Salve
a tutti! =)
Io
ho un problema, un problema con le orecchie a punta: si chiama
“romulani”.
Li
amo, li adoro in ogni modo; inoltre sono troppo umani.
Questa
fanfiction non “prende in esame” personaggi della TOS come sono abituata nella
mia LongFiction, ma si concentra in particolare su un episodio di The Next Generation: “The Defector” (o “Il Traditore”, in
italiano).
Mi
sono perdutamente innamorata del personaggio di Alidar Jarok, ed ero troppo
invogliata a creare un piccolo tributo.
Non
è niente di speciale, ma sono certa che questo personaggio si meriti tale
considerazione.
Inoltre,
sono così nerd dei romulani che credo un giorno ci farò un’altra LongFic
sopra.
Ad
ogni modo, se conoscete questo PG, spero potrete apprezzare, ma se non lo
conoscete e non avete ancora visto l’episodio, be’, spero di stuzzicare la
vostra curiosità.
Buona
lettura =)
~ ~
~
“ Bilire,
Saith.
Sono queste le
parole per la quale coloro che temono il cambiamento mi hanno
condannato.
Probabilmente,
queste sono le uniche tracce che vi resteranno di me, mie
Amate.
Comunico questi
miei ultimi speranzosi pensieri, a voi, in questa lingua, affinché possiate
comprendere il motivo che ha spinto il nostro grande Impero ad etichettarmi col
titolo di vang’radam.
Llaiir, compagna
mia: ho creduto, ho sperato, sino all’ultimo momento, di poter regalare un
futuro al nostro popolo. Ti avranno detto di me, che sono stato un codardo, uno
lluadh. Che ho tradito Romulus, il suo onore e la sua magnificenza. Non sanno
quanto si sbagliavano.
Ho sognato di
vederti leggere queste righe con gli occhi della donna forte quale sei, che non
cade nei tranelli dei burocrati, che ora sa, che non sono fuggito, perché solo
aldilà della cecità del nostro Impero potevo trovare la pace; una pace che non
auguravo per me, una pace che volevo incorniciasse le nostre albe, le tempeste
tumultuose e le controversie della nostra terra, combattiva e fiera, ma
meritevole di vedere qualcosa che non fossero solo scialbe bugie politiche e
ostili guerre senza fondamenta, astiose e vuote.
Ti parlo con
questa lingua a noi un tempo avversa perché tutti possano conoscere ciò che è
avvenuto oltre il confine della Zona Neutrale.
Hai sempre
creduto in me, e anche ora so che mi riconoscerai per quello che sono, il
guerriero stanco di mani sporche di sangue innocente, il sangue dei nostri
figli, di tutti i figli di Romulus, ingiuste vittime di un conflitto
insensato…[…] ”
«Perdonami,
ma ho come l’impressione che tu sia contento di avvelenarti l’anima.» incalzò la
donna.
I
suoi gesti, erano la grazia in persona.
Le
sue dita lunghe e affusolate corsero alla fronte, gareggiando col vento
marittimo ribelle, mentre si impegnava a far riprendere posto alla ciocca mogano
che aveva solleticato la guancia di un uniforme e intenso colore, un bronzeo e
dorato beige.
Poi,
le unghie curate e carminio scuro si posarono sulla ringhiera, mentre gli occhi
del verde delle profondità della terra viaggiavano lungo la sabbia chiara,
ambasciatrice della spuma, e del caleidoscopico scintillio delle onde
lievi.
Anche
i suoi capelli rosso scuro erano onde lievi, voluttuose e lunghe
–differentemente da molte altre donne romulane—, adagiate sulla schiena dritta e
fiera, solo apparentemente esile.
Ella
voltò il viso asciutto alla propria sinistra.
«Come
sei ingiusta.» la canzonò l’uomo che aveva accanto, un ghigno ironico sul volto
solo un poco invecchiato dal tempo. Egli restituì lei lo sguardo, lasciando
cadere solo per un istante gli occhi sulle belle labbra sottili e bordeaux.
«Ti
sbagli, –fu la replica, indurita solo dalla preoccupazione– se fossi furbo,
avresti tenuto la bocca più chiusa.»
