi il cadavere.”
“Non vedo che cosa ci sia di tanto sconvolgente. L'hanno fatto per il bene della colonia.”
“Ma... la cavalletta...”
“La sua morte è il bene di qualcun altro.”




Shino Aburame.
Servendo Konoha.
Qui è caduto.
Per quanto male potesse fare, Kiba era sempre stato convinto che Shino avrebbe preferito una morte utile ad una vita ignava.
Il suo sacrificio aveva salvato centinaia di vite.
Aveva protetto il villaggio.
La sua casa.
La sua famiglia.
Il suo alveare.
Aveva permesso la continuazione della vita nel loro piccolo mondo.




“Tanto prima o poi sarebbe comunque morta anche quella cavalletta.”
“Ma l'hanno smembrata...” quel particolare sembrava stare molto a cuore a Kiba.
Shino sospirò, un rumore appena appena udibile. Lui non si spazientiva mai.
“Il fatto che sia stata fatta a pezzi e mangiata è solo un bene.”
“Eh?!”
“È diventata fonte di vita per quelle formiche.”
Kiba si voltò a fissarlo.
In effetti non aveva tutti i torti.
Era il cerchio della vita.
Anche se un po' più macabro e con più squartamenti di come glielo avevano spiegato fino a quel momento.
“La vita che comincia dalla morte.”
“Precisamente. Anche noi moriremo un giorno e...”
“Non te lo permetto.”
“Kiba...”
“Ti vieto di morire!”
“Non esiste l'immortalità, Kiba.”
“Non mi importa!”
Shino sospirò. Lui non si spazientiva quasi mai.




“Sai, l'anno prossimo anche Shinoko comincerà l'Accademia. Quasi non ci credo, il tempo sembra volare.”
Kiba si passò una mano tra i capelli.
Gli sembrava ieri i giorni degli allenamenti con Kurenai-sensei e il Team 8.
“Ti sarebbe piaciuta. Lo piacciono gli insetti, sai? Beh, non i ragni. Quelli li odia. Le coccinelle invece le piacciono. Le libellule. E le api. Anche le formiche, ma non credo le abbia mai viste smembrare una cavalletta!”
Kiba rise al ricordo.
Gli tornò in mente la faccia di Shino – concentrata e seria come sempre – che gli spiegava di formiche, cavallette e il ciclo della vita. Nascita, morte e di nuovo nascita. Come se stesse parlando con un bambino.
Ma Kiba non se l'era presa. Gli piaceva stare ad ascoltare Shino. Parlava così raramente, anche quando erano insieme solo loro due, che ogni volta che iniziava un discorso Kiba si metteva buono buono a sentire quello che aveva da dire.
Non l'aveva mai ammesso, ma quando lui spiegava qualcosa – fosse anche una semplice lezione di vita di tutti i giorni – a Kiba sembrava verità infusa. Forse era per quel suo modo di parlare senza troppi giri di parole, senza false illusioni o frasi fatte.
Andava diritto al punto.
Essenziale e preciso.
E per Kiba, cui non piaceva perdere tempo, sempre indaffarato a fare qualche cosa, per lui quello era il metodo migliore per imparare.
“Saresti stato bravissimo anche con Shinoko. Non sai quanto mi dispiace che non abbia potuto conoscerti…”
Kiba abbassò la testa, il mento contro il petto.
Cercò di non pensare al fatto che se Shino non fosse morto, probabilmente la sua Shinoko non sarebbe mai esistita.



