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Autore: Elos    01/05/2010    2 recensioni
[…]
- Sono tornati. Tutti i frammenti sono tornati. Ne mancavano tre, erano bloccati da qualche parte in un vicolo cieco, ma li ho trovati sulla Soglia. -
- Davvero? -
- Non lo sapevi? -
- No. -
- E non è strano? Tu sai sempre tutto. -
L'adolescente allunga il dito per stuzzicare la sommità del re nero, facendolo dondolare:
- Io non so tutto. Se sapessi tutto direi “salve, sono Layla Miller e sono onnisciente”. Onnisciente è una bella parola, no? E invece sono Layla Miller e so... -
- … molte cose. -
- Giusto. -

Tra la Stanza Incandescente e Terra 616, squarci di futuri possibili e di Terre alternative. Ispirato alle saghe di Here Comes Tomorrow e di Old Man Logan.
Partecipante al concorso [Multifandom]Book's Sentences indetto da vogue91.
Genere: Triste, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Jean Grey, Logan/Wolverine
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Tutto ciò si è classificato in quinta posizione al concorso [Multifandom]Book's Sentences indetto da una gentilissima vogue91, che ringrazio ancora di cuore.
La frase dalla quale bisognava prendere ispirazione è trascritta in cima al racconto (oltre ad essere parafrasata al suo interno); il giudizio e i premi sono invece riportati in fondo alla pagina, in conclusione al papiro sterminato delle note: ci ho messo più tempo a scrivere le note che non il racconto, e questo non è per nulla bello.

Buona lettura.





"Questi esseri inferiori! Il loro amore somiglia all'odio!”




- Dovevo salvare qualcosa che stava morendo? Che cosa? -
Un universo gravemente ferito. Un lavoro per Fenice.

- Hanno detto anche che devi affrettarti. -
- Ci siamo incontrati? -
- Centinaia di volte. Io l'avrei lasciato morire. -
- No, è solo...
… ah.
Vivi, Scott. -
Vivi.



- Ti spiace se passo la mano, tesoro? -




La vanga affonda nel terreno sollevando schizzi di fango liquido e denso. Il ginocchio a far da perno, le mani si stringono attorno all'impugnatura di legno ad ogni palata di terra che viene via: la schiena curva, il capo chino, lavora senza guardare.
L'erba nel fango è grigia e rada malgrado la pioggia battente: sente l'acqua scorrere e sfrigolare sulla pelle come non sarebbe normale facesse, come acido, leva dal suolo un odore di cose chimiche e putride. Le Tre-in-Uno gli hanno spiegato, una volta, che era irrimediabile e ovvio: la prima guerra nucleare si è mangiata l'Europa e tre quarti dell'Asia nel giro di un anno; il secolo che è seguito si è portato via quel che restava del mondo, e poi ci sono stati tutti gli anni che sono venuti dopo, che con il tempo sono divenuti decenni che sfumavano nei secoli, un po' alla volta, nei quali la Terra è imputridita.
Conficca la vanga nel fango per non farla cadere e si china a raccogliere il primo dei tre corpi. Ha fatto una bella fossa. E' grande. E' ampia. Ci staranno comode, dentro.
Il viso di quella che ha tra le braccia - Mindee? non è mai riuscito davvero a distinguerle - ha ancora gli occhi aperti, vitrei e vuoti. Dimostra sedici anni. Hanno dimostrato sempre sedici anni, né uno di più né uno di meno, i cuculi della scuola, e il loro viso è come quello di Emma, solo un po' più giovane.
La lascia cadere nella fossa e china la testa, per un attimo, per salutarla.
Emma dev'essere morta da tempo immemorabile - era già infinitamente vecchia l'ultima volta che l'ha vista - perciò loro sono tutto ciò che resta dello Xavier Institute. Tre corpi di ragazze in una buca, un vecchio a seppellirle.
Gli occhi delle Tre-in-Uno, sdraiate nella fossa, fissano il cielo grigio.



