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Autore: SignorinaEffe87    09/06/2010    3 recensioni
Secondo Renato Portinari, Leibniz aveva torto.
Infatti, nel migliore dei mondi possibili, i seggioloni dell'Ikea non somigliano a sculture futuriste, gli omogeneizzati non sanno di mascarpone andato a male e, soprattutto, le figlie non ululano come lupi mannari pur di non farsi imboccare.
[Terza classificata al "Contest The Kitchen" di Annaf85 e Tamaki The King]
Genere: Commedia, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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AvevaRagioneLeibnizefp
Disclaimer: Gli aforismi citati nella storia appartengono ai rispettivi filosofi. I personaggi, invece, sono frutto della mia immaginazione, pertanto di mia esclusiva proprietà.
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AVEVA RAGIONE LEIBNIZ


"Quelli che hanno affermato che tutto va bene
hanno quindi affermato una sciocchezza:
bisognava dire che tutto va nel migliore dei modi."
Voltaire, "Candido"


Leibniz aveva torto.
Sin dal primo istante in cui quella constatazione si era affacciata, beffarda, alla sua mente, Renato Portinari seppe di non essersi appena aggiudicato il merito per la rivoluzione copernicana del terzo millennio: molti suoi illustri predecessori, armati di quel sadico autocompiacimento che caratterizza le menti superiori, avevano affilato le penne e demolito punto per punto la celebre teoria secondo cui l'uomo vive nel migliore dei mondi possibili.
Ad ogni buon conto, da laureato con centodieci e lode in Scienze Filosofiche, preferiva di gran lunga costruire una tranquilla e redditizia carriera accademica sulla veridicità delle asserzioni di altri pensatori, anche se, allo stato attuale delle cose, era ancora fermo alla fase di supplente, pagato poco e male, di una cricca paramafiosa di detestabili figli di papà, presso il più prestigioso liceo pavese.
La contestazione, di qualunque genere essa fosse, non si addiceva per nulla alla sua indole paciosa e fondamentalmente allergica al rischio.
Tuttavia, mentre se ne stava appollaiato sul vecchio tavolo di formica della cucina, un cacciavite a stella in mano, gli occhiali sbilenchi sul naso sottile e il bocchino della pipa stretto fra i denti, continuava a fissare con espressione afflitta l'informe catafalco di legno dinanzi a sé, somigliante piuttosto ad una qualche assurda opera d'arte contemporanea che ad un seggiolone, e non poteva fare a meno di domandarsi se, in questo benedetto migliore fra i mondi possibili, l'Ikea avesse davvero assunto uno psicolabile come progettista.
Già, perché lui restava l'incontrastato detentore del titolo di Attila del fai da te, dotato dell'innato talento di fracassare anche ciò che le aziende vendevano come indistruttibile o a prova di idiota, ma era un dato altrettanto incontrovertibile che la mente di chiunque avesse realizzato quel diabolico arnese non fosse del tutto lucida.
Infatti, nessuna persona con un briciolo di raziocinio ben funzionante avrebbe costruito un mobile in cui i listelli di legno erano più lunghi dello spazio che dovevano occupare, i vani delle viti più piccoli e stretti delle viti stesse e, questo era il tocco dell'artista, il libretto di istruzioni allegato era scritto in lingue sconosciute a chi non fosse nato e cresciuto nel territorio compreso fra la Papua Nuova Guinea e le isole dell'arcipelago malese. A ciò si aggiungeva il fatto che vi aveva sudato sopra sette camicie, proverbiali e non, per un intero pomeriggio, senza che il malefico oggetto offrisse la benché minima collaborazione alle operazioni di montaggio o mostrasse una seppur vaga affinità con l'immagine riportata sulla scatola.
A sua parziale consolazione, solo l'aver rimandato un'esaltante sessione di correzione dell'ultimo compito in classe di quelle capre bipedi dei suoi allievi, che, a voler essere brutalmente sinceri, andava considerata comunque una perdita di tempo.
Non poteva neppure concedersi la soddisfazione, un po' meschina, ma pur sempre catartica, di incolpare qualcun altro per averlo cacciato in quella situazione frustrante.
