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Autore: Silice    04/06/2010    11 recensioni
Una gita, una missione. I loro destini si incrociano. Un’avventura per entrambi, lei trascinata in un mondo misterioso e sconosciuto, lui nell’universo degli adolescenti. Riusciranno a uscire indenni da questa avventura? Ma soprattutto, i loro destini rimarranno legati? La guardò negli occhi. “Ti odierò per sempre” Silenzio. “Anch’io"
Genere: Romantico, Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Che stanchezza.

Questa dovrebbe essere una scusa sufficiente, ma mi rendo conto che non lo è. Perciò, evito di scusarmi, e vi lascio alla lettura, che mi auguro troverete interessante. Devo dire che questo capitolo mi lascia perplessa, perché l’ho scritto troppo in fretta e inoltre sembra lasciare la storia a metà, sospesa nell’aria, ma c’è da dire che sarebbe stato troppo lungo se avessi lasciato anche la seconda parte che, vi assicuro, non tarderà così tanto ad arrivare J

 

9 – I’M A BELIEVER

 

La sveglia suonò precisa alle 6.20 del mattino. Con un movimento brusco, Elinor cercò di zittirla, tastando il comodino ad occhi chiusi e finendo per scaraventare il malcapitato orologio a terra.

Per un breve istante si chiese perché diamine l’orologio aveva suonato così presto. Quando però riuscì a connettere il cervello e a ricordare che giorno era un sorriso le si stampò in faccia.

Il 2 maggio. Il compleanno di Giova.

Con una fitta al cuore pensò che erano passate ormai due settimane dalla gita, ma scacciò questa triste riflessione: non voleva collegare quel malcapitato evento a quel giorno, che avrebbe dovuto essere felice.

A Elinor piacevano i compleanni. Le erano sempre piaciuti, perlomeno quelli degli altri. Le piaceva l’idea che ognuno potesse avere un giorno tutto per sé, un giorno straordinariamente ordinario, in cui non c’era bisogno di pensare a nulla o di preoccuparsi di nulla, e in cui ogni cosa acquistava sfumature leggermente diverse e quasi simboliche, come se quel giorno rendesse tutto speciale.

E quel giorno era il giorno di Giova.

Come ogni mattina infilò le ciabatte pelose ai piedi, per poco non andò a sbattere sul muro e arrivò, inaspettatamente tutta intera, fino alla porta, che era già aperta.

Si fiondò giù dalle scale, presa da una sorprendente ondata di energia. Questo giorno deve essere diverso, pensò. Magari sarebbe stata l’occasione giusta per portare un po’ più di allegria in quella casa.

Entrò nella cucina. Se voleva che fosse una sorpresa doveva fare presto.

Giova nella vita aveva due grandi amori: le macchine e i dolci. Tre, se si contava anche la sua bicicletta. Elinor, a casa, gli aveva organizzato una festa a sorpresa, aveva già comprato il modellino di da regalargli e aveva scaricato da Internet e studiato una ricetta per fare una torta con sopra una farcitura in cioccolato a forma di automobile.

Elinor non era brava a cucinare. Non sapeva fare assolutamente nulla, se si eccettuavano le torte. I dolci, che a lei non piacevano, le riuscivano benissimo, e lei si divertiva a prepararne, specialmente quando si sentiva triste. E, in quella casa, non si sentiva felice.

Doveva iniziare quella mattina a fare la torta, se voleva che lievitasse durante la giornata, ma doveva farlo di nascosto. Chiuse la porta dietro di sé, e si guardò attorno con aria circospetta.

Via libera.

La sera prima aveva controllato che ci fossero tutti gli ingredienti, e aveva ottenuto da Juliet il permesso di usare la cucina. Evidentemente, si fidava di lei, e, a mo’ di ringraziamento, Elinor aveva deciso che avrebbe offerto una fetta di torta anche alla sua carceriera.

