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Autore: cabol    24/05/2010    0 recensioni
Una locanda di un piccolo borgo isolato da una tormenta di neve diventa teatro di misteriosi fatti di sangue.
«Cosa cambia? Innocenti o colpevoli. Io non credo che volessero davvero uccidere. E poi, chi è davvero innocente, a questo mondo? Che differenza c’è fra un morto assassinato e uno giustiziato? Il primo muore nascosto, il secondo offre un edificante spettacolo alla popolazione. E quanti sghignazzano, davanti a quell’agonia! Chissà se a loro interessa se si tratta di un colpevole o un innocente… forse gli basta soddisfare la propria sete di sangue. Ma un morto è sempre un morto. No, amico mio. Uccidere mi fa orrore. Fare uccidere, altrettanto».
Un'avventura fantasy secondo i canoni del mistery.
Mille e mille sono le leggende che i bardi raccontano, sull’isola di Ainamar. Innumerevoli gli eroi, carichi della gloria di imprese epiche. Eppure, in molti cantano anche le imprese di un personaggio insolito, che mosse guerra al suo mondo per amore di giustizia.
Genere: Avventura, Fantasy, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'I misteri di Ainamar'
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Capitolo 3

Capitolo 3: Tracce

L’ampia sala da pranzo della locanda era invasa da un gelo che neppure il fuoco vivace del grande camino riusciva a scacciare. Volti pallidi e tesi si guardavano con reciproco sospetto mentre fuori la tormenta infuriava, ululando lugubremente fra le case spaurite del piccolo villaggio. Candele e lucerne proiettavano ombre paurose e tremolanti sui gelidi muri di pietra. Sui tavoli spogli poggiavano solo gomiti irrequieti e piedi nervosi picchiettavano sul pavimento della sala. Nessuno parlava, nessuno osava muoversi. Nessuno aveva voglia di mangiare, sebbene l’ora di pranzo fosse passata da un pezzo. Quando la porta del locale si spalancò improvvisamente, seguita dal vento ghiacciato della tormenta, tutti gli occhi si puntarono sull’imponente figura di Stanley Cannon, coperto di neve e scuro in volto. Con lui entrarono Deckard e Ross, e il gelo divenne ancora più intenso.

«Era laggiù, in fondo alla scarpata, insieme al carro e al cavallo». Cannon rispose con voce lugubre alla muta domanda che tutti quegli occhi gli avevano posta. «Lo recupereremo quando il tempo ce lo permetterà. Ucciso da un colpo di pugnale. Milord, avevate ragione».

«Speravo di essermi sbagliato, signor Cannon». La voce quieta di lord Bailey suonò tristemente lieve nella sala silenziosa. Gli occhi del gentiluomo percorsero i tavoli e i volti grigi degli avventori. «Questo significa che probabilmente, fra noi, c’è un assassino. Più d’uno, forse».

Numerose voci suonarono concitate in una cacofonia di domande e proteste, emozioni che si mescolarono al gelo e alle ombre. Paura, indignazione, confusione, stupore, sospetto, minaccia, sconcerto. E un gelo ossessionante che invadeva le menti e i cuori. Il gelo dell’orribile consapevolezza di essere rinchiusi insieme a chi aveva ucciso uno di loro. Il gelo dell’anima del colpevole. Il gelo di chi temeva per la propria vita. Il gelo di chi si sentiva responsabile di quanto era accaduto e sarebbe accaduto nella sua casa. Il gelo era ovunque.

«Ora basta, maledizione!». La voce di Cannon tuonò nella sala spegnendo il turbinare di parole che la soffocava. Il suo sguardo furente frustò i volti delle persone radunate intorno ai tavoli. «Ma l’avete capito che è stato ammazzato un uomo? Uno di noi! E l’assassino è qui».

Il piccolo gnomo, pallido come un cencio, pareva respirare a fatica, con gli occhi pieni di lacrime. Teneva gli occhi fissi sulla massiccia figura di Laurel, il capocomico, salvo lanciare in qua e là qualche fugace sguardo spaventato.

«Ma come fate a dire che l’assassino è qui? Non potrebbero essere stati dei briganti che hanno sorpreso Will… ehm, il signor Pasterron mentre stava lasciando il paese?». La ragazza dai capelli rossi, si era alzata e aveva preso a camminare nervosamente fra i tavoli. Indossava un abito sgargiante e ancora più scollato di quello della sera precedente, che attirava molti degli sguardi dei presenti. La chioma leonina si muoveva a scatti e i suoi occhi chiari vagavano sui visi della gente, apparentemente vedendo, però, cose ben più lontane. Cannon sorrise un po’ a forza, poi rispose alla donna.

