Il Re d'Inverno
C'era
una volta, tanto tempo fa, un grande re. I suoi detrattori lo
chiamavano “Re Senzaterra”, perché il
suo regno era il luogo più
desolato del mondo, e nessuno vi abitava; ma in realtà egli
era il
re delle Terre del Nord, e tutti lo conoscevano come Re d'Inverno.
Ed
era bello! Aveva in sé la bellezza della
regalità, e la maestosità
dell'inverno... era alto più della media – mezzo
palmo in più di
una persona normale – e di carnagione chiara, sì
che sembrava a
volte uno spettro, a volte una figura scolpita nei ghiacci del suo
reame.
Chissà,
forse era davvero così! Si sarebbero spiegati i giochi di
luce tra i
suoi lunghi capelli biondi, e nella folta barba che incorniciava il
suo viso, tali che li facevano sembrare sempre innevati, come se
fosse immerso nella morsa di un gelo perenne.
Poiché
nel suo regno non vi era alcuno da amministrare, il Re spesso
viaggiava. Attraverso i reami vicini, sempre seguendo l'inverno,
visitando il mondo senza mai fermarsi, cercando qualcosa che
pacificasse il suo cuore inquieto...
E
non c'era corte in cui almeno una dama non dedicasse a lui un
pensiero, stregata dalla sua bellezza; ma era sempre un pensiero non
ricambiato, e per questo ne soffrivano, perché il suo cuore
era di
ghiaccio e come tale mordeva per il freddo, non per
crudeltà, ma
perché non poteva far altro; e il Re non conosceva i
sentimenti, e
non sapeva cosa volesse dire amare.
Durante
uno dei suoi viaggi, alla presenza della corte che lo ospitava si
trovava anche la cantrice più famosa del tempo…
la più famosa,
sia per la sua bravura nel canto e nella narrazione, sia
perché era
l'unica donna cantastorie che il mondo conoscesse.
Anche
di lei, come del Re, si sapeva molto poco. La sua vita era quasi una
leggenda come quelle che raccontava; ma nessuno si curava di
ciò
quando cantava, incantando chiunque con la sua voce. Per questo la
chiamavano Voce dell’Estate; e quanto era adatto quel nome!
Perché
davvero chi l’avesse sentita avrebbe riconosciuto nella
limpidezza
dei suoi toni lo scorrere lento e dolce dei fiumi, e la freschezza
del sussurro della brezza leggera tra le chiome degli alberi... o si
sarebbe perso nei suoi occhi, verdi come un prato rigoglioso, o
sarebbe rimasto incantato dai suoi capelli, rossi come il cielo al
tramonto.
Oh
sì! Anche lei era bella! E se il Re sembrava scolpito nel
ghiaccio,
tutto in lei diceva che era figlia delle foreste, e libera e fiera
come l’aria. E anche lei era amata, ma pochi avevano il
coraggio di
confessarlo; sembrava troppo divina perché i semplici uomini
attorno
a lei potessero sperare di essere ricambiati nella loro adorazione.
Così
Voce dell’Estate conobbe il Re d’Inverno, e anche
lei ne rimase
incantata: e quel giorno cantò come non aveva mai cantato
prima, con
tutta la forza della sua passione, sempre sperando in un cenno, o uno
sguardo del Re; ma egli rimase impassibile, sordo alla voce che
catturava ogni altra persona intorno a lui.
Ma
lei era un’avventuriera, e aveva viaggiato a lungo, come il
Re; e
non si arrendeva facilmente, perché la sua forza stava anche
nell’ostinazione con cui seguiva i suoi sogni.
Così si mise in
viaggio precedendolo; l’anno era giovane, e visitò
molte corti,
sempre cantando per lui, sempre narrando meglio di quanto avesse mai
fatto, sempre sperando di vedere un cambiamento in quel volto di
ghiaccio che sognava ogni notte...
Il
Re, però, non mutò mai la sua espressione,
né diede segno di
averla riconosciuta. L’anno volse al suo termine, ed egli si
preparò a tornare al suo palazzo, dove avrebbe passato i
prossimi
tre mesi, da solo, come era sempre stato, a riflettere, come aveva
sempre fatto.
Giunse
infine in vista del Palazzo di Ghiaccio, nel cuore del suo reame. Le
linee familiari dell’edificio si stagliarono contro il cielo,
appena visibili. Era costruito interamente in ghiaccio e neve, e
sembrava sorgere dal suolo come una montagna. Certo non era
così
alto, tranne per una torre, che dal lato orientale si innalzava,
sempre più sottile e fragile nell’aspetto, fino a
confondersi con
il cielo stesso. Nelle Terre del Nord nessuno viveva, e nel palazzo
non v’erano servitori; ma il palazzo stesso obbediva al
volere del
suo signore, che aveva il dominio sui ghiacci e sulle loro creature,
fossero animali o cose.
