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Autore: Joey Melian    28/07/2010    2 recensioni
Prendete una canzone: Shattered dei Trading Yesterday.
Aggiungete un foglio bianco di Word.
Ora aggiungete un altro ingrediente, uno un pò strano: un ragazzo con due enormi occhi blu.
Mischiate il tutto con una ragazzina italiana che si ritrova su un aereo, alle cinque di mattina, diretta a Los Angeles senza aver capito bene perchè.
Avrete una strana storia, nata nell'ascoltare una canzone in uno dei noiosi giorni estivi. Spero vi piaccia!
Genere: Comico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Billy Boyd, Dominic Monaghan, Elijah Wood, Nuovo personaggio, Orlando Bloom
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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And losing what was found, a world so hollow,
suspended in a compromise.
But the silence of this sound is soon to follow,
somehow , sundown.

 

Erano quasi le tre di notte. E trovarsi davanti al computer alle tre di notte, dentro casa dei propri genitori era una cosa alquanto deprimente; specialmente trovarsi alle tre di notte, davanti al computer a guardarsi i cartoni animati della Disney.

E a riderne come un’idiota completa.

Quello si che era deprimente.

Ma non aveva sonno, Ginevra. Ormai non ne aveva più.

Il sonno, la fame, la voglia di uscire e vedere il sole, il semplice chiacchierare con gli amici; era tutto andato, volatilizzato. Credeva che forse una buona dose di psicoanalisi l’avrebbe aiutata. Se c’era riuscita con quel totale imbecille di Zeno (La Coscienza di Zeno, Italo Svevo. Ndr), probabilmente ci sarebbe riuscita anche con lei; anche se Ginevra credeva di star messa ben peggio di Zeno.

Molto peggio.

Improvvisamente, proprio mentre nella sua mente si faceva spazio la folle idea di andarsi a sdraiare a letto e provare a dormire, con orrore sentì riecheggiare per tutta la casa Born to be Wild, la suoneria del suo cellulare. Ginevra voltò la testa a destra e sinistra, spaventata; poi, con uno slancio, afferrò il telefono che si trovava nell’angolo più remoto della sua scrivania disordinata.

Numero sconosciuto. Grandioso.

“Pronto?”, sussurrò pregando con ogni fibra di sé stessa che i suoi genitori continuassero a dormire e che cadesse immediatamente la linea con quel maledetto che la stava chiamando alle tre di notte.

“Brutta rincoglionita”, disse una voce dall’apparecchio e Ginevra sorrise. Il suo professore era solito definirla con quei toni soavi e gentili.

“Principale, buonasera”, rispose Ginevra con un vago tono di presa in giro. “O buongiorno, vista l’ora tarda. Mi dica il motivo della sua gentil chiamata”.

Sentì un momento di silenzio all’altro capo dell’apparecchio. “Piantala di dire cazzate”, disse quello che lei chiamava Principale. “Devi venire a Fiumicino, ora”.

Ginevra rimase qualche momento interdetta. Subito? Fiumicino?

Aveva fumato più del solito, probabilmente. O era semplicemente il telefono che funzionava male.

Parecchio male a quanto notava.

“Scusa, Principale, ma mi sembra di aver capito che devo venire ora a Fiumicino”, disse allora tranquillizzandosi leggermente. Aveva capito male. Doveva aver capito male.

 

Le aveva dato due ore e mezza di tempo.

Come avrebbe fatto in due ore e mezza di tempo, alle tre di notte, a dire a sua madre che stava facendo la valigia per partire per chissà dove? Il Principale non era stato molto chiaro (ma del resto non lo era mai). Vieni subito all’aeroporto di Fiumicino o vengo a prenderti io e ti ci porto a calci.

E aveva attaccato.

Molto gentile da parte sua.

Ginevra si avvicinò lentamente al letto di sua madre e le diede una leggera spintarella con la mano. Niente.

Sperò con tutta sé stessa che non si svegliasse, che continuasse a dormire e che quindi, purtroppo, non avrebbe potuto raggiungere il Principale in aeroporto. Ma forse lui sarebbe davvero venuta a prenderla a casa per portarcela a calci. Sembrava piuttosto agitato e, solitamente, era una persona piuttosto pacata.

“Che vuoi?”, disse sua madre aprendo un occhio. Quella frase la riportò per qualche istante a quattro mesi prima; ma scuotendo la testa scacciò il pensiero. Aveva cose ben più preoccupanti di cui occuparsi.

“Mi ha chiamata il Principale”, disse semplicemente, notando che sua madre la guardava dalla testa, dove i capelli rossi erano malamente legati con una matita mangiucchiata, al vestito lungo, ma incredibilmente comodo, che si era comprata un giorno ad una bancarella di Ladispoli. Prese tutto il fiato che i suoi polmoni di fumatrice potevano reggere e parlò più velocemente che poteva: “Dice che devo andare subito all’aeroporto di Fiumicino e prendere un aereo. Ma non è stato chiaro su dove io debba andare; è per lavoro, lo sai anche tu che fa sempre così il Principale. Sembrava agitato e, sai anche questo, lui non si agita mai. Quindi ora prendo la macchina e vado in aeroporto a sentire quello che dice e se non è fattibile torno a casa, va bene?”

Sua madre la guardò con gli occhi sgranati. Quindi abbassò gli occhi e quando li sollevò di nuovo, nonostante la stanza fosse buia, Ginevra vide chiaramente che brillavano di un qualche strano fuoco omicida. “Scusa, dove vorresti andare tu alle tre di notte?”, gridò.

Ormai sarebbe stato superfluo non tentare di svegliare l’intero quartiere.

  
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