Qui viene il domani




Il cavallo, povera bestia, l'ha seppellito da qualche parte tra Albuquerque e Abilene - quel che rimane d'Abilene, insomma: non è che ce ne sia poi molto dal giorno in cui un superumano è esploso nella periferia della città, a meno di mezzo miglio da un inceneritore in funzione. C'è un buco grosso quanto il monte Rushmore, ora, al posto di Abilene la calda.
Senza cavallo, Logan è rimasto a piedi. Rimpiange come non mai la Ragnomobile di Storm, arenata a New Babylon ad arrugginirsi sotto forma di grosso rottame sfasciato.
Robert è da qualche parte intorno alla vecchia Osborn City: bada ai confini, bravo ragazzo, si prende cura di quello che hanno fatto. E' giovane, Robert. E' grande, grosso e forte - e verde - come suo nonno, e molto meno pazzo: gli si può lasciare l'America sulle spalle, e lui non la farà cadere. E' sforacchiata, adesso, bucherellata e insanguinata, una Nazione che si trascina stentatamente sulla superficie di un mondo in agonia: però va tenuta in piedi lo stesso.
Questo mondo sta morendo, pensa Logan ogni tanto, è come fosse già morto. Si tratta di vedere come e quando l'agonia finirà, e lui spera sia presto. Spera che venga quando ancora avrà cervello bastante per vederla e capirla e provare sollievo, finalmente.
Pulire l'America non è bastato. A sud non c'è più niente che non sia un grosso cratere incandescente traforato dalle bombe atomiche, un mix letale di radiazioni e piogge acide che salgono sempre più a nord di anno in anno. Forse in Canada c'è ancora una striscia di terra verde, ma l'Alaska è solo una landa arida, adesso. Dal Vecchio Mondo non arrivano voci da decenni.
Sono rimasti solo loro. Logan lo sa. Umani, in gruppetti sparuti, piccole aggregazioni che neanche si possono chiamare villaggi, qualche volta nomadi, carovane, concentrazioni di persone che girano l'America in cerca di un posto dove stare per un po'. Qualche superumano. Mutanti, sempre di meno e sempre più vecchi, chiusi nella riserva che Emma Frost ha aperto per preservare la propria razza secoli e secoli addietro, pagandola con i residui sparuti della propria lealtà.
E così Logan aspetta. E' solo questione di tempo. Si tratta di aspettare un po', solo un altro po'. Tutto questo finirà, prima o poi.
Prima.
O poi.

La notte sogna spesso. Aveva smesso negli anni di Sacramento, ma i sogni sono ricominciati subito dopo. Dapprima sapevano di sangue - il fetore metallico e colloso che si appiccica ai vestiti, alla pelle, sa di senso di colpa e di disperazione - e c'era il viso di Jubilee a guardarlo ad occhi sgranati, doloranti, ma poi Jubilee era sempre lì, viva, solo, con una giubba gialla troppo grande per il corpo da adolescente tutto curve asciutte. Gli altri sono ricomparsi poco alla volta. Betsy e Rogue e Hank, e poi Steve, il volto gentile di Kurt si confonde certe volte con quello di Scott, che prende ai suoi occhi una piega indurita, feroce. Compagni e studenti, Xavier è più un'ombra su una sedia che altro, senza memorie. Nemici e figli. Certe volte ricorda l'odore dei petali di ciliegio nella primavera giapponese.
Non c'è più nessun Giappone. Il mare l'ha ingoiato, e non lo restituisce più.
Ricorda che rideva con Emma. Ricorda che giocavano a baseball nel campo fuori la scala. Ricorda Ororo, i capelli candidissimi di Ororo, gli occhi verdi di Laura. Il sorriso di Rachel, quand'era ricomparso anche per lui: il viso di Rachel è familiare, così, e certe volte lo sogna più morbido e pieno, sfumato di rosso, e quel rosso di capelli è quello del fuoco della Fenice.
Sogna Jean, adesso, certe notti.


- E' ora, sai? -
- Tu credi? -
A parlare sono in due.
Una è un'adolescente acerba e allungata dagli occhi azzurri e i capelli biondi. Li ha raccolti in due ciuffi corti, con una treccina ad oscillarle accanto ad una guancia. Se ne sta sdraiata nel niente a pancia sotto, con una grossa scacchiera ad oscillarle lentamente davanti alla faccia. A guardar bene, tra i pezzi manca la regina nera.
L'altro la studia e insiste:
- Sono tornati. Tutti i frammenti sono tornati. Ne mancavano tre, erano bloccati da qualche parte in un vicolo cieco, ma li ho trovati sulla Soglia. -
- Davvero? -
- Non lo sapevi? -
- No. -
- E non è strano? Tu sai sempre tutto. -
L'adolescente allunga il dito per stuzzicare la sommità del re nero, facendolo dondolare:
- Io non so tutto. Se sapessi tutto direi “salve, sono Layla Miller e sono onnisciente”. Onnisciente è una bella parola, no? E invece sono Layla Miller e so... -
- … molte cose. -
- Giusto. -
Il ragazzo dall'altro lato della scacchiera ha una cresta di capelli rossi schiacciati sul cranio rasato. Gli occhi sono piccoli e scuri e veste di verde - un tessuto luminoso, stranamente, lucido anche nel bianco. Pare curioso di tutto, e guarda la scacchiera con estremo interesse.
- E questa non la sai? -
- No. -
- E sai perché non la sai? -
- Posso immaginarlo. - Lei muove il re nero, finalmente, spingendolo avanti di un passo. E' assediato, circondato su ogni lato e su ogni fianco. L'alfiere bianco incombe alla sua destra, minaccioso. - Perché questa è una di quelle cose che deve sapere qualcun altro, credo. - E poi, intrecciando le braccia sotto al mento. - Ho mosso. Tocca a te. -



Logan vive una vita senza peso. Non c'è più domani, ma solo un oggi che non vuole mai finire e una serie infinita di ieri che sembrano tutti più belli, a vederli con gli occhi di adesso, anche quelli putridi e marci, anche quelli inzaccherati di sangue, lordi da sprofondarci dentro.
Ieri ha avuto un valore. Oggi non ce l'ha.
Non c'è più nessuno che possa sconfiggere. Non c'è più nessuno che possa fermare. Niente da vendicare. Niente da cambiare. C'è solo da aspettare.
Ha aspettato cento anni e cento altri ancora, su una Terra sempre più piccola.
Ieri ha seppellito i cuculi, tutto il passato che gli restava. Oggi non ha più niente da fare.

