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Autore: Silene Nocturna    19/07/2010    3 recensioni
Ciao a tutti. Anche questa storia ho avuto il "piacere" di scriverla un pò di tempo fa, e ritengo a mio parere con tematiche più mature. Tuttavia, tratta di un'argomento che non condivido. Mi piace cimentarmi in più campi e in diversi ruoli, ecco tutto. Sensazioni e sentimenti dal mio punto di vista sulla scelta più estrema che si possa compiere. Non posso che augurare buona lettura^^
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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To the fire.

 

Stanca di vivere alla luce in un mondo in cui essa è logorarsi a vicenda, decido di rinchiudermi nell’oscurità…

La porta si chiude lentamente e sento il chiavistello scattare mentre mi appoggio con le spalle ad essa.

Riesco a distinguere le sagome sfocate appartenenti alla mobilia, mentre il chiaro pallore della luna rischiara solamente il contorno legneo del davanzale; tenue si riflette qualche raggio creando un piccolo cono di luce, ma ciò non basta ad illuminare nemmeno una parete. L’odore familiare mi porta alla memoria alcuni avvenimenti, scene di vita passata in cui tutto questo non esisteva neppure.

Lentamente cammino dove so che ad attendere mi aspetta l’oggetto che segnerà il mio destino, o mi farà rinascere a nuova vita. I passi sono meccanici, i gesti, i movimenti, tutto un susseguirsi restio, privo di vitalità: tolta da un mondo che continua a girare con o senza me. Non c’è coscienza, anche quella sopita, mentre le mie mani afferrano il pomo laddove è racchiuso l’oggetto. Il legno scricchiola, mentre mi appaiono, rischiarate da noti bagliori, due lame sovrapposte.

Non c’è stato sonno abbastanza lungo per mettere a tacere il dolore, poiché esso non è fisico, bensì molto più profondo. È la mia anima che grida, urla disperatamente alla ricerca di qualcosa che possa liberarla dal baratro in cui è finita. Un baratro di luce, accecante, scottante, frustrante da farle desiderare le tenebre.

Afferro non curante il freddo metallo portandolo innanzi al mio sguardo vacuo. Impugno la presa con decisione, e lentamente scorro la lama sull’arto nudo, pallido, dove i raggi della luna hanno deciso di posarvisi. Intravedo i vasi sanguigni pulsanti di vita ed è lì che mi fermo.

Basterebbe un solo gesto, uno solo per poter compiere il più grande sfregio discusso per la comunità umana.

Parlano del suicidio, di come non consenta la magnifica ascesa per ricongiungerci a Lui, di quanto siano stolti coloro che non apprezzano il dono della vita, eppure io sento di aver bisogno dell’oblio, di un luogo di tenebra in cui non ci sia mai più nemmeno il più tenue bagliore a rovinarlo. Discutono, affermano, sostengono idee, e non sanno di essere Loro l’effettiva e unica causa di ciò.

Calo il polso facendo pressione con le lame, e mentre comincio a sentir già la fastidiosa recisione dei legamenti, la mia pelle ha un lieve fremito, abbastanza forte da riscuotermi per un attimo da quel torpore. È quello il momento in cui la paura mette in moto la coscienza. L’attimo in cui l’istinto ottiene la meglio, mentre i circuiti nervosi cominciano a formulare domande quali “Farà male?” “Cos’è che mi aspetta dopo?” “Se veramente ci fosse qualcuno, come mi giudicherebbe?” e infine… “Cosa lascio qui che ancora non ho vissuto?”

Il susseguirsi di immagini è vorticoso, si affollano nella mia mente piroettando in un vortice di anni ed esperienze vissute, fino a giungere all’atto finale portandomi ad una scelta: vivere la vita o morire per sempre.

Mentre è questo che mi chiedo, un rivolo scarlatto scende lento bagnandomi l’arto. Guardo la mia mano sostenere le lame grondanti del liquido vischioso, del mio sangue. L’odore acre e ferroso mi invade subito le narici, mentre sento la linfa vitale scorrere lenta e calda fuori dal mio corpo. Appoggiandomi al mobilio, la schiena scivola piano fino a raggiungere il freddo pavimento.

Comincio a provare un senso di rassegnazione. Attendo qualche istante, mentre il torpore comincia a farsi sentire inesorabilmente. Quel senso di impotenza che mi opprimeva il petto ha presto lasciato posto ad un freddo agghiacciante. Abbasso lo sguardo e non accorgendomene neanche, le palpebre mi si chiudono poiché il tutto è diventato confuso. Le forze venute ormai meno mi fanno perdere la presa dalle forbici, che prima erano riposte nel cassetto. Il loro rumore metallico è l’ultimo che le mie orecchie odono, prima che un tonfo sordo e una luce accecante si irradi nel mio campo visivo.

Credevo fosse l’Inferno, in cui ho vissuto fin’ora, un luogo pieno di luci e poca ombra in cui nascondersi.

Tuttavia… sono stata in grado di raccontalo.

 

Mille grazie a chi leggerà e deciderà di lasciarmi una recensione^^

 

Nihila

   
 
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