Chinò
il capo il romulano, e il suo ghigno amaro da ironico divenne sarcastico: «C’è
chi ama tacere per stanchezza; io non sono in grado di
farlo.»
«Già
–sottolineò lei– tu e la protesta siete un tutt’uno.»
Era
suo stavolta il turno di canzonare, ma era amaro. O meglio, era una difensiva
per guardare con altri occhi una situazione che a nessuno dei due
piaceva.
Lui
le rivolse stavolta un sorriso sincero, e allungò una mano che andò ad adagiarsi
sulle spalle della donna: «Non dovresti essere così
amareggiata.»
«Non
sono amareggiata per la tua testardaggine. Al contrario. E lo sai. –sottolineò
accennando appena un sorriso— Sono amareggiata perché te ne
vai.»
Ci
fu un brevissimo istante di silenzio, in cui il sorriso un po’ sfacciato del
romulano fece di nuovo capolino. Si voltò del tutto verso la donna, cercando le
sue mani, che cedettero volentieri alla ricerca lasciandosi catturare. La guardò
negli occhi stanchi: «Io non me ne sto andando –la rassicurò— Passo intere
settimane nello spazio, questa volta non sarà diverso.» e strinse appena la
presa.
«Vogliono
allontanarti, Alidar. Non far finta di non saperlo, e tantomeno non cercare di
prendermi in giro.» accusò lei, lasciando le mani dell’altro e voltandosi di
nuovo verso il mare, fingendo soltanto di osservarlo.
L’Ammiraglio
si permise una piccola smorfia ironica, abbassando lo sguardo, successivamente
intercettò ancora una volta Llaiir, costringendola con un gentile tocco a
guardarlo di nuovo; stavolta non si fermò a sfiorarla, ma estese le sue braccia
per imprigionarla in un dolce e lieve abbraccio: lei, che probabilmente ne aveva
bisogno, ci si tuffò con discrezione, appoggiando la testa sulla sua spalla, il
naso dritto che premeva contro il collo di lui.
Sebbene
fosse una donna matura, che come chiunque altra accusava i segni dell’età,
questi con lei erano stati parsimoniosi, cosicché i capelli fossero ancora
soffici, la pelle giovane e candida e il viso intatto nella sua austera
bellezza.
«Cosa
importa se scelgono di tenermi lontano da qui –diceva, accarezzandole la
schiena– tornerò come sempre.» Una promessa.
«Devi
–controbattè Llaiir, riacquistando un po’ di autorità macchiata di malizia
femminile— o non ti piaceranno le conseguenze.» canzonò, distanziandosi a
sufficienza da guardarlo negli occhi furbi e
orgogliosi.
«E
come pensi di farmela pagare, visto che non ritornerei?» le domandò con una
punta di ironia.
Ora,
la donna forte si smascherò per la creatura ferrea che era, e col semplice gesto
di un sorriso pieno ma ricco di testardaggine, si sporse appena per regalargli
l’anelato tocco di un puro bacio, che costrinse quell’uomo dispotico e spesso
sin troppo impettito a chiudere gli occhi.
Quando
l’incanto finì, Alidar si sentiva più forte come ogni volta che accadeva. Lei
questo lo sapeva benissimo, e guardandolo con un sorrisetto sfacciato, disse:
«Non sopporteresti mai il mio odio.» Una bugia.
«Hai
ragione.» convenne lui, ristabilendo il contatto con le mani di
lei.
Llaiir
annuì lentamente e lievemente, guardandolo con occhi ora consapevoli: «Io ti
conosco, Alidar Jarok. E so che non manderai giù molto presto la risposta
dell’Impero alla tua proposta di… “pace”. Non lasciare che ti allontanino
abbastanza da non poterci rivedere più. Ricorda che tua figlia non ha bisogno
solo della pace, ma anche di un padre. E Romulus di un fiero
Ammiraglio.»
Alidar
abbassò di un poco lo sguardo, sorridendo amaramente, e due occhi tentarono di
agganciarlo chinando il capo, seguendo il suo
movimento.