E' all'altezza di Seattle quando una carovana di nomadi gli racconta d'aver visto i confini del Canada bruciare. L'Alberta è in fiamme, un unico rogo rosso: il fumo si vede in lontananza, a guardar bene, è una cappa immensa. L'aveva scambiato per una nuvola da temporale.
Lui si sta già chiedendo oziosamente se farebbe poi tanto male a buttarcisi in mezzo, a tutto quel fuoco, sperando che il suo fattore di guarigione si esaurisca in poche ore: dev'essere doloroso ma, insomma, non sono passati troppi anni da quando Bruce Banner l'ha masticato e digerito. Quello sì che ha fatto male.
Ma, a un certo punto, una delle donne della carovana comincia a parlare del sasso rosso che è piovuto dal cielo, e poi assieme a lei comincia a raccontare un'altra, e l'attimo dopo stanno tutti spiegandogli che hanno visto venir giù dalle stelle una palla di fuoco, una notte, e il mattino dopo bruciava tutto.
Forse è nulla più che un meteorite, un pezzo di Luna che si è staccato - cade a pezzi tutto, a questo mondo, tutto è rovina e sfacelo, anche il cielo - ma dopotutto cos'ha di meglio da fare?
Niente, no?
Bene. Si carica la borsa in spalle, riparte. Verso nord.


- Non è scacco matto? - - No, non è scacco matto. Questo sarebbe scacco matto... - La ragazza preme sul cavallo bianco, spostandolo avanti a chiudere il re nero nell'angolo. - … o anche questo. - Stavolta è la torre a muoversi, verso destra. - Vedi, così. Il tuo non è scacco matto, è scacco e basta. -
Lui aggrotta la fronte. Non pare del tutto convinto.
- C'è differenza? -
Layla fa scivolare il re in diagonale, sottraendolo al bianco che incombe.
- C'è una grandissima differenza. -
Il ragazzo piega le labbra, per un attimo, in un'espressione che pare broncio: guarda la scacchiera di nuovo in movimento e poi sospira, piegandosi per studiare la prossima mossa.
- Layla Miller. Tu non dovresti stare qui, lo sai? -
- Non credo che qui ci siano regole sul chi ci può e chi non ci può stare. O avete una lista?
Invitati della Stanza Incandescente, qualcosa così... - Tamburella con le dita sul bordo della scacchiera, senza alzare gli occhi. - Se sono qui è perché ci sono arrivata. -
- E come sei arrivata qui? - E poi, spronando il cavallo all'inseguimento del re nero: - Ho mosso. -
- E' strano che tu me lo chieda. - La torre nera taglia in verticale attraverso la scacchiera per poter crollare sul cavallo. - La domanda più appropriata sarebbe comunque:
perché sei arrivata qui? -
Il ragazzo sgrana gli occhi alla vista della miseranda fine della pedina bianca. Sbatte le palpebre, fa per aprir bocca, per protestare, ma poi la richiude e corruga ancora la fronte.
- D'accordo, Layla Miller. Perché sei qui? -
Stavolta lei alza gli occhi. Lo guarda, gli sorride.
- Oh, perché questa è la mia fermata. - E poi, serenamente: - Aspetto il treno. -