Elinor aprì il frigo e tirò fuori il latte e le uova, mentre la sua mente vagava. Ogni volta, quando cucinava, nella luminosa cucina di casa sua, suo fratello arrivava, accendeva lo stereo in soggiorno e gironzolava vicino ai fornelli mangiucchiando pezzi di ingredienti, suscitando le ire fasulle di sua sorella maggiore.

In quel momento, nel silenzio di quella buia e fredda cucina, Elinor si sentì fuori posto.

Non devo lasciarmi abbattere, si ripetè mentalmente. Era il giorno di Giova, e lei doveva renderlo speciale, non poteva permettersi di sprofondare nella malinconia. Tuttavia, mancava qualcosa, se lo sentiva. Non sarebbe mai riuscita a fare una torta decente, senza la musica. Per lei, la torta sarebbe rimasta sempre amara e insipida, se non fosse stata accompagnata da una buona dose delle sue canzoni preferite.

Quando tutto intorno a noi va male, e tuttavia sappiamo che potrebbe andare molto peggio, siamo convinti che nulla è più in grado di stupirci. Ma, spesso, dobbiamo ricrederci.

Il carattere talvolta cinico e profondamente scettico di Elinor l’aveva sempre scoraggiata dal credere nei miracoli. Quando però notò l’I-pod azzurro di Juliet appoggiato innocentemente sullo spoglio tavolo di vetro nella sala da pranzo, pensò, per un breve momento, che avrebbe dovuto riflettere più a lungo e con più attenzione sull’intera faccenda.

Si avvicinò cauta all’oggetto inanimato e si guardò attorno con aria guardinga, dandosi poi della stupida al pensiero che non c’era nessuno lì, alle sei e mezzo di mattina. Evidentemente, Juliet l’aveva dimenticato lì la sera prima. Dunque… che male c’era a usarlo un po’? Era parzialmente sicura che Juliet e Leale non l’avrebbero gettata in cella di isolamento, se ce n’era una, per questo.

L’afferrò con rinnovata energia e lo impostò su “riproduzione casuale”. Perfetto, si disse, sorridendo. Prese in mano una ciotola, ci versò dentro alcuni ingredienti, e si mise al lavoro.

 

“Ma che diamine…” Leale si affacciò dalla porta, gettando uno sguardo alla cucina e portandosi contemporaneamente una mano all’interno della giacca, dove teneva la fidata Sig Sauer. Quello che vide fu talmente fuori dall’ordinario, soprattutto in quella casa, che ci mise qualche momento a capire cosa stava succedendo; quando però il suo cervello gli suggerì una spiegazione plausibile per ciò che stava avvenendo sotto i suoi occhi, rimase così piacevolmente sorpreso da non dire una parola e da rimanere appoggiato allo stipite della porta per godersi la scena.

Elinor stava cucinando, ma non in modo convenzionale. Canticchiava, e muoveva i piedi nelle ciabatte a tempo, così come sbatteva l’impasto all’interno di una ciotola a ritmo. Aveva parecchie macchie sul grembiule, i capelli castani raccolti malamente in una coda ed era vestita con una semplice maglietta sopra i pantaloni della tuta. Ma sorrideva, e a Leale sembrò così felice che pensò che per nulla al mondo si sarebbe permesso di disturbarla. Rimase a osservarla, incantato dal modesto e rasserenante spettacolo di una ragazzina disordinata che, con movimenti fluidi, si destreggiava fra zucchero e cioccolato, senza altri pensieri se non le parole delle canzoni che stava ascoltando nella sua testa.

Leale rimase lì per un po’, sicuro che la ragazza non si fosse accorta di lui.

“Thought that love was only true in fairy tales…” Elinor alzò pian piano la voce senza neanche rendersene conto. Sembrava totalmente presa da una guarnizione che stava assorbendo tutte le sue energie, tranne quelle necessarie a cantare.

Leale pensò che aveva già sentito quella canzone da qualche parte, ma queste sue riflessioni furono interrotte da altri rumori, provenienti dall’altro ingresso alla cucina. Elinor, che dava le spalle sia alla porta dove si trovava la guardia del corpo sia all’altra, e che per giunta non poteva sentire nulla a causa della musica nelle sue orecchie, non si accorse di nulla.

