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Autore: GoldSaints    30/06/2010    2 recensioni
Gamlehaugen non è imponente come l'Akershus, la fortezza costruita dalle mani dei vecchi re di Norvegia, antica quanto Oslo. Gamlehaugen è un castello da fiaba, circondato dalla foresta. Gamlehaugen è una cornice fatata, di un incontro che di innocuo ha solo l'apparenza. E forse neanche quella.
{MINOS/RUNE} {pre-Hades}{shonen ai implied}
{by LeFleurDuMal & Ren_chan}
Genere: Dark, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Sorpresa
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Eton, Inghilterra

La notte si preannunciava silenziosa.

Rune aveva chiuso gli occhi già da un pezzo, dopo che il padre l’aveva lasciato. La tempesta si era placata, i venti anche, e lui si girò sul fianco, nella morbidezza confortevole del materasso, in attesa di prendere sonno. Si accomodò. Non si stava affatto male, non fosse stato per quello spiraglio d’aria fredda sul collo. Si rannicchiò, senza nessuna intenzione di abbandonare la sua nicchia calda per andare a controllare la finestra, e si immerse nelle coperte sino al naso. Poi, quando osò abbassarle, per puro caso, si ritrovò davanti una faccia. E lanciò un urlo da svegliare l’intero castello.

 

 

 

Capitolo III
I tetti

 

 

Lanciò un urlo, tirandosi su di scatto e appiattendosi contro la testiera.

Minos, per tutta risposta, gli tese una mano, senza scomporsi, senza muoversi per il resto di un solo millimetro. Il suo viso era per metà nascosto, la bocca dritta e immobile. Rune lo fissava, nel buio, tutto il suo contrario, con gli occhi spalancati e luminosi, a raccogliere quella poca luce che filtrava dalla porta.

“Altezza! Siete voi!” riuscì a sussurrare. Il cuore gli batteva fortissimo per lo spavento, ma il suo naturale istinto di obbedienza gli fece automaticamente eseguire quelle due cose che aveva imparato in quel breve pomeriggio: dare al principe del ‘voi’, ed assecondare incondizionatamente ogni suo gesto. Dopo qualche attimo allungò incerto la mano nella sua. Le sue dita furono prese ed afferrate saldamente, e Minos non perse tempo, muovendosi subito, trascinandolo con sé verso la finestra. Rune lo seguì, correndo quasi per stargli dietro: “Dove andiamo, Vostra Altezza?”

Finalmente, su quel volto pallido fiorì un’espressione. Un ghigno bianco, schiuso lentamente, mentre apriva entrambe le braccia e spalancava la finestra.

“Ah!” scosso da un brivido, Rune si serrò le braccia attorno al corpo, assumendo un’espressione spaurita. “Voi… non avete freddo? Altezza!”

Forse avrebbe dovuto imporsi, pensava intanto, esitante, dietro di lui. Non voleva certo che il principe si ammalasse! Goffamente, tese una mano avanti, staccandola meno possibile da sé, per non lasciare spiragli all’aria gelida, ma Minos fu lesto ad afferrarla.

“Vieni, Rune.”

Rune si sentì strattonare in avanti, incredulo, mentre quello con uno scatto saliva sul davanzale. Vide tutto con esattezza, e non poté crederci. Vide le gambe, agili e svelte, scattare, le ginocchia piegarsi, le mani reggersi salde agli infissi di legno. E in tutto questo si accorse a malapena del fatto che Minos lo stesse trascinando con sé, i capelli chiarissimi che si sollevavano nel vento. Che era gelido. Rune lo avvertì tutto nel momento in cui sentì che cosa gli stava dicendo: “Vieni a vedere i folletti della notte.”

“Co… cosa? Che cosa dite!” tentò disperatamente di deglutire. E poi i folletti non esistevano, no? “Non potete uscire con questo freddo!”

Lo seguì. Anche sul davanzale. Aveva quell’incoscienza tipica dei tredici anni, era svelto e per il momento non guardava in basso. Lo seguì, pensando ad un modo gentile ed educato di ricondurlo dentro. Minos lo strattonò per la mano, facendosi seguire a forza, salendo con una facilità impressionante verso l’alto. Lo strattonò senza particolare cattiveria, come se avesse solo fretta. Rune era lì lì per protestare, seppur debolmente, ma una volta sul tetto sembrò rendersi conto improvvisamente di che altezza aveva raggiunto, e rischiò di svenire. Per la paura, la vertigine, ed il freddo. Fischi orribili gli perforavano le orecchie e schiaffeggiavano i capelli sulla nuca, ed i più gelidi sembravano bucare la stoffa del pigiama. Minos, la cosa più strana e fuori posto in quello scenario notturno, era vestito di tutto punto. Parlava così piano, eppure si sentiva, nel vento.