«Se Pasterron fosse stato ucciso da un colpo di balestra, come la sua pantera, l’ipotesi dei briganti poteva avere un senso. Ma lui è stato pugnalato, signora. Dunque, l’assassino gli si è potuto avvicinare tanto da poterlo colpire. È chiaro che il signor Pasterron conosceva il suo assassino e riteneva di non doverlo temere».

Il giovane marito di Miriam prese la parola balzando in piedi su un tavolo. Tutti gli sguardi si fissarono su di lui che sorrise alla moglie, prima di rivolgersi al locandiere.

«E allora, perché ha liberato la pantera? Evidentemente l’ha fatto per scatenarla contro i suoi aggressori, nel tentativo di salvarsi. Fra l'altro whip aveva una balestra da mano nascosta sotto la cassetta del carro. E sapeva usarla bene. Dovevano essere in tanti, hanno ucciso la pantera, sono saltati sul carro e l’hanno ammazzato. E noi perdiamo tempo qui dentro».

Un’ondata di sollievo percorse la locanda. L’ipotesi era credibile. Doveva esserlo. Se gli assassini si fossero rivelati dei misteriosi briganti, la faccenda avrebbe preso tutto un altro aspetto, decisamente meno angosciante. La maggior parte dei presenti sperò fortemente che le cose fossero effettivamente andate così.

Deckard guardò lord Bailey che pareva perso dietro chissà quali pensieri e non sembrava granché interessato alla discussione che stava svolgendosi nella locanda. Il barbaro aveva molta fiducia nel giudizio del suo amico e aveva la netta impressione che non concordasse affatto con quella ricostruzione dei fatti. Provò a porre un’obiezione.

«Se le cose sono andate così, perché i briganti avrebbero sottratto il collare alla pantera?». Il suo amico aveva dato molta importanza a quel particolare, sicché provò a usarlo per vedere che effetto avrebbe fatto.

«Ebbene? Che cosa ci importa del collare, adesso? L’avranno preso come una sorta di trofeo… che cosa volete che cambi la presenza o l’assenza di un collare?». Era stato Faulkner a rispondere. Quel barbaro gli stava antipatico. Assurdo che un uomo di classe come lord Windström si fosse scelto una guida rozza e brutale come quell’individuo. «Che valore volete che abbia un collare di una bestia? Ovviamente nessuno!».

«Ovviamente, signor padre. A meno che quel collare non celasse qualcosa…». Miss Faulkner si era avvicinata al padre, mettendogli dolcemente una mano sulla spalla e spingendolo a sedersi. «… qualcosa di molto prezioso. Qualcosa per cui varrebbe la pena uccidere». I vivaci occhi della fanciulla girarono per la sala, incrociando tensione, confusione, paura.

«Ma che razza di stupidaggini dici, Lilian?». Cedric Faulkner non credeva alle sue orecchie. La sua dolce e obbediente figliola che si permetteva di mettere in dubbio la sua opinione? Una cosa mai vista alla quale si doveva immediatamente porre termine.

«Perché stupidaggini?». La giovane locandiera intervenne con la sua solita disinvoltura. «Avete la fortuna di avere una figlia capace di usare la testa e vorreste farla tacere? L’ipotesi di miss Faulkner regge quanto l’altra, se non di più». Monia sfoderò un sorriso seducente che fece arrossire violentemente messer Faulkner.

«D’altra parte, se la mia ipotesi ha un fondamento, lo si può verificare facilmente». Miss Faulkner, forte della nuova alleata, si rivolse agli astanti con fare un po’ teatrale. «Basta controllare i bagagli di ciascuno di noi. Nessuno di noi, immagino, viaggia con oggetti di gran valore che potevano essere nascosti nel collare di quella bestia. Se qualcuno ha qualcosa del genere, vuol dire che è l’assassino».

«Lilian! Sei impazzita? Io non ti permetto…». Messer Faulkner era diventato rosso come un tacchino, travolto da un misto di rabbia, indignazione e vergogna. Quella figliola aveva davvero perso il senno. E stavolta non sarebbe bastata una scollatura a farlo star zitto.

