Giudizio dell’autore: Essendo una sorta di “commission” mi sono impegnato parecchio, e devo dire che mi è piaciuta particolarmente *v*
Quanto gli aveva urlato dietro
perché se ne andasse, e ora che se n’era davvero andato, si era accorto
quanto
già gli mancasse.
Non era passato neanche mezzo
minuto. E non avevano mai litigato così tanto.
Era stata la febbre a renderlo
tanto nervoso e intrattabile?
Adesso, lì, in quella fredda
stanza, con la fronte che quasi gli sembrava scoppiare a causa del
bollore, ne
fissava le bianche pareti, che gli sembravano trasudare fango.
Un’allucinazione? La cosa stava
diventando preoccupante.
Al limite delle forze, si gettò esanime
sul letto, mantenendo il suo faccione arrossato diretto verso il
soffitto,
mentre con una mano, goffamente, a tentoni tentava di prendere qualche
medicina.
L’acqua gli sgorgò tutta addosso,
bagnandolo tutto, rendendolo simile ad una di quelle bambole inutili
che sanno
solo sbrodolarsi addosso.
“Merda…”
Giusto quando stava ormai
prendendo in considerazione di appisolarsi – l’unica cosa che poteva
fare in
quelle condizioni – la porta si aprì di scatto, permettendo all’ospite
sornione
di entrare.
“Lovi, Lovi, piccolo mio…”
“Che… Che cazzo stai dicendo?
Come fai ad avere la faccia tosta di chiamarmi ancora in quel modo, eh?”
Con uno scatto di rabbia mista ad
irritazione ed orgoglio, Lovi si era rimesso in posizione seduta,
osservando
dal suo giaciglio il castano che faceva irruzione nella sua stanza, col
suo
immancabile sorriso amorevole stampato in volto.
“T-Ti ha dato di volta il
cervello? Esci da qui!” Lovi afferrò la prima cosa di consistente che
trovò –
una pantofola – per lanciarla senza scrupoli all’impavido e tenace
intruso.
Lui, degno del soprannome invincibile
donato alla sua armada – che, ahimè, non si dimostrò tale – continuò
imperterrito a dirigersi verso il compagno, senza perdere il sorriso,
nonostante la pantofola l’avesse colpito precisamente nella fronte con
notevole
intensità.
“Vuoi buttarmi fuori da casa mia!
Pffff…” Antonio si lasciò sfuggire una grossa risata, dandosi una
leggera pacca
sulla fronte, finendo poi per spazzolarsi i capelli con quella stessa
mano,
giusto per recuperare un po’ di serietà.
“Ho sbagliato a esprimermi, che
cazzo vuoi?”
“Ah, Lovi…”
Con una faccia che non fu mai più
serena, Antonio riuscì finalmente a raggiungere l’agognato letto,
pronto
baciare dolcemente l’orecchio del suo acido amato.
“… Ngh.” Quel suo verso manifestò
chiaramente un abbozzo di piccolo piacere, che lui per orgoglio cercava
di
nascondere. Sviò quindi l’attenzione da quel suo gemito, interrogando
lo
spagnolo: “Non sei arrabbiato con me?”
“Secondo te potrei mai esserlo?
Sei sempre stata una peste, fin da piccolo. Eppure, non ho mai smesso
di
prendermi cura di te.”
“Nngh… non te l’ha chiesto
nessuno, bifolco!”
“Lo so.” Rispose compiaciuto Antonio,
avvicinandosi sempre di più a uno sfuggente Lovino che, sdraiato privo
di forze
sul letto, si spostava pian piano verso il lato opposto ogni volta che
il
sedere di Antonio guadagnava centimetri sul letto. “E’ proprio questo
che rende
la cosa altamente disinteressata e
simbolo d’amore.”
“Te lo puoi tenere il tuo amore.
Sto male.” Rosso in volto, per azione sincronica di febbre e imbarazzo,
Lovi si
voltò dal lato opposto, cercando di nascondere il proprio volto dagli
occhi
inquisitori di Antonio. Ma quelli non smettevano di fissarlo,
dipendenti
com’erano dal loro oggetto d’amore.
“Ma quello è la migliore cura.” Sussurrò suadentemente
Antonio
all’orecchio scoperto di Lovino, mordicchiandolo poi leggermente e
pizzicandolo
con la lingua, in risposta al piccolo gemito che il morso aveva
strappato
all’italiano.
“Fanculo. Questo non farà che
accalorarmi.”
“Non lo sai che il calore
sconfigge i batteri?”
“Tu prova a sconfiggere prima
me.”