“Hai paura, Rune?”

“N…no.” sussultò, alla sua voce. Tremava, e si guardava attorno spaurito. “Non ho paura.”

E mentiva. C’era qualcosa che andava persino oltre la paura, un filo invisibile e teso, come un cappio, che avrebbe potuto strangolarla, la paura. Non osava nemmeno dargli nome, tratteneva il respiro e le parole. Rimaneva con gli occhi spalancati, tremando per il freddo.

Minos rise, soffuso, così vicino a lui. Gli sollevò il viso, costringendolo guardarlo. E allora Rune lo vide.

“Anche perché…” Il vento furioso gli scopriva la fronte, e gli occhi erano gialli, brillantissimi e mobili sotto la luce bianca della notte. L’aria gelata lo frustava senza scalfirlo. “…ormai è troppo tardi, Rune.

E sotto la luna enorme, in quella landa di streghe, Minos gli apparve davvero come una creatura soprannaturale ed oscura, la sagoma aguzza della torre dietro di lui come grandi ali nere. Gli prese la mano, e lo trascinò con sé dentro l’inferno.

 

Minos!

Trascinato, Rune scordò ogni formula di cortesia che aveva imparato. Gli si aggrappò, gli occhi stretti nel vento, senza rendersi conto di quel che gli succedeva attorno, terrorizzato. Nella mente aveva impressa a fuoco quell’immagine tremenda e terribile – occhi gialli ed ali nere – eppure familiare, a suo modo, come se l’avesse già vista. Cercava disperatamente di ricordare dove, il cuore che batteva all’impazzata.

“Sei stato attirato” sussurravano parole al suo orecchio, intanto, mentre salivano, sempre poco distinguibili, nel vento. “Così ingenuo, Rune. Sei stato attirato. Come la preda del Nøkken: lui ti aspetta sotto il pelo dell’acqua, e tu non puoi fare altro che andargli incontro.”

 

La ruota del Fato ha cominciato a girare. E lui, per primo, sente.

Nessuna chiamata, a destarlo: Minosse, re antico, ne viene cullato sin dalla nascita, come una ninna nanna. Destinato agli Inferi, attratto dall’oscurità, si nasconde poco e tuttavia finge molto: non ha ancora coscienza di sé e del suo futuro, né tantomeno può prevederlo. Ma percepisce il girare della ruota, e sa attendere, Minosse, re antico. I mostri sono suoi figli, li sono sempre stati: di vita in vita, dal possente Minotauro ai genii delle foreste norvegesi. I mostri sono suoi figli, e quando non gli appaiono, li tira con i suoi fili. Li colleziona come bambole. In attesa.

 

Rune aveva gli occhi spalancati, e la gola bloccata. La testa gli ronzava senza sosta. Era totalmente inconsapevole, eppure qualcosa aveva cominciato ad avvertire, come se il Nøkken stesse cantando la sua ninna nanna delle tenebre da sotto il pelo dell’acqua. Non poteva far altro che correre dietro a Minos, incespicando, sotto quella grande luna senza notte.

“Minos, ti prego…” agghiacciato dalle sue parole, puntava i piedi, debolmente, cercando almeno di rallentare la sua corsa sui tetti. “Non andiamo oltre!”

“Oltre qui ci sono i mostri” ghignò per tutta risposta lui. All’espressione terrorizzata di Rune, tuttavia, inaspettatamente alzò il capo, guardando lontano, e lo precedette: “No. È una bugia. Il Nøkken si annida nei laghi, i folletti nelle foreste. I figli nascosti di Eva sottoterra. Qui non c’è nessuno.”

Lo condusse nel punto più alto, nella sua presa gelida. Per aggrapparsi alle guglie. Rune gli si aggrappava terrificato, affondandogli le unghie nel polso magro, come se lasciandolo potesse davvero precipitando all’inferno.

“Non… dove stiamo andando? Aspetta…”

Guardò giù, e venne colto dalla vertigine. Fu allora che Minos lo prese per la vita, sorprendendolo per quanto sicura potesse essere quella stretta. E lo trascinò con sé, come una cavalcata infernale, negli ululati della notte; arrivò ai piedi del tetto scosceso della torre, da cui si vedevano le luci di Bergen, e gli alberi innevati, e la foresta al di là della distesa d’acqua grigia e verde. Le luci si diradavano sino al nero lontano e misterioso dei boschi, e Minos si guardava attorno, in silenzio.