Kiba imprecò tra i denti quando, dopo aver tolto giacca e maglione di Shino, trovò un'altra felpa sotto la prima che aveva appena sfilato.
“Quanti vestiti hai addosso, si può sapere?” questo infinito spogliarlo – e non essere ancora arrivato a vedere un solo lembo di pelle – lo stava facendo innervosire.
“Fa freddo.” fu la risposta obiettiva, ma evasiva, che Shino gli diede.
“Anche se fa freddo, non occorre mettersi ventimila strati!”
“Tu sei un caso a parte, Kiba. Iperattivo come sei potresti anche andare in giro in mutande e non sentiresti freddo.”
“Ahahah! Scommetto che ti piacerebbe!”
“Cosa?”
“Vedermi in mutande!”
“...”
“Ah, ma non ti preoccupare, vedrai anche sotto oggi!”
Shino non rispose. Evitò anche di arrossire: ormai ci era abituato alle battute di quel tipo.
Kiba, ridacchiando, riprese la sua opera.
E Shino sotto sotto se la rideva anche lui, vedendolo armeggiare con tutti i vestiti che si era messo addosso. Che facesse freddo era poi vero, ma era altrettanto vero che adorava vedere Kiba agitarsi quando doveva togliere tutti quegli indumenti per poter arrivare infine al suo corpo. Dire che diventava impaziente era riduttivo.
“Ma che è? Hai intenzione di farti il bozzolo con tutta questa lana?”
“I bozzoli sono di seta, non di lana.”
“Era una battuta, non stare sempre a puntualizzare su tutto!”
Alla fine, dopo avergli sfilato anche un paio di magliette e una canotta, Shino emerse.
Kiba lo abbracciò, e Shino godette del tepore del corpo del compagno. Anche in pieno inverno era sempre caldo, e Shino si faceva abbracciare da quelle braccia con vero piacere.
“Finalmente ti ho tirato fuori dal bozzolo. Il mio bruchino!”
“Se sono uscito dal bozzolo sono una farfalla, Kiba.”
“Il mio bruco pignolo!” rise e lo baciò, il primo di infiniti baci per quel giorno.
E Shino con lui, non lo lasciava un solo attimo.



La luce si fece rossastra, il tramonto era ormai al suo culmine, presto sarebbe di nuovo scesa la sera.
Avrebbe avuto ancora molte cose da raccontare, Kiba, almeno una per ogni giorno trascorso.
Ma sapeva, fin troppo bene lo sapeva, che non poteva stare lì per sempre.
Per quanto potesse fare male, lui era vivo, era vivo e doveva continuare a vivere la sua vita. Raccolse lo zaino, caricandosela in spalla.
Si avvicinò ancora di più alla lapide, un solo passo di distanza li separava.
Era fredda, la pietra bianca, fredda e dura sotto le sue mani. Senza vita.
“Tornerò l'anno prossimo.”
Un'ultima carezza, e veloce svanì di nuovo nella foresta.



“Chissà come saresti come farfalla…”
Shino si girò sul fianco per guardare meglio il ragazzo sdraiato di fianco a lui.
“Prego?”
“Adesso sei un bruco, stavo cercando di visualizzarti come farfalla!”
“Io non sono un bruco, Kiba.”
“Sei sempre nel tuo bozzolo di vestiti e occhiali scuri. Ovvio che tu sia un bruco!”
Shino non ribatté. Non capiva le associazioni mentali del compagno, e sinceramente non ci voleva nemmeno provare. Troppo astratte per lui.
Anche Kiba si voltò sul fianco, per guardare negli occhi Shino.
“Ma i bruchi che diventano farfalle… Sanno di essere stati bruchi?”
“Che intendi dire?”
“Beh, quando escono dalla crisalide sono esseri completamente diversi da quelli che erano prima.”
“Esteticamente di sicuro.”
“Ma non è solo quello, no? Un bruco striscia. Una farfalla vola. Non possono essere la stessa cosa.”
“Ovvio che non sono la stessa cosa, Kiba. Si evolvono. I bruchi cambiano e si adattano alla loro nuova forma.”
Kiba fissò intensamente Shino, studiandone il viso.
“Non so se voglio che tu diventi una farfalla, allora.”
Shino si massaggiò le tempie, prima di rispondere.
“A parte che non lo diventerò, sarei comunque lo stesso Shino.”
“Con ali.”
Shino sospirò rassegnato.
“Sì, Kiba, con le ali.”
Kiba sorrise, il suo sorriso smagliante.
“Sì, forse mi andrai bene anche con ali!”



Kiba rientrò a casa poco prima dell'alba.
Si fece una lunga doccia e si rivestì, aspettando che moglie e figlia di svegliassero.
“Papà!”
Shinoko gli saltò letteralmente in braccio quando, entrando in cucina, lo vide affaccendato ai fornelli per preparare la colazione.
“Mi sei mancato papà!” trillò, felicissima.
“Sono stato via solo un giorno!”
“Mi sei mancato lo stesso!”
La piccola gli strinse le braccia attorno al collo, stampandogli un enorme bacio a schiocco sulla guancia.
Kiba rise e ricambiò, facendole poi il solletico.
La bimba cominciò a ridere, agitandosi convulsamente per cercare di sfuggire alla terribile tortura.
“Nooo! Papà sei cattivo! Il solletico no!”
“Ahah! E invece sì, non scappare, affronta la battaglia!”
Ma lasciò andare la figlia, che saltò a terra e cominciò a correre per tutta la cucina. E Kiba, come sempre, dietro ad inseguirla, lamentandosi in maniera fin troppo teatrale di quanto fosse veloce la sua avversaria.
Alla fine non poté che accasciarsi a terra, terribilmente esausto, e lasciarsi catturare dalla figlia che gli si sedeva sul petto, decretando così la sua vittoria.
“Vinto!”
“Ma certo che hai vinto. Sei troppo veloce!”
“Ahahah!”
Kiba la prese di nuovo in braccio, riportandola alla tavola, dove sua moglie stava servendo il latte nelle tazze.
“Su, a mangiare!”
“Sì!”



