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Autore: Patang    26/06/2010    5 recensioni
Elena Gilbert. La sentì prendere un pieno respiro, come se da un momento all’altro avesse dovuto implodere. La vide scendere, divenire sempre più nervosa. Rivolgersi verso l’assente presenza di Stefan ed iniziare ad avere il ritmo cardiaco accelerato. Guardò, affascinato, quasi, come il predatore osserva sempre il panico della sua vittima, il seno curvarsi sotto la spinta di polmoni che ricercavano nell’ossigeno un nuovo sollievo. Stefan? Era muta anche lei. Cieca anche lei. Ma non sorda. E aveva udito Damon, e gli aveva creduto. Ma, ora, il suo sguardo implorò il nulla. Il nulla.
Genere: Sovrannaturale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: Missing Moments, Movieverse | Avvertimenti: nessuno
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Pairing: Damon/Elena/Katherine

Episode: 1x19 Miss Mystic Falls.

Disclaimer: Mi piace ripeterlo in arabo, cinese e chissà quale altra lingua. Questi personaggi non mi appartengono. D’altra parte, sono stata liberamente ispirata dalla serie televisiva, e non dai personaggi presentati nei libri omonimi. Comportatevi di conseguenza.

 

A Chiara, Chiara e Martina. Tre delle mie donne.

 

Dancing

 

Damon rimase in silenzio a gettare occhiate oblique al bancone, dove giaceva, ancora mezzo pieno, il suo bicchiere di bourbon liscio.

Lo afferrò con decisione, considerando l’idea di gettarne il liquido sulla folla che si accalcava alle sue spalle, che lo sospingeva –alcune volte in modo più languido, come se fossero piccoli colpi di fianchi di donne- contro il tavolo di acero, come aveva soffiato con fare soddisfatto il sindaco Lockwood, omuncolo dalle spalle troppo grandi e dal petto fiero di un orgoglio che non era affatto affare suo, ma piuttosto il simbolo di una debolezza che rincorreva la violenza. Damon ne aveva viste le tracce sul volto del figlio, che lo aveva insultato con boria, che alla sua età non avrebbe neppure posseduto; soprassedette alla visione di lui con i capelli ricci scompigliati dal vento di cento e passa anni con uno scrollone del capo.

Scolò con decisione tutto il liquido, alla fine; gettarlo sarebbe stato divertente, ma sarebbe stato uno spreco: uno spreco per quella città che rimaneva ancora una prigione d’oro, dove tutti si alternavano nel recitare ruoli non propri, ma che desideravano calzassero loro a pennello. Lo desideravano. L’aveva desiderato pure lui, ai tempi. L’aveva desiderato con lui anche Stefan. E poi era giunta Katherine. E lì ognuno di loro, ognuno, persino coloro che temevano le creature della superstizione, si era fatto trascinare da una marea di desideri, le cui onde erano sempre differenti: passione, amore, tenerezza, protezione. Ognuno era stato infettato da quei visi di cortesia e trasgressione.

Lui per primo.

“Un barboun liscio, ancora.”

Liscio, sempre e solo liscio: senza vergogne, senza rimpianti, senza umanità; se non l’annebbiamento dei sensi che gli provoca. Dei suoi sentimenti a cui non aveva mai volute porre fine, come se fossero per lui più importanti di qualsiasi tipo di potere.

Come se rimanere umano fosse davvero ciò che avrebbe potuto mantenerlo per sempre in vita.

In una vita che aveva scelto consapevolmente. Per Katherine. Per Stefan; per la sua vendetta, poi. Per non sentire più su lui il freddo peso della colpa che non voleva condividere con nessuno. Che non voleva avere. Ma che aveva accettato nel momento in cui non si era voluto allontanare dal –amato, sempre amato- fratello e poi da Elena.

Gilbert.

Il nome dell’aguzzino. Il nome del giudice. Il nome del bigotto. Del cieco. Del muto. Del sordo.

Altro bicchiere vuoto lasciato, con delicatezza calcolata, non più spontanea, sul tavolo.

Gilbert.

Colei che gli spezzava il respiro centenario.

 

Sospirò, gettando di quando in quando un’occhiata dietro di lui, alla ricerca di Stefan, che doveva fare da cavaliere alla sua nobile dama.

Nulla.

Damon sperò, in cuor suo –un cuore marcio, ma ancora lì, pronto ad essere trafitto da un paletto di legno- che fosse già ad attenderla. Il passo fu ben diretto verso dove si stava svolgendo una delle ultime fasi del concorso –in quel momento gli giunse l’immagine del viso di Annabelle dal tono nostalgico ed insieme ironico, e sorrise, tra sé e sé-, pronto a osservarla mentre scendeva, mentre prendeva la mano di Stefan, il suo sorriso che si sarebbe tinto di toni meno ansiosi e più naturali, più sinceri e – Dov’è Stefan, maledizione?