Non
sopporteresti mai il mio odio.
Una
bugia.
Occhi
ancora legati.
Non
potrei odiarti mai.
“
[…]Non starò a narrarti le vicende che mi hanno accompagnato in queste ultime
ore di vita: non avrebbe senso. Troppo assomigliano alle corse alla salvezza che
hanno caratterizzato le vite di tutti noi da quando questo conflitto vive;
voglio solo che tu possa ricordare. Che tu conosca la
verità.
Sono
stato oggetto di un programma di disinformazione accuratamente studiato per
testare la mia fedeltà all’Impero: se c’è una cosa su cui hanno visto giusto,
erano i miei dubbi.
Mi
hanno braccato, inseguito e minacciato di distruzione. Una nave federale mi è
venuta incontro. E quando ho fatto l’inimmaginabile per evitare quello che
poteva risultare in futuro l’inizio di una nuova devastante guerra, l’Impero si
è dichiarato a me per ciò che era: bugia.
L’odio
ha accecato i loro occhi Llaiir. Non amo ne stimo la Federazione, forse non
sarei mai riuscito a comprendere la natura così scioccamente debole della razza
umana, ma dovevo contare proprio sulla loro debolezza per evitare il
peggio.
Non
è stato così, e ora tu sai.
Ma
se stai leggendo queste righe, è molto possibile che Romulus non sia più
cieco.
Tutto
ciò che mi restava fare, era lasciare una traccia autentica di me, far sì che
tu, e Ael, foste in grado di conoscere la realtà direttamente da
me.
L’ho
fatto per voi. Per te, per Ael, per le nostre giovani generazioni.[…]
”
Le
sue mani erano piccole e sporche di terra. Con quelle dita fragili, scavava
nella piccola conca di forma cilindrica, dove le radici avrebbero facilmente
trovato vitto e alloggio.
Aveva
un visino rotondo, caratteristica di molti bambini, capelli nerissimi e a
caschetto, perfettamente tagliati, che incorniciavano il volto e le graziose
orecchie a punta.
Aveva
una vita intera davanti a sé, e sembrava già aver tracciato parte degli
interessi che l’avrebbero caratterizzata; sebbene fosse troppo piccola per
ammettere di amare qualcosa, era con amore che spostava una piccola pianta di
robusti steli verde scuro e fiori ancora chiusi, di un profondo lillà, in un
vaso più grande, idoneo alla sua crescita.
Una
volta che l’ebbe saldamente sistemata, premette con i piccoli palmi la terra in
superficie, in modo da incastonare a modo la pianta in evoluzione, poi con
sguardo ingenuamente critico si sedette sui propri talloni guardando la sua
genuina opera con una dolce smorfietta furba.
Qualcuno
rise, leggermente e di cuore. Una risata di
soddisfazione.
La
piccola Ael alzò il visino dalla creazione naturale che sentiva sua, incontrando
lo sguardo divertito del padre.
«Ho
sbagliato qualcosa?» chiese con la sua voce di bambina, troppo inesperta per
comprendere l’umorismo di un adulto.
«No,
al contrario! –la rassicurò Alidar, lasciando la grande vetrata della finestra
che dava sul mare, avvicinandosi con le mani allacciate dietro la schiena e un
abituale sguardo tronfio— Non ridevo di te, ma con
te.»
«Io
non sto ridendo!» protestò bonariamente la bimba.
Questo
provocò un’ulteriore sincera risata nell’uomo: «Eri troppo concentrata per
accorgertene.» spiegò, addolcendo i lineamenti in un
sorriso.
La
bambina sembrò non comprendere, ma questo non la preoccupò, e la sua attenzione
corse altrove, come accadeva a tutti i bambini. Si spolverò le mani e poi
afferrò il vaso per posizionarlo accanto agli altri, già ricchi e rigogliosi,
vibranti alla brezza marina.
Non
ci avrebbe creduto nessuno se qualcuno non avesse avuto le prove lì davanti a
sé, che quei vasi erano tutti opera di una creatura così
giovane.
