Nota:
I Tokio Hotel
non mi
appartengono e con questo mio scritto, pubblicato senza alcuno scopo di
lucro,
non intendo dare una rappresentazione veritiera del loro carattere,
né
offenderli in alcun modo.
Oggi, 30 giugno, lo stesso giorno
dell’uscita di Eclipse,
è la data che
ho scelto per iniziare a postare questa nuova FF! xD
Ci è voluto un po’ di tempo, ma
sono contenta del mio lavoro e spero vivamente che vi possa piacere.
È la prima volta che scrivo una
storia del genere e l’esperienza è stata
abbastanza difficile, devo dire la verità,
ma anche eccitante. Mi ha completamente coinvolta e…
sì, mi sono divertita un
casino! ;D
L’immagine che
vedete qui sotto è
la “locandina” della FF, spero vi piaccia *-*
(Anche perché ci ho messo un
sacco di tempo e di energie per realizzarla xD Ma ne è valsa
la pena!).
Ringrazio Christopher Moore e il
suo fantastico libro “Suck!”,
dal
quale ho preso spunto per rappresentare le caratteristiche dei
miei… personaggi
xD e alcune idee. Quell’uomo è un mito *-*
Un grazie ad Utopy,
che mi sopporta sempre xD E uno anticipato a tutti, spero di
trovarvi in tanti a seguirla!
Buona lettura! :)
Capitolo 1
Eyes
«Mi sono stancata, sai?».
«Di che cosa?».
«Che ne so, di tutto. Di questa vita…».
«Perché?».
«A volte mi chiedo che senso abbia, tutto questo».
«Ci deve essere per forza un senso?».
«Per me sì. Non voglio fare le cose campate per aria».
«La vita non è un programma, non la puoi pianificare, e a volte le cose non hanno sempre un senso».
«Come sei saggio, stanotte». Posò lo sguardo nel suo, ridente, e sorrise in quel modo dolce e tenero, come in pochi di loro sapevano fare, tanto da sembrare completamente umano. Nei suoi occhi cobalto, però, si poteva benissimo vedere la malinconia di quei giorni che ormai appartenevano ad un lontano e sfuocato passato. «Vorrei almeno trovare un senso a… perché a noi? Perché proprio me e te?».
«Vuoi continuare a porti questa domanda per molto tempo?».
«Perché no. Tanto ne ho fin troppo!».
Risero e saltarono giù dal parapetto della terrazza. Sulla città illuminata nel buio della notte.
*
«Sono
sfinito!», piagnucolò Bill sprofondando
sul sedile di morbida pelle nera, nell’auto che li avrebbe
finalmente riportati
in hotel.
Le signing sessions
erano una
delle cose che lo stancavano di più al mondo, nonostante
sembrasse semplice. La
sua povera mano implorava pietà.
«Questa sera c’è pure quella festa là… Non mi ricordo nemmeno più di chi!». Se avessero continuato così, avrebbe sicuramente avuto una crisi di nervi.
«È organizzata dalla Disquared», gli ricordò Gustav in modo pacato.
«Io non vedo l’ora!», esultò Tom battendo le mani sulle gambe. «Ci saranno un sacco di modelle e… ah, non ci posso pensare. Sarà il Paradiso», sospirò con gli occhi brillanti, accasciandosi sul sedile accanto a quello di suo fratello.
«Invece no, sarà la solita serata noiosa a far niente», sbuffò il cantante, incrociando le braccia al petto.
«Per forza, tu non sai divertirti!», lo rimbeccò il fratello ed iniziarono così a litigare.
Georg e Gustav non avevano nemmeno considerato l’idea di provare a farli smettere, sapevano che avrebbero rischiato la sanità mentale, così pensarono ai fatti loro con le grida dei gemelli in sottofondo, un sottofondo quasi abituale nel loro gruppo, fino a quando l’auto non si fermò di fronte all’entrata dell’hotel, assediata da un piccolo gruppo di fan che però gridavano come delle pazze. Bill e Tom si ammutolirono all’istante e sospirarono all’unisono, concordando tacitamente una tregua.
Scesero tutti e quattro dall’auto e vennero subito sommersi dai flash delle macchine fotografiche, oltre che assordati dalle grida che esplosero in un boato quando il piede di Tom toccò il suolo. Sorrisero e firmarono qualche autografo, poi entrarono nella hall dell’hotel e ad attenderli vi trovarono Dunja e Benjamin, i quali sorrisero in un modo che li fece avanzare sconfortati. Anche il giorno seguente sarebbe stato pieno d’impegni, tanto da non riuscire a farli respirare.
*
«Quando ti ho detto che stava a te la scelta, questa notte, non intendevo che potevi scegliere una tortura per la sottoscritta».