Avvicinandosi
al portone del castello, il Re scorse una figura. Una donna stava
aspettando, di fronte all'ingresso sbarrato. Voce dell'Estate aveva
preceduto il Re alla sua dimora, ed ora lo accoglieva con uno
splendido sorriso. «Mio signore, buongiorno –
esordì con un
inchino – Mi avete già visto in molti reami e
quindi mi conoscete,
ma lasciate che mi presenti di nuovo. Mi chiamo Voce dell'Estate,
cantastorie girovaga, e chiedo l'onore di essere ammessa nella vostra
corte.»
Il
Re ascoltò il breve discorso con attenzione, senza
nascondere il
sorriso accennato sulle sue labbra. «È un onore
per me accogliere
un bardo abile come te – rispose – ma temo di non
poterti dare un
gran benvenuto. Oltre che re, sono anche l'unico abitante di queste
terre, l'unico capace di sopportare le terribili temperature
dell'inverno qui. Ascoltami attentamente! Vattene finché sei
in
tempo. Nella mia corte non vi sono fuochi, banchetti o danze,
né
cortigiani da allietare con canzoni o leggende. Questo non è
il tuo
posto; vattene, prima che il gelo spenga la tua vita.»
«Mio
signore – replicò allora Voce dell'Estate
– non ho paura del
freddo. Un fuoco troppo forte arde dentro di me, perché
possa essere
spento solo dai ghiacci del vostro reame. Vi prego, lasciatemi
rimanere, per potermi esibire nell'unico luogo che non ho mai
visitato; se davvero non c'è nessun altro oltre a voi,
allora
canterò solo per voi...»
«Ahimé,
temo che non sarò il tuo pubblico migliore – si
scusò il Re –
perché ballate e narrazioni mi coinvolgono molto poco. Ma,
se
proprio vuoi rimanere, allora sii pure mia ospite. Ho cercato di
salvarti.» Ciò detto, le fece strada nel palazzo,
accompagnandola
ai suoi alloggi e mostrandole come raggiungere la sala da pranzo e
ogni luogo di cui avesse avuto bisogno.
Così
quella sera Voce dell'Estate cantò nel Palazzo del Ghiaccio,
dando
vita alle sale fredde e spoglie, scaldandole come non lo erano state
mai... ma il cuore del sovrano non ne fu toccato, e il suo volto
rimase immutato, come scolpito nelle mura stesse del palazzo. E dopo
quella sera si cantò ancora, nelle sere seguenti, che
divennero
settimane, e poi mesi...
Dopo
due mesi trascorsi invano, Voce dell'Estate dubitava. Non riusciva a
comprendere il Re, quell'uomo i cui occhi di ghiaccio non brillavano
mai, né per allegria, né per collera. Si poteva
davvero definire
uomo? Questi pensieri, questi dubbi, la tormentavano impedendole di
dormire; così aveva deciso di esplorare il palazzo, nel
tentativo di
distrarsi.
Mentre
vagava nelle sale di cristallo, un suono la raggiunse. Cos'era? Una
voce? Eppure ricordava quasi l'urlo feroce del vento in una tempesta,
e anche il cupo rimbombo di un tuono... ma... senza dubbio, era una
voce! E di chi? Il Re era l'unico essere parlante oltre a lei nel
palazzo – o almeno, lei non aveva mai sentito altri; era
dunque suo
quel suono ipnotizzante? Ma da dove veniva?
Voce
dell'Estate seguì quell'incantesimo, cercando di orientarsi
tra i
corridoi dalle pareti ingannevoli, finché non giunse ad una
scala, i
cui scalini irregolari salivano a spirale in lontananza, sempre
più
in alto... e salì, ad altezze che non aveva mai raggiunto,
– che
nessuno aveva mai raggiunto prima – ad ogni passo sempre
più
vicina, il canto del Re sempre più forte e sicuro...
E
dopo un viaggio lunghissimo arrivò in cima. Le scale
sbucavano in
una piccola stanzetta circolare con le pareti in sottile ghiaccio
trasparente. L'aria era calda, grazie alla luce concentrata del sole
che splendeva nel cielo terso; lo strato di nubi grigie che si vedeva
da terra si trovava in basso, simile ad un fondale indistinto che
annullava ogni percezione dello spazio. Intorno alla stanzetta c'era
un piccolo balcone che seguiva il bordo della torre, protetto da una
balaustra che arrivava all'altezza dello stomaco del Re.
Lui
era lì, in piedi, che urlava verso il cielo. Le parole che
diceva si
confondevano con il terribile fischio del vento che cresceva o
diminuiva a seconda del suo tono di voce; e c'era qualcosa di
terribile nella sua figura, mentre l'aria spazzava il Pinnacolo
gonfiando le sue vesti e i suoi capelli, conferendogli lo splendore
di un'incarnazione della potenza stessa.
Voce
dell'Estate uscì e il freddo la aggredì,
più feroce e intenso che
a terra. Il gelo la strinse in una morsa che mozzò il suo
respiro. E
improvvisamente, seppe che il suo tempo stava scadendo. Il Re, udendo
lo scatto della serratura della porta, si girò verso
l'intrusa.
«Perché
sei qui?» chiese in tono cupo e minaccioso. Il vento si
calmò, ma
era come la quiete che precede la tempesta. Sembrò che le
nubi si
alzassero, mentre il freddo si faceva ancora più intenso.
