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Autore: forevergiulia    02/09/2005    1 recensioni
...E se la storia proseguisse da dove era terminata?
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Il suo diniego era più forte del suo amore.
Akane non riusciva più a vedere in quell’uomo che le stava dinnanzi lo stesso che aveva tanto amato fino a quel giorno, anzi, in quel momento lui le sembrava un perfetto sconosciuto.
Desiderava davvero ardentemente che sparisse da quella sua vista e che portasse via con sé quell’onda di tristezza, delusione e sconforto che gli aveva provocato.
Aveva tradito la sua promessa per lui, aveva aperto il suo cuore come mai con nessuno aveva fatto e adesso se ne pentiva.
Continuava a fissarlo, negli occhi la totale indifferenza celata dietro un’ombra di sfida, voleva odiarlo, lo voleva con tutta sé stessa. Sarebbe stato più facile dimenticarlo.

Ranma aveva il capo chino, sembrava che ogni forza gli fosse scivolata via dal corpo e che ogni muscolo gli si fosse atrofizzato sotto la pelle.
Era tutto così assurdo.
Proprio nel giorno in cui aveva finalmente capito, proprio nel momento in cui sarebbe stato pronto per urlarlo al mondo intero, proprio in quel maledettissimo giorno lei lo lasciava.
Ma non solo. Lo disprezzava, il che era ancora peggio che lasciarsi morire di stenti. Avrebbe preferito cento pugni allo stomaco che vedere quell’espressione inconsistente nei suoi occhi.

Pensò che il destino si stesse facendo beffe di lui. Scoprire d’improvviso di vivere per una persona e dovervi allo stesso tempo rinunciare. Equivaleva a morire.
Ironicamente, l’avversione che Akane gli stava indirizzando era indice di quanto in realtà lei avesse profuso speranze e sogni sul loro rapporto.

Quanto più lei lo odiava, tanto più lo aveva amato.


Sapeva che la sua superficialità aveva scalfito irrimediabilmente il cuore della ragazza, calpestando inconsapevolmente, i sentimenti puri e sinceri che lei nutriva nei suoi confronti e che quella mattina gli avrebbe voluto rivelare in tutta la loro profondità.
Come aveva potuto non capire? Quando nella sua stanza l’aveva vista avvolta da quel meraviglioso abito da sposa con gli occhi che brillavano più del sole, come aveva fatto a non scorgere l’intensità di quel sentimento?
Solo ora poteva comprendere, solo adesso che quel sole si era spento per sempre lasciando posto ad uno sguardo vitreo che lo attraversava da parte a parte.



Si voltò, dandole le spalle. Pensava che così facendo avrebbe avvertito meno quel brivido freddo che i suoi occhi gelidi gli stavano provocando. Desiderava più di ogni altra cosa distogliere quello sguardo dalla sua vista.

Fece un lungo respiro, poi raccolse tutte le energie rimaste per affrontare quell’ultima sfida con sé stesso.

“…Io…io…non ti biasimo per questa tua scelta. Da quando sono piombato nella tua vita non ho fatto altro che causarti un mare di guai, senza contare le innumerevoli volte che con la mia stupida insensibilità ti ho ferita… So…che…questo…non ti può bastare, ma…io ti chiedo scusa….Akane…scusami…se puoi…” Ranma glielo stava chiedendo sinceramente, con il cuore in mano, per quello che ne rimaneva in vita. Il tono della sua voce era incerto e tremante, le parole gli uscivano formulate come in una preghiera.

“Ti chiedo scusa…per tutte le mie manchevolezze e per le volte in cui ti ho offesa facendoti soffrire; non…ho mai pensato ciò che ti dicevo…
Ti chiedo scusa per gli imbarazzi, i litigi, le incomprensioni e…per i sorrisi che ti ho rubato.
Ti chiedo scusa per i miei silenzi…troppi…e per le parole che avrei voluto dirti e che…che non ho mai saputo esprimere.
Ti chiedo scusa per tutte le volte che ho messo in pericolo la tua vita e per tutte le volte che non sono stato sincero.
Ti chiedo scusa per le attenzioni, le carezze e…per…i…i…baci…quelli che avrei da sempre voluto darti senza sapere mai come fare.
Ti chiedo scusa per tutte le volte che ti ho illusa e per le volte in cui ho fallito con te. Specialmente questa.
Ti chiedo scusa per tutto ciò che ho fatto, ma soprattutto per ciò che NON ho fatto.
Ti chiedo scusa per tutto ciò che ora mi allontana da te e che probabilmente ti porterà via per sempre…Di una cosa, però non posso chiederti scusa…di…amarti…così…nonostante tutto…”