Se non fosse stato un inguaribile e smidollato romantico, avrebbe opposto un fermo rifiuto a quella proposta di Elettra, all'apparenza innocua, quando lei gli aveva indicato la fotografia del medesimo modello, montato alla perfezione, sulle pagine di un catalogo di arredi per l'infanzia, accompagnando alla richiesta un dolce sorriso radioso cui il giovane marito non era in grado di negare alcunché.
Mai che si facesse un qualche cenno a simili insidie della vita coniugale, durante i corsi prematrimoniali, si ritrovò a pensare, incurvando le labbra in un ghigno agrodolce.
Questo poteva forse accadere, nel migliore dei mondi possibili?  
Si strinse nelle spalle esili, dopo aver deciso che era troppo melodrammatico scomodare la teodicea per un seggiolone sghembo e bitorzoluto, mosso da una volontà propria e nient'affatto corrispondente alle aspettative dell'ignaro acquirente.
Quindi, trasse una profonda boccata dalla pipa, assaporando a fondo, sulla punta della lingua, l'aroma dolce del tabacco e stupendosi, come la prima volta, del benefico effetto calmante che esercitava sui suoi nervi sollecitati.
Infine, diede uno scrollone esplorativo al risultato del proprio operato, il quale emise un cigolio lancinante, quasi il sinistro presagio di un imminente, rovinoso crollo, ma, con sconfinato sollievo del professore, rimase integro.
In quel preciso attimo, la sua personale apocalisse ebbe inizio.
Accanto alla porta-finestra socchiusa, nello spazio esiguo fra la lavastoviglie e la parete, il piccolo box colorato fu dapprima scosso da un lieve tremito, strappando un paio di note languide della ninna-nanna di Brahms al carillon a forma di alveare che vi dondolava sopra.
Poi, venne il grido.
Repentino.
Incessante.
Disumano.
Fa' pure il filosofo, ma in tutta la tua filosofia resta pur sempre un uomo, sosteneva uno degli aforismi di Hume.
Pertanto Renato, trapassato da parte a parte da un autentico brivido di terrore, si domandò, molto umanamente, in base a quale sconosciuta legge universale sua figlia Nausicaa, addormentatasi poche ore prima come bimba adorabile e mansueta, si fosse svegliata trasformata in un mostriciattolo paonazzo e rabbioso che emetteva terrificanti strida ultraterrene.
Per qualche secondo, il professore valutò addirittura l'allettante opzione di obbedire all'istinto sconsiderato del maschio comune, il quale gli stava sussurrando, alla stregua di un'irresistibile Lamia, di fare una metaforica linguaccia alle sue responsabilità di padre e darsela a gambe, prima di dover fronteggiare l'irreparabile.
Magari, dal piano superiore, Ottavio avrebbe udito il pianto della nipote e sarebbe sceso ad accudirla al suo posto...
Alla sua inflessibile serietà bastò un momento, quello in cui il giovane realizzò che aveva promesso ad Elettra di badare a Nausicaa proprio perché lei e il cognato erano andati a teatro insieme, per intimargli in tono imperioso e tutt'altro che amichevole di restare.
Quindi, richiuse alla bell'e meglio la cassetta degli attrezzi, si raddrizzò gli occhiali con una manata sbrigativa, fece scivolare la pipa in tasca e si chinò oltre il bordo del box per prendere fra le braccia la figlioletta.
Incurante del fatto che quest'ultima continuasse a strillargli a squarciagola a pochi centimetri dall'orecchio sinistro, pregiudicando per sempre il corretto funzionamento della sua membrana timpanica, Renato prese ad armeggiare con tutte le ante e i cassetti presenti nella stanza, alla ricerca di qualsiasi oggetto potesse essere usato per riscaldare un omogeneizzato, finché una sorte benevola ad intermittenza gli mise dinanzi un pentolino ammaccato e dal fondo bruciacchiato.
Il giovane lo riempì d'acqua, vi immerse il barattolo e, tenendo costantemente d'occhio il fornello acceso, si mise a cullare Nausicaa, nell'ostinato, disperato tentativo di calmarla.