«Tecnicamente
parlando, non possiamo
essere sottoposti a torture vere e proprie»,
sussurrò in un modo impercettibile
alle orecchie umane, tanto che lo sentì solo lei.
Mostrò il
pass a uno dei due
grandi bodyguard piazzati all’entrata del locale in cui era
stata organizzata
la festa, sorridendo amabilmente, e, avuto il permesso
d’entrare, li sorpassò
trascinandosi dietro la compagna, tutt’altro che entusiasta.
«Tecnicamente parlando, sai che queste cose per me sono una tortura mentale», gli schioccò un’occhiataccia; lui sghignazzò.
«Dean e Dan sono due vecchi amici», sollevò le spalle, senza perdere quel sorriso birichino. «Ho solo approfittato del fatto che tu stasera eri accomodante».
«Se avessi saputo prima qual era il tuo diabolico piano mi sarei opposta, altro che accomodante!», sbuffò e si portò le braccia al petto, come una bambina. «Quelli sono amici tuoi, non miei. Tu hai fatto il modello per loro, una volta, non io. Perché mi hai portato? A questo punto avrei preferito starmene chiusa in hotel!».
Rise e le avvolse un
braccio intorno
alle spalle candide, lasciate scoperte quasi del tutto dalle spalline
fini del
vestito verde acqua che indossava, che, oltretutto, metteva in bella
mostra il
decolté con una spaccatura che quasi le arrivava
all’ombelico.
«Non dire
scemenze», le posò un
bacio sulla tempia. «Vuoi sapere perché ti ho
portato con me? Perché non mi
sarei divertito, se tu non ci fossi stata. Ormai non so vivere, senza
te».
Si guardarono negli occhi e si sorrisero, poi si immersero fra la folla scatenata in pista per raggiungere l’altro lato del locale, adibito alle salette private, quelle per le celebrità.
«E poi non ho mai capito perché li odi così tanto», rimuginò lui, guardando il soffitto sovrappensiero.
«Hanno una vocina così irritante…», gli rispose e rabbrividì, quando proprio quelle due vocine irritanti filtrarono i suoi timpani facendole chiudere gli occhi.
«Adam! E ci sei anche tu, Alisha! Non siete cambiati per niente!».
«Che piacere rivedervi!», rispose lei, fingendo di essere contenta ed aprendo le braccia.
«Il piacere è tutto nostro!», gridò un ragazzo la cui voce non aveva mai sentito. Si voltò lentamente verso di lui e lo guardò attentamente.
«Che sorpresa… i Tokio Hotel», le sussurrò Adam all’orecchio, dandole una gomitata fra le costole.
«Oh»,
inclinò la testa di lato,
vagamente sorpresa ed incuriosita.
Li osservò
uno per uno: il
batterista con gli occhiali, seduto in un angolo del divanetto, le
braccia
conserte e lo sguardo puntato su di lei; il bassista dai capelli lunghi
e
piastrati, gli occhi che scorrevano su e giù su di lei; il
ragazzo che aveva
parlato poco prima, il chitarrista se non ricordava male, che le stava
facendo
una radiografia completa leccandosi il piercing sul labbro inferiore; e
infine
il cantante dai capelli neri come la pece, in una cresta medio-alta
sulla
testa. I suoi occhi, però, i suoi grandi occhi nocciola,
erano fissi nei suoi.
Lui fu quello che la
colpì di
più, perché oltre ad essere ovviamente un bel
ragazzo, la guardava negli occhi
ed erano in pochi quelli che, vedendola, si concentravano sul suo viso.
Dan si schiarì la voce e interruppe l’incantesimo che aveva intrecciato i loro sguardi. «Adam, Alisha, penso che voi conosciate i Tokio Hotel, no? Vi presento Bill, Tom, Georg e Gustav. Ragazzi, loro sono Adam e Alisha, due nostri amici di vecchia data».
«Piacere di conoscervi», disse in tono garbato Adam, sorridendo come solo lui sapeva fare: sarebbe stato in grado di stendere tutti, senza distinzione di sesso, con quel sorriso.
«Vi fermate a bere qualcosa con noi, magari poi a fare quattro salti in pista e poi magari…», iniziò Tom con uno sguardo malizioso. Parlava al plurale, ma pensava al singolare, in quanto il suo unico pensiero ora era quella dea dalla pelle diafana, gli occhi blu, i capelli corti e biondi e ogni curva al posto giusto – la perfezione fatta a persona, a donna – di fronte ai suoi occhi.
«Tom», ridacchiò con un sorriso di compassione Dean, posandogli una mano sulla spalla come se fosse suo figlio e gli avesse appena fatto fare una figuraccia. «Loro sono molto impegnati, sono passati solo per un saluto…». Si chinò al suo orecchio con nonchalance, ma sia Adam che Alisha sentirono ciò che gli sussurrò, facendo finta di niente: «Lei è fidanzata!».
