Titolo: I was the first
Serie: Kingdom Hearts
Rating: PG
Genere: Fluff
Character: Sora, Riku
Pairing: just friendship
Conteggio parole: 1086
Note: Ambientato prima dell'arrivo di Kairi sull'isola, quindi
quando Sora e Riku sono ancora dei bimbetti.
Era stato lui il primo a trovarlo.
Prima di Wakka e Tidus.
Prima di Selphie.
Prima di chiunque altro.
Ranicchiato sotto i rami robusti di un albero che si attorcigliava su sè stesso.
Lui lo aveva trovato.
«Ciao!»
Il sorriso nacque spontaneo, mettendo in mostra entrambe le arcate di denti
ancora da latte. Subito, però, se ne pentì, serrando le labbra imbarazzato
quando la lingua trovò il buco all'altezza del molare che gli era caduto da poco
e per cui aspettava ancora il soldino dalla Fatina dei denti.
Timidamente si avvicinò di un altro passo.
Uno solo, piccolo piccolo, sebbene le scarpe che aveva erano così grandi che
finiva spesso per inciampare.
Le aveva volute lui così, a Natale aveva espressamente fatto richiesta per un
paio di scarpe così grosse, da farlo sembrare un gigante.
«Ciao.» ripetè la sua vocetta infantile, mentre si inginocchiava, osservando con
stupefatta curiosità scaglie di zaffiro e filamenti di seta azzurro-argento.
Occhi e capelli.
Avrebbe voluti toccarli, ma aveva anche paura di apparire maleducato o peggio.
Antipatico.
No.
Doveva fare le cose per bene.
Annuì ai propri pensieri, portando entrambe le mani sulla sabbia bianca e
gattonando pian piano verso l'albero ricurvo che dava rifugio alla piccola
figuretta che aveva trovato. Non l'aveva mai vista prima d'ora e si era
stupito quando aveva scoperto che si trattava di un bambino e non di una statua,
come aveva inizialmente pensato.
«Io!» ricominciò, la voce così alta che finì per portarsi entrambe le mani alla
bocca prima di terminare la frase che aveva iniziato.
Tacque per qualche secondo, nell'attesa di una qualche reazione, ma il silenzio
li avvolse, rotto soltanto dallo sciabordio delle onde dell'oceano e dal vento
che sollevava in parte la sabbia e la ridepositava a caso lungo la spiaggia
dell'Isola del Destino.
«Io...» riprese allora, sottovoce questa volta, facendosi coraggio «Mi chiamo
Sora.»
Presentandosi, si era ritirato dritto con il busto, cercando di tenere il mento
quanto più in alto potesse, finendo per sembrare più buffo di quanto non volesse
apparire. Ma anche così non ricevette alcuna risposta, solo uno sguardo di
sottecchi e poi neppure più quello; gli occhi che lo avevano guardato erano
tornati ad osservare l'orizzonte.
Deglutì, ripetendosi mentalmente di non arrendersi.
La prima impressione, si diceva, era quella che contava di più. Glielo aveva
detto Wakka che, a sua volta, lo aveva sentito fino alla noia ripetere da suo
padre e se era un adulto a dirlo, allora, doveva essere per forza vero.
«Che cosa stai facendo qui da solo?» insistette «Stai aspettando qualcuno?»
Attese, ma nulla.
Era frustrante non riuscire ad ottenere risposta che non fosse un religioso
silenzio, soprattutto per lui che era abituato alle chiacchiere infinite di
Selphie.
Si avvicinò ancora un po', sedendosi così vicino che riuscì distintamente a
sentire l'odore che quello strano bambino si portava dietro. Diverso dal proprio
-che era odore di salsedine, sabbia e, beh, sudore-, era qualcosa che non
avrebbe saputo descrivere ma, se fosse stato più grande e avesse avuto più
esperienza, avrebbe sostenuto che fosse odore di mistero.
Ispirò a fondo, quasi bastasse questo per avere le risposte alle proprie
domande.