“For someone else but not for me…” La ragazza passò dalla guarnizione allo sbattere la crema con un enorme cucchiaio, incapace di stare ferma. Leale era incerto se avvertirla che qualcuno stava arrivando o meno, ma non aveva alcuna intenzione di uscire dal suo nascondiglio e di interrompere quel piccolo momento di serenità. Semplicemente, sperò che non arrivasse nessuno e di essersi solo sbagliato.

“Love was out to get me.” Elinor alzò ancora un po’ la voce e, anche se gli dava le spalle, Leale era sicuro che stesse sorridendo.

“That’s the way it seeemed” La ragazza mollò la ciotola, mantenendo la presa sul cucchiaio pieno di cioccolato che portò vicino alla bocca a mo’ di microfono.

“Disappointed haunted all my dreams…” Allungò volutamente l’ultima vocale, preparandosi al ritornello. Alzò un braccio, mentre i suoi fianchi si muovevano a tempo, o almeno così Leale supponeva, dal momento che non poteva sentire nulla se non la sua voce.

Fu in quel momento che Artemis entrò nella cucina, passando dall’altra porta.

“Then I saw her face” Elinor continuava a cantare e ballare sul posto, ignara dei due spettatori che, in silenzio, osservavano la scena. “Now I’m a believer!” Elinor mosse la testa a suon di musica, mentre Leale fissò Artemis: il ragazzo la guardava totalmente basito, e sembrava completamente incapace di fare alcunché.

“Not a trace, tu-tun-tu-tun, of doubt in my mind” Elinor sembrava essersi specializzata anche nelle seconde voci.

Si girò, ad occhi chiusi, sempre tenendo il “microfono” vicino alla bocca, e alzandolo come se fosse stata una rock star.

“I’m in love, uuuu” Fu durante la “u” lunga che aprì gli occhi e si trovò Artemis di fronte, vestito di tutto punto, che la osservava con un’espressione indecifrabile.

Si fermò, senza abbassare lo sguardo. Normalmente si sarebbe sotterrata per l’imbarazzo, ma questa volta non doveva importarle nulla dell’opinione di quello stupido, inutile, schifoso…

Si accorse che, mentre cercava di trovare epiteti sufficienti a designare il ragazzo di fronte a sé, aveva continuato a fissarlo in un imbarazzante silenzio.

Raccolse a sé tutta la dignità che le rimaneva e, ben decisa a non spiegare né a giustificarsi, si voltò verso la torta, e continuò a canticchiare a bassa voce.

Artemis, da parte sua, rimase qualche secondo a fissarle la schiena, mentre un ghigno si formava sul suo volto.

Silenziosamente, riprese la porta da cui era sbucato e si dileguò senza pronunciare una sillaba. Non appena se ne fu andato, Leale vide Elinor fermarsi e appoggiare le dita sulle tempie, prima di scoppiare in una tranquilla e dimessa risata che suonava tanto di imbarazzo e di sollievo.

 

Elinor stava ridacchiando.

Fantastico, pensò, ora mi crede anche pazza.

E, in fondo, come dargli torto? Erano neanche le sette di mattina, e lei stava sogghignando da sola nella fredda cucina dei rapitori, mentre le ultime note di “I’m a believer” risuonavano nelle sue orecchie.

La ragazza si riscosse. Che stava facendo? Si stava davvero preoccupando di ciò che quell’inqualificabile individuo pensava di lei? Quasi sperò che qualcuno la stesse guardando, mentre con aria stizzita e profondamente orgogliosa si toglieva il grembiule, metteva tutto a posto e, incedendo con passo indispettito e elegante –almeno così sperava-, usciva dalla stanza.

E, in effetti, qualcuno la stava guardando.