“Oh, giusto quello che volevo
sentirti dire.”
Con una mano poggiata sotto il
mento e l’altra dietro la nuca dell’italiano, Antonio catturò Lovi
portando le labbra del suo amato alla
portata delle sue,
nel tentativo di smontare le difese dello tsundere in maniera delicata
e
passionale.
Lovino accettò il delicato gioco
della lingua che si proponeva e un attimo dopo si ritraeva, quasi a
farsi
desiderare, per poi tornare con maggior foga e passione.
L’italiano ne rimase quasi
stordito, completamente catturato da quel gesto d’amore. Abbassò un
attimo le
difese, e in un attimo si ritrovò Antonio sdraiato completamente su di
lui col
busto, mentre il bacino rimaneva sospeso, sorretto dalle gambe che
poggiavano
con le ginocchia sulla morbida coperta.
Le dita affusolate e morbide
dell’ispanico andarono a posarsi sul capezzolo di Lovino, tastandone
ripetutamente la circonferenza, passando più e più volte, in seguito,
sul
capezzolo turgido, provocando allo spagnolo una piacevole sensazione di
piacere, nel vedere il compagno eccitato.
“Ngh… no… stronzo… devo prima
prendere… l’antibiotico.”
Antonio si bloccò
improvvisamente. Certo, neanche a pensarci due volte. La salute del suo
amato
veniva prima di ogni qualsiasi suo egoistico piacere. L’uomo dagli
occhi verde
smeraldo, non era un tipo da lasciare i lavori a metà, e sapeva che
avrebbe
ripreso dopo questa breve interruzione. Lasciò tutto così com’era,
dirigendosi
in cucina per prendere bottiglia d’acqua e bicchiere, necessari per
l’ingoio
della pillola.
Versò accuratamente l’acqua, con
un’apprensione - in termini di cura - degni della migliore madre nei
confronti
del proprio figlio, ma forse l’eccitazione provata precedentemente o il
calore
suscitato dall’italiano, vollero che il sudore rendesse la sua mano
scivolosa,
rovesciando tutto il contenuto del bicchiere sul liscio petto di Lovino.
“Maledetto! Quella doveva finire
nella mia bocca!”
“In un modo o nell’altro, ci
finirà.” Antonio strizzò l’occhio in direzione del malato,
incominciando a far
incetta dell’acqua che si trovava sul petto, passando e ripassando su
ogni zona
con ampie leccate, asciugando tanto quanto ribagnando, lasciando in
sostituzione all’acqua delle particelle di saliva, che non mancarono di
suscitare, anche questa volta, una reazione di piacere in Lovino, in
risposta
allo stimolo.
“E adesso è arrivato il momento
di portarla a destinazione.”
Senza fare tanti complimenti,
Antonio reinfilò la sua lingua attraverso le labbra di Lovino,
restituendogli
metaforicamente l’acqua che aveva diligentemente raccolto. L’italiano
protestò
per i metodi irruenti, ma alla fine dovette piegarsi alla dominazione
dello
spagnolo, che realmente aveva preso inizio già centinaia di anni fa e
che stava
trovando uno dei suoi tanti compimenti in quella stessa giornata.
“Sei il solito bastardo.”
“E tu il mio unico oggetto
d’amore, meritevole di ogni mia attenzione.”
Un altro sorriso e Antonio versò
nuovamente l’acqua, porgendo il bicchiere a Lovino, che ingoiò la
medicina. Si
sedette per ingoiarla al meglio, appoggiando la schiena allo schienale
del
letto.
“Allora, ti senti meglio?”
“Mica fa effetto subito,
coglione.”
“Beh, ma se ci aggiungiamo
l’amore che ti ho donato finora…”
“L’amore non fa miracoli.”
“Strano, eppure…” Cominciò
l’ispanico, spostandosi ancora più vicino al suo Lovino: “Fino a pochi
minuti
fa ce ne dicevamo di tutti i colori e… adesso siamo qui insieme, così
vicini da
poter sentire perfino i battiti dei nostri cuori. Se non è
un miracolo, questo, cos’è?”
La faccia di Lovino divenne rossa
più di un peperone. Quelle parole avevano come distrutto le sue
barriere: il
suo volto era completamente paralizzato, le parole non volevano saperne
di
uscire fuori.
Colto dall’imbarazzo supremo,
scostò la testa di lato, non riuscendo a sopportare lo sguardo dello
spagnolo,
ma sapeva benissimo di essere ormai fregato. Antonio era accanto a lui,
e dopo
aver detto una cosa splendida come questa, lo avrebbe braccato finchè
non
l’avrebbe fatto sciogliere
completamente. Doveva prepararsi alla fine. Ed a trovare qualcosa di
dolce da
dirgli, una volta che sarebbe stato sconfitto.