Rune non si era nemmeno accorto di avergli buttato le braccia al collo, tanta era la paura. Solo quando furono arrivati alzò appena il viso dalla sua spalla, e contemplò: le luci radenti, come in un quadro di Rembrandt, e il buio del bosco, che era l’apoteosi del buio. Erano a Bergen, e non erano affatto a Bergen. Il respiro concitato, Rune venne scosso da un brivido; gli occhi non riusciva a chiuderli, e gli sembravano diventati di vetro, tanto gli bruciavano.

“Rune.”

Alzò il viso, di scatto, quando si sentì chiamare. Erano premuti l’uno addosso all’altro, e Minos lo reggeva con apparente noncuranza, ma stretto, per non farlo cadere. Il vento freddo aveva schiaffeggiato Rune così violentemente da non permettergli più tanta sensibilità, e a stento riusciva a percepire il corpo contro al proprio. Rabbrividì, di nuovo, quando lo vide abbassare gli occhi gialli nei suoi, per poi distoglierli, puntati nell’immenso buio.

“Giurami eterna fedeltà.”

L’aveva sibilato, senza guardarlo. E Rune lo guardò fisso come se l’avesse schiaffeggiato.

Si tese, contro il suo corpo, petto contro petto, inguine contro inguine, un gemito nel vento, perché quell’ordine era come se non gli fosse stato impartito in quel momento, ma un’infinità di tempo prima. Si rese conto di piangere, senza sapere per qualche motivo. Se ne rese conto quando le lacrime, silenziose, gli scorsero sino al mento, seguendo la linea della guancia.

Rendo il mio cuore a voi.

Parlò, senza capire il significato delle proprie parole.

E davanti a voi piego il ginocchio.”

E se ne stupì.

 

In silenzio, erano scesi. Minos non aveva lasciato la presa un momento, agile come era salito. Rune lo guardava timidamente, il fiato bloccato in gola, domandandosi che cosa aveva giurato. E a chi.

Quando furono più stabili sulle gambe, Minos lo lasciò, continuando per conto proprio. Rune, ancora scombussolato, si infilò i capelli dietro l’orecchio, perché non gli dessero fastidio nel vento, ed affrettò il passo per stargli dietro, sino a che non venne preso per mano e ricondotto attraverso la finestra nella propria stanza. Dal freddo al caldo, da un sogno al risveglio, il ragazzino tirò un sospiro di sollievo, strofinandosi vigorosamente le braccia intirizzite. Minos si stava già defilando dalla porta, senza aspettarlo.

“Aspettate!” preso di provvista, Rune lo seguì, a piedi scalzi, per il corridoio. Quello si girò, l’espressione tornata impenetrabile e assente: “Mmh?”

“Io… ecco…” s’intartagliò il ragazzino, in imbarazzo.

“Vai a dormire. È tardi.”

Rune rimase a guardarlo, nel corridoio buio, come incantato.

Rimaneva in piedi, a guardarlo neutro, con quegli occhi gialli di falco. Perfettamente normale, e fisica, la sua figura, ora. Niente vento demoniaco, o torri come ali nere. Ma quegli occhi, e quella luce spettrale inchiodarono Rune lì dov’era.

“Vai.”

Si sentì chinare il capo, soggiogato dalla sua forza. Si girò e tornò nella sua stanza, mentre lui rientrava nella propria, scivolandovi piano e senza rumori.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

~ Gamlehaugen’s corner  by Ren_chan

 

 

Dichiarazioni: Minos è così gotico da farmi vergognare, ed ogni esagerazione e/o barocchismo è puramente voluto. Perdonatelo, vi prego. Mi pare uscito fra un crossover tra un romanzo dell’orrore vittoriano e un manga della Kaori Yuki. Ma facciamo finta di niente e proseguiamo.

 

Siamo abbastanza decise nell’idea di proseguire la fanfic oltre al terzo capitolo, e abbiamo molte idee in serbo. Ma voi dite: sareste pronti a distogliere gli occhi dalla foresta?

 

 

 

Grazie a…

 

Ai commentatori: Shinji, NoorDaimon, MaluLani e PerseoeAndromeda. Rispondere a distanza di tempo punto per punto diventa un po’ troppo artificioso, quindi ci limitiamo a ringraziare e basta, ma sappiate che è davvero di cuore! Ci siamo fatte attendere lungamente, ma questa fanfic non è stata certo dimenticata. È che abbiamo troppi progetti in corso, sob. Ci sembrava doveroso, comunque, chiudere almeno questo (primo?) trittico, così com’era stato progettato.

Speriamo che, sebbene in ritardo, possa giungere come degna chiusa. Per il momento.

E poi? Che dite? Andreste avanti? ;)

 

   
 
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