"Su, su, non piangere: sono io, sono il tuo papà... Adesso mangiamo la pappa..." ripeté, in un'imitazione poco convinta e molto ridicola di ciò che Elettra faceva ogni giorno, da sei mesi a quella parte, come se fossero i gesti e le parole più naturali del mondo. Se fosse sopravvissuto a quell'arduo cimento, doveva ricordarsi di chiederle se fosse un'abilità connaturata da millenni al genere femminile o, con maggior probabilità, era solo lui ad essere un vero incapace.
Comunque, quello stentato espediente sortì l'effetto sperato: rassicurata dal suono familiare della sua voce, la bambina smise almeno di frignare, ma i suoi lineamenti paffuti rimasero contratti in una smorfia torva, quasi che ritenesse il padre colpevole di qualche imperdonabile affronto alla propria persona. Quest'ultimo non vi prestò molta attenzione, impegnato piuttosto a controllare lo stato del pasto della figlia.
Dopo aver frugato nel cassetto delle stoviglie lì accanto, recuperò un cucchiaino, lo intinse nella pappetta molliccia, di uno scialbo color ocra annacquato, e se lo portò alla bocca, così da assicurarsi che non fosse né troppo fredda, né troppo calda.
Tutto ciò che apprese fu che era solo troppo disgustosa.
Serrando i denti a viva forza per reprimere l'istintiva reazione di precipitarsi sul vaschetta del lavello e vomitare anche il pranzo di nozze di sette anni prima, spostò alternativamente uno sguardo attonito dal cucchiaio alla pentola, come se avesse appena scoperto che non si trattava di due banali oggetti da cucina, ma di pericolosissimi aspidi sotto mentite spoglie.
Non riusciva davvero a capacitarsi del fatto che un bambino potesse essere ghiotto di una letale poltiglia vischiosa dal sapore di mascarpone marcito.
Nausicaa dovette trovare alquanto esilarante il colorito verdognolo del padre e la sua aria di totale repulsione, poiché si lasciò sfuggire un urletto gioioso e sottolineò la propria contentezza battendo le manine tozze l'una contro l'altra.
Beh, almeno un lato positivo, in quel subdolo tentativo di avvelenamento, c'era.
"E'... E' pronto!" balbettò il professore, prima di sistemare la figlioletta sul seggiolone futurista, non senza un residuo di perplessità, e versare l'obbrobrioso pastone in un piattino su cui Titti, più giallo e sgargiante del solito, sembrava occhieggiare nella sua direzione in un cameratesco cenno di incoraggiamento.
Esalando un flebile sospiro fra sé, Renato osò sperare che il peggio fosse ormai passato...
Illuso.
Infatti, non appena ebbe finito di soffiare su di un abbondante cucchiaiata di mistura al presunto tacchino, si sporse in avanti per imboccare Nausicaa, la quale, per tutta risposta, si irrigidì come morta contro lo schienale, serrò drammaticamente le labbra carnose e voltò la testa dalla parte opposta, ammantata di tutta la sprezzante alterigia possibile per una bambina di soli sei mesi.
Troppo logoro nel corpo, nella mente e nello spirito anche solo per pensare di arrabbiarsi, Renato si bloccò con il cucchiaio a mezz'aria, scoccò alla figlia uno sguardo carico di simulata indifferenza e sentenziò, placido: "D'accordo, posso aspettare quanto vuoi, mio piccolo fiore di cactus."
Secondo copione, si frappose fra loro un'interminabile pausa di inazione, durante la quale la bimba si limitò a sbuffare, guardandosi bene dall'aprire la bocca anche solo per una momentanea distrazione.
Intanto, il professore contava e ricontava in maniera quasi ossessiva, fingendo di trovarli degni di interesse, i simboli stilizzati sulla legenda per il funzionamento del forno, il cui orologio gli fornì una lezione assai proficua su quanto potessero essere effettivamente lunghi due minuti.
In quello sfibrante lasso di tempo, si vide scorrere dinanzi agli occhi vivide immagini del proprio brillante passato universitario, trascorso ad inseguire gli eccelsi saggi d'altri tempi sui sentieri contorti delle loro arzigogolate elucubrazioni. Eppure, nessuno di quei formidabili intellettuali, che discettavano dell'infinità del cosmo, dell'esistenza o meno di un inconoscibile Architetto celeste, delle cause e degli effetti che facevano progredire il mondo verso una precisa finalità, si era premurato di insegnare a lui, apprendista padre di modeste speranze, un modo efficace per convincere una mocciosetta riottosa ad aprire la bocca e mangiare, senza ulteriori capricci.