C'è solo foresta, ed arde in un rogo che pare nutrire sé stesso, inesauribile. Brucia, si divora, c'è un calore riarso da fornace secca che gli riduce la pelle a una distesa d'ustioni infiammate. Quando passa troppo vicino ad una macchia di fuoco l'acqua evapora sottopelle, e dentro le borracce non ce n'è più da giorni.
Ha trovato soluzioni disgustose per lenire la propria sete.
Il primo giorno è stato il peggiore. Fumo, arsura, dolore, stanchezza. Noia. Se doveva morire così, si è chiesto, perché non andare a farlo in Messico? Più caldo, più rapido. Più indolore.
Ha capito che era scesa la notte solo quando il buio si è fatto più netto: la cappa di fumo sopra la sua testa, che ormai fa da cielo al Canada, è passata dal grigio piombo al nero assoluto. Si è scavato una buca profonda come una tomba e ci si è nascosto dentro per ripararsi dal fuoco. Anche la terra brucia ma, lì sotto, ci sono ancora tracce vaghissime d'umidità. Ha mangiato quel che si muoveva tra le radici.
Il secondo giorno è andata già meglio. Ha fatto molta strada, è diventato più veloce nel guarire. Il fumo ingombra i suoi polmoni, che si seccano e si rigenerano incessantemente.
Il terzo giorno la vede. Spicca sul fianco di una collina in lontananza, dall'altra parte di una valle, ed è più luminosa del fuoco, più accecante di una stella caduta: una vampa che brilla, oscilla, ed ha la forma di una sfera.
Forse quel viaggio non è stato tutto tempo perso.
Anche quella notte si scava una buca per dormire. Si sdraia sul fondo, succhiando l'acqua dal terreno avaro, riempiendosi la bocca di terriccio umido per dare sollievo alla lingua gonfia e secca, spaccata. Può sopravvivere nutrendosi di sé stesso per anni. L'ha già fatto. Può farlo di nuovo. Può farlo in eterno, se serve, e questo probabilmente farà di lui l'ultimo essere umano vivo sul pianeta Terra. Gli viene la nausea a pensarci.
Con un po' di fortuna invece lui brucerà qui, in Canada, a casa. Con un po' di fortuna quella roba lì, la stella caduta, sarà un qualche segno premonitore della fine del mondo, un annuncio di cataclisma, un'entità aliena venuta a divorarsi il pianeta, buon pro gli faccia e che non gli vada di traverso, pensa. Va bene tutto, ma non quest'agonia di anni senza fine.
Sogna di nuovo, quella notte. Sogna di quando erano tanti, miliardi di esseri umani, milioni di mutanti. Sogna degli anni in cui aveva una casa nella scuola. Valeva la pena di fare tutto, qualunque cosa, anche le cose più luride e sporche, pur di vivere ancora, pur di tenere in vita qualcun altro.
Sogna del sole, il calore tutt'attorno a lui trasforma i ricordi in qualcosa di obbligato, sogna del giorno in cui ci sono caduti dentro, lui e Jean, sogna d'essere uscito fuori per poter ardere senza dolore e l'ultima cosa che ha visto prima di perdere i sensi - prima di bruciare - sono stati gli occhi ciechi di Jean che si riempivano della Fenice.
Sogna la Fenice.

Si sveglia che è ancora notte, il cielo una cappa di acciaio impenetrabile, e, più che riprendere a camminare, incomincia a correre.


- Il treno? -
- Già. Ed è in ritardo. -
- E aspetti un treno qui? -
- Ovunque sia
qui, sì. Te l'ho detto: è la mia fermata. A proposito: scacco al re. -
- La tua ferm... Aspetta: è matto? -
- No che non lo è. Vedi? Puoi spostare qui, o anche... -
- Sì, sì. D'accordo. Torniamo a quella storia del treno. Stai seriamente cercando di farmi credere che stai aspettando un treno qui? Nella Stanza Incandescente? -
- Io sono sempre seria. Non muovi più? -
- … ci devo pensare. -



E' il quinto giorno di cammino - non c'è alba e non c'è tramonto sotto quel cielo da cappa di piombo, e ormai scandisce il proprio tempo in frazioni di sonno e di veglia - quando arriva in cima alla collina della stella caduta.
Le fiamme alte. Il calore è com'era nel guardare il Sole senza atmosfera, senza tute e senza astronavi a separarli: la pelle si scioglie e si riforma sempre più velocemente, erano anni che il suo corpo non si rigenerava tanto in fretta. Forse è per la necessità - la necessità genera adattamento, evolvi o muori - o forse è solo che adesso vuole arrivare vivo in cima, non può morire lungo la strada. Forse è il sogno.
Ancora la vede, veste di verde e d'oro e di fiamme ed è rossa, soprattutto, è rossa e brucia il mondo.
Dopo un po' il fuoco sembra smettere di ustionarlo; si guarda le braccia nude, ché i vestiti sono arsi ai piedi del colle, e la pelle è riarsa ma integra, i muscoli coperti. Fa meno caldo, ora che ci fa caso, si respira meglio. C'è una specie di strana atmosfera rovente e pulsante a circondare il fulcro della luce: che è bianca, ma di quel bianco che hanno le fucine incandescenti, il ferro fuso, il bianco del calore intollerabile. E' quasi insopportabile a guardarla da vicino, ma dentro c'è una cosa - e il mondo va in pezzi e poi torna intero, e ancora e ancora - accoccolata con il capo levato verso di lui.
Ed è tutto fuoco e calore attorno a loro due, ma la cosa nel suo bozzolo di luce bianca ha la pelle d'ambra chiara, gli occhi verdissimi, Dio, la cosa più verde che abbia visto nell'ultimo secolo e mezzo, verde di pozze d'acqua stagnante in boschi d'ombra fresca, e i capelli rossi che non si bruciano, che non si strinano.
La cosa nel bozzolo lo guarda, ed ha il viso di Jean, e lui ha corso per cinque giorni verso di lei e solo adesso realizza che lo sapeva, che sapeva che era lei, che era tornata; e Jean lo guarda, ancora, e lo chiama:
- Logan... -


