Capitolo 1

Venezia nel Quindicesimo secolo era una città stupenda, di grande fascino.
Artisti di ogni genere, pittori, architetti, musicisti, ricchezze e potere, in un’atmosfera magica.
Athenodora era cresciuta in questo modo, figlia di un ricco commerciante di stoffe con l’Oriente,
aveva ricevuto un’ottima educazione, amava la lettura e la poesia, ma non era la tipica ragazza della
sua epoca.
Si opponeva radicalmente al destino di moglie e madre che il padre e la famiglia le avevano
imposto, in nome della grande libertà che sentiva dentro.
Con i suoi lunghi capelli color grano, con eleganti boccoli, i grandi occhi azzurri e l’eleganza
raffinata dei suoi abiti sontuosi affascinava molti veneziani, ma mai avrebbe voluto seguire
l’obbligo di sposare il conte de Andreis, come tanto desiderato dal complicato sistema di alleanze
della famiglia.
L’unica persona che condivideva con lei il suo mondo e i suoi desideri era la cugina Sulpicia.
Le ragazze passavano la maggior parte del loro tempo assieme, leggendo, discutendo o
passeggiando per la città, sempre accompagnate dalle loro dame di compagnia.
“No, padre! Non voglio sposare quel tizio! E’ un vecchio barbuto, non provo assolutamente niente
per lui! Non ci penso nemmeno, se mai mi sposerò, voglio sia per amore, e in questo caso non ne
vedo nemmeno l’ombra!” le discussioni con la famiglia erano all’ordine del giorno, e la ragazza era
inamovibile.
“Sai, Angelica, a volte penso che il mondo sia veramente ingiusto! Leggere queste grandi storie
d’amore nei libri, e non poterle vivere nella vita reale. Io odio quel conte, e lo odio con tutto il
cuore. L’unica volta che mio padre e i miei zii l’hanno portato qui a palazzo, ho avuto un senso di
nausea, e mai vorrei rivederlo” la ragazza si sfogava con la sua dama di compagnia, mentre le
pettinava i bellissimi capelli
“mi sento sola, oltre a te e Sulpicia non ho mai nessuno vicino, mi sento veramente sola. Vorrei
trovare un cavaliere coraggioso, un ragazzo avventuroso, di quelli che hanno viaggiato in Persia e
nelle Indie, che mi considerasse come un essere pensante, non solo come una bella moglie da
portare ai ricevimenti”
I suoi grandi occhi si velarono di tristezza, e una lacrima lucida le segnò le guancie.