And losing what was found, a world so hollow,
suspended in a compromise.
But the silence of this sound is soon to follow,
somehow , sundown.
Erano quasi le tre di notte. E
trovarsi davanti al computer alle tre di notte, dentro casa dei propri genitori
era una cosa alquanto deprimente; specialmente trovarsi alle tre di notte,
davanti al computer a guardarsi i cartoni animati della Disney.
E a riderne come un’idiota completa.
Quello si che era deprimente.
Ma non aveva sonno, Ginevra.
Ormai non ne aveva più.
Il sonno, la fame, la voglia di
uscire e vedere il sole, il semplice chiacchierare con gli amici; era tutto
andato, volatilizzato. Credeva che forse una buona dose di psicoanalisi l’avrebbe
aiutata. Se c’era riuscita con quel totale imbecille di Zeno (La Coscienza di Zeno, Italo Svevo. Ndr),
probabilmente ci sarebbe riuscita anche con lei; anche se Ginevra credeva di
star messa ben peggio di Zeno.
Molto peggio.
Improvvisamente, proprio mentre
nella sua mente si faceva spazio la folle idea di andarsi a sdraiare a letto e
provare a dormire, con orrore sentì riecheggiare per tutta la casa Born to be Wild, la suoneria del suo
cellulare. Ginevra voltò la testa a destra e sinistra, spaventata; poi, con uno
slancio, afferrò il telefono che si trovava nell’angolo più remoto della sua
scrivania disordinata.
Numero sconosciuto. Grandioso.
“Pronto?”, sussurrò pregando con
ogni fibra di sé stessa che i suoi genitori continuassero a dormire e che
cadesse immediatamente la linea con quel maledetto che la stava chiamando alle
tre di notte.
“Brutta rincoglionita”, disse una
voce dall’apparecchio e Ginevra sorrise. Il suo professore era solito definirla
con quei toni soavi e gentili.
“Principale, buonasera”, rispose
Ginevra con un vago tono di presa in giro. “O buongiorno, vista l’ora tarda. Mi
dica il motivo della sua gentil chiamata”.
Sentì un momento di silenzio all’altro
capo dell’apparecchio. “Piantala di dire cazzate”, disse quello che lei
chiamava Principale. “Devi venire a Fiumicino, ora”.
Ginevra rimase qualche momento
interdetta. Subito? Fiumicino?
Aveva fumato più del solito,
probabilmente. O era semplicemente il telefono che funzionava male.
Parecchio male a quanto notava.
“Scusa, Principale, ma mi sembra
di aver capito che devo venire ora a Fiumicino”, disse allora
tranquillizzandosi leggermente. Aveva capito male. Doveva aver capito male.
Le aveva dato due ore e mezza di
tempo.
Come avrebbe fatto in due ore e
mezza di tempo, alle tre di notte, a dire a sua madre che stava facendo la
valigia per partire per chissà dove? Il Principale non era stato molto chiaro
(ma del resto non lo era mai). Vieni
subito all’aeroporto di Fiumicino o vengo a prenderti io e ti ci porto a calci.
E aveva attaccato.
Molto gentile da parte sua.
Ginevra si avvicinò lentamente al
letto di sua madre e le diede una leggera spintarella con la mano. Niente.
Sperò con tutta sé stessa che non
si svegliasse, che continuasse a dormire e che quindi, purtroppo, non avrebbe
potuto raggiungere il Principale in aeroporto. Ma forse lui sarebbe davvero
venuta a prenderla a casa per portarcela a calci. Sembrava piuttosto agitato e,
solitamente, era una persona piuttosto pacata.
“Che vuoi?”, disse sua madre
aprendo un occhio. Quella frase la riportò per qualche istante a quattro mesi
prima; ma scuotendo la testa scacciò il pensiero. Aveva cose ben più
preoccupanti di cui occuparsi.
“Mi ha chiamata il Principale”,
disse semplicemente, notando che sua madre la guardava dalla testa, dove i
capelli rossi erano malamente legati con una matita mangiucchiata, al vestito
lungo, ma incredibilmente comodo, che si era comprata un giorno ad una
bancarella di Ladispoli. Prese tutto il fiato che i suoi polmoni di fumatrice
potevano reggere e parlò più velocemente che poteva: “Dice che devo andare
subito all’aeroporto di Fiumicino e prendere un aereo. Ma non è stato chiaro su
dove io debba andare; è per lavoro, lo sai anche tu che fa sempre così il
Principale. Sembrava agitato e, sai anche questo, lui non si agita mai. Quindi
ora prendo la macchina e vado in aeroporto a sentire quello che dice e se non è
fattibile torno a casa, va bene?”
Sua madre la guardò con gli occhi
sgranati. Quindi abbassò gli occhi e quando li sollevò di nuovo, nonostante la
stanza fosse buia, Ginevra vide chiaramente che brillavano di un qualche strano
fuoco omicida. “Scusa, dove vorresti andare tu alle tre di notte?”, gridò.
Ormai sarebbe stato superfluo non
tentare di svegliare l’intero quartiere.