Alidar
osservò con sguardo curioso la processione di vasi sul bel davanzale della casa:
fiori arancio, fiori rossi, ma soprattutto, fiori
viola.
Chinò
il capo incuriosito, notando solo in quel momento la predilezione di Ael per
l’intenso colore. Si chinò per osservarli meglio: «Ti piace questo colore?»
chiese, indicando i fiori ancora chiusi e appena piantati, così serrati nei
giovani petali da far pensare si nascondessero.
La
bambina annuì con vigore: «La nonna mi ha detto che è il colore
dell’intelligenza e della saggezza, però lei preferisce il rosso.» spiegò
orgogliosa.
Alidar
sorrise, guardandola: «Ha anche altre caratteristiche,
sai?»
«Davvero?
Quali?» domandò Ael con giovanile curiosità e fervore.
Alidar
avvicinò un polpastrello ad un fiore chiuso, sfiorandone appena i petali
serrati: «Il rosso è solo un componente di questo magnifico colore. Rosso e blu
insieme compongono il viola. Conosci i loro significati?» domandò,
spronandola.
La
bambina esitò solo un poco, con lo sguardo distratto, poi annuì
convinta.
«Bene
–le rispose lui— Il viola è energia pura. Distingue al contempo animi forti e
esigenti. E’ una via di mezzo fra la praticità e la creatività, ed è simbolo di
crescita ed evoluzione.» potevano sembrare parole complesse per la mente di un
bambino, Ma Ael era abbastanza intuitiva da comprendere perfettamente ciò che
voleva dire: il viola era il colore di ogni bambino con volontà di esprimersi,
di comunicare, simbolo di una ancora immatura
saggezza.
«Se
è così bello, perché la nonna preferisce il rosso?» domandò
ingenuamente.
Alidar
socchiuse gli occhi, sorridendo di cuore: «Piccola mia, ogni romulano ha dei
propri sentimenti e propri ideali. Molti di noi preferiscono essere testardi,
arroganti, passionali quasi all’eccesso. Credo che questa sia la descrizione
perfetta per tua nonna… –le spiegò, ridendo solo lievemente e scuotendo il capo—
Lei è una donna forte e pratica, come lo è tua madre. Non sopporta la mancanza
di determinazione e i codardi.» aggiunse, lasciandosi comprendere dal tono
tranquillo e pacato.
La
bambina chinò un poco il capo sulla sinistra, senza staccare gli occhi nocciola
da quelli scuri del padre: «Nonna dice sempre che gli esseri umani sono codardi,
è per questo che li odia?» domandò, riconoscendo nelle parole del padre le
vecchie cantilene bigotte dell’anziana donna.
Alidar
sospirò, cercando dentro di sé parole importanti da tradurre ad una mente ancora
così innocente e priva d’odio: «Ael, le idee di tua nonna non sono legge. Come
ti ho detto, molti di noi sanno essere aggressivi, ma è anche questo che la
rende la brava donna che è. E’ tipico delle persone amanti del rosso… posso
spiegartelo con queste parole: si potrebbero definire gli esseri umani creature
amanti del blu; il blu è un colore tranquillo, pacifico. E un’amante del rosso
non può che essere in contrasto con una simile visione della vita, non trovi?»
le domandò, incoraggiante.
La
bambina sembrò comprendere, ed annuì convinta: «E’ per questo che mi piace il
viola! Così sarò decisa come la nonna e anche
responsabile!»
Alidar
rimase senza parole: quella piccola creatura –così innocente, così giovane—
comprendeva già quale fosse il valore dell’unione di due differenti ideali, che
nella vita erano necessarie più sfumature per essere
capaci.
Nel
riempirsi di un sospiro quasi sofferente, il suo petto si colmò di orgoglio, e
al contempo di tristezza, alla luce del suo inesorabile destino, di ciò che lui
ora era per la sua patria, vedendo le sue uniche speranze riflesse in quei dolci
occhi di bambina.
Come
poteva restare a guardare? Come poteva continuare a tollerare l’ignoranza e la
cecità? Non aveva armi per sopportare ancora quel che sarebbe potuto accadere, e
un orologio dentro di lui ormai ticchettava da tempo, avvertendolo che prima o
poi sarebbe potuto diventare tardi. Che doveva fare qualcosa, e doveva farlo per
quella creatura che piantava graziosi fiori viola.
