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Autore: Principessa Purosangue    17/07/2010    1 recensioni
Ciò che spinsero gli avvenimenti di quella sera, erano la disperazione di una vita soffocata da coloro che la circondavano. Le sue erano lacrime scarlatte che non avrebbero mai smesso di rigarle il viso. Lei ormai aveva deciso: quella notte, sarebbe stata la sua ultima notte. Non ci sarebbe più stata quando l'avessero criticata e a lei andava bene così. Era proprio ciò che desiderava, dopotutto: sparire. Sparire per sempre.
Genere: Drammatico, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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1.565 Words.

 


Stanca. Ammalata. Nauseata.
Lei era stanca di tutto quel mondo che la circondava e di quelle lacrime che, copiose, le rigavano il viso ogni sera prima di cadere fra le braccia di Morfeo.
Alle volte, pensava, vorrei essere come uno dei personaggi degli anime o dei videogiochi: irreali. Totalmente falsi, senza veri sogni, senza reali ambizioni.
Realtà. Forse lei era l’unica umana a non trovarla per niente piacevole. Perché quella stessa Realtà che tutti acclamavano l’aveva resa schiava e prigioniera di se stessa; rinchiusa fra le quattro pareti del suo stesso corpo, si sentiva come una peccatrice nella piena redenzione dei suoi mali.
Si sentiva soffocare da tutti coloro che la circondavano: tutti pretendevano qualcosa.
Di essere gentile, carina, intelligente, presentabile; brava a scuola, ottima amica, amante perfetta. Tutti chiedevano e lei si limitava ad accontentare, così le era stato insegnato. Ma lei? Le avrebbero mai chiesto “Sii semplicemente te stessa”? Forse. Forse un giorno l’avrebbero fatto.
Eppure quel sabato mattina, non fu quel giorno.
E mentre tutti erano occupati a pianificare la loro e la sua giornata, lei stava già architettando qualcos’altro.
Qualcosa di finalmente suo. Una sua decisione.
E lo sapeva, l’avrebbero criticata, ma lei, fortunatamente, sarebbe stata lontana per sentirli e tanto meglio, ribattere.
Così lei continuava la sua giornata, radiosa come sempre, intoccabile come una Dea. Le avevano insegnato che lei era perfetta, bellissima così com’era.
Una Principessa.
Più tardi verso sera, quello stesso sabato, sua madre la andò a salutare: sarebbe uscita in discoteca e lei sarebbe rimasta in casa da sola per sei ore. Le sorrise e, abbracciandola forte, le disse di amarla e che non poteva essere più fortunata di avere una madre come lei.
Era vero.
Sua madre era la migliore persona del mondo. Piena di difetti anche, ovviamente, ma sapeva come si era sempre sacrificata per lei e come ancora lo faceva, per lei, la sua unica figlia, il suo unico vero e infinito amore.
Era anche per rendere migliore la vita a sua madre che lei, decise che quella sarebbe stata l’ultima volta che l’avrebbe vista.
Preoccupata dal suo modo d’agire, la madre le chiese se andasse tutto bene: l’intuito materno è infallibile. La giovane rise, dicendole di essere meno iperprotettiva.
Tutto andava bene.
Tutto sarebbe andato bene. Per alcune ore.

Abbracciandola nuovamente, la salutò, dicendole “Mamma, divertiti. Vivi. Almeno per ora che siamo vacanza, okay?”

Quando, tornata dalla discoteca in uno stato basso stato di ebbrezza, la madre bussò alla porta della giovane sedicenne, nessuno rispose. Tentò numerose volte di aprirla, ma questa l’aveva chiusa a chiave. Così, ricordandosi di avere una copia della chiave, la madre corse in camera per poi tornare di fronte alla porta della figlia, infuriata. Perché stava agendo in questo modo?

Non vi sono parole che possono essere scritte, nessun aggettivo che possa descrivere l’orrore di tale visione.
Non poté mai dimenticare quella notte.

Vide la figlia distesa sul letto abbracciare il suo enorme peluche giallo. “Amore, svegliati, sono qui.” Le disse. Ma la figlia non si mosse. “Tesoro…” Scostandola leggermente, poté vedere ciò che le coperte nascondevano: sonniferi. Una scatoletta da centocinquanta pastiglie totalmente vuota.
Solo allora la donna, capì.
In prenda al panico urlò, urlò più forte che poté scuotendo la figlia sempre di più nel vano tentativo di svegliarla. Sentendo la moglie urlare, il padre della giovane Principessa suicida corse da lei, contemplando con orrore la scena davanti ai suoi occhi.
“No, no, no!”
Sì.
La loro piccola Principessa non si sarebbe mai più svegliata.

