Tokeya Hoksikala
Un aquila volava leggera
nel cielo mattutino sorvolando un piccolo villaggio Dakota all’ombra di
possenti montagne, planò piegando le ali per rallentare la caduta ed atterrò
sul braccio teso, coperto da un panno di cuoio, di un ragazzo dai capelli
biondi:
- Eccoti qui, sunkaku,
fatto buona caccia?-
L’animale aprì le ali
emettendo un acuto verso, il ragazzo sorrise accarezzandogli la testa, il vento
che leggero spirava mosse appena le piume del lungo copricapo indossato dal
biondo, il corpo era coperto da un semplice gonnellino di pelle marrone, sul
volto erano disegnate due strisce cremisi per ogni guancia:
- Pare di si..-
Il ragazzo rise,ma
subito ritornò serio nel rivolgere lo sguardo verso il suo villaggio..
Numerosi giovani stavano
salutando le madri e la famiglia per iniziare la loro Prima Caccia.
La caccia con cui
sarebbero diventati uomini.
Il biondo sorrise nel
ricordare la sua caccia, era stato molte lune prima ed ormai le persone con cui
aveva affrontato quella prova avevano il volto segnato dai segni degli anni,
ciò che meravigliava il giovane era che, mentre sui suoi fratelli gravava il
peso del tempo, su di lui sembrava che quel peso non arrivasse mai.
Sospirò sedendosi tra
l’erba della collina su cui si trovava, non riusciva proprio a comprendere
perché era l’unico a non crescere e, soprattutto, non capiva una cosa..
Tutti avevano un nome,
tutti, ognuno veniva chiamato il un modo unico che lo distingueva da tutti..
Lui, no.
Da ciò che ricordava non
aveva un nome.
Non gli era stata
attribuita alcuna parola che lo distinguesse dagli altri, era soltanto una
“X”..
- Tanhan, se qui..-
Una voce profonda e
dolce, il biondo si voltò ritrovandosi a guardare la figura del capo-tribù: un
uomo alto, lunghi capelli neri legati in una treccia ordinata, il fisico
possente con la pelle olivastra coperta solo in parte dalle vesti fatte di
pelle d’orso, il volto scavato appena da alcune rughe e gli occhi neri e calmi
come il Grande Lago.
- Ate…ben svegliato..-
Salutò il biondo senza
guardarlo negli occhi, l’uomo che da quando ricordava chiamava “padre” gli si
avvicinò posandogli una mano sulla spalla destra:
- Cinksi, lo vedo nei
tuoi occhi, sul tuo animo grava un grande fardello che ti sta schiacciando, non
nascondermi le tue inquietudini..-
Il giovane sospirò
nuovamente abbassando il capo, alcune piume del copri-capo andarono a coprirgli
gli occhi del colore del cielo:
- Ate, perché non ho un
nome? Tutti lo hanno, io invece…io non mi chiamo il nessun modo..tutti mi
chiamano “fratello”…io vorrei avere un nome…-
L’uomo sorrise
dolcemente sedendosi accanto al figlio, gli cinse le spalle avvicinandolo a sé
mentre con l’altra mano gli indicava la valle sotto di loro:
- Ora ti dirò un
segreto, una cosa molto importante che ora puoi sapere..-
Il biondo aggrottò le
sopraciglia in una posa interrogativa, il padre gli indicò la valle:
- Vedi tutto questo?-
Il giovane annuì
prestando la massima attenzione al padre che continuò:
- La terra su cui noi
piantiamo le nostre terre e che ci dona i frutti per vivere, l’acqua del fiume
su cui noi facciamo andare le nostre canoe, il cielo sopra le nostre teste che
ci dona la pioggia e disseta i nostri semi…tu, tu sei tutto questo..-
Il biondo spalancò
stupito gli occhi:
- I..io?-
Non riusciva a
capire…lui era un fiume, terra e cielo?
Capendo la confusione
nell’animo del “figlio” l’indiano sorrise, gli accarezzò il capo fissandolo
dritto negli occhi:
- Tu sei lo spirito di
questa terra, per questo non invecchi…per questo non hai nome, come potrei
darti un nome? Tu non sei mio, tu sei solamente di te stesso..-
Il biondo fissava a
bocca aperta l’uomo sbigottito da quella verità appena saputa:
-..sono onorato che il
Grande Spirito mi abbia dato l’incarico di crescerti, ho visto lo spirito della
terra su cui vivo crescere e diventare adulto, tu sei figlio, fratello e
padre….-
La nazione si imbronciò:
- Ma allora perché non
posso avere un nome? Non capisco…-
Il nativo scompigliò i
capelli dello spirito accennando una lieve risata:
- Ma non l’hai capito?-
Il biondo scosse il capo
non riuscendo proprio ad arrivare a comprendere cosa intendeva il “padre”:
- Tu hai un nome..-
- E come mi chiamo?-
- Hoksikala Niya…-
La nazione sorrise
solare ripetendo a bassa voce il nome con cui molte volte si era sentito
chiamare anche se, molti, usavano semplicemente “Hoksikala”.
Gli piaceva!
Si..
Sorrise alzandosi in
piedi di scatto, facendo così volare via l’aquila dal suo braccio:
- Grazie, ate -
Disse prima di correre
giù dalla collina con il vento che gli scompigliava i capelli e le piume del
copricapo, ridendo felice.
L’indiano lo guardò
allontanarsi, sorrise:
- L’onore è mio,
Tunkashila…-