Che
stanchezza.
Questa
dovrebbe essere una scusa sufficiente, ma mi rendo conto
che non lo è. Perciò, evito di scusarmi, e vi
lascio alla lettura, che mi
auguro troverete interessante. Devo dire che questo capitolo mi lascia
perplessa, perché l’ho scritto troppo in fretta e
inoltre sembra lasciare la
storia a metà, sospesa nell’aria, ma
c’è da dire che sarebbe stato troppo lungo
se avessi lasciato anche la seconda parte che, vi assicuro, non
tarderà così
tanto ad arrivare J
9
– I’M A BELIEVER
La
sveglia suonò precisa alle 6.20 del mattino. Con un
movimento brusco, Elinor
cercò di zittirla, tastando il comodino ad occhi chiusi e
finendo per
scaraventare il malcapitato orologio a terra.
Per
un
breve istante si chiese perché diamine l’orologio
aveva suonato così presto.
Quando però riuscì a connettere il cervello e a
ricordare che giorno era un
sorriso le si stampò in faccia.
Il
2
maggio. Il compleanno di Giova.
Con
una
fitta al cuore pensò che erano passate ormai due settimane
dalla gita, ma scacciò
questa triste riflessione: non voleva collegare quel malcapitato evento
a quel
giorno, che avrebbe dovuto essere felice.
A
Elinor
piacevano i compleanni. Le erano sempre piaciuti, perlomeno quelli
degli altri.
Le piaceva l’idea che ognuno potesse avere un giorno tutto
per sé, un giorno
straordinariamente ordinario, in cui non c’era bisogno di
pensare a nulla o di
preoccuparsi di nulla, e in cui ogni cosa acquistava sfumature
leggermente
diverse e quasi simboliche, come se quel giorno rendesse tutto speciale.
E
quel
giorno era il giorno di Giova.
Come
ogni
mattina infilò le ciabatte pelose ai piedi, per poco non
andò a sbattere sul
muro e arrivò, inaspettatamente tutta intera, fino alla
porta, che era già
aperta.
Si
fiondò
giù dalle scale, presa da una sorprendente ondata di
energia. Questo giorno deve essere diverso,
pensò. Magari sarebbe stata l’occasione giusta per
portare un po’ più di
allegria in quella casa.
Entrò
nella cucina. Se voleva che fosse una sorpresa doveva fare presto.
Giova
nella vita aveva due grandi amori: le macchine e i dolci. Tre, se si
contava
anche la sua bicicletta. Elinor, a casa, gli aveva organizzato una
festa a
sorpresa, aveva già comprato il modellino di da regalargli e
aveva scaricato da
Internet e studiato una ricetta per fare una torta con sopra una
farcitura in
cioccolato a forma di automobile.
Elinor
non era brava a cucinare. Non sapeva fare assolutamente nulla, se si
eccettuavano le torte. I dolci, che a lei non piacevano, le riuscivano
benissimo, e lei si divertiva a prepararne, specialmente quando si
sentiva
triste. E, in quella casa, non si sentiva felice.
Doveva
iniziare quella mattina a fare la torta, se voleva che lievitasse
durante la
giornata, ma doveva farlo di nascosto. Chiuse la porta dietro di
sé, e si
guardò attorno con aria circospetta.
Via
libera.
La
sera
prima aveva controllato che ci fossero tutti gli ingredienti, e aveva
ottenuto
da Juliet il permesso di usare la cucina. Evidentemente, si fidava di
lei, e, a
mo’ di ringraziamento, Elinor aveva deciso che avrebbe
offerto una fetta di
torta anche alla sua carceriera.
Elinor
aprì il frigo e tirò fuori il latte e le uova,
mentre la sua mente vagava. Ogni
volta, quando cucinava, nella luminosa cucina di casa sua, suo fratello
arrivava, accendeva lo stereo in soggiorno e gironzolava vicino ai
fornelli
mangiucchiando pezzi di ingredienti, suscitando le ire fasulle di sua
sorella
maggiore.
In
quel
momento, nel silenzio di quella buia e fredda cucina, Elinor si
sentì fuori
posto.