Il ragazzo scrollò le spalle e sorrise sghembo. «Io chiedevo soltanto!», guardò Adam, che gli sorrise con la solita gentilezza. Una gentilezza d’altra epoca, che un po’ affascinava, un po’ faceva mettere sulla difensiva.
«Credo proprio che invece accetteremo l’invito, vero tesoro? Tanto non abbiamo niente da fare questa sera». La guardò e le sorrise; lei ricambiò tanto dolcemente da brillare più di tutte le luci soffuse che illuminavano la pista da ballo.
«Sì, perché no?».
Tom si accese di vitalità e si alzò in piedi, aprendo le braccia: «Allora scateniamoci!».
Adam e Alisha si avviarono verso la pista da ballo, gremita di gente, ed iniziarono a muoversi in sincronia – una sincronia perfetta – a ritmo di musica.
«Sono fatti l’uno per l’altra, quei due», soffiò Dan, incantato, e il gemello aggiunse: «Le persone più affascinanti che abbia mai visto nella mia carriera di stilista».
«Lei è una figa pazzesca!», gridò Tom estasiato e Bill, lo sguardo che silenziosamente non si era mai distolto da Alisha, parve di vedere un sorriso divertito sulle sue labbra piene e bellissime, come se lo avesse sentito.
La ragazza si voltò verso di lui e gli tolse il respiro con un sorriso, seppure fosse appena accennato: aveva davvero qualcosa di divino, di angelico, tanto che la testa iniziò a girarli impercettibilmente, come se fosse stato stordito da quell’assurda armonia.
«Io mi butto, non resisto!», avvertì un Tom fremente, prima di lanciarsi in mezzo alla folla in direzione dei due. Nessuno riuscì a fermarlo.
Bill rimase a bocca aperta, sentendosi in qualche modo… ferito.
Adam sorrise sghembo e avvicinò la bocca all’orecchio della bionda, muovendosi con lei: «Sta arrivando il chitarrista, sarai contenta…».
«Mi piace essere desiderata», disse con innocenza, gli occhi chiusi.
«Ma tu sei solo mia», sussurrò Adam avvolgendole la vita con le braccia. «Per l’eternità».
A quella parola il viso
di Alisha
si adombrò, i suoi occhi si spensero, ma fu solo un attimo
perché Tom ormai era
al loro cospetto e con lo sguardo chiedeva ad Adam di lasciarlo ballare
con
lei. Il ragazzo sorrise e gli lasciò il posto molto
cortesemente, tanto che il
chitarrista ne rimase sorpreso per un istante, ma poi ne
approfittò
vistosamente ballandole fin troppo vicino per essersi conosciuti solo
cinque
minuti prima.
Alisha rise ai palesi
tentativi
di conquista di Tom e si portò i capelli
all’indietro. Il ragazzo la guardò
stranito.
«Perché ridi?», le chiese all’orecchio, per non dover urlare sopra la musica.
Quando la ragazza sentì il suo profumo, il profumo del suo collo, così vicino, socchiuse gli occhi ed esalò un sospiro. Si sporse così tanto su di lui da sfiorargli il petto con il proprio, provocandogli più di un brivido, e gli rispose: «Stavo solo pensando. Posso sapere quanti anni hai?».
«Ventuno». Deglutì per controllarsi: era troppo vicina, troppo sexy e aveva un profumo troppo irresistibile; la voleva, la voleva più di qualsiasi altra cosa. «Cioè, devo farne ventidue… Perché me lo chiedi?».
«Ah!», trattenne un’altra risata e si scostò per guardarlo negli occhi. «Fisicamente te ne avrei dati di più… mentalmente di meno».
Era così ammaliato dalla sua figura che ci mise qualche secondo per capire l’offesa gratuita appena rivoltagli. Avrebbe voluto ribattere, ma cosa poteva dire ad una così? L’unica cosa che gli venne in mente fu: «Perché, tu quanti ne hai?».
«Non si chiede l’età alle signore», gli disse e gli pizzicò il naso come si fa ai bambini, prima di lasciarlo lì con un palmo di naso e tornare da Adam e gli altri, con passo sinuoso e sicuro.
Bill sgranò
gli occhi quando vide
suo fratello ballare con Alisha, con sicurezza e un po’ di
spavalderia, mentre
lui era lì a bollire d’invidia. Forse era vero
quando diceva che lui non sapeva
divertirsi.
In preda allo sconforto,
si girò
verso Adam, seduto fra Dean e Dan, con i quali chiacchierava
amabilmente.
