Scorre
la Senna
Passando
come un sogno...
Francis scriveva lettere con il cuore. La sua indole profondamente romantica, seppur nascosta dietro al lato perverso che da sempre lo caratterizzava, a volte, quasi con timidezza, decideva di uscire al suo cuore e invaderlo. Così, quei brividi fatti di parole non dette e baci non dati, iniziava a espandersi nel suo corpo tanto velocemente da stordirlo. Si soffermava lì, quello strano formicolio, sulla punta delle dita. Non poteva far altro che trasformare quel romanticismo in parole.
Francis scriveva lettere con il cuore, guardando il tramonto dalla cabina del piccolo traghetto che usava per attraversare il fiume. Le acque smeraldine diventavano d'oro, il cielo celeste diventava fuoco, la ragione smetteva di essere e c'era solo lui, il suo romanticismo e la carta bianca di una lettera senza destinatario. Scorre la Senna, e con le sue acque chiare scorrono anche gli amori, gli inverni, i desideri, la vita... Tutto scorre, tutto se ne va. Sei solo un puntino, una nave, un uomo, una lettera o una frase, lì. In un posto tanto semplice e complicato da togliere il fiato, lì, dove scorre la Senna.
Francis scriveva lettere con il cuore, e ogni tanto, alzando lo sguardo dallo scrittoio e fissando il muro, si chiedeva perché. Le sue lettere, tutte le lettere che negli ultimi dieci anni aveva scritto, se ne stavano chiuse in una scatola nel sue armadio. Tutte avevano un destinatario, ma su nessuna di esse vi era scritto chi fosse. Eppure era sempre la stessa persona. Magari un giorno ne avrebbe portata una a terra, una delle lettere, avrebbe scritto sopra un nome, un indirizzo e una città e l'avrebbe spedita. Magari un giorno, avrebbe trovato il coraggio di dare un lettore a quelle parole che non fosse lui stesso: leggere e rileggere le proprie parole, sperando che un giorno per caso il destinatario le trovi e capisca, è qualcosa di tremendo e deprimente.
Scorre
la Senna
e
il tempo
con
lei
se ne va.
*
«Non
sapevo avessi una nave,» il cielo non era più
tanto nero, nemmeno
tanto blu. Era cobalto, virava un blu petrolio e infine in un verde
intenso. Da qualche parte, all'orizzonte, stava nascendo il sole.
Francis alzò lo sguardo dalla sua lettera e fissò
il suo ospite.
Era bello, ma non era una bella normale, non era una bellezza umana.
Era qualcosa di più intenso, di più idilliaco, di
più profondo. Un
tipo di bellezza che gli occhi non possono vedere, che le mani non
possono toccare, che la bocca non può assaporare e di cui i
polmoni
non potranno mai inebriarsi. Era un tipo di bellezza che sol il
cuore, cieco a tutti gli altri cinque sensi, poteva capire.
«Non
sapevo fossi in Francia.»
«Ci
sono tante cose che non sai.» Silenzio, tutto tace, fatta
eccezione
per la Senna che, anche nei ricordi, continua inesorabilmente a
scorrere.
«Che ci fa qui? Non eri a Londra, a leggere libri
sulle fate celtiche? Oppure da qualche parte a cercare tuo
figlio?»
Francis sorrise, ma non era un sorriso dolce o gioioso, era un
sorriso taglienti, di quelli che irritano o lasciano senza parole.
Per farla breve, il sorriso della gelosia.
«Umh, ho finito i
libri, e mio figlio so dov'è, perché dovrei
cercarlo.» Arthur
chiuse piano la porta della cabina e per un attimo si
concentrò sul
fruscio che, come un sottofondo, cullava le loro parole. È
il fiume?
Si chiese, ma non
guardò. Lo sapeva già che lo era, lentamente,
sotto di loro,
continuava a scorrere.
«Pensavo volessi riportarlo a casa.»
Francis piegò piano la lettera e la mise nel cassetto dello
scrittoio «è più o meno quello che hai
fatto negli ultimi...
cinque... cento... anni?» ancora quel sorriso, ma questa
volta
diceva qualcosa, qualcosa che Arthur capì: vai
lontano alla ricerca di qualcosa che hai vicino a te, qui, oltre la
Manica.
