1.565 Words.
Stanca. Ammalata. Nauseata.
Lei era stanca di tutto quel mondo che la circondava e di quelle lacrime che,
copiose, le rigavano il viso ogni sera prima di cadere fra le braccia di
Morfeo.
Alle volte, pensava, vorrei essere come uno dei personaggi degli anime o dei
videogiochi: irreali. Totalmente
falsi, senza veri sogni, senza reali ambizioni.
Realtà. Forse lei era l’unica umana a
non trovarla per niente piacevole. Perché quella stessa Realtà che tutti
acclamavano l’aveva resa schiava e prigioniera di se stessa; rinchiusa fra le
quattro pareti del suo stesso corpo, si sentiva come una peccatrice nella piena
redenzione dei suoi mali.
Si sentiva soffocare da tutti coloro che la circondavano: tutti pretendevano
qualcosa.
Di essere gentile, carina, intelligente, presentabile; brava a scuola, ottima
amica, amante perfetta. Tutti chiedevano e lei si limitava ad accontentare,
così le era stato insegnato. Ma lei? Le avrebbero mai chiesto “Sii semplicemente
te stessa”? Forse. Forse un giorno
l’avrebbero fatto.
Eppure quel sabato mattina, non fu quel
giorno.
E mentre tutti erano occupati a pianificare la loro e la sua giornata, lei
stava già architettando qualcos’altro.
Qualcosa di finalmente suo. Una sua decisione.
E lo sapeva, l’avrebbero criticata, ma lei, fortunatamente, sarebbe stata
lontana per sentirli e tanto meglio, ribattere.
Così lei continuava la sua giornata, radiosa come sempre, intoccabile come una
Dea. Le avevano insegnato che lei era perfetta, bellissima così com’era.
Una
Principessa.
Più tardi verso sera, quello stesso sabato, sua madre la andò a salutare:
sarebbe uscita in discoteca e lei sarebbe rimasta in casa da sola per sei ore.
Le sorrise e, abbracciandola forte, le disse di amarla e che non poteva essere
più fortunata di avere una madre come lei.
Era vero.
Sua madre era la migliore persona del mondo. Piena di difetti anche,
ovviamente, ma sapeva come si era sempre sacrificata per lei e come ancora lo
faceva, per lei, la sua unica figlia, il suo unico vero e infinito amore.
Era anche per rendere migliore la vita a sua madre che lei, decise che quella
sarebbe stata l’ultima volta che l’avrebbe vista.
Preoccupata dal suo modo d’agire, la madre le chiese se andasse tutto bene:
l’intuito materno è infallibile. La giovane rise, dicendole di essere meno
iperprotettiva.
Tutto andava bene.
Tutto sarebbe andato bene. Per alcune ore.
Abbracciandola nuovamente, la salutò, dicendole “Mamma, divertiti. Vivi. Almeno
per ora che siamo vacanza, okay?”
Quando, tornata dalla discoteca in uno stato basso stato di ebbrezza, la madre
bussò alla porta della giovane sedicenne, nessuno rispose. Tentò numerose volte
di aprirla, ma questa l’aveva chiusa a chiave. Così, ricordandosi di avere una
copia della chiave, la madre corse in camera per poi tornare di fronte alla
porta della figlia, infuriata. Perché stava agendo in questo modo?
Non vi sono parole che possono essere scritte, nessun aggettivo che possa
descrivere l’orrore di tale visione.
Non poté mai dimenticare quella notte.
Vide la figlia distesa sul letto abbracciare il suo enorme peluche giallo.
“Amore, svegliati, sono qui.” Le disse. Ma la figlia non si mosse. “Tesoro…” Scostandola leggermente, poté vedere ciò che le
coperte nascondevano: sonniferi. Una scatoletta da centocinquanta pastiglie
totalmente vuota.
Solo allora la donna, capì.
In prenda al panico urlò, urlò più forte che poté scuotendo la figlia sempre di
più nel vano tentativo di svegliarla. Sentendo la moglie urlare, il padre della
giovane Principessa suicida corse da lei, contemplando con orrore la scena
davanti ai suoi occhi.
“No, no, no!”
Sì.
La loro piccola Principessa non si
sarebbe mai più svegliata.
Sabrina non era una ragazza normale, certamente, era fuori dal comune. Chiunque
l’avesse vista, per quanto lei non lo credesse, non se ne sarebbe mai
dimenticato.
Lei sì, era davvero e senza ombra di dubbio, quella ragazza che si sarebbe
potuta descrivere unicamente con l’aggettivo “Bellissima”. Perché lei lo era.
I lunghissimi capelli cioccolato avevano dei riflessi rossicci e marroni
stupendi, per non parlare di quanto soffici e profumati fossero. Il suo
profumo, poi? Neanche a parlarne: Sabrina aveva un aroma incantevole. Il corpo
formoso non era magro come quello di una modella, una piccola pancetta c’era ma
non ovvia; aveva delle gambe, dei seni e delle mani favolose, quelle per cui le
ragazze pagherebbero oro per avere. Era intelligente, brava a scuola e molto
educata: la più educata di ogni ragazza che chi la conosceva avesse mai incontrato.
Ma lei non si vedeva così. Affatto.