La mocciosetta in questione, nel frattempo, non aveva smesso di opporre una pervicace resistenza passiva ad ogni approccio benevolo del genitore, dimenandosi nell'angusto quadrato del seggiolone, con la chiara intenzione di voler evadere da quell'odiata prigione di legno.
Mentre agitava braccia e gambe grassocce in maniera scomposta, le sue piccole dita ad artiglio si chiusero attorno agli occhiali del padre, oggetto che da sempre costituiva per lei una fonte di grande fascino, e glieli sfilarono dal naso con insospettata rapidità, per poi lasciarli cadere, in un tonfo attutito e una marea di schizzi, proprio al centro del piattino.
"Questo non si fa, Nausicaa!" la sgridò il professore, aggrottando le sopracciglia scure in un'espressione che avrebbe voluto risultare severa, ma che, in realtà, era solo il vano tentativo di un miope di distinguere qualcosa di più di una qualche sagoma sfocata ed ondeggiante.
Quindi, avvicinò il volto al piatto quasi fino a sfiorarlo con la punta del naso, tastò alla cieca la superficie tutt'attorno e, rassegnato, tuffò una mano nell'omogeneizzato tiepido per recuperare i propri preziosi occhiali.
Fu un'imprudenza madornale: credendo si trattasse di un nuovo gioco, il quale ricevette peraltro il suo istantaneo apprezzamento, Nausicaa afferrò il bordo del piattino, in un miagolio estasiato, per poi rovesciarlo con disinvolta noncuranza dritto sulla testa del padre, il quale si ritrovò con quell'insolito copricapo inclinato sulle ventitré ed il suo brodoso contenuto che gli inzuppava la corta zazzera di capelli neri, colando in rivoli vischiosi sulla faccia, sui vestiti e persino dentro il colletto della camicia.
Evitò di domandarsi se sciagure di tale portata si sarebbero davvero verificate, nel migliore dei mondi possibili: sarebbe stato quantomeno ironico, oltre che decisamente sconfortante.
Inoltre, sotto la pressione delle spinte continue della bambina, il seggiolone aveva ripreso ad emettere inquietanti scricchiolii minacciosi...
"Ciao, caro, sono tornata."
Dire che il saluto della moglie lo fece trasalire sarebbe un garbato eufemismo.
All'udire la sua voce, Renato si svegliò di soprassalto, sobbalzando sulla sedia, la matita copiativa ruzzolò sul pavimento, gli occhiali rimbalzarono con un rumore sordo sul tavolo di formica, la pipa rotolò accanto ad essi, sparpagliando qualche brandello di tabacco fuori dalla caldaia, e alcuni fogli protocollo dei compiti in classe, punteggiati di correzioni rosse e blu, presero a svolazzare crepitando tutt'attorno alla stregua di candidi gabbiani cartacei, finché lo stesso professore, recuperato un minimo di autocontrollo, non li risospinse nel mucchio per mezzo di un energico colpo di mano.
"Va tutto bene?" indagò Ottavio, in piedi nel vano della porta accanto alla sorella, prima che lo sguardo gli cadesse sulla pila dei temi.
Allora, storse la bocca in una smorfietta a metà fra il canzonatorio e il comprensivo, aggiungendo: "Oh, capisco: beh, non stento a credere che tu ti sia addormentato; è già abbastanza che non ti siano stati fatali."
"Sbagli ad avere una pessima opinione dei miei allievi, come mi sbagliavo anch'io, del resto.
Le loro produzioni possono risultare molto istruttive: ad esempio, tu lo sapevi che la Giovane Italia è una pizzeria d'asporto di Lomello?
Oltre che il giornale fondato da Giuseppe Mazzini, ovviamente."