Si accorse in quel momento che davvero lui non c’era.

 

La tentazione di iniziare a chiamarlo a gran voce era davvero forte, tanto che strinse i denti, nel tentativo –che riuscì- di reprimere a forza di sangue scuro ed inutile quella voglia, e pure quel panico: se non era lì, era probabilmente altrove. Un altrove che avrebbe potuto portare alla morte lui e pure lui stesso.

 

Elena Gilbert.

La sentì prendere un pieno respiro, come se da un momento all’altro avesse dovuto implodere. La vide scendere, divenire sempre più nervosa. Rivolgersi verso l’assente presenza di Stefan ed iniziare ad avere il ritmo cardiaco accelerato. Guardò, affascinato, quasi, come il predatore osserva sempre il panico della sua vittima, il seno curvarsi sotto la spinta di polmoni che ricercavano nell’ossigeno un nuovo sollievo.

Stefan?

Era muta anche lei. Cieca anche lei. Ma non sorda. E aveva udito Damon, e gli aveva creduto.

Ma, ora, il suo sguardo implorò il nulla. Il nulla.

 

 

Decise in quel momento.

Non era molto lontano dalla scala. Non avrebbe neppure dovuto correre: solo prenderla per mano.

Quando percepì sulle sue dita –fredde di morte, leggere e assassine- il tocco delle sue, rabbrividì; tanto profondamente il brivido scavò che si costrinse ad un sorriso rassicurante e al contempo assolutamente intimidito.

Non sapeva neppure che cosa stesse facendo.

 

 

 

 

{Dov’è Stefan?

 Where’s Stefan?

Non lo so.

I don’t know.}

 

Si susseguirono domande, repliche nella sua mente, ma nessuna di esse riuscì a dare conforto a quel senso di perdita e sicurezza che lo aveva catturato. Che lo aveva pervaso.

È umanità, questa?

{Che cosa sta facendo con Damon?

 What’s she doing with Damon?

Non ne ho idea.

I’ve no idea.}

 

Ridacchiò dentro di sé nell’udire i mormorii di quei mortali che si credevano padroni di una città che era sempre stata estranea a chiunque vi vivesse le proprie bugie, le proprie illusioni, i propri sogni, i propri amori, le proprie felicità.

Forse anche Jenny e persino Saltzman potevano essere aggiunti alla lista degli illusi. Sebbene loro fossero scappati per un certo periodo da tutto quello. Ma si è contaminati per sempre.

L’aria di Mystic Falls era contaminata. E nessuno vi sarebbe mai sfuggito.

Alzò lo sguardo e per un attimo l’espressione ilare, maliziosa di Katherine si contrappose a quella nervosa di Elena; un attimo, prima di riprendere la giusta lucidità, la giusta distanza da tutto quello.

Iniziò la musica: violini e voce che sembrava giungere dall’oltretomba, insieme a quei gesti che avrebbero dovuto consacrare l’inizio di quella città, l’ennesimo inizio, ma che in realtà aveva sancito al fine di ogni bolla di sapone.

Guardò le labbra di Elena muoversi, replicò quasi automaticamente, concentrato da un unico pensiero: Katherine, ancora. Quante volte le aveva baciate? Quante mordicchiate, mentre lei faceva la stessa cosa? Provò l’impulso di prendere quel corpo mortale, quel guscio vuoto per scuoterlo, torturarlo, accarezzarlo dolcemente, farlo urlare di vergogna e di amore.

Ripeté il medesimo gesto della sua dama: le mani vennero a fronteggiare quelle di Elena; i loro sguardi pure.

Fu in quel momento che comprese il labile confine tra tutto quello che lui stava sconfiggendo, che ormai aveva sconfitto e tutto quel palpitare, quell’umanità: quelle erano le labbra di Elena. Quelle erano le dita di Elena. Quello che ora udiva sul suo collo, mentre la stringeva a sé per il valzer, quello era il respiro di Elena. Nulla di estraneo, se non lei.

Katherine era sempre stata estranea. Katherine era vapore e nebbia fosca che si tingeva a tratti di rosso passione, ma mai d’amore. Non era mai stata sua.

Lasciò le mani di Elena.

La musica era finita.

Ma il palpitare –poteva?- del suo cuore marcio no.

Elena.

 

 

  
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