«Perché no?». Il giovane acrobata interruppe l’iracondo mercante. «Io sono d’accordo con miss Faulkner. Perché dobbiamo mantenere dei dubbi? Per quanto mi riguarda, la mia stanza è a disposizione». Jeff guardò la bionda damigella e le sorrise galantemente. Miss Faulkner rispose distrattamente al sorriso, con lo sguardo che corse subito altrove, cercando due occhi verdi che, però, parevano rivolti chissà dove.

«Anche la mia». Oliver Laurel sembrò lieto di accettare la proposta che avrebbe potuto fugare i dubbi e le paure che popolavano la sua mente. Il locandiere approvò subito la proposta, poi si rivolse al gentiluomo che pareva sonnecchiare davanti al camino.

«Milord?».

Lord Bailey si riscosse e si rizzò sulla sedia, volgendo lo sguardo sul locandiere e incrociando gli occhi trepidanti di miss Faulkner. Sorrise affabilmente.

«Eh? Ah, certo! Ovviamente, potete frugare anche nella mia stanza. Ed anche sulla mia persona. Credo che miss Faulkner abbia avuto un’ottima intuizione. Sei d’accordo, Deckard?».

Il barbaro guardò incuriosito il suo amico. Cosa stai macchinando? Ovviamente non ebbe obiezioni di sorta.

«Be’… sì, va bene».

Cannon sorrise soddisfatto. Poi si volse verso i due fratelli che stavano parlottando fra loro, in piedi, presso la porta della locanda.

«Bene, siamo tutti d’accordo. Anche Ross e Vernon, ci permetteranno di frugare in casa loro, ovviamente».

«Cosa?». Ross sgranò gli occhi. Vernon rimase a bocca aperta.

«Mi pare ovvio,» rispose Cannon, «siete anche voi parte in causa. Non siamo ancora certi che non siate stati voi a uccidere il signor Pasterron». L’imponente figura del locandiere torreggiò sui due fratelli che parvero rimpicciolire nella grande sala da pranzo.

«Ehm, va… bene». Ross aveva la bocca inspiegabilmente asciutta. «Non… non ci sono problemi… potete perquisire anche casa nostra».

Cannon lanciò un’occhiata sospettosa ai due fratelli che avevano assunto un’espressione torva e guardinga, poi si rivolse agli avventori della locanda.

«Bene, signori, ora non resta che perquisire le camere. Ovviamente, non possiamo farlo tutti e sarebbe opportuno che non lo facesse uno solo. C’è qualche volontario? Uno sarò io, chi mi accompagna?».

Un silenzio imbarazzato accolse il suo invito. Poi, in una babele di voci, si offrirono tutti, fuorché lord Bailey che continuava a sedere nei pressi del camino con lo sguardo perso fra le fiamme.

«Signori, per favore, non possiamo entrare tutti nelle camere. Milord, volete accompagnarmi voi?».

«Eh? Oh, no, signor Cannon, non mi sembra il caso. Suggerirei, piuttosto, che vi faceste accompagnare da miss Faulkner che mi sembra dotata di un notevole spirito d’osservazione, e dall’ospite della camera in questione. Così eviterete proteste e assembramenti. Che ne dite?».

L’idea venne approvata volentieri. Miss Faulkner fu decisamente orgogliosa della responsabilità e dalla fiducia accordatele dal gentiluomo, sicché gli rivolse un sorriso di gratitudine che fu ricambiato da un allegro ammiccamento.

Pochi minuti dopo, il piccolo comitato si avviò sulle scale per scomparire nel buio corridoio che conduceva alle camere, seguito, alla spicciolata da quasi tutti. Rimasero nella sala solo messer Faulkner e il giovane lord. Dopo qualche istante, il mercante ruppe il silenzio.

«Non capisco cosa sia saltato in testa a mia figlia, sapete? Mi ha messo in grave imbarazzo, eppure ho fatto di tutto perché ricevesse una buona educazione».

Il giovane guardò pensieroso il mercante.

«Infatti, è una ragazza ammirevole. Dovete esserne orgoglioso, sapete? Ha cultura, intelligenza, molto buon senso e spirito di osservazione».

Il mercante sembrò infastidito da quelle parole. Intanto, dalla cucina giunsero rumori di pentole. Evidentemente, la giovane cameriera non riusciva a restare inoperosa.

«Una donna deve essere prima di tutto ubbidiente! Il suo posto è la casa e la cucina! Che se ne fa della cultura o dell’intelligenza? Temo che sarà davvero difficile trovarle marito».

Il lord sorrise, alzandosi in piedi e allontanandosi dal camino. Avrebbe avuto tante cose da dire a quell'individuo ottuso ma si rese conto che sarebbe stato inutile. E c'erano cose più importanti da fare.