Non
devo lasciarmi abbattere,
si
ripetè mentalmente. Era il giorno di Giova, e lei doveva
renderlo speciale, non
poteva permettersi di sprofondare nella malinconia. Tuttavia, mancava
qualcosa,
se lo sentiva. Non sarebbe mai riuscita a fare una torta decente, senza
la
musica. Per lei, la torta sarebbe rimasta sempre amara e insipida, se
non fosse
stata accompagnata da una buona dose delle sue canzoni preferite.
Quando
tutto intorno a noi va male, e tuttavia sappiamo che potrebbe andare
molto
peggio, siamo convinti che nulla è più in grado
di stupirci. Ma, spesso,
dobbiamo ricrederci.
Il
carattere talvolta cinico e profondamente scettico di Elinor
l’aveva sempre
scoraggiata dal credere nei miracoli. Quando però
notò l’I-pod azzurro di
Juliet appoggiato innocentemente sullo spoglio tavolo di vetro nella
sala da
pranzo, pensò, per un breve momento, che avrebbe dovuto
riflettere più a lungo
e con più attenzione sull’intera faccenda.
Si
avvicinò cauta all’oggetto inanimato e si
guardò attorno con aria guardinga,
dandosi poi della stupida al pensiero che non c’era nessuno
lì, alle sei e
mezzo di mattina. Evidentemente, Juliet l’aveva dimenticato
lì la sera prima.
Dunque… che male c’era a usarlo un po’?
Era parzialmente
sicura che Juliet e Leale non l’avrebbero gettata
in cella di isolamento,
se ce n’era una, per questo.
L’afferrò
con rinnovata energia e lo impostò su
“riproduzione casuale”. Perfetto, si
disse, sorridendo. Prese in mano una ciotola, ci versò
dentro alcuni
ingredienti, e si mise al lavoro.
“Ma
che
diamine…” Leale si affacciò dalla
porta, gettando uno sguardo alla cucina e
portandosi contemporaneamente una mano all’interno della
giacca, dove teneva la
fidata Sig Sauer. Quello che vide fu talmente fuori
dall’ordinario, soprattutto
in quella casa, che ci mise qualche momento a capire cosa stava
succedendo;
quando però il suo cervello gli suggerì una
spiegazione plausibile per ciò che
stava avvenendo sotto i suoi occhi, rimase così
piacevolmente sorpreso da non
dire una parola e da rimanere appoggiato allo stipite della porta per
godersi
la scena.
Elinor
stava cucinando, ma non in modo convenzionale. Canticchiava, e muoveva
i piedi
nelle ciabatte a tempo, così come sbatteva
l’impasto all’interno di una ciotola
a ritmo. Aveva parecchie macchie sul grembiule, i capelli castani
raccolti
malamente in una coda ed era vestita con una semplice maglietta sopra i
pantaloni della tuta. Ma sorrideva, e a Leale sembrò
così felice che pensò che
per nulla al mondo si sarebbe permesso di disturbarla. Rimase a
osservarla,
incantato dal modesto e rasserenante spettacolo di una ragazzina
disordinata
che, con movimenti fluidi, si destreggiava fra zucchero e cioccolato,
senza
altri pensieri se non le parole delle canzoni che stava ascoltando
nella sua
testa.
Leale
rimase lì per un po’, sicuro che la ragazza non si
fosse accorta di lui.
“Thought that love was only true in
fairy tales…” Elinor
alzò pian piano la voce senza neanche rendersene conto.
Sembrava totalmente
presa da una guarnizione che stava assorbendo tutte le sue energie,
tranne
quelle necessarie a cantare.
Leale
pensò che aveva già sentito quella canzone da
qualche parte, ma queste sue
riflessioni furono interrotte da altri rumori, provenienti
dall’altro ingresso
alla cucina. Elinor, che dava le spalle sia alla porta dove si trovava
la guardia
del corpo sia all’altra, e che per giunta non poteva sentire
nulla a causa
della musica nelle sue orecchie, non si accorse di nulla.