- Quello che tutti sanno di te... - Dice lui ad un certo punto: - … è che sei sparita nella macchina del tempo di quell'uomo, no? Il Creatore. -
- Mh. -
La torre bianca scivola verso il re nero. Il re arretra, si disimpegna, sfugge la lotta per evitarla. - E' così che sei arrivata qui? -
- Non ne sono sicura. Non credo abbia importanza che io lo sappia, e perciò non lo so. Però forse sì. Sarebbe la spiegazione più sensata. -
- Sei entrata nella macchina senza sapere dove saresti uscita? -
- Senza sapere se ne sarei uscita, in realtà: ma io e Jamie sapevamo di doverci entrare. Quindi, ai fini della storia, che cosa cambia? -
Il re nero continua ad indietreggiare, e la torre e l'alfiere lo incalzano impazienti.
- E i vostri, uh, compagni lo sapevano? -
- Scott lo sapeva, certo. E' lui che ci ha mandati. Anche Forge lo sapeva. -
- E vi hanno permesso di andare lo stesso? -
- Il cavallo non muove così, muove ad L. Vedi, puoi metterlo qui o... -
- Sì, sì, ricordo. Vi hanno permesso di andare senza sapere se ne sareste usciti distrutti? Se sono vostri compagni non provano legame verso di voi? Amore? Non provano dolore nel vedervi distrutti? - - Certo, sì. E' normale. E' umano provarne. -
Un attimo di silenzio.
- E' uno strano modo di mostrare legame. Amore. E' uno strano modo, questo, il vostro. -
- Sai... - E il pedone nero si erge, tutto ad un tratto, sbucando fuori da un angolino che finora era nulla, insignificante, ma adesso il re nero, l'esca, è al sicuro alle sue spalle, e l'alfiere bianco grida in pericolo e non può essere salvato. - … è buffo sentirtelo dire. Hai perso l'alfiere, comunque. -



Il primo pensiero è incredulità.
E' tornata. Dio, quella è Jean - è Fenice, quella che cambia i mondi, che li divora - ed è tornata.
Il secondo pensiero è piacere. Purissimo e liquido.
E' Jean, Dio santo, Dio santissimo, è Jean, ed è viva, ed è qui ed è tornata, finalmente, finalmente, cento e cento anni ancora mentre tutti aspettavano di vederla tornare e lei...
Il terzo pensiero fa sciogliere il piacere in un calderone incandescente che gli monta dentro, furioso, furibondo, e cresce e s'alimenta di sé stesso. Jean, Fenice. Quella che cambia i mondi. Quella che cambia i mondi ed è tornata con due secoli di ritardo, cinquant'anni troppo tardi per salvare qualunque cosa potesse essere salvata. Ha seppellito le Tre-in-Uno da nemmeno dieci giorni, Robert Jr. è un mostro verde che invecchia con assurda lentezza in un posto dove tutto è morto. Lui e il nipote di Hulk si divideranno l'agonia più lenta di un pianeta che finisce. Non c'è più niente da salvare. Niente.
E sa che non è razionale, che non è ragionevole, che Jean è lì ed è bello anche solo che ci sia, poterla guardare, ma adesso è tornata in un pianeta che è una tomba marcescente e Logan non sa davvero cosa sia più atroce: che lei sia arrivata troppo tardi o che sia arrivata e basta, nulla di più, perché così morirà su una Terra che lui non avrebbe voluto che vedesse.
- Perché sei qui? - Ringhia, ferocemente, lottando contro il desiderio di avvicinarsi all'uovo, al bozzolo, ed abbracciarla e sentire se è ancora morbida e vellutata tra le sue mani.
- Logan...? - Lei pare confusa, dapprima, e poi raggiante: - Logan! Ho aspettato... Dio, ho aspettato così a lungo, speravo che... - Si interrompe. Le vede la sorpresa sul viso mobile, tutto ad un tratto, e poi l'incertezza, l'insicurezza, il timore: - Logan, hai i capelli bianchi. -
Lui non dice niente, e lei esita per un lungo istante, prima di bisbigliare:
- Quanti anni sono passati? -
E Logan glielo dice.