«Molto dipenderà da voi, messere». I suoi occhi si fissarono in quelli del mercante, che tentarono immediatamente di volgersi altrove.

«Come? Cosa avrei potuto fare di più?».

«Quel che avete fatto finora va bene, direi. Ora dovrete solo darle fiducia. In quella testolina c’è qualcosa che funziona bene e, se la lascerete fare, vedrete che vi darà molte soddisfazioni».

Il mercante trasecolò.

«Non vorrete dire che… dovrei lasciar scegliere a lei, vero? Una ragazza di quell’età non ha la più pallida idea di come scegliere un marito! Hanno la testa piena di stupide idee sull’amore. Che c’entra il matrimonio con l’amore?».

Il nobiluomo scoppiò a ridere.

«Non saprei proprio dire, messer Faulkner. Non sono mai stato sposato».

Sorrise ancora all’indirizzo del mercante e si diresse verso la porta del locale. Prese il mantello e spalancò la porta. Fuori nevicava ancora.

«Uscite, milord? Con questo tempo?».

«Il vento pare essersi calmato. Vorrei solo fare due passi all’aria fresca. Qui c’è odore di chiuso».

Il mercante si avvicinò alla porta spalancata, poi rabbrividì e guardò il giovane che si allontanava con passo lento verso la piccola piazza del paese. Rabbrividì ancora e chiuse la porta per precipitarsi vicino al fuoco. Questi ragazzi! Pieni di idee assurde. Anche i nobili cominciano a farsi conquistare da queste stupidaggini. Che mestiere difficile quello di genitore! Rifletté il mercante. Sospirò mentre si accomodava sulla sedia più vicina al fuoco. Quella figliola gli avrebbe dato un sacco di grattacapi se si fosse ostinata a usare tanto la testa.

Dopo una decina di minuti trascorsi fra queste riflessioni, messer Faulkner sentì la porta della locanda aprirsi, mentre entravano un sacco di freddo e lord Bailey.

«Non si resiste, messer Faulkner! Fa davvero troppo freddo». La voce allegra del gentiluomo si avvicinò e il mercante se lo vide spuntare accanto che si stropicciava le mani davanti al fuoco.

«Il vento si sarà anche calmato, milord, ma la neve basta a far raggelare». Messer Faulkner sfoggiò con orgoglio la sua saggezza di fronte alla gioventù scapestrata.

«E avanza, anche!». Rise il giovane aristocratico. «Sarà aria viziata ma almeno è calda. Dubito assai che ritenterò un’impresa simile finché non cessa di nevicare. Ho rischiato la pelle là fuori».

Il borghese e il gentiluomo erano ancora in conversazione, quando l’anziano capo della compagnia ambulante scese dalle scale.

«Messer Faulkner, tocca alla vostra stanza. Desiderate esserci?».

Il mercante balzò vivacemente in piedi.

«Potete scommetterci, mastro Laurel. Anche perché mia figlia pare aver perso il senno ed è bene che qualcuno con la testa sulle spalle si curi che tutto resti in perfetto ordine».

Messer Faulkner corse su per le scale brontolando ancora contro le sciocchezze che infestano i cervelli dei giovani, seguito dagli sguardi divertiti di lord Bailey e dell’anziano attore. Laurel si grattò i radi capelli grigi.

«Dovrebbe essere contento. Ha una figlia in gamba».

«Sono le stesse cose che gli ho detto io. Ma temo sia troppo pieno di preconcetti per capirlo. Speriamo che non debba avere rimpianti, il giorno che lo capirà». Lord Bailey tornò a sedersi sulla seggiola vicino al fuoco e invitò l'anziano istrione a fare altrettanto.

«Milord, avete idea del perché abbiano ammazzato whip?».

«Possiamo fare tante ipotesi, mastro Laurel. Il signor Pasterron non godeva di grande popolarità, mi sembra. E non possiamo neppure escludere l’ipotesi che siano stati dei banditi».

Laurel non parve molto convinto.

«Ma quando mai dei banditi escono con un simile tempo? Per avvicinarsi tanto a un villaggio, poi. A meno di non tentare di assalirlo ma allora sarebbero già qui». Un brivido scosse l'anziano attore che si avvicinò di più al fuoco.

«Lo so. Ma non possiamo escluderlo del tutto. Come non possiamo escludere che miss Faulkner abbia ragione. Oppure, potreste aver avuto ragione voi, accusando quei due attaccabrighe».