“For someone else but not for
me…” La
ragazza passò dalla guarnizione allo sbattere la crema con
un enorme cucchiaio,
incapace di stare ferma. Leale era incerto se avvertirla che qualcuno
stava
arrivando o meno, ma non aveva alcuna intenzione di uscire dal suo
nascondiglio
e di interrompere quel piccolo momento di serenità.
Semplicemente, sperò che
non arrivasse nessuno e di essersi solo sbagliato.
“Love was out to get me.” Elinor
alzò ancora un po’ la voce e, anche se gli dava le
spalle, Leale era sicuro che
stesse sorridendo.
“That’s
the way it seeemed” La ragazza mollò la ciotola,
mantenendo la presa sul
cucchiaio pieno di cioccolato che portò vicino alla bocca a
mo’ di microfono.
“Disappointed haunted all my
dreams…” Allungò
volutamente l’ultima vocale, preparandosi al ritornello.
Alzò un braccio, mentre
i suoi fianchi si muovevano a tempo, o almeno così Leale
supponeva, dal momento
che non poteva sentire nulla se non la sua voce.
Fu
in
quel momento che Artemis entrò nella cucina, passando
dall’altra porta.
“Then
I
saw her face” Elinor continuava a cantare e ballare sul
posto, ignara dei due
spettatori che, in silenzio, osservavano la scena. “Now
I’m a believer!” Elinor
mosse la testa a suon di musica, mentre Leale fissò Artemis:
il ragazzo la
guardava totalmente basito, e sembrava completamente incapace di fare
alcunché.
“Not
a
trace, tu-tun-tu-tun, of doubt in my mind” Elinor sembrava
essersi
specializzata anche nelle seconde voci.
Si
girò,
ad occhi chiusi, sempre tenendo il “microfono”
vicino alla bocca, e alzandolo
come se fosse stata una rock star.
“I’m
in
love, uuuu” Fu durante la “u” lunga che
aprì gli occhi e si trovò Artemis di
fronte, vestito di tutto punto, che la osservava con
un’espressione
indecifrabile.
Si
fermò,
senza abbassare lo sguardo. Normalmente si sarebbe sotterrata per
l’imbarazzo,
ma questa volta non doveva importarle nulla dell’opinione di
quello stupido,
inutile, schifoso…
Si
accorse che, mentre cercava di trovare epiteti sufficienti a designare
il
ragazzo di fronte a sé, aveva continuato a fissarlo in un
imbarazzante silenzio.
Raccolse
a sé tutta la dignità che le rimaneva e, ben
decisa a non spiegare né a
giustificarsi, si voltò verso la torta, e
continuò a canticchiare a bassa voce.
Artemis,
da parte sua, rimase qualche secondo a fissarle la schiena, mentre un
ghigno si
formava sul suo volto.
Silenziosamente,
riprese la porta da cui era sbucato e si dileguò senza
pronunciare una sillaba.
Non appena se ne fu andato, Leale vide Elinor fermarsi e appoggiare le
dita
sulle tempie, prima di scoppiare in una tranquilla e dimessa risata che
suonava
tanto di imbarazzo e di sollievo.
Elinor
stava ridacchiando.
Fantastico,
pensò, ora mi crede anche pazza.
E,
in
fondo, come dargli torto? Erano neanche le sette di mattina, e lei
stava
sogghignando da sola nella fredda cucina dei rapitori, mentre le ultime
note di
“I’m a believer” risuonavano nelle sue
orecchie.
La
ragazza si riscosse. Che stava facendo? Si stava davvero
preoccupando di ciò che quell’inqualificabile
individuo
pensava di lei? Quasi sperò che qualcuno la stesse
guardando, mentre con aria
stizzita e profondamente orgogliosa si toglieva il grembiule, metteva
tutto a
posto e, incedendo con passo indispettito e elegante –almeno
così sperava-,
usciva dalla stanza.
E,
in
effetti, qualcuno la stava guardando.