Studia l'orrore sul viso chiaro di Jean, e poi la sofferenza e una punta di panico, mentre lei si guarda attorno freneticamente. Deve aver osservato il posto in cui è caduta dal cielo per giorni e giorni, prima che Logan arrivasse, ma sembra vederlo solo ora.
Lui deve serrare i denti ed impedirsi di chinarlesi accanto e abbracciarla, confortarla, perché quella è Jean ed è spaventata, ma lui è ancora furioso.
- Logan... - Si sente chiamare nel tono di una preghiera.
- Perché sei tornata? - Ringhia ancora: - Perché sei qui? Perché non sei rimasta dov'eri, dovunque fosse, perché sei venuta? -
- Volevo tornare. - Bisbiglia lei. - Volevo tornare a casa. Non trovavo... era rotta. La Stanza Incandescente non aveva... -
Logan muove un passo avanti: la cenere friabile crepita sotto i suoi piedi mentre le si accosta e si china, afferrandole le spalle per scrollarla con violenza. In quel momento non gli interessa affatto che ci sia la Fenice, lì dentro, e che sia sveglia da poco, irritabile e suscettibile, perché peggio di così come potrebbe andare?
- Due secoli, Jean! - E ora, più che ringhiare, ruggisce: - Ti abbiamo aspettata per due maledettissimi secoli! -
La voce di Jean suona debole, spezzata:
- Volevo tornare subito.... -
- E perché non l'hai fatto? La Fenice? La Fenice ti ha detto di non farlo? -
- Mancavano dei pezzi. Per tornare, mancavano dei pezzi. L'avevano rotta. Per poter tornare ho dovuto aspettare che fossero tutti, che ci fossero... -
Gli occhi verdi di Jean sono stagni e laghi e tutto ciò che c'è di fresco e ventoso e umido e verde. Deve scrollare la testa e serrare le palpebre per non affondarci dentro e lasciarsi trascinare dalla risacca, ed è a fatica, stentatamente, che ricompone quel che lei ha detto.
Pezzi.
Pezzi, la Fenice era in pezzi. La Fenice era in pezzi dopo Quire.
La Fenice dentro Emma.
La Fenice dentro i suoi cuculi, i cuculi della scuola.
Le Naiadi di Stepford. Tre-in-Uno. Sepolte da dieci giorni. Cuori di diamante, inorganici, impenetrabili cuori di diamante per impedire alla Fenice di fuggire...

Boccheggia, inorridito. Se fossero morte prima - anche solo mezzo secolo prima - sarebbe stata salva, la Terra. Si sarebbe potuta salvare. Per cinquanta stramaledettissimi anni. Tutto perduto.
Il peso di quella consapevolezza è tanto improvviso e opprimente da schiacciarlo: si lascia cadere in ginocchio davanti a lei e avvolge il corpo giovane con le sue braccia da vecchio, cicatrici e segni e macchie, e le rughe contratte del volto scavato nel legno e nella pietra, e i capelli bianchi - e Jean è ancora fresca e immutata, rosso fuoco.
- Mi dispiace, Jean... - Mormora. - … mi dispiace. Perdonami. - La stringe, forte, più forte, e vorrebbe poterla proteggere.


- Ecco. - Nel silenzio si leva la voce di Layla, sottile e distratta. Il pedone nero avanza e accerchia il re bianco, e lì c'è la torre, l'ultima sopravvissuta, che dall'altra parte lo chiude e lo intrappola. - Questo è uno scacco matto. -

Il ragazzo aggrotta la fronte. Ha uno sguardo sveglio, lucido, intelligente: e ci mette poco a capire.
- E' vero. -
- Certo che è vero. - Layla si alza in piedi, si rassetta la gonna. - E comunque giocare con me non ha senso: io baro. -
- Dove vai, Layla Miller? -
Di nuovo, lei sorride:
- Il mio treno è arrivato. -
Una delle mani lunghe del ragazzo passa sulla scacchiera: dietro la scacchiera c'è qualcosa di rosso, la Fenice, e qualcosa di rotto.
- Era questo che aspettavi? -
- Già. Te l'ho detto che era in ritardo. -
Il ragazzo studia Terra 616, la Fenice che brucia; inclina il capo da una parte e commenta distrattamente, con un candore tale da far risultare la sua un'asserzione senza il minimo intento offensivo, un puro commento statistico, una rilevazione da osservatore neutro:
- Avete un modo strano davvero di mostrare legame. Amore... il vostro amore somiglia all'odio. E' violento e crudele e distrugge più che creare. -
Layla Miller allunga una mano: stringe tra due dita una pedina – il pedone nero - e la fa scivolare nella tasca della gonna a quadri scozzesi.
- E' curioso che proprio tu dica questo. - Afferma, distratta.
Il ragazzo alza gli occhi dalla scacchiera e la guarda con stupore. Lei alza una mano in un gesto di saluto, prima di girarsi e dargli le spalle:
- Arrivederci, Quentin Quire. -

- Tre... due... uno...
Lancio! -
- Che...? Layla! Che stai facendo?!? -
- Cose. -

- Viaggiare per cinque giorni dal Texas a New York con te non faceva parte del piano. -
- Forge ha costruito una macchina del tempo, non dello spazio. E sono un'ottima compagna di viaggio. -
- Lasciamo perdere. Già è terribile averti con me, ma il futuro? -
- Fa schifo. -



Nel silenzio della stanza bianca rimangono una scacchiera di pezzi incompleti e un ragazzo-Fenice dai capelli rossi. Ricorda di aver dato fuoco alle stelle. Ricorda di essere bruciato. Ricorda di aver voluto divorare ancora qualcuno che era già morto. L'ha uccisa...
- Addio, Layla Miller. -
… Sophie?