 

Erano circa le tre del pomeriggio. I ragazzi erano tutti nel salotto, dove i maschi giocavano alla play-station e le ragazze chiacchieravano tranquillamente. Era incredibile come si fossero pian piano quasi abituati alla situazione, senza perdere la testa. Erano ormai giorni che nessuno faceva più domande su casa e su un loro possibile ritorno, anche se le questioni albergavano ancora nell’aria. Erano ormai parecchie notti che ognuno di loro dormiva, e che nessuno piangeva nel solitario silenzio della propria camera.

“Ma… voi l’avete capito chi è sto qui?” Sissi si rivolse con esuberanza a Elinor e Arianna, che erano sedute sul divano, placidamente assorte nella lettura di qualche rivista. Milla alzò gli occhi, staccando la testa dal bracciolo della poltrona su cui era raggomitolata.

“Di chi parli?” chiese Elinor, non riuscendo a capire dove voleva andare a parare.

“Sì, insomma…” Sissi si guardò attorno con aria circospetta. “Il ragazzo. Il capo.”

Era la prima volta che veniva chiamato senza un evidente dispregiativo, che di solito proveniva da parte di Elinor. Di solito, la ragazza non si lasciava andare a epiteti particolarmente coloriti, ma aveva dimostrato di saper fare eccezioni.

Appena sentì che quell’essere abominevole veniva chiamato in causa, Elinor sentì il sangue affluire al viso velocemente. Avvampò, al ricordo della figura della mattina, e sperò che nessuna se ne fosse accorta, o che perlomeno scambiassero la sua reazione come un improvviso attacco d’ira.

“Si chiama Artemis Fowl. È ricco, ed è un despota. Ha più o meno la nostra età ed è l’ideatore del nostro rapimento. Questo è quello che c’è da sapere.”

Nella stanza calò il silenzio. Arianna non si era mai espressa con una tale decisione. Pure i ragazzi staccarono gli occhi da Final Fantasy IV per posarlo sulla mora.

“Però.” Fu l’unico commento, proveniente da Gianluca.

“Sono d’accordo.” Elinor intervenne a sostegno dell’amica. “Inoltre, ha evidenti problemi nei rapporti sociali. Scommetto che non ha molti amici.” Sentenziò, gelida.

“Si, però…” Elinor non riusciva a credere alla proprie orecchie. Davvero Sissi stava prendendo le difese di quella specie di verme viscido e… “è indubbiamente carino.”

Silenzio. Milla spostò lo sguardo da Sissi alle altre due ragazze, senza fiatare, in attesa di una loro violenta reazione. Arianna assunse un’aria sconvolta. Elinor non riuscì a trattenersi.

“Stiamo parlando dello stesso essere perfido e subdolo che ci ha rinchiusi qui?”

Sissi esitò. “Non lo sto mica difendendo. È uno stronzo e lo detesto, ma carino è e carino rimane. Un po’ come… Draco Malfoy.”

Detto questo, l’atmosfera si rilassò un poco. Pian piano le ragazze tornarono a ridere e scherzare, e la discussione sul fascino segreto del personaggio e delle sue somiglianze con il rapitore in questione si fece più accesa, ma non per questo più seria.

Elinor celava dietro i sorrisi e le battute un certo, inspiegabile turbamento, probabilmente dovuto al fatto che non aveva ancora parlato alle ragazze, e soprattutto ad Arianna, di ciò che le era successo quella mattina. Non riuscendo a sopportare oltre, si alzò a prendere una boccata d’aria. Non sapeva esattamente dove sarebbe andata, ma non aveva fretta. Uscì dal salotto e si avviò su per le scale, alla ricerca di qualcosa che le tenesse occupata la mente. Arrivata al secondo piano, si fermò. Non aveva voglia di tornare in camera, che sentiva sempre più come la sua prigione, ma non aveva neanche intenzione di incorrere nella furia di Leale salendo al terzo piano. Decise dunque di svoltare a sinistra anziché a destra, e di scoprire ciò che si trovava nella direzione opposta al corridoio delle stanze.