L'aristocratico si voltò verso il suo interlocutore, fissando i suoi occhi in quelli dell'uomo anziano che parve stranamente a disagio. Laurel grattò nuovamente i suoi pochi capelli grigi, poi scosse il capo.

«Non so che pensare. Lì per lì mi sembrava plausibile ma ora ci credo poco. Sono due teste calde ma un omicidio è una cosa grossa». Sembrava sinceramente perplesso. Il giovane lord tornò a fissare il camino. La sua voce suonò lontana. Un gran gelo gli correva lungo la schiena.

«Avete ragione. Ma, talvolta, le cose sfuggono alla volontà degli uomini e diventano più grosse di quanto vorremmo».

«Ma voi, cosa credete davvero, milord?». La domanda scaturì impetuosamente, come se non riuscisse più a trattenerla. Negli occhi dell'anziano attore c'era apprensione. Per la risposta che avrebbe ricevuto o per cos'altro? Il nobiluomo non avrebbe saputo dirlo. Esitò un attimo, prima di rispondere. Un ciocco si spezzò, nel camino, riempiendo l'aria di scintille. Una vampa di calore nel gelo.

«Io? Io credo che il vostro domatore sia stato tradito, mastro Laurel. Da qualcuno di cui si fidava ciecamente. Sarà una grave perdita per la vostra compagnia, temo».

Lord Windström fissò nuovamente gli occhi dell'attore. C'era tristezza. E, forse, l'ombra di una lacrima.

«Solo per certi aspetti. William era aitante e affascinante e la gente lo adorava mentre si esibiva con la pantera. Ma il vero domatore è Jorg. Lui sa trattare le bestie senza violenza e riesce a convincerle a fare praticamente qualsiasi cosa. Il lavoro lo faceva Jorg e whip si prendeva gli onori. Ma allo gnomo va… ehm, andava bene così. Non si è mai lamentato, nonostante whip talvolta esagerasse».

Il giovane gentiluomo ascoltò quelle parole con enorme interesse, osservando attentamente il suo interlocutore. I suoi occhi non persero un solo movimento delle labbra dell'anziano attore. Rimase un attimo in silenzio, prima di commentare.

«Questa cosa è molto interessante, mastro Laurel. E spiega molte cose. Jorg non si è davvero mai ribellato o lamentato?».

«Mai con me, almeno. Spero non sospettiate di lui. Vi assicuro che è incapace di far del male a una mosca».

Lord Bailey rimase in silenzio, con lo sguardo perso fra le fiamme del camino. Poi si riscosse e sorrise all’anziano attore.

«A volte, anche un buono perde la pazienza. A volte, le cose vanno oltre quello che ci aspettiamo. E, a volte, i buoni sono capaci di fare cose terribili quando diventano cattivi. Non possiamo escludere nulla, mastro Laurel, ma abbiate fiducia. Credo che verremo a capo di questa faccenda».

Lacrime rigavano le guance dell'anziano attore e il capo canuto era chino sul petto, scosso da silenziosi singulti. Il gentiluomo immaginò che Laurel avesse impiegato anni a costruire la sua compagnia, anni di sacrifici e umiliazioni. Negli ultimi tempi, finalmente, le cose dovevano essere andate per il verso giusto. Gli spettacoli avevano successo e il denaro era sufficiente a garantire a tutti una vita dignitosa e serena. Almeno, fino a poche ore prima. Ora tutto era finito. Tutto doveva ricominciare. Ma lui, forse, non aveva più la forza di ripartire. Monia comparve sulle scale per avvisare il nobiluomo che toccava alla sua stanza. Rimase perplessa nel notare lo sguardo sorpreso del giovane, quasi avesse visto un fantasma.

«Milord?».

«Monia! Ma siete stata su... finora?». Uno sguardo allarmato di lord Bailey si spostò dalla cameriera alla porta della cucina.

«Ma certo... non capisco... perché siete così sorpreso?». La ragazza rimase allibita, vedendo il giovane correre verso la porticina dietro il bancone. Chiaramente, c'era qualcosa che non andava, sicché gli corse dietro. Quando entrò nella stanza, trovò il nobiluomo davanti alla finestra semiaperta, che guardava qualcosa fuori.

«Milord, che succede? Perché avete aperto la finestra?».

Il giovane gentiluomo si voltò verso di lei, scuro in volto.

«Era già aperta, Monia. C'era qualcuno, prima. Qualcuno che ha ritenuto più prudente uscire da questa parte».