Non del tutto sicuro di essere sveglio, il professore prese tempo con quella battutina sarcastica, mentre si stropicciava gli occhi e alzava lo sguardo verso la porta-finestra, solo per essere abbagliato dal riverbero del sole che tramontava dietro il tetto del palazzo di fronte. Comunque, riuscì a vedere ciò che gli interessava: l'angolo fra il muro e la lavastoviglie era ancora vuoto, nessun box gremito di pelouche ad occuparlo, nessun seggiolone autocosciente progettato dal paziente di una clinica d'igiene mentale, né tantomeno una marmocchia urlante di nome Nausicaa.
La sua marmocchia urlante di nome Nausicaa.
Al ricordo del sogno tragicomico, un languore sconosciuto gli punzecchiò le pareti dello stomaco: visto e considerato l'orario, si affrettò ad imputarlo alla fame.
"Uhm, davvero interessante" ironizzò di rimando il cognato, "Ne riparliamo a cena, ok?", quindi si congedò schioccando un bacio sonoro sulla fronte di Elettra e si diresse verso le scale che conducevano al suo appartamento, al piano superiore.
Un attimo prima che sparisse dalla loro visuale, a Renato parve di intercettare un suo fugace cenno d'intesa all'indirizzo della sorella, ma non vi diede molto peso.
Vivendo in loro compagnia, aveva avuto modo di imparare che i gemelli Castellani, spesso, si scambiavano taciti segnali di quel genere, alla stregua del linguaggio segreto di un mondo noto a loro due soltanto. Per quanto ne fosse affascinato, si era ormai rassegnato a restarne escluso; a prescindere da ciò, aleggiava ancora qualcosa di non detto fra loro, in quella cucina.
Renato aveva la netta, sgradevole sensazione di aver dimenticato un dettaglio o una notizia di capitale importanza, ma, per quanto si scervellasse, corrugando vivacemente le sopracciglia nell'imitazione mal riuscita di un'aria cogitabonda, non era proprio in grado di ricordare di cosa si trattasse.
"Com'era lo spettacolo?" s'informò allora, almeno per cercare di stabilire confini più netti fra il sogno di poco prima e la realtà.
Per tutta risposta, la moglie lo squadrò ad occhi sgranati, un'eloquente espressione interrogativa che le illuminava le iridi azzurro chiaro: "Quale spettacolo? Non dirmi che... te ne sei dimenticato, vero?".
Scosse la testa, rassegnata: "Ah, sei davvero incorreggibile!"
Ecco, se fino a qualche secondo prima aveva nutrito la flebile speranza di potersi raccapezzare in quell'inestricabile groviglio di verità dei fatti e finzione onirica, adesso non poteva che dirsi del tutto disorientato. Quindi, tanto per sentirsi ancora più sciocco, balbettò, esitante: "Dimenticato... di che cosa?"
Dal canto proprio, la ragazza si trincerò dietro un sorriso enigmatico, mentre insinuava, in tono svagato: "Piuttosto, dovrei essere gelosa?"
A volte, parlare con Elettra aveva sul professore il medesimo effetto straniante che gli suscitavano le sticomitie paradossali di una commedia di Ionesco, dal momento che le risposte date coincidevano assai poco, o nient'affatto, con le domande poste, come in quel caso.
Pertanto, scelse di glissare con una battuta di spirito, anche se non suonava molto convincente: "Se ti riferisci al fatto che trascorro più tempo con i compiti dei miei detestabili allievi che con te, giuro solennemente di far un gran falò di quelle cartacce e di ballarvi attorno una danza tribale africana.
Sono sicuro che gioverebbe sia alla spocchia smisurata di quelle zucche vuote, sia alla mia ulcera a lutto."
"E' un proposito molto romantico, caro, ma non è quello a cui stavo pensando" proseguì la moglie, ridacchiando, prima di buttar lì, con sconcertante naturalezza: "Io parlavo di Nausicaa: deve essere una persona davvero importante per te, visto che ripetevi il suo nome nel sonno, poco fa..."
Il volto abitualmente roseo del marito assunse in una manciata di secondi l'intera gamma di colorazioni possibili per i pigmenti della pelle umana, dall'imbarazzo purpureo al pallore cadaverico, mentre lui capitolava, abbassando gli occhi sulle fughe grigiastre delle piastrelle e torcendosi le mani con palpabile nervosismo: "Era solo uno strano sogno... E, comunque, si trattava di nostra figlia...