Senza sapere bene il perché, allentò il passo, e si sistemò la maglietta sui jeans, come sua abitudine quand’era più tesa. Gettò uno sguardo distratto a una porta alla sua destra, che era stranamente socchiusa.

Forse, la musica, rigorosamente classica, che risuonava dall’interno avrebbe dovuto avvertirla. O forse, avrebbe dovuto pensare che gettarsi a testa bassa in una stanza sconosciuta, in una casa ancor più sconosciuta che apparteneva a strani nonché misteriosi rapitori non era una buona idea.

Spinse dolcemente la porta ed entrò.

 

Autrice:

Ordunque? Che ne pensate? Lo so, lo so, non avrei dovuto interrompere la storia lì, ma vi assicuro che scoprirete presto ciò che c’è dietro alla porta…

 

Ed ora, le risposte alle recensioni:

Lucille: Grazie grazie grazie!!! Sono felice che ti piaccia!!! Le tue parole mi hanno davvero tirata su di morale, non sai quanto sia importante per me… in quanto a Artemis, devo dire che è difficile farlo interagire con gli altri, e che, in fondo me la sono cercata: oltre a scegliere un personaggio indubbiamente difficile su cui scrivere, ha anche il ruolo di rapitore!! Elinor… Elinor è il personaggio. La protagonista di tutte le mie storie mentali che mi faccio, e non hai idea della difficoltà di rendere il suo carattere, che mi sembra di conoscere benissimo, ma che vorrei che apprezzasse anche qualcun altro. Sono felice che a te piaccia ^^ Riguardo a Artemis/Spinella, beh, de gustibus ;) Baci, a presto, J.

 

_FrancySoffy_: non ho parole. Sono io ad essere fortunata. Ti voglio bene <3

 

Chariss: Grazie!!! J spero che ti sia piaciuto anche questo capitolo, anche se sprovvisto del caro Aristotele… ma tranquilla, prima o poi anche la maieutica passerà di qua ;) A presto, J.

 

Juliet95: Many thanks anche a te!! Sì, anche io credevo che sarebbe riapparsa Minerva (che tra l’altro, non sopporto) e invece… sparita nel nulla. Bah. Per le scuse, aspettiamo il prossimo capitolo ^^ Ho riflettuto sul tuo commento, e ho dovuto riconoscere che hai perfettamente ragione: Artemis sarebbe troppo OOC se fosse così insicuro. Dunque, ho tentato di ristabilire un poco il suo carattere, ma devo dire che nel prossimo capitolo sarà molto molto dura, perciò ti chiedo scusa in anticipo se non incontrerà la tua approvazione… Baci, J.

 

Raven_95: il mio stile simile a quello del grande, grandissimo, egregissimo Eoin??? O.O grazie!! È il miglior apprezzamento che io abbia mai ricevuto… Sono felice che la storia si piaccia, e spero che continuerai a seguirla!! J

Bacioni, J.

 

 

Mentre ci sono, ne approfitto per chiedere a tutti coloro che hanno aggiunto la storia fra i preferiti, o fra le seguite, o che semplicemente leggono (sì, lo so che ci siete *scoppia in una risata maligna*) di lasciarmi una piccola recensioncina… Mi farebbe molto felice (e renderebbe più veloce il mio scrivere ;D)

Continuo a scusarmi e ad additare come colpevoli quei dannatissimi contest di HP che mi tolgono tanto, ma tanto tempo… *sospira pensando alla sua stupidità*.

Baci, J.

P.s. Vi sarete accorti che non ho mai cucinato torte in vita mia. A dire il vero, non ho mai cucinato e basta. Chiedo ammenda ^^ Inoltre, credo che l’idea di Elinor che cucina dolci per tirarsi su sia da mia nonna, sia da Izzie di Grey’s Anatomy. Ah, la canzone, famosissima, è I’m a believer degli Smash Mouth, che vi invito ad ascoltare mentre Elinor balla. E’ impagabile, almeno nella mia testa ;)

  
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