La ragazza spalancò i suoi grandi occhi. Poi corse accanto al giovane per guardare fuori. Orme indistinte si allontanavano dalla finestra, già quasi completamente cancellate dalla neve che continuava a fioccare abbondante.

«Ma chi può essere stato?». Monia trovava assurda quella fuga in mezzo alla tormenta. Nessuno sarebbe sopravvissuto a lungo con quel tempo.

«Manca qualcuno?».

«No... almeno... in quella confusione... può darsi, milord. Ripensandoci, non posso escluderlo». Erano tutti pigiati nel corridoio. Qualcuno nelle camere. Qualcuno era sceso e qualcun altro era salito. Come avrebbe potuto dirlo?

«Forse è meglio farli scendere tutti nella sala della locanda. Anche se...». Lord Bailey aveva di nuovo un'espressione assorta.

«Cosa?».

«No, nulla. Andate, Monia. Ritroviamoci tutti intorno al camino. E portate uno specchio».

La ragazza corse sulle scale, troppo curiosa di assistere agli sviluppi di quella faccenda per chiedersi che diavolo ci volesse fare il gentiluomo con uno specchio. Erano tutti nel corridoio e Monia piombò in mezzo agli ospiti come un tornado.

Il fuoco del camino scoppiettava vivacemente, proiettando lunghe ombre nella grande sala della locanda, arrossando i visi delle persone radunate lì attorno. Scuro in volto, l'imponente locandiere guardava quelle facce, cercando invano un'emozione, un indizio, qualsiasi cosa lo potesse condurre a capire chi fra quelli potesse essere l'assassino. C'erano sconcerto e paura, indignazione e rabbia ma nulla che gli permettesse di scoprire la verità.

«Allora. Chi di voi è uscito dalla finestra della cucina?». Silenzio.

«Permettete, signor Cannon?». Il giovane aristocratico si alzò dalla seggiola per porsi di fianco al locandiere.

«Certamente, milord».

Lord Bailey guardò i visi intenti delle persone radunate intorno al camino. Sollevò la mano sinistra, che impugnava un piccolo specchio di bronzo. Sorrise.

«Miei cari signori, è indubbio che, poco fa, qualcuno di voi è uscito di soppiatto dalla cucina. Dal momento che ci siamo tutti, è inevitabile che questi sia anche rientrato, da qualche altra finestra. Ovviamente, possiamo escludere che qualcuno sia entrato e poi uscito dalla cucina perché c'era solo una serie di impronte, che si allontanavano dalla locanda».

Il grasso capocomico si agitò sulla seggiola che scricchiolò pericolosamente sotto il suo peso.

«Ma se è rientrato, perché è uscito? Intendo dire, evidentemente non pensava di scappare. E allora, che motivo poteva avere per uscire con questo tempo?».

«Ce lo faremo dire da lui, mastro Laurel».

Miss Faulkner spalancò gli occhi, guardando stupita il giovane.

«E come?».

«Semplice, signorina Faulkner. Avvicinerò questo specchio a tutti i presenti. Chi è uscito deve avere ancora le vesti umide, quantomeno le calzature. Lo specchio si appannerà e ci dirà chi è stato». La voce di Lord Bailey era diventata decisa e dura. Ora faceva pesare come il comando delle operazioni fosse passato completamente in mano sua. I suoi occhi non sorridevano più, mentre sollevava lo specchio davanti a sé, avvicinandosi alle persone sedute accanto al fuoco, guardando i loro volti smarriti, i loro occhi spalancati. Solo il piccolo Jorg sostenne sorridendo il suo sguardo, forse il primo sorriso di quella giornata, per lui.

Improvvisamente, Ross e Vernon cominciarono a correre verso la porta.

Deckard si lanciò sulle loro tracce ma si rese subito conto che non sarebbe stato capace di annullare lo svantaggio prima che quei due riuscissero a uscire. Fu il giovane acrobata a scattare accanto a lui e balzare sui due fuggiaschi, rallentandone la fuga. Una breve zuffa e due formidabili pugni del barbaro chiusero definitivamente l'inseguimento.

«Complimenti, ragazzo, bello scatto». Deckard sorrise al giovane Jeff.

«Grazie. Non so come avrei potuto fermarli, senza il vostro aiuto, però». Un pugno di uno dei due fratelli lo aveva colto al viso e il suo labbro inferiore sanguinava abbondantemente. La moglie accorse accanto a lui, pallidissima, cercando di detergergli il sangue.