Si bloccò all’istante. Quell’ultima frase era uscita dalle sue labbra senza avvertimento. Era sgorgata nell’impeto delle emozioni che lo stavano travolgendo come acqua che sfocia con forza nel mare.
Quelle parole le aveva troppo a lungo trattenute, compresse, ed ora, ironia della sorte, erano fuoriuscite così, naturali e spontanee.
Ranma non provò imbarazzo, ma solo stupore per ciò che solo adesso dalla sua bocca aveva ascoltato. Nemmeno a sé stesso, mai, aveva provato ad ammettere quella verità. Si sentì sollevato di un peso enorme, pensando che a quel punto, tanto, non avrebbe avuto più nulla da perdere. Oramai aveva perso già tutto.

Aveva la vita e l’amore che ogni uomo avrebbe potuto desiderare, privilegi che solo un folle può aspettarsi da qualcosa di così arbitrario come la vita…e… ora, la verità era una sola soltanto…molto semplicemente, era finita.

Non gli restava che quest’ultimo filo da spezzare.

“Ecco…io…” cercò di riprendere il fiato che gli mancava in gola: “…so che oramai è… troppo tardi per rimediare, per cui…non…non ti chiedo nulla…io non ti disturberò più, non dovrai più essere in imbarazzo a causa mia…non dovrai più vedere la mia faccia, se è questo che potrà restituirti il sorriso. Solo questo è importante, adesso.”
Deglutì, come a volersi far mandare giù un masso, tanto erano pesanti per lui quelle parole. Serrò i pugni più forte, fino a farsi divenire le mani viola.

“Bè…allora…ciao…A..ka..ne…”.

Quel nome gli si strozzò in gola, Dio com’era difficile lasciarla!
Gli occhi, appannati dalle lacrime, gli restituivano solo i contorni sbiaditi degli alberi che continuavano ad ondeggiare nel vento. Fece un passo, poi due, con fare malfermo. Poi proseguì lento sulla stessa strada che poco prima lo aveva portato fino a lei.
Non si voltò mai indietro. Avrebbe conservato un’ultima immagine di Akane nel suo cuore, avrebbe ricordato quella luce che aveva trovato nei suoi occhi quella mattina, nella sua camera, mentre vestita di bianco gli chiedeva di sposarlo.




Quelle parole, Akane le aveva sentite.


Le avevano udite le orecchie che ardevano riempirsi ancora della voce di lui. Le avevano sentite le mani che adesso tremavano e che desideravano sentire il tocco delle sue, e le gambe, che avrebbero corso da sole pur di fermarlo.
Le aveva intese la sua testa, dalla quale non riuscivano più ad uscire, ed il suo stomaco che sentiva aggrovigliato come una matassa di lana.
E le aveva ascoltate il suo cuore.
Quel cuore che aveva sentito congelarsi e morire nel petto.
Quelle parole avevano trovato un varco, una crepa nel ghiaccio e l’avevano riportata in vita come il primo sole di primavera che scioglie il manto di neve sulle cime ancora imbiancate restituendo i colori ed i profumi della terra.


I lineamenti, che fino a poco prima erano innaturalmente contratti, si fecero dolci e le gote pallide furono attraversate da nuove lacrime.
Ranma era già lontano, poteva vedere la sua figura, stagliata nel nero della notte, farsi sempre più piccola, sempre più distante fino quasi a sparire.
“A…as..pe..tta…”disse con voce impercettibile, simile al pigolio di un debole pulcino.
“A…spetta…Ran…ma!” continuò rendendosi conto che dalla sua bocca usciva solo fiato.