«Mio
signore – rispose lei – vi ho sentito cantare, ma
non sapevo
foste voi... e volevo vedere chi fosse.»
«Una
mezza bugia, una mezza verità – replico il sovrano
– sapevi
benissimo che potevo essere solo io, dato che non c'è nessun
altro
qui. Eppure hai voluto lo stesso raggiungermi... perché?
Forse
conosco la risposta a questa domanda... anche tu, come ogni altra
dama, desideri il mio amore? È così?»
«No,
perché non sono una dama. E sì, perché
vi amo. E vi posso dire che
l'amore non è un sentimento che io abbia provato spesso;
solo altre
due volte, ma brevi come un sogno. Eppure, non mi è mai
successo di
provarlo in modo così potente...»
Il
Re rise. Una risata tagliente come le lame di vento che soffiavano
là
in alto, oltre le nubi, e al tempo stesso vuota di crudeltà
o
allegria. Era solo un suono, senza un vero significato.
«Ma
perché, perché non volete vedere la
realtà? Perché vi ostinate a
voler soffrire? Te lo dirò, come ho detto ad altre cento
dame prima
di te: io non posso amare. Sono il signore del gelo! Sovrano delle
terre ghiacciate, dei venti del Nord! E sono parte io stesso del
freddo che governo, e non posso essere scaldato, o morirò.
Non
conosco sentimenti; la gioia, la collera, l'amore, l'odio, sono solo
vuote parole per me. Quindi vattene, e lasciami da solo, come
è
destino che sia.»
Voce
dell'Estate ascoltò quel discorso senza credere alle proprie
orecchie. Eppure, il tono che aveva usato lasciava intendere che era
tutto vero. Le sue peggiori paure si realizzarono, e sentì
la fiamma
che l'aveva scaldata per tutto quel tempo vacillare sempre
più, fin
quasi a spegnersi, mentre ogni calore abbandonava il suo corpo. Con
le sue ultime forze si avvicinò al Re.
«Come
volete, mio signore. Il mio tempo sta scadendo; come avevate detto,
il gelo sta spegnendo la mia vita... ma chiedo che mi sia concesso un
ultimo desiderio, prima di andarmene; di donarvi l'ultima scintilla
del fuoco che in questi mesi mi ha scaldato. Voglio baciarvi.»
Il
Re acconsentì. Così Voce dell'Estate lo
baciò sulle sue labbra di
ghiaccio, ed erano fredde! E il gelo la ferì, e le tolse
ogni
calore. Ma la scintilla, quell'ultimo istante in cui il suo cuore
aveva palpitato, era passato nel corpo del Re. Quell'istante in cui
aveva sentito calore, per la prima volta nella sua vita! Il tocco
leggero delle labbra della ragazza sulle sue...
La
ragazza! Voce dell'Estate si era accasciata a terra. Oh, no! Non le
sarebbe successo niente, non doveva! Velocemente, freneticamente la
prese tra le braccia e la portò nella piccola stanza, al
riparo dal
freddo. E sentiva com'era freddo il suo corpo, e sentiva come si
faceva fredda l'aria intorno a lui... Oh! Sentiva! Dopo tanti anni,
sentiva! Entrò nella stanza, e dolcemente la
adagiò a terra. Faceva
così caldo lì dentro! Si sarebbe ripresa, e
sarebbe stata bene, e
sarebbero stati insieme! Com'era bella! Perché lo vedeva
solo
adesso, perché non l'aveva notato prima? Intanto
però, la ragazza
non dava segni di vita. Ma stava bene, vero? Un fuoco simile non
poteva spegnersi, ora capiva, un fuoco simile non poteva morire! Ora
capiva!
Prese
le sue mani. Erano fredde, e rigide come ghiaccio, come il ghiaccio
in cui lui a lungo aveva vissuto. Le accarezzò il viso, quel
viso
che non aveva mai visto davvero, ma che ricordava come allegro e
pieno di vita, e di un magnifico color rosato, mentre adesso era
bianco, più bianco della neve stessa. E infine
cercò di ascoltare
il battito del suo cuore, quel cuore che gli aveva dato così
tanto... ma solo il silenzio gli rispose.
Il
Re capì, e il peso della comprensione lo
schiacciò. Si rannicchiò
su di lei, cullandola, per un tempo indefinito, poi si alzò
e
cominciò a scendere le scale del Pinnacolo. Scese, e scese,
e
camminò, lungo i corridoi che sparivano dietro di lui,
mentre il
Palazzo, il simbolo del suo orgoglio e del suo potere, si dissolveva
seguendo la volontà del suo padrone.
Alla
fine, intorno a lui rimase solo una sala, piccola e spoglia, e
fredda. Il Re si fermò al suo centro, e si
inginocchiò con la
ragazza in braccio. E pianse, pianse tutte le lacrime che non aveva
mai pianto nella sua vita, che congelarono addosso a loro per il
freddo, unendoli sotto un guscio trasparente che avrebbe fatto loro
da monumento funebre. E presto anche il Re morì, e ne fu
felice,
perché sarebbe finalmente stato insieme a lei... per
l’eternità.