“Le cose finiscono. Finiscono sempre.”
Kiba strinse più forte la mano di Shino
“Spero che questo non finisca mai!” ribatté, facendosi più vicino al ragazzo.
“Non finirà.”
Kiba rise.
“Ma se hai appena detto che tutto finisce!”
“Finisce nella sua apparenza. Può cambiare forma, ma la sostanza sarà sempre quella.”
“Come il bruco e la farfalla?”
“Esatto.”



Come tutte le mattina, Kiba e Shinoko erano in giro per i boschi di Konoha.
In groppa ad Akamaru che trottava allegro con loro, la bambina imparava dal padre tutto quello che le sarebbe servito negli anni a venire.
Insaziabile, ascoltava tutto quello che le veniva raccontato.
“Papà, mi racconti ancora della farfalla?”
“La farfalla?”
“Sì! Perché diventa bruco?”
Kiba scoppiò a ridere, anche se cercò di smettere subito quando vide il viso corrucciato della figlia.
“No, tesoro, la farfalla non diventa bruco. È il contrario!”
“Contrario?”
“Sì. È il bruco che cambia forma e diventa una farfalla!”
“Perché?”
“Perché quella è la sua natura. Perché tutti i bruchi devono diventare farfalle.”
“Ah… Ma perché?”
“Funziona così.”
“E io cosa divento da grande?”
“Tu diventerai una bellissima signorina!”
“Come la mamma?”
“Anche più bella!”
“Bella coma una farfalla?”
“Lo sei già, tesoro!”
Shinoko sorrise, il sorriso sdentato che andava da un orecchio all'altro.
Con un balzo scese dal dorso di Akamaru e si mise a correre nella radura che si era appena aperta davanti al loro cammino.
Il grosso cane bianco le fu subito dietro, saltando e correndo con lei.
E Kiba si sedette all'ombra di un giovane albero.
Tutto finisce, aveva detto Shino, un giorno di tanti anni prima.
Finisce.
Ma poi si trasforma, cambia aspetto e continua ad esistere.
È il principio della vita.
È il principio di tutte le cose.
Può cambiare forma, ma la sostanza sarà sempre quella.
Kiba sorrise, un sorriso pieno di malinconia.
Aveva perso il suo bruco. Il bozzolo non si era mai più aperto, era rimasta solo una fredda tomba vuota.
Ma da quella crisalide senza vita era lo stesso nata una farfalla bellissima.
Una piccola farfalla sdentata e sempre piena di cerotti.
Kiba aveva amato Shino, l'aveva amato sul serio.
Ma ora che lui non c'era più non gli restava che rivolgere il suo amore verso Shinoko.
L'avrebbe amata e protetta, fino alla fine.
E lei poi avrebbe fatto lo stesso con qualcun altro.
Continuando così all'infinito.
Perché tutti i bruchi devono diventare farfalle.





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Angolo dell'Autrice:


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Signore e signori sono lieta di presentarvi questa fic, amorevolmente scritta per il ShinoKiba first contest!
 a cura della cara Rota… anche se purtroppo ora della fine siamo rimaste solo in due partecipanti e il contest è stato annullato.
Sono particolarmente felice di come è uscita questa storia.
Avevo cominciato una AU scolastica, che ho abbandonato alla seconda pagina. Poi mi è venuta questa idea.
Parecchio più triste, ma molto più efficacie! XD
Spero che vi sia piaciuta!
Amate il nostro bruchino! éOè Shino merita un sacco di affetto!
<3

Fatemi sapere i vostri commenti, pareri o critiche.

Grazie a chi vorrà recensire e a quanti leggeranno e basta!

Beat


   
 
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