Sabrina non era una ragazza normale, certamente, era fuori dal comune. Chiunque l’avesse vista, per quanto lei non lo credesse, non se ne sarebbe mai dimenticato.
Lei sì, era davvero e senza ombra di dubbio, quella ragazza che si sarebbe potuta descrivere unicamente con l’aggettivo “Bellissima”. Perché lei lo era.
I lunghissimi capelli cioccolato avevano dei riflessi rossicci e marroni stupendi, per non parlare di quanto soffici e profumati fossero. Il suo profumo, poi? Neanche a parlarne: Sabrina aveva un aroma incantevole. Il corpo formoso non era magro come quello di una modella, una piccola pancetta c’era ma non ovvia; aveva delle gambe, dei seni e delle mani favolose, quelle per cui le ragazze pagherebbero oro per avere. Era intelligente, brava a scuola e molto educata: la più educata di ogni ragazza che chi la conosceva avesse mai incontrato.
Ma lei non si vedeva così. Affatto.
Lei credeva di essere una ragazza come tutte. Non brutta, ma sicuramente non bella, anzi, quasi quasi carina. Trovava i lunghi capelli privi di forma e il corpo senza seno e con gambe storte, per non parlare del fatto che si credeva obesa. Non si riteneva per nulla intelligente, anche prendendo nove, non era mai contenta e se non otteneva il massimo, si insultava mentalmente. Credeva di essere una poco di buono priva di maniere, priva di ogni cosa.
Lei era 100 ma vedeva solo 10, forse anche meno. E fu proprio il totale disprezzo della sua persona che la portò a prendere una tale decisione.
Sbagliata? Forse. Giusta? Poco. Ma era ciò che aveva trovato più facile fare.
Sabrina S. morì nella fredda notte del 17 luglio 2010, con soli sedici anni, vergine e senza aver mai conosciuto l’amore. Morì senza aver realizzato il suo sogno, morì senza aver mai visto tutto ciò che aveva sempre desiderato.
La madre non poté mai recuperarsi e non si preoccupò mai più di nulla. La sua unica ragione di esistenza le era stata strappata nel momento stesso in cui il cuore della figlia aveva smesso di battere. Inoltre, non perdonò mai se stessa per la morte della giovane Sabrina, la cui unica richiesta, era scritta su un foglietto colmo di lacrime che teneva fra le mani quella terribile notte.

“Mamma, spero un giorno potrai perdonarmi. Non ho mai voluto ferirti in alcun modo e ho sempre cercato di assecondarti e renderti orgogliosa in ogni cosa, ma credimi mamma, io non ce la faccio più.
Questa vita mi sta’ soffocando e ogni mia singola energia è risucchiata ogni giorno da un vortice nero di dolore.
Non credere mai sia colpa tua, mamma, perché non lo è. Tu mi dai tutto ma io ancora non sono felice.
Perdonami, ma non è tutto questo che mi circonda a darmi felicità. E potrò sembrare egoista ma davvero, mi sento vuota, depressa, inutile: una totale feccia umana.
Grazie per tutto l’amore che mi hai dato e per ogni singolo giorno mamma, l’unico motivo per cui mi pento di non essere più qui mentre leggerai questa “nota” è non poterti essere più vicina.
Ti chiedo solo una cosa mamma: vivi. Vivi più che puoi e non fermarti mai. Vivi anche per me. Vivi perché hai smesso di farlo il giorno stesso in cui sono nata. Divorziati finalmente dall’immaturo di papà e vivi. Inutile chiederti di dimenticarmi perché so già che non lo farai, ma ti prego non fartene una colpa e rendi utile il mio sacrificio.
Vivi, mamma.
Vivi.


Il suo corpo fu gettato nelle profondità del mare, così come lei l’aveva sempre desiderato. Intatto, sprofondò nel blu più profondo, dove nessuno l’avrebbe mai incontrato.
Poteva essere sola e priva di preoccupazioni, finalmente. Niente più richieste. Nessuna pressione.
Nessuna emozione.

Morì giovane. Morì per se stessa. Morì per la vita. Morì… Per debolezza? Che Sabrina non avesse la forza per vivere, nessuno se n’era mai accorto. Lei era così forte quando parlava, così convincente col suo sorriso…
O per lo meno, così pareva.
Per quanto potesse non sembrare, comportò diverse settimane a Sabrina prendere tale decisione. Al solo pensiero il viso le si bagnava di lacrime, non solo per lei, ma per sua madre, gli amici e, umile com’era, pensava anche a coloro che non avevano avuto altra scelta che morire e lei, come nulla, avrebbe gettato la sua vita nel dimenticatoio. Però, si chiedeva, loro riuscirebbero a sopportare una vita come la mia? Una vita da Sabrina?
La risposta era ovvia. E nel profondo del suo cuore, lei si riteneva una bestia.

Se Sabrina non si fosse mai suicidata, cosa sarebbe successo? Avrebbe conosciuto l’amore della sua vita, prima o poi? O come lei credeva non sarebbe mai venuto e, brutta come credeva di essere, sarebbe rimasta zitella a vita? Sarebbe rimasta la bravissima studente che era o sarebbe migliorata, avendo ora più voglia e grinta di studiare? E, sarebbe riuscita a convivere col suo “corpo deforme” avendo ora due interi mesi da dedicare ogni giorno per tre ore fra danze varie e pattini, che avrebbero sicuramente sciupato quel poco di grasso che aveva?
Non lo sapremo mai e anche Sabrina rimarrà con questo dubbio e con l’eterno pentimento. Perché si sa’, la vita prima o poi, termina. La morte è eterna. E lei dovrà convivere con questo peso… Per sempre.
Ciò che fece era giusto? No, assolutamente.
Fortuna che le bastò scrivere tutto questo, per cambiare idea e decidere di lottare. Certo, non avrebbe cambiato molto l’idea di se stessa, ma adesso avrebbe chiesto aiuto. Aiuto a tutti coloro che sapeva l’avrebbero aiutata. Aiuto a tutti coloro che realmente l’amavano.
Venerdì aveva una festa, ma non se l’era sentita e non era andata. Se ne pentì ma, ripensandoci, quella sera tra venerdì e sabato era stata una delle più importanti della sua vita. Di certo, non se ne sarebbe mai dimenticata.
Quella sera, 1.565 parole, le salvarono la vita.

   
 
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