“Lovi… è inutile fuggire dai
propri sentimenti, tanto bene o male, prima o poi, ti verranno a
cercare.”
“… Mpf. Io lo so meglio di
chiunque altro. Perché ancora oggi, non riesco a spiegarmi, come possa
essermi
innamorato di un bastardo come te.” E proprio lì, proprio nel momento
in cui lo
apostrofava come bastardo, il suo volto si imporporò in maniera ancora
maggiore.
“Io me lo so spiegare benissimo.
Perché adoro il tuo modo infantile di voler nascondere i tuoi
sentimenti e il
tuo imbarazzarti quando esagero nel coccolarti; l’espressione angelica
che
assumi quando dormi, e quella contrariata quando fingi di odiarmi; il
tuo voler
badare alla casa per farmi felice e…”
“Antonio…” Lo interruppe Lovino.
“Basta parlare di me. Parliamo di
te.”
“Di me? Non sono molto bravo a
parlare di me, però posso parlare di qualsiasi altra cosa per ore ed
ore.
Ricordo quando feci il cassiere…”
“Tu ti sei sempre preso cura di me.
Grazie.”
“Lovi… non ha senso che tu mi
ringrazi.”
“Se tu non ti fossi preso cura di
me, io…”
“Andiamo, su, adesso non…”
“Abbracciami.” Mormorò con un filo di voce Lovino,
aderendo
completamente sul petto dello spagnolo, che lo cinse con le sue braccia
abbronzate.
“Ogni volta che mi hai protetto, tu… è stato come abbracciarmi e
tenermi
stretto a te. Proprio come in questo momento. E’ stato
come farmi tuo.”
“Non avrei potuto lasciarti nelle
mani di nessun altro. Perché nessuno avrebbe mai potuto amarti come io
amo te.”
“Vuoi che ti dica che… la penso
allo stesso modo?” Il volto di Lovino si innalzò dritto precisamente
verso
quello dello spagnolo; Antonio sentì lo smuoversi della testa
dell’altro sul
suo petto, abbassando il volto e ritrovandosi di fronte gli occhi
lucidi di
Lovino. A quel punto, e solo a quel punto, la risposta gli uscì
spontanea:
“Perché mai dovrei volerlo, se la tua faccia dice di più di quanto tu
mi abbia
voluto far capire?”
“Dannazione. Sei sempre stato
scorretto tu. Sei sempre riuscito a leggere nel mio cuore. E come ogni
volta,
quello che scoppia a piangere sono io.” Neanche aveva finito la frase,
e Lovino
si era già stropicciato gli occhi per asciugare qualche piccola lacrima
di
felicità che mai avrebbe potuto rimanere all’interno del suo corpo.
Lo spagnolo lo strinse ancor più
fortemente a sé, tanto che riuscì a sentire quelle calde lacrime
percorrergli
il collo. “Lovino… te quiero, te amo, te…”
“Te amo también.” Lo anticipò Lovino, gettando le sue
braccia
attorno alla schiena dell’altro e attaccando la propria testa al collo
dello
spagnolo, quasi a volersi nascondere dall’imbarazzo.
“Lovi… Lovi… piccolo mio…”
Ripetè, immergendo la sua mano tra i capelli nel partner, facendola
sguazzare
in essi. “Non c’è litigio senza pacificazione.”
“Stringimi.”
“Sono qui per questo, mi chico.” Gli rispose, mentre
continuando a stringerlo nell’abbraccio, si raggomitolava su di lui, in
maniera
da aderire ad ogni centimetro del corpo dell’altro.
“Vorrei che questo momento non
finisse mai.”
“Finirà. Ma ne seguiranno altri, altrettanto belli.”
Lovino sorriso compiaciuto: le
lacrime non volevano accennare a smettere, ma andava bene così. Aveva,
ancora
una volta, aperto con grande difficoltà il suo cuore, rendendo
manifesto ciò
che ogni volta tentava goffamente di nascondere.
Almeno per il prossimo mese, era
salvo. Avrebbe potuto continuare a chiamarlo bastardo, far finta di
svincolare
dalla sua presa, tirargli mobilia e pomodori addosso, evitare di
arrossarsi in
viso e farsi cogliere dall’imbarazzo supremo.
Adesso avrebbe pensato solo a
godersi quel momento e quell’abbraccio perché, in fondo, se
l’era meritato.
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Ah, ovviamente, dedicata ad Ily,
avec amour <3 *Francis inside*