Lei credeva di essere una ragazza come tutte. Non brutta, ma sicuramente
non bella, anzi, quasi quasi carina. Trovava i lunghi
capelli privi di forma e il corpo senza seno e con gambe storte, per non
parlare del fatto che si credeva obesa. Non si riteneva per nulla intelligente,
anche prendendo nove, non era mai contenta e se non otteneva il massimo, si
insultava mentalmente. Credeva di essere una poco di buono priva di maniere,
priva di ogni cosa.
Lei era 100 ma vedeva solo 10, forse anche meno. E fu proprio il totale
disprezzo della sua persona che la portò a prendere una tale decisione.
Sbagliata? Forse. Giusta? Poco. Ma era ciò che aveva trovato più facile fare.
Sabrina S. morì nella fredda notte del 17 luglio 2010, con soli sedici anni,
vergine e senza aver mai conosciuto l’amore. Morì senza aver realizzato il suo
sogno, morì senza aver mai visto tutto ciò che aveva sempre desiderato.
La madre non poté mai recuperarsi e non si preoccupò mai più di nulla. La sua
unica ragione di esistenza le era stata strappata nel momento stesso in cui il
cuore della figlia aveva smesso di battere. Inoltre, non perdonò mai se stessa
per la morte della giovane Sabrina, la cui unica richiesta, era scritta su un
foglietto colmo di lacrime che teneva fra le mani quella terribile notte.
“Mamma, spero un giorno potrai
perdonarmi. Non ho mai voluto ferirti in alcun modo e ho sempre cercato di
assecondarti e renderti orgogliosa in ogni cosa, ma credimi mamma, io non ce la
faccio più.
Questa vita mi sta’ soffocando e ogni mia singola energia è risucchiata ogni
giorno da un vortice nero di dolore.
Non credere mai sia colpa tua, mamma, perché non lo è. Tu mi dai tutto ma io
ancora non sono felice.
Perdonami, ma non è tutto questo che mi circonda a darmi felicità. E potrò
sembrare egoista ma davvero, mi sento vuota, depressa, inutile: una totale
feccia umana.
Grazie per tutto l’amore che mi hai dato e per ogni singolo giorno mamma,
l’unico motivo per cui mi pento di non essere più qui mentre leggerai questa
“nota” è non poterti essere più vicina.
Ti chiedo solo una cosa mamma: vivi. Vivi più che puoi e non fermarti mai. Vivi
anche per me. Vivi perché hai smesso di farlo il giorno stesso in cui sono
nata. Divorziati finalmente dall’immaturo di papà e vivi. Inutile chiederti di
dimenticarmi perché so già che non lo farai, ma ti prego non fartene una colpa
e rendi utile il mio sacrificio.
Vivi, mamma.
Vivi.”
Il suo corpo fu gettato nelle profondità del mare, così come lei l’aveva sempre
desiderato. Intatto, sprofondò nel blu più profondo, dove nessuno l’avrebbe mai
incontrato.
Poteva essere sola e priva di preoccupazioni, finalmente. Niente più richieste.
Nessuna pressione.
Nessuna emozione.
Morì giovane. Morì per se stessa. Morì per la vita. Morì…
Per debolezza? Che Sabrina non avesse la forza per vivere, nessuno se n’era mai
accorto. Lei era così forte quando parlava, così convincente col suo sorriso…
O per lo meno, così pareva.
Per quanto potesse non sembrare, comportò diverse settimane a Sabrina prendere
tale decisione. Al solo pensiero il viso le si bagnava di lacrime, non solo per
lei, ma per sua madre, gli amici e, umile com’era, pensava anche a coloro che
non avevano avuto altra scelta che morire e lei, come nulla, avrebbe gettato la
sua vita nel dimenticatoio. Però, si chiedeva, loro riuscirebbero a sopportare
una vita come la mia? Una vita da Sabrina?
La risposta era ovvia. E nel profondo del suo cuore, lei si riteneva una
bestia.
Se Sabrina non si fosse mai suicidata, cosa sarebbe successo? Avrebbe
conosciuto l’amore della sua vita, prima o poi? O come lei credeva non sarebbe
mai venuto e, brutta come credeva di essere, sarebbe rimasta zitella a vita?
Sarebbe rimasta la bravissima studente che era o sarebbe migliorata, avendo ora
più voglia e grinta di studiare? E, sarebbe riuscita a convivere col suo “corpo
deforme” avendo ora due interi mesi da dedicare ogni giorno per tre ore fra
danze varie e pattini, che avrebbero sicuramente
sciupato quel poco di grasso che aveva?
Non lo sapremo mai e anche Sabrina rimarrà con questo dubbio e con l’eterno
pentimento. Perché si sa’, la vita prima o poi, termina. La morte è eterna. E
lei dovrà convivere con questo peso… Per sempre.
Ciò che fece era giusto? No, assolutamente.
Fortuna che le bastò scrivere tutto questo, per cambiare idea e decidere di
lottare. Certo, non avrebbe cambiato molto l’idea di se stessa, ma adesso
avrebbe chiesto aiuto. Aiuto a tutti coloro che sapeva l’avrebbero aiutata.
Aiuto a tutti coloro che realmente l’amavano.
Venerdì aveva una festa, ma non se l’era sentita e non era andata. Se ne pentì
ma, ripensandoci, quella sera tra venerdì e sabato era stata una delle più
importanti della sua vita. Di certo, non se ne sarebbe mai dimenticata.
Quella sera, 1.565 parole, le salvarono la vita.