- Mi dispiace, Jean. Mi dispiace. Perdonami. -
- Per cosa, Logan? -
- Mi dispiace che tu sia qui. Che tu sia tornata. Non ti meritavi di vedere questo, Jean, di essere qui. Non è stata colpa tua. Davvero, perché non sei rimasta dov'eri? -
- Volevo tornare. Volevo... volevo vedervi. Logan, dove sono tutti? -
- Sono morti, Jean. Sono tutti morti, io ho... sono morti. Non c'è più nessuno che sia vivo, e anche questo mondo non lo è più. Stiamo morendo. -
Lei alza le braccia, finalmente, e gli passa le dita sulla schiena: tra la peluria lungo la colonna vertebrale e poi sulla nuca, nei capelli lunghi, risalendo con gentilezza.
- Ssssh... - Gli soffia in un orecchio, dolce. - Va tutto bene, Logan. Va bene così. - E poi, dopo un attimo di silenzio: - Adesso sono qui io. -
La voce della Fenice gli riempie la testa.
- Sei qui per distruggerci? - Domanda serenamente. La distruzione è morte. La distruzione è la fine, netta, pulita, un lavoro pietoso.
- Sono qui per salvare. -

- Un lavoro per Fenice. -


- Non c'è più niente da salvare. -
- Andrà tutto bene, Logan. Io non lo lascerò morire. -

E poi, nel silenzio:
- Vivi, Logan. Vivi. -

Sulla Terra, su tutta la Terra, comincia a piovere.







Note (lunghissime) dell'autrice:
Prima di partire con i riferimenti e le citazioni, una nota sull'impaginazione: ho cercato di riprodurre una pagina quanto più possibile visiva; che richiamasse in un certo senso quella di un fumetto, ampi spazi, divisioni, sezioni spostate a destra o al centro. Non sono sicura del risultato, ma tutto sommato mi sono divertita nello scrivere così.

Come specificato nell'introduzione, la storia si ispira principalmente alle saghe di Old Man Logan (Vecchio Logan, pubblicata in Italia dal numero 231 al numero 237 di Wolverine, conclusa sul numero 242), di Mark Millar, disegni di Steve McNiven, e di Here comes tomorrow (Spettri dal futuro, pubblicata in Italia sui numeri 49 e 50 di X-Men - 173 e 174 della normale numerazione) di Grant Morrison, disegnata magistralmente da Mike Silvestri, della quale riprende una delle possibili traduzioni letterali del titolo.
I primi tre paragrafi in corsivo sono tratti da Here comes tomorrow, e così diversi elementi presenti all'interno della storia (non ultimo il nome delle Tre-in-Uno, più comunemente conosciute come Naiadi di Stepford). Ho cercato di adattarmi per quanto possibile allo stile, alla forma, alle scelte un poco surreali di Morrison piuttosto che a quelle estremamente crude e realistiche di Millar: le Tre-in-Uno sono giovani perché così erano nella sua saga, malgrado il tempo passato; Emma Frost, invece, è quella di Old Man Logan, moglie del Dr.Destino e a capo dell'ultima riserva mutante. Bruce Jr. è il piccolo - e macabro - nipote di Hulk che Wolverine sceglie di portare con sé nell'andare alla liberazione della devastata America. In una mescolanza di possibili futuri Alfiere forse è passato anche qui a portare la devastazione all'inseguimento di Hope e Cable, forse è stata una normale conseguenza di eventi terrestri, a scelta del lettore. Le Naiadi di Stepford hanno ancora pezzetti di Fenice sigillati nei propri corpi (come visto nella saga di Phoenix Warsong, di Greg Pak, disegni di Tyler Kirkham, numeri 150 e 151 di X-Men Deluxe) sino alla morte, e questo impedisce a Jean Grey di tornare per tempo.
E, uh, la Fenice dai capelli rossi e il vestito verde che in Here comes tomorrow spiega a Jean cosa fare del suo universo - e che poi ricomparirà nel numero 161 di X-Men Deluxe, nella saga alternativa What if Vulcan Gained the Power of the Phoenix?, di Christopher Yost, disegni di Larry Stroman - è Quentin Quire. Io ne sono assolutamente convinta e niente che non sia Grant Morrison tramite dichiarazione ufficiale, siglata e controfirmata, riuscirà a persuadermi del contrario. Dopotutto anche Quire ha avuto la Fenice, anche se per poco tempo, ed è stato la Fenice (Phoenix Endsong, di Greg Pak, disegni di Greg Land, pubblicata dal numero 132 al numero 136 di X-Men Deluxe).
Mi sembrava una buona scelta affiancargli Layla Miller: perché è un personaggio magnifico, forse uno dei più interessanti e meglio costruiti degli ultimi anni, e perché è ancora talmente poco delineata nelle storie degli X-Men pubblicate in Italia da permettere ampia libertà nel lavorarci sopra. In questo futuro Layla ha fatto una “sosta” prima di completare il proprio viaggio nel tempo con uno dei doppi di Madrox, come narrato nella saga di Messiah Complex (dal numero 219 al numero 221 di X-Men e dal numero 162 al numero 164 di X-Men Deluxe, di Ed Brubaker, Mike Carey, Peter David, Chris Yost & Craig Kyle, disegni di Marc Silvestri, Billy Tan, Chris Bachalo, Scot Eaton e Humberto Ramos): il dialogo inserito a spezzare l'ultima scena nella Stanza Incandescente è tratto per l'appunto dal numero 162 di X-Men Deluxe. L'idea della scacchiera è ispirata a Ri-X-Aminations (sul numero 154 di X-Men Deluxe, di Peter David, disegni di Pablo Raimondi, ripresa del celebre X-Aminations, su X-Force 12, di Peter David); e poi, ovviamente, al nostro Alfiere.
E, per chi se lo fosse chiesto, Terra 616 è la definizione ufficialmente accettata dalla Marvel per la continuity della Terra presa normalmente in considerazione nelle sue storie: il che fa di questo racconto una what if...?, un futuro alternativo, e non un'AU, un universo alternativo.