Erano
circa le tre del pomeriggio. I ragazzi erano tutti nel salotto, dove i
maschi
giocavano alla play-station e le ragazze chiacchieravano
tranquillamente. Era
incredibile come si fossero pian piano quasi abituati alla situazione,
senza
perdere la testa. Erano ormai giorni che nessuno faceva più
domande su casa e
su un loro possibile ritorno, anche se le questioni albergavano ancora
nell’aria. Erano ormai parecchie notti che ognuno di loro
dormiva, e che
nessuno piangeva nel solitario silenzio della propria camera.
“Ma…
voi l’avete
capito chi è sto qui?” Sissi si rivolse con
esuberanza a Elinor e Arianna, che
erano sedute sul divano, placidamente assorte nella lettura di qualche
rivista.
Milla alzò gli occhi, staccando la testa dal bracciolo della
poltrona su cui
era raggomitolata.
“Di
chi
parli?” chiese Elinor, non riuscendo a capire dove voleva
andare a parare.
“Sì,
insomma…” Sissi si guardò attorno con
aria circospetta. “Il ragazzo. Il capo.”
Era
la
prima volta che veniva chiamato senza un evidente dispregiativo, che di
solito
proveniva da parte di Elinor. Di solito, la ragazza non si lasciava
andare a
epiteti particolarmente coloriti, ma aveva dimostrato di saper fare
eccezioni.
Appena
sentì che quell’essere abominevole veniva chiamato
in causa, Elinor sentì il
sangue affluire al viso velocemente. Avvampò, al ricordo
della figura della
mattina, e sperò che nessuna se ne fosse accorta, o che
perlomeno scambiassero
la sua reazione come un improvviso attacco d’ira.
“Si
chiama Artemis Fowl. È ricco, ed è un despota. Ha
più o meno la nostra età ed è
l’ideatore del nostro rapimento. Questo è quello
che c’è da sapere.”
Nella
stanza calò il silenzio. Arianna non si era mai espressa con
una tale
decisione. Pure i ragazzi staccarono gli occhi da Final Fantasy IV per
posarlo
sulla mora.
“Però.”
Fu l’unico commento, proveniente da Gianluca.
“Sono
d’accordo.” Elinor intervenne a sostegno
dell’amica. “Inoltre, ha evidenti
problemi nei rapporti sociali. Scommetto che non ha molti
amici.” Sentenziò,
gelida.
“Si,
però…” Elinor non riusciva a credere
alla proprie orecchie. Davvero Sissi stava
prendendo le difese di quella specie di verme viscido e…
“è indubbiamente
carino.”
Silenzio.
Milla spostò lo sguardo da Sissi alle altre due ragazze,
senza fiatare, in
attesa di una loro violenta reazione. Arianna assunse un’aria
sconvolta. Elinor
non riuscì a trattenersi.
“Stiamo
parlando dello stesso essere perfido e subdolo che ci ha rinchiusi
qui?”
Sissi
esitò. “Non lo sto mica difendendo. È
uno stronzo e lo detesto, ma carino è e
carino rimane. Un po’ come… Draco
Malfoy.”
Detto
questo, l’atmosfera si rilassò un poco. Pian piano
le ragazze tornarono a
ridere e scherzare, e la discussione sul fascino segreto del
personaggio e
delle sue somiglianze con il rapitore in questione si fece
più accesa, ma non
per questo più seria.
Elinor
celava dietro i sorrisi e le battute un certo, inspiegabile turbamento,
probabilmente dovuto al fatto che non aveva ancora parlato alle
ragazze, e
soprattutto ad Arianna, di ciò che le era successo quella
mattina. Non
riuscendo a sopportare oltre, si alzò a prendere una boccata
d’aria. Non sapeva
esattamente dove sarebbe andata, ma non aveva fretta. Uscì
dal salotto e si
avviò su per le scale, alla ricerca di qualcosa che le
tenesse occupata la
mente. Arrivata al secondo piano, si fermò. Non aveva voglia
di tornare in
camera, che sentiva sempre più come la sua prigione, ma non
aveva neanche
intenzione di incorrere nella furia di Leale salendo al terzo piano.
Decise dunque
di svoltare a sinistra anziché a destra, e di scoprire
ciò che si trovava nella
direzione opposta al corridoio delle stanze.