«Cinquecento anni
sono un po' troppi, non trovi? Anche se lo riportassi a casa, non
potrei fare niente per costringerlo a rimanere. Nemmeno leggergli
storie sulle fate, le ho finite.»
Francis indietreggiò sulla
sedia, accese l'abat-jour e poi chiese «Cosa ci fai
qui?»
«La
Francia è un bel posto.»
«No, intendevo, sulla nave.»
«Anche
questa nave è un bel posto, ma non sono qui
perché è un bel
posto.» Arthur si sedette sullo scrittoio, abbassò
lo sguardo per
un momento e tirò un sospiro. Lo sapeva che non era quello
che gli
stava chiedendo, ma voleva giocare, vacillare, osare ancora un po'.
Le parole sono solo parole, esistono perché devono essere
pronunciate. Non importa quando, l'importante è dar voce ai
propri
pensieri prima che il destino che lo impedisca. Non sapeva quanto gli
restava da vivere, ma era certo che le sue parole, per ancora qualche
minuto, avrebbero potuto aspettare.
«Dio, Arthur, sei ubriaco?»
Francis lo spintonò un po', delicatamente, prima di sedersi
anche
lui sullo scrittoio. Le loro cosce, per un brevissimo istante, si
toccarono. Emozioni, parole, baci non dato, ancora traboccarono fuori
dal suo cuore. Solo per un attimo, Francis chiuse gli occhi.
«Non
sono ubriaco. Sono qui perché è esattamente dove
voglio essere,
chiaro?!»
«Chiaro.»
Scorre
la Senna
e il tempo
con lei
se ne va.
*
Non
c'era un letto sul
traghetto per il semplice fatto che non era stato costruito per
dormirci. C'era un divano, però, piccolo e morbido, messo
lì perché
Francis a volte esagerava e sta fuori tutta la notte, navigando la
Senna. Così, quando al mattino era troppo stanco per fare
qualsiasi
cosa, il divano era lì, pronto ad accoglierlo.
Era tutto nato con
un bacio, delicato e fugace. Un gesto improvviso, un gesto su cui non
ci si è soffermati a pensare nemmeno per un istante. Le
labbra,
veloci, si erano unite in un contatto lieve e tiepido. Non c'erano
state parole dopo quel tocco, solo guardi. A volte, gli occhi parlano
di cose che la voce non è capace di pronunciare.
Non c'era un
letto sul traghetto per il semplice fatto che non era stato costruito
per dormirmi, C'era un divano, però, piccolo e morbido, ed
entrambi
pensarono sarebbe andato benissimo per loro, quella notte. Non
avevano parole da dirsi, quei due. Quelle di Francis erano tutte in
un armadio – ed in un cassetto -, scritte con inchiostro su
carta
bianca. Quelle di Arthur erano in gola, incastrate nella trachea, mai
pronunciate, troppo grosse, troppo complicate e troppo doloroso per
essere pronunciate.
Così, in un silenzio quasi complice, erano
finiti a letto – o meglio, sul divano – ed erano
finiti per dirsi
cose che non avevano mai immaginato di dirsi. Ancora una volta, non
con la voce, ma con il cuore. Con le labbra. Con i baci. Con le mani.
Con le carezze. Con il corpo. Con il sesso.
«In fondo, penso di amarti.»
Scorre la Senna
*
Era
strano svegliarsi senza l'odore dei crossaint caldi e del cappuccino,
era strano anche svegliarsi nudi su una superficie molto più
stretta
del proprio letto, effettivamente. Francis aprì gli occhi e
si
sorprese quando si accorse di essere nella cabina del
traghetto.
Arthur era seduto allo scrittoio, e leggeva.
Francis
scriveva lettere con il cuore.
Arthur
le leggeva con amore.
Le
parole, finalmente, si liberarono dalla carta.
Elegantemente,
si adagiarono nel cuore dell'inglese.
Scorre
la Senna
e
ancora
Scorre
la Senna
e
senza paura
Scorre
la Senna