Nonostante volesse fargli una sfuriata, si trovò ad
ammutolire di fronte al suo
modo di parlare, alla sua gestualità… era
affascinante quasi quanto la sua
compagna. Aveva la carnagione pallida, i capelli neri, gli occhi verdi
brillanti e un sorriso da mozzare il fiato; per non parlare della sua
risata:
una melodia.
Perciò la sua
sfuriata divenne
all’incirca una domanda incerta e balbettante: «Ma
perché l’hai lasciato fare?».
Adam si voltò verso di lui e trattenne una risata, poi rispose posizionando lo sguardo sui due che ballavano vicini sussurrandosi cose all’orecchio: «Voglio assistere al momento in cui lei lo respingerà brutalmente. Può sembrare sadico, ma è più forte di me, è troppo divertente. E immagino che con Tom sarà ancora più spassoso, in quanto ho il presentimento che non sia uno che riceve rifiuti abitualmente».
«No, infatti», disse Georg e il ragazzo annuì, poi scoppiò a ridere quando vide Alisha lasciare lì Tom, sbigottito, e venirgli incontro.
«Ci hai messo poco», le disse divertito, accogliendola sulle proprie gambe. Alisha gli avvolse il collo con un braccio e ricambiò il sorriso, finta modesta.
«Sì, è stato fin troppo facile».
E ancora una volta gli sguardi di Bill e Alisha si incatenarono. Rimasero a fissarsi tanto a lungo da perdere qualsiasi espressione dal viso, immersi in specchi dentro i quali non riuscivano a vedere altro che se stessi, e dovettero costringersi a guardare da un’altra parte.
Uscirono passando dal retro, dove c’era già una macchina dai finestrini scuri ad aspettarli.
«È stata davvero una bella serata», disse Dan in nome anche del gemello. «Avete portato una ventata di freschezza, come sempre».
«Non abbiamo fatto nulla di particolare», scrollò le spalle Adam, stringendosi al petto Alisha, che sorrise e gli stampò un bacio sulle labbra.
Quel gesto così affettuoso, nonostante la sua semplicità, fece gelare il sangue nelle vene a Bill, che strinse le mani nei pugni e si diede del cretino. Come poteva essersi interessato di una ragazza così, che tra l’altro era felicemente fidanzata? E in una sera soltanto! Forse doveva prendere sul serio suo fratello, quando gli diceva che era troppo tempo che non si scopava una ragazza!
«Adesso state qui a New York?», chiese uno dei gemelli della moda ai due, distraendolo dai suoi pensieri.
Si guardarono negli occhi e Adam rispose: «Sì, siamo al Royalton».
«Oh, ancora la mania di stare negli hotel, eh?», sogghignò Dean.
«Sì», rispose quella volta Alisha, sfarfallando le ciglia. «Non ce la sentiamo di prendere casa, noi siamo spiriti liberi».
«Anche noi pernottiamo in quell’albergo», bofonchiò Tom, le braccia strette al petto e un broncio da bambino stampato sul viso a causa del comportamento di Alisha. Gli occhi di Bill brillavano.
«Tom, sei adorabile», disse la ragazza e gli punzecchiò ancora il naso con la punta del dito, poi rise e prese la mano di Adam.
«Allora ci vediamo!», salutò lui alzando la mano libera, avviandosi con la compagna.
«Voi non prendete una macchina?», chiese Gustav, la fronte corrugata. «L’hotel è ad un bel pezzo da qui!».
«Ci piace camminare!», rispose Alisha senza nemmeno voltarsi. Alzò la mano in segno di saluto e Adam la seguì, portandosi in fretta al suo fianco.
Quando furono abbastanza lontani dal gruppo, le chiese: «Allora, è stato così terribile?».
Si portò un dito sul mento, meditabonda: «Uhm… no», sorrise. «Devo dire che i gemelli mi sono piaciuti parecchio».
«Quali gemelli?».
«Oh, già», si colpì la fronte. «Ora ce ne sono quattro! I Kaulitz, ovviamente».
«Sì, sono simpatici. Anche Georg e Gustav».
«Sei contento che ti ho fatto felice?».
«Sì», soffiò e la baciò sulle labbra con più passione, poi la guardò negli occhi. «Che ne dici, andiamo a mangiare?».
Alisha annuì con la testa, con un’espressione fra il disgusto e la rassegnazione.
*
Notte, fuori dalla
finestra.
Un’immagine fissa, negli occhi e nella mente. I minuti che,
inesorabili,
scorrevano sulla sveglia sul comodino. Gli occhi spalancati di Bill,
rivolti al
soffitto.
«Cazzo, cazzo, cazzo», farfugliò
portandosi il cuscino sul volto. «Devo smettere di pensare a
lei! Devo
smetterla!».
Ma ciò che non sapeva, è che non ci sarebbe proprio riuscito a smetterla. Né quella notte, né mai.