«Come stai, Jeff? Sei stato davvero coraggioso, amore».

«Non è nulla, Miriam. L'importante è averli presi». Il sorriso del giovane parve rassicurare la rossa ballerina che riprese subito colore e abbracciò entusiasticamente il marito. Gli altri si erano fatti intorno a loro e il locandiere stava legando i due fratelli con delle corde robuste. Gli stivali di Ross erano evidentemente bagnati e così i calzoni, fino alle ginocchia. I due fratelli erano stati storditi dai micidiali pugni di Deckard e appariva probabile che sarebbe occorso diverso tempo, prima che si riprendessero del tutto.

Vicino al camino, lord Bailey osservava pensieroso la scena, mentre, a sua volta, era osservato dai grandi occhi di miss Faulkner. Si dovette accorgere dello sguardo della ragazza perché si riscosse e le rivolse uno dei suoi affascinanti sorrisi.

«Siete stato formidabile, milord».

«Davvero?». Il gentiluomo ridacchiava.

«Avete condotto il colpevole, anzi i colpevoli, a tradirsi. Certo, non avrei mai pensato al trucco dello specchio». La fanciulla pareva un po' dispiaciuta di non aver avuto lei quell'idea.

«Avreste fatto bene». Lord Bailey ora rise apertamente.

«In che senso?». Miss Faulkner assunse un'aria sospettosa.

«Non avrebbe funzionato mai. Si sarebbe appannato davanti a chiunque. Però era una cosa verosimile e l'hanno bevuta».

I grandi occhi della fanciulla si spalancarono pieni di stupore. Poi, lentamente, comparve il riso. Prima sul fondo delle pupille, per poi espandersi a tutto il suo viso affilato e intelligente. Rise di gusto, a lungo, ignorando gli sguardi di disapprovazione di suo padre, mentre il giovane lord parlava sottovoce col barbaro. Avrebbe continuato a lungo se un improvviso trambusto e alcune voci concitate non l'avessero richiamata bruscamente alla realtà.

«Smettetela!». Era Monia. La ragazza aveva la voce rotta di pianto.

«Sono stati loro! Che aspettiamo?». Questo era il giovane acrobata.

«Ma sì! Che aspettiamo? Prendete una corda!». Eccolo. Lilian sospirò, riconoscendo la voce di suo padre.

«Ma che siete impazziti?». Finalmente, la voce autoritaria di Laurel riuscì a sovrastare le urla degli altri. «Li volete ammazzare così? Dobbiamo consegnarli alle guardie».

«Hanno ammazzato whip! Questi due bastardi devono morire! Impicchiamoli ora!». La rossa intervenne con voce resa stridula dall'odio. Pareva che dovesse scoppiare a piangere da un momento all'altro, presa da una furia incontenibile e una profonda disperazione. Laurel si parò di fronte ai due fratelli che erano coperti di sangue e lividi, entrambi esanimi dopo i colpi ricevuti dalla coppia inferocita e da Faulkner.

«Li state ammazzando di botte! Ma siete diventati delle bestie?».

Cannon si mise a fianco del capocomico. La sua statura imponente e il nodoso bastone che teneva fra le mani furono sufficienti a far calmare gli animi più esagitati.

«Adesso finitela. Questi due li prendo in consegna io. Staranno rinchiusi in cantina fino all'arrivo delle guardie. In ogni caso, non sono più in grado a rispondere a qualsiasi domanda e, se volete linciarli, farete i conti con me».

«Ed anche con me, signor Cannon». Miss Faulkner, fieramente eretta, con la chioma aurea che le circondava il volto corrucciato si schierò accanto al locandiere. «E voi, signor padre, ricordatevi chi siete e non date altri spettacoli indecorosi di fronte a me».

Cedric Faulkner impallidì visibilmente. Si era reso conto di cosa stava facendo e che quella figlia ribelle stava dimostrando assai più buon senso di lui. In altri momenti l'avrebbe forse rimproverata ma le sue vesti erano macchiate del sangue dei due sventurati sui quali aveva infierito e non seppe far altro che arrossire e lasciarsi cadere su una sedia, col volto fra le mani.

Deckard, che era evidentemente uscito fuori dalla locanda dopo aver catturato i due fratelli, rientrò nella sala. Si tolse il mantello e fece per raggiungere il suo amico, quando vide Cannon che stava portando in cantina Ross ancora esanime e col volto tumefatto.

«La tormenta è cessata. Presto la strada tornerà transitabile. Ehi, che cosa è successo?». Guardò Vernon e sbarrò gli occhi. «Ma io li ho colpiti con solo due pugni... come hanno fatto a ridursi così?».