«Tu
quale preferisci papà?» venne distratto dalla voce della figlia, ignara di quel
che stava accadendo nell’animo tormentato dell’uomo.
E
lui si lasciò distrarre, snocciolando il più dolce dei sorrisi, tutto ciò che di
sé possedeva di reale, e da donare solo a lei: «Il viola, piccola
mia.»
E
nel sentire quella confessione alle orecchie gradita, Ael si privò di ogni
malizia sbarazzina dei bambini precoci, e regalò lui un sorriso ampio, un
sorriso piccolo di bambina, ma grandioso come la volontà e la
speranza.
“
[…]Bambina mia… chissà cosa sei diventata. Chissà se coltivi ancora le tue
passioni, se la tua saggezza si è acuita… Vorrei tanto poterti vedere, guardare
il tuo sorriso e rendermi conto che ora sei una donna, sicuramente bellissima,
come lo era tua madre. Vorrei tanto poterti dire quanto sono orgoglioso di te,
faccia a faccia, quanto mi hai sempre riempito di speranze. Ma tutto ciò che
posso fare, è dirtelo con queste parole… Tutto quel che ho fatto, l’ho fatto per
te. Perché potessi continuare, evolvere la tua così già spiccata intuizione e
intelligenza… ti ho sognata spesso mentre ero qui. Immaginando ciò che saresti
potuta diventare. Ma io non ho rimpianti, non devo averne… e so, che tutto
questo non è stato invano, che anche un solo piccolo passo avanti dimostrerà che
è ora di cambiare… no, non ho rimpianti, ne incertezze; io lo so, tu mi capirai.
E diventerai la creatura saggia che volevi essere quando eri solo una piccola
bambina che si prendeva cura di fiori viola…[…] ”
La
registrazione, sia vocale che verbale, si esaurì, e lo schermo si
spense.
Con
esso andarono perdute piccole sensazioni di gioia malinconiche, createsi nella
visione, costruzioni di vecchi ricordi, e di altri irreali, di episodi che mai
avevano avuto luogo, su cui lei aveva però fantasticato.
Mentre
allungava le braccia e le lunghe maniche a campana del dolce vestito viola
cadevano inesorabili verso il basso come piangenti, Ael afferrava l’unica foto
del padre che aveva sempre portato con sé, e l’aprì.
Tenuta
sempre piegata e praticamente mai osservata, ora l’immagine cartacea, dai gusti
sin troppo antichi ma decisamente tascabili, vedeva brillare le luci della
stanza, e occhi color nocciola.
Avvicinò
le labbra di donna a quel pezzo di carta, toccandolo candidamente mentre anche
due lacrime lo inumidivano al contempo, poi si ritrasse, guardando il volto
fiero dell’uomo in alta uniforme: «Riposa in pace papà… ora so tutto.»
“
Arriva
un momento, nella vita di un uomo, che lei non può conoscere. Ebbene, questo
momento arriva quando guardando il primo sorriso della tua bambina ti rendi
conto che… ti rendi conto che devi cambiare il mondo per lei; che devi farlo per
tutti i bambini! Se sono qui, è per la mia bambina. Non per distruggere l’Impero
Romulano ma solo per poterlo salvare. Per mesi… ho cercato disperatamente di
persuadere l’Alto Comando, che un’altra guerra avrebbe solo distrutto l’Impero!
Si sono stancati delle mie critiche! E alla fine hanno deciso di allontanarmi
assegnandomi il comando di un settore distante, purtroppo questa era la mia
unica risorsa. Io… Io non rivedrò mai più il sorriso della mia bambina. Lei
crescerà, con la convinzione che suo padre è un traditore… ma l’importante è che
crescerà.
”
Significato
delle parole romulane:
Bilire,
Saith: pace;
Vang’radam:
traditore;
Lluadh:
individuo
infimo;
Llaiir:
fiamma;
Ael:
essenza
dell’aria.