Senza
sapere
bene il perché, allentò il passo, e si
sistemò la maglietta sui jeans, come sua
abitudine quand’era più tesa. Gettò uno
sguardo distratto a una porta alla sua
destra, che era stranamente socchiusa.
Forse,
la
musica, rigorosamente classica, che risuonava dall’interno
avrebbe dovuto
avvertirla. O forse, avrebbe dovuto pensare che gettarsi a testa bassa
in una
stanza sconosciuta, in una casa ancor più sconosciuta che
apparteneva a strani nonché
misteriosi rapitori non era una buona idea.
Spinse
dolcemente
la porta ed entrò.
Autrice:
Ordunque?
Che ne pensate? Lo so, lo so, non avrei dovuto
interrompere la storia lì, ma vi assicuro che scoprirete
presto ciò che c’è
dietro alla porta…
Ed
ora, le risposte alle recensioni:
Lucille:
Grazie grazie grazie!!! Sono felice che ti piaccia!!! Le tue
parole mi hanno davvero tirata su di morale, non sai quanto sia
importante per
me… in quanto a Artemis, devo dire che è
difficile farlo interagire con gli
altri, e che, in fondo me la sono cercata: oltre a scegliere un
personaggio
indubbiamente difficile su cui scrivere, ha anche il ruolo di
rapitore!! Elinor…
Elinor è il personaggio. La protagonista di tutte le mie
storie mentali che mi
faccio, e non hai idea della difficoltà di rendere il suo
carattere, che mi
sembra di conoscere benissimo, ma che vorrei che apprezzasse anche
qualcun
altro. Sono felice che a te piaccia ^^ Riguardo a Artemis/Spinella,
beh, de gustibus
;) Baci, a presto, J.
_FrancySoffy_:
non ho parole. Sono io ad essere fortunata. Ti voglio bene
<3
Chariss:
Grazie!!! J
spero che ti sia piaciuto anche questo capitolo, anche se
sprovvisto del caro Aristotele… ma tranquilla, prima o poi
anche la maieutica
passerà di qua ;) A presto, J.
Juliet95: Many thanks anche a te!! Sì,
anche io
credevo che sarebbe riapparsa Minerva (che tra l’altro, non
sopporto) e invece…
sparita nel nulla. Bah. Per le scuse, aspettiamo il prossimo capitolo
^^ Ho
riflettuto sul tuo commento, e ho dovuto riconoscere che hai
perfettamente
ragione: Artemis sarebbe troppo OOC se fosse così insicuro.
Dunque, ho tentato
di ristabilire un poco il suo carattere, ma devo dire che nel prossimo
capitolo
sarà molto molto dura, perciò ti chiedo scusa in
anticipo se non incontrerà la
tua approvazione… Baci, J.
Raven_95:
il mio stile simile a quello del grande, grandissimo,
egregissimo Eoin??? O.O grazie!! È il miglior apprezzamento
che io abbia mai
ricevuto… Sono felice che la storia si piaccia, e spero che
continuerai a
seguirla!! J
Bacioni,
J.
Mentre
ci sono, ne approfitto per chiedere a tutti coloro che
hanno aggiunto la storia fra i preferiti, o fra le seguite, o che
semplicemente
leggono (sì, lo so che ci siete *scoppia in una risata
maligna*) di lasciarmi
una piccola recensioncina… Mi farebbe molto felice (e
renderebbe più veloce il
mio scrivere ;D)
Continuo
a scusarmi e ad additare come colpevoli quei
dannatissimi contest di HP che mi tolgono tanto, ma tanto
tempo… *sospira pensando
alla sua stupidità*.
Baci,
J.
P.s.
Vi sarete accorti che non ho mai cucinato torte in vita
mia. A dire il vero, non ho mai cucinato e basta. Chiedo ammenda ^^
Inoltre,
credo che l’idea di Elinor che cucina dolci per tirarsi su
sia da mia nonna,
sia da Izzie di Grey’s Anatomy. Ah, la canzone, famosissima,
è I’m a believer
degli Smash Mouth, che vi invito ad ascoltare mentre Elinor balla.
E’
impagabile, almeno nella mia testa ;)