Eppure, se lo aveva trovato -e Sora era stato il primo, eh!- doveva
esserci un motivo. Insomma, non poteva lasciarlo lì da solo e tornarsene a casa
come se nulla fosse. Non sarebbe stato giusto!
Lo osservò, portandosi l'indice alla bocca e iniziando nervosamente a
mordicchiarlo.
Il bambino era più grande di lui. Non tanto, ma quel che bastava per dargli
un'aria diversa da quella sbarazzina che invece aveva Sora.
Era più alto di qualche centimetro.
Aveva capelli di uno strano colore.
Ed occhi magnetici, calamitati sempre avanti a sé, quasi riuscisse a vedere cose
che nessun altro vedeva.
Sora raccolse le gambette al petto, protendendo il busto verso di lui e gli
sussurrò, la voce quasi inudibile, quasi si fosse trattato di un segreto che
loro soltanto dovevano sentire: «Non ti va di diventare mio amico?»
«Come si fa a diventare amici?»
Era così poco preparato a sentire la sua voce, che si tirò indietro di scatto,
gridanto stupito un «Ah!» che attirò lo sguardo zaffirino dell'altro.
«Hai parlato, hai parlato! Sai parlare!» esclamò agitato.
«Certo che so parlare...» commentò il bambino.
Aveva una voce calma. Infantile naturalmente, ma che esprimeva pochissimo le sue
emozioni, così come a fatica trasparivano dal suo visetto paffuto e grazioso, in
effetti troppo grazioso per essere quello di un maschietto.
«Allora dimmi come ti chiami. È così che si diventa amici!» spiegò Sora, con
tono solenne, per cercare di darsi un contegno.
L'altro rimase a fissarlo per così tanto tempo che Sora pensò non lo avesse
capito, ma, prima che potesse rinunciarci, la voce dello strano bambino si fece
sentire di nuovo.
«Riku. Mi chiamo Riku.»
E lui si illuminò.
«Ciao Riku!»
«Perchè mi saluti?»
Sora fece spallucce, rispondendogli come se fosse la cosa più ovvia del mondo: «Perchè
si fa così tra amici. Anche tu, quando mi vedrai la prossima volta, devi
salutarmi così. Lo farai, vero?»
Riku parve pensarci su.
«Non lo so. Mi sembra stupido.»
«Non è vero... non è stupido...» pigolò l'altro, infilando un broncetto.
«Se lo dici tu.»
«Comunque adesso siamo amici!» esclamò Sora ed un sorriso caldo gli illuminò il
visetto, mentre la propria mano cercava quella di Riku e stringeva le sue
piccole dita, contento per aver guadagnato un nuovo amico.
~
Era stato Sora il primo a trovare
Riku.
E, da allora, lo trovava sempre, ovunque lui fosse, in qualsiasi
momento della giornata.
«Ciao, Riku!» lo salutò, agitando il braccio con troppa euforia, mentre gli
correva in contro e si fermava davanti a lui, in attesa di qualcosa.
Riku lo aveva guardato e subito dopo aveva ripreso a osservarsi intorno, con la
curiosità di un gatto.
«Eddai, tocca a te, adesso!» sbottò.
«Non mi va.»
Sora sbuffò, incrociò le braccia al petto e gonfiò le guance.
Essere amici di Riku era faticoso.
«Sora.»
Alzò stupito lo sguardo verso di lui quando si sentì chiamare, reclinando la
testolina spettinata verso la spalla.
«Preferisco salutarti pronunciando solo il tuo nome. Mi piace di più e poi ha un
bel suono.» si spiegò l'altro.
Sora sorrise, annuendo con vigore, mentre una risata allegra stava già
gorgogliando nella gola e Riku scuoteva il capo davanti a tanto chiasso.
«Sei proprio uno stupido.» commentò, senza tuttavia riuscire a trattenere un
sorriso, piccolo, appena accennato.
Essere amici di Riku era faticoso, ma se il premio era il suo sorriso, allora ne
valeva davvero la pena.
.THE END.