La figlia che avremo un giorno, intendo."
"Ma che buffa coincidenza!" osservò Elettra, incuriosita, quindi gli strinse il mento sbarbato fra pollice e indice e gli sollevò gentilmente la testa per poter incrociare il suo sguardo: "E, dimmi un po', hai già in mente anche un nome da maschietto? Perché, dopotutto, il dottore dice che è ancora presto per esserne sicuri..."
Silenzio, fiato mozzo e il battito cardiaco più lungo della sua intera esistenza.
Solo la scarica di adrenalina che sfrecciò da un nervo all'altro del suo corpo tremante gli permise di restare in piedi, senza franare, esterrefatto e privo di sensi, fra le braccia della moglie, la quale, ad ogni modo, lo avrebbe preso in giro finché morte non vi separi per quel deliquio da eroina tragica.
Intanto, le poche sinapsi ancora funzionanti dopo quell'inattesa, stordente rivelazione gli restituirono l'immagine di un episodio, allora privo di una valida motivazione apparente, in cui Ottavio riferiva loro che aveva ottenuto un permesso d'uscita anticipato dal direttore della banca, di certo per accompagnare la gemella dal ginecologo, a sua insaputa.
Il cognato era perfettamente al corrente della situazione e, come di consueto, si era guardato bene dallo spifferare alcunché.
"Io... Io un giorno o l'altro lo uccido, quel... Quel dannato carbonaro da strapazzo di tuo fratello!" squittì il professore, non appena si ritenne in grado di articolare una qualche frase di senso compiuto, all'infuori di brontolii incomprensibili e smozzicati.
Elettra tentò di placare i suoi risibili propositi bellicosi, obiettando: "Sì, e poi dove la troviamo una tata che lavora gratis nei fine settimana, genio?"
"Diventerò padre..."
Renato non si sentiva così beatamente ebbro da quando, ancora scapolo e campanilista, aveva trascorso la notte claudicando solitario in piazza Duomo e cantando 29 Settembre, fra i singhiozzi della sbornia, all'indirizzo di uno stormo di piccioni impauriti, dopo essersi scolato una bottiglia di manzanilla ghiacciato per dimostrare ad un collega sivigliano che gli italiani sanno reggere l'alcol di gran lunga meglio degli spagnoli.
Neppure la tensione paralizzante del giorno del matrimonio era stata capace di instupidirlo a tal punto, quanto l'apprendere che, entro nove mesi, avrebbe vezzeggiato, ninnato, accudito un tenero e amorevole frugoletto...
Frugoletto che avrebbe pianto inspiegabilmente per nottate intere, che lo avrebbe inzuppato di immonde pappette fin nei punti più impensati del suo corpo, che avrebbe ridotto in finissimi frantumi qualsiasi oggetto e/o suppellettile fragile nell'arco di alcuni chilometri, e chissà che altro ancora...
Attese l'ondata devastante di panico dell'ignoto, il maremoto angosciante dell'ansia da prestazione, ma, con sua titubante sorpresa, non accadde nulla.
Forse il fatidico evento era ancora troppo lontano, o forse era così ingenuamente felice da non riuscire a concepire neppure l'idea dei lati negativi della vicenda, i quali, lo sapeva, ci sarebbero stati.
Si sentiva animato da un'insospettata temerarietà, una sorta di baldanzosa avventatezza, molto lontana dal suo carattere timido e un po' remissivo, era pronto ad affrontare a viso aperto qualsiasi traversia il futuro avesse in serbo per lui.
Sì, era decisamente come essere ubriachi.
Ad un tratto, una chioma di capelli lisci rosso tiziano fece capolino dietro lo stipite della porta, oltre la curva morbida della spalla di Elettra, poi una voce maschile ben nota commentò, in tono falsamente lamentoso: "D'accordo, la scenetta di sublime amore coniugale è stata davvero toccante, però mi preme rammentarvi che qui c'è qualcuno che sta morendo di fame!"
"Tu quoque Brute? Fa' silenzio, congiurato dei miei stivali!" gli brontolò contro il professore, più allegro che adirato, mentre si faceva da parte per osservare il quotidiano siparietto dei gemelli che si contendevano l'onere e l'onore di preparare la cena, benché fossero l'uno più delinquenziale dell'altra in campo culinario.