La cena, quella sera, fu particolarmente silenziosa. Non c'era sollievo nella piccola comunità assediata dalla neve. Neppure il sapere che l'indomani sarebbe stato possibile ripartire pareva alleviare il senso d'oppressione che si respirava nella sala. I tavoli erano silenziosi e spogli. Pochi parevano aver voglia di mangiare. Meno ancora di parlare.

Monia guardò con apprensione la porta della cantina. Aveva avuto cura di portare uno scaldino ai due prigionieri che erano ancora privi di sensi, quando lei era scesa giù, accompagnata dalla rassicurante scorta del robusto barbaro. Non riusciva a togliersi dalla testa i loro volti tumefatti. E i visi sconvolti dall'ira delle persone che avevano tentato di linciarli. Anche suo padre, sulle prime, era stato tentato di partecipare al tentativo di fare giustizia sommaria ma era bastato un solo sguardo alla sua adorata figliola per farlo schierare dalla parte opposta. Stanley Cannon era un uomo facile all'ira ma dal cuore buono e profondamente onesto.

Solo miss Faulkner pareva aver conservato la sua loquacità. Stava tempestando il nobiluomo di domande e ipotesi, alle quali giungevano risposte cortesemente evasive che, però, non la facevano demordere. Monia sorrise. Aveva simpatia per quella vitalissima ragazza. Lei stessa si reputava, a ragione, intelligente ma quella fanciulla aveva un acume che Monia trovava impressionante. Inoltre, pur essendo una giovane di buona famiglia, era assolutamente priva della spocchia che, invece, il padre non mancava mai di esibire. La cameriera pensò che sarebbe stato bello avere quella ragazza per amica.

La porta della locanda si aprì e Stanley Cannon rientrò nel locale. Pareva assai pensieroso. Si diresse a grandi passi verso il tavolo dei Faulkner e di lord Bailey e sussurrò qualche parola all'orecchio del giovane gentiluomo. Questi si alzò dal tavolo, scusandosi con i suoi commensali, e seguì il locandiere in cucina. Monia non seppe resistere. Acchiappò un vassoio vuoto e si diresse verso la porta dietro il bancone.

«...immaginavo qualcosa del genere, signor Cannon».

«Ma, allora? Cosa facciamo?».

«Temo che dovremo... oh, signorina Monia, che piacere! Siete sempre splendida!».

La ragazza era convinta di non aver fatto il minimo rumore, sicché sorrise, troppo sorpresa per replicare convenientemente, e raccolse qualcosa dal bancone per metterla sul vassoio e dirigersi poi verso la sala, con la netta sensazione di non averci capito nulla. Cosa stavano complottando quei due? Uscì dalla sala con passo svelto, decisamente seccata per non essere riuscita a scoprire di più. Però aveva visto qualcosa. Suo padre aveva in mano un pugnale e lo stava mostrando al giovane lord. Un sottile stiletto dal manico d'avorio. Un oggetto di un certo valore, certamente. Ma cosa c'entrava con quella storia? C'era solo una cosa da fare: parlarne con la signorina Faulkner. Quella ragazza aveva un cervello di prim'ordine e, forse, avrebbe saputo interpretare meglio di lei quel che stava accadendo.

Lilian Faulkner, non vedendo tornare lord Windström, teneva d'occhio la porta della cucina, chiedendosi cosa mai avesse da discutere col locandiere, quando vide la cameriera uscire dalla stanza con aria perplessa. Come si accorse che gli occhi di Monia la stavano cercando, la giovane si alzò con una scusa dal tavolo e si recò sulle scale, sempre tenendo lo sguardo incollato sulla bella locandiera. Monia si rese conto della manovra e sorrise. La piccola Faulkner aveva il cervello sempre pronto. La seguì sulle scale, trovandola in attesa, nel corridoio.

«Monia, volevate dirmi qualcosa?». La cameriera non si fece pregare e riferì tutto quel che aveva visto e il poco che aveva udito. La ragazza bionda l'ascoltava col massimo interesse, interrompendola, di tanto in tanto, con qualche domanda. Alla fine, rimase silenziosa, assorta nelle sue riflessioni.

«Lord Windström è veramente un uomo in gamba. Ha capito tutto. Ma ora, credo di avere capito tutto anch'io». Ammiccò alla cameriera, con aria complice. «Perché non smascheriamo noi gli assassini?».

 
  
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