Era rigida come un pezzo di legno, troppo sconvolta da quegli ultimi istanti che stavano decidendo tutto il suo destino.
Decise di provare a correre, ma le gambe erano indolenzite dal freddo e dalla postura immobile in cui si era costretta in tutto quel tempo. Stava compiendo uno sforzo sovrumano solo per riuscire a percorrere pochi metri, ma questo non la scoraggiava. “Devo…devo…fermarlo. Ran..ma!” questa volta la voce uscì esasperata dalle sue corde vocali. Si sentiva la bocca impastata come al risveglio da un incubo
Improvvisamente aveva paura, una paura folle che fosse finita davvero.

Ranma aveva percorso qualche centinaio di metri senza neppure sapere dove le sue gambe fossero dirette. In realtà non sapeva dove andare, non sapeva nemmeno cosa avrebbe fatto della sua vita da quel momento in avanti, ma questi, in quell’istante, gli apparivano come problemi insignificanti. Sì, perché nulla avrebbe avuto più lo stesso significato da quel giorno in poi.
Nella sua testa si arrovellavano pensieri confusi, immagini sbiadite della loro vita insieme che ora lo torturavano come se ogni frammento fosse una spina in più nel cuore.

“Akane…ti ricordi quando ti presi per mano, lì, a Ryugenzawa?
Tu sorridevi felice, mentre il vento accarezzava i tuoi capelli ed il sole baciava la tua pelle.
Sentire il tocco delle tue dita intrecciate alle mie mi stordiva.
Camminavi in silenzio al mio fianco ed io non ti guardavo per paura che avresti capito…
Tu eri appena tornata da me ed io giurai a me stesso che avrei fatto di tutto per non perderti di nuovo…
Se avessi avuto il coraggio di dirti quello che sentivo…forse…a quest’ora…noi…” .
Si fermò un istante.
“…Non riesco a dirti addio…sono un codardo, lo so. Tu me lo dicevi sempre e adesso capisco che mi conoscevi molto più di quanto io non conosca me stesso.…Non riesco a dirti addio…però sappi…quale che sia la distanza che hai voluto mettere tra noi due nulla potrà impedirmi di continuare a pensarti…” chiuse gli occhi mentre un’altra lacrima calda gli scivolava sul viso.

Akane avanzava a fatica. Il suo lungo vestito d’organza incespicava di continuo sotto le preziose scarpette di pelle bianca, ricoprendosi di fango ancora fresco.
Camminava a tentoni nella semioscurità di quel parco debolmente illuminato facendo attenzione a non inciampare contro le radici sporgenti degli alberi. Il sibilo del vento che faceva tremare le foglie e lo scricchiolio dei rametti calpestati dai suoi piedi aumentavano la sua ansia.
Perché gli aveva detto quelle cose così orrende?
Perché aveva lasciato che andasse via?


Maledisse sé stessa ed ogni singola parola uscita dalle sue labbra, si sarebbe presa schiaffi da sola se non fosse stato che in quel momento era totalmente impegnata a ritrovare ciò che aveva appena perso.
Era così assorta che non si accorse d’improvviso di aver urtato un piccolo masso che fuoriusciva dal terreno, precipitando rovinosamente a terra.
Sentì il ginocchio bruciarle terribilmente, si toccò con una mano e sentì un liquido caldo sotto le sue dita. Avvicinò gli occhi e vide il suo stesso sangue scivolarle sul palmo e scendere poi giù, lungo il polso.


Tentò di rialzarsi, ma il dolore si fece subito più acuto, per cui lasciò cadere stancamente il suo corpo su quel prato facendolo aderire a quella miscela di erba e fanghiglia.

Era stata sconfitta. Ma questa volta non da Shan-pu, né da Ukyo, tanto meno da Kodachi.
Era stata sconfitta da sé stessa.

Strinse coi pugni due ciuffi di quel verde e li strappò via con rabbia, mentre le sue lacrime si confondevano tra le gocce di pioggia ancora conservate sui giovani steli.


“…RANMA!…RANMA!” i suoi singhiozzi si fecero più violenti disperdendosi nel vuoto di quello spazio, risuonando in un triste e disperato eco.

  
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