"Ci credo che le bistecche ai ferri finiscono sempre per ridursi a tizzoni ardenti del tutto immangiabili: tu ti ostini ad accendere la cappa e non ti accorgi che stanno per bruciare!"
"Non accetto consigli da uno che riesce a trasformare delle innocue uova sode in armi di distruzione di massa!"
"Levatevi di torno, tutti e due: tu, perché non devi stancarti troppo, e tu, perché mi infastidisci" li ammonì entrambi, per nulla toccato dalle loro proteste sommesse.
Innanzitutto, aveva intenzione di consumare un pasto decente, almeno quella sera; inoltre, aveva il bisogno viscerale di tenere a bada la frenesia gioiosa che si era impadronita di lui, impegnandosi in una qualsivoglia attività manuale.
Era stato troppo duro con il buon vecchio Leibniz, durante il proprio sogno premonitore, rifletté, mentre trafficava tra il frigorifero e i fornelli, senza smettere di osservare di sottecchi Elettra, con il canonico sguardo acquoso dell'innamorato ebete.
Forse quello in cui viveva non era il migliore dei mondi possibili, ma, tutto considerato, non era neanche poi così male.


FINE




Ed ora, miei prodi lettori, la tortura quotidiana... Le dolenti note!

1) Gottfried Wilhelm von Leibniz, filosofo e matematico del XVII secolo. Una delle sue più celebri asserzioni, dileggiata da Voltaire nell'opera qui citata in calce alla storia, sostiene che Dio, nella sua infinita bontà, avrebbe potuto creare per l'uomo solo il migliore dei mondi possibili.
2) L'Ikea... Vabbè, non fatemi perdere tempo, su, ché lo sapete!
3) Dicesi teodicea quell'insieme di teorie filosofiche che mirano a giustificare e/o spiegare la presenza del Male nel mondo.
4) David Hume, filosofo illuminista scozzese del XVIII secolo; è considerato uno dei maggiori esponenti della corrente empiristica britannica, le cui basi poggiano sulla convinzione che la conoscenza umana possa procedere unicamente dai sensi e dall'esperienza.
5) La Lamia è un mostro notturno della mitologia greca, che si dice attirasse a sé gli uomini con voce melodiosa e sembianze sensuali per poi succhiar loro il sangue.
Erano anche considerate responsabili dei rapimenti e delle uccisioni dei bambini in fasce.
6) Lomello è un piccolo centro medievale dell'Oltrepo, in provincia di Pavia, la città in cui è ambientato questo racconto.
7) Eugene Ionesco è un drammaturgo francese di origine rumena, le cui produzioni teatrali sono rinomate per l'effetto di straniante incoerenza delle loro battute; lo stesso autore ha dichiarato che molti dialoghi fra i personaggi sono stati realizzati assemblando frasi tratte da un manuale di traduzione dal francese all'inglese per principianti.
8) 29 Settembre, brano musicale scritto dalla coppia Mogol-Battisti ed interpretato dall'Equipe 84.
Io amo questa canzone: ascoltatela, ed anche voi l'amerete come me, ne sono certa.
9) Il manzanilla è un vino liquoroso (sherry fino) prodotto nell'area meridionale della Spagna (Andalusia).
Il suo centro di produzione più rinomato è la città di Sanlùcar de Barrameda, nella provincia di Cadice: l'esposizione delle uve in maturazione ai venti marini viene considerata molto importante per ottenere il miglior aroma di questa bevanda.
Spero di non aver dimenticato nulla.
 
Approfitto di questo spazio per ringraziare i giudici di "Contest The Kitchen", Annaf85 e Tamaki The King, per la solerzia e la pazienza, nonché per avermi giustamente penalizzata a causa di alcuni orrori grammaticali, sfuggiti ai miei occhiacci astigmatici.
Così, è la volta buona che smetto di andare a far l'editor rompiscatole nelle recensioni agli altri e vado a seppellirmi per la vergogna da qualche parte...
I miei sentiti complimenti anche alle colleghe podiste e alle altre partecipanti.

Alla prossima!


     

   
 
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