Giudizio di vogue91
5°Classificata (a parimerito) elos.gordon- “Qui viene il domani”
- Correttezza Grammaticale: 10/ 10
Errori? Quali errori? Né di battitura, né di distrazione. È impeccabile, non c’è nulla da dire se non complimenti.

- Lessico e Stile: 10/10 Mi è piaciuto molto lo scorrere della storia. La fusione dei due nuclei, narrazione centrale e scene Layla/Quentin, è encomiabile. Come del resto, è apprezzabile il lessico che usi, che oltre ad essere appropriato, si adatta alla situazione descritta, cosa che raramente accade (mi capita spesso di leggere fic ricche di paroloni, con contenuti zero).

- Attinenza alla Citazione: 16/20
E qui un po’ casca l’asino. Perché la citazione è inserita alla perfezione, nel suo contesto è più che adatta. Solo che rimane, a mio avviso, un momento a sé stante, qualcosa che si separa dal resto della narrazione (bada, non mi riferisco all’intera sezione dedicata a Layla e Quentin, ma solo all’utilizzo in sé della frase). In virtù di questo, ho cercato di darti un voto neutro... e mi dispiace perché, come ho detto, se inserita in un ambito più ampio, sarebbe stata assolutamente perfetta.

- Originalità: 13/15
Non ti ringrazierò mai abbastanza per le tue note. Non rivedo tutta la saga di X-Men e derivati vari da un po’, quindi mi hai aiutato a fare mente locale. E ti dirò, valutare l’originalità della tua storia non è affatto semplice. Non ci può essere un punteggio pieno, semplicemente per il fatto che, pur innovando, riprende anche tanto. E non è un male, la storia è sviluppata più che bene. Sono i punti di partenza a fare sì che la valutazione non sia il massimo.

- IC dei personaggi: 9/ 10
Quasi tutti i personaggi sono completamente IC. Il carattere di Layla è magnifico. È vero che non è un personaggio particolarmente analizzato, ma d’altro canto la tua caratterizzazione le rende pienamente giustizia. Così come a Quentin (e... la Fenice? Lui? Oddio... vedo le cose da una diversa prospettiva). Anche Jean è perfetta, seppur non compaia in poche righe esprime coerentemente il lato “buono” di sé (uno fra i milioni di caratteri che possiede). Logan... certo, la situazione è quella che è. Ma devo ammettere che il suo atteggiamento, il suo modo di fare passivo, rinunciatario... stona un po’. Torno a dire che ovviamente non mi aspettavo che andasse in giro ad attaccar briga e a fare del sarcasmo in un momento del genere. Forse, mi aspettavo una reazione diversa.

- Giudizio Personale: 4/5
Mi è piaciuta la tua storia, senza ombra di dubbio. Trasmette sconforto, fa pensare. E, l’inserimento di Layla e di Quentin, pare la calma in mezzo alla tempesta. È un effetto davvero piacevole. E poi, lasciatelo dire, ma scrivi davvero meravigliosamente. Una proprietà di linguaggio e di espressione eccellente. Anche se avessi scritto la storia più noiosa del mondo, sarei probabilmente rimasta incollata comunque a leggere. Come ho detto prima, l’unica nota discordante, è Logan... l’ho trovato troppo “umano” per i miei gusti. Ma è una piccolezza, davanti ad una fic così ben curata. Complimenti!
Totale: 62/70

Premio Stile: elos.gordon, “Qui viene il domani”




  
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