Le
scale erano perfette.
La
luce era perfetta.
La
tempistica lo era: Oz era lì, dove avrebbe dovuto essere.
«Largo,
largo, non voglio beghe se investo qualcunooo!… Cazzo che maleeeee»
«…stop.
Per la terza volta, stop.» pronunciò con tono tra il rassegnato e lo stressato
una figura seduta che sembrava in pieno atto di schiaffarsi una mano in faccia.
«Certo
che proprio non gli riesce, eh?»
«Forse
hanno lucidato con troppa cera il corrimano.»
«O
forse» riprese la figura rimasta seduta, lanciando sguardi di fuoco – no, il
fuoco sarebbe stato una rosea alternativa al principio di irritazione che le si
leggeva nello sguardo «qui non siamo in grado di fare un fottuto scivolo sul
corrimano!» sbottò mentre Noah era impegnato nella sacra arte del massaggiarsi
il posteriore. Oz lo fissava invece con aria preoccupata.
La
ragazza si alzò stizzita, lo sguardo che si posò nuovamente su Noah: «Pausa. E
non mi interessa quale compromesso raggiungi con quel corrimano, ok?
Promettigli la cera più costosa, digli che non avrai occhi per nessun altro
oggetto d’arredamento e mobilia, incollaci il tuo culo, quello che vuoi ma
rimani in equilibrio abbastanza da non costringerci di nuovo a ripetere
questa scena.» sibilò impietosa.
Noah
la fissò terrorizzato chinando il capo: «S-S-Sì signore.» bofonchiò,
approfittando della distrazione dell’altra per attaccarsi ad una gamba di Oz.
«Aiuto,
mi ammazzerà.» piagnucolò.
Ci
fu il silenzio finché la figura – e la sua aura maligna – non furono sparite
alla vista; ci fu un sospiro sollevato generale.
«Vaaa
bene, su col morale fanciulli!» sentirono esclamare, voltandosi verso la voce,
Noah compreso: «Ma mi uccide se non faccio decentemente quella scena!» fece
notare, la voce della disperazione o quasi.
Ma
la ragazza di fronte a lui non aveva l’aria di qualcuno spaventato, no – magari
di un’invasata, ecco. O di qualcuno che sapeva il fatto suo.
«Ci
pensa zia Gioielle.» assicurò, fissandolo. Con quell’espressione.
«Ovviamente
non faccio nulla per nulla.» chiarì.
«…Tipo
che devo pagarti? E con cosa?»
«Tipo
con foto vietate ai minori tue e di Marcus?» propose innocentemente calcando il
suo modo di parlare.
E
Noah, guardandola, si ricredette: quello era proprio lo sguardo di un’invasata,
altroché.
«Aw,
Gioielle è una maniaca delle foto.» sospirò uno dei tecnici, eilantha3
per l’esattezza.
«E
che pretendi?» fece eco qualcuno nell’ombra: «Lei è il direttore della
fotografia, lo sai che le inquadrature sono il suo secondo amore.»
«E
il primo?» fu l’ovvia domanda di rimando: «…ripensandoci, non rispondetemi, non
lo voglio sapere.» si corresse.
«E
allora?» Gioielle tornò ad incalzare Noah che, pur cosciente del pericolo
decise che quello era il minore, rispetto alle implicite minacce di poco prima:
«Va bene.» acconsentì, mentre Oz lo fissò sconvolto.
«…Che
c’è?»
«Gli
hai… gli hai promesso… d-delle foto di quel tipo!» esclamò palesemente
sconvolto dalla cosa. Noah lo guardò con l’aria di chi, tornato da una lunga
battaglia o con alle spalle anni di esperienza sul campo sapeva ormai dare
delle priorità.
Gli
posò una mano sulla spalla: «Un giorno capirai.» disse solennemente.
Il
biondo gli guidò la mano lontano da sé: «Spero che quel giorno non arrivi mai.»
«Forza!»
interruppe Gioielle battendo le mani con fare organizzativo, dando poi
un’occhiata generale: «Agiremo secondo il piano E.I.F.Y» comunicò sicura di sé.
Lo
stesso sguardo passò per i volti di tutti i presenti, carico di tensione,
consapevolezza e sorpresa. Era un piano pericoloso, dalle mille incognite.
L’ultima volta – era usato solo in casi estremi – qualcuno era caduto nel
tentativo, lasciando un enorme vuoto nel cuore di tutti loro.
«E
la sigla EIFY starebbe per…?» azzardò uno dei tecnici – potevano capirla
dopotutto, Natsu VIII era nuova lì.
Ma
Gioielle chiarì ogni dubbio.
«Ovviamente
sta per “Evitiamo l’Ira Funesta di Yoko891”.» concluse pratica.
La
consapevolezza – ancora di più – scese su tutti loro accolta da un silenzio
solenne.
«Stavolta
ci scappa il morto e sappiate che io non pulisco il sangue sudicio di
nessuno, chiaro?» sbottò con la finezza di un triceratopo incazzato colei che
era conosciuta da tutto il gruppo. Il terribilissimo, cattivissimo,
spilorcissimo – e infatti andava d’accordo con Yoko891 – Direttore di
Produzione.
Lei.
Gweiddi at Ecate.
«Ma
dai, andrà bene. Mal che vada, puliamo noi.» assicurò Gioielle con una certa
naturalezza che ricevette in risposta un: «Questo mi pare ovvio. Non andrò
fuori budget per degli inservienti che puliscano quando può farlo lo staff già
presente.» chiarì.
«Scusate,
se il piano è sopravvivere, perché parliamo di gente potenzialmente ferita se
non morta?» interruppe Noah, incontrando il consenso di molti.
Alcuni
giurarono di sentire in sottofondo quella musica, quella sorta di carica o
marcia militare tipica degli anime quando il personaggio capo di turno stava
per spiegare lo spietato piano per raggiungere l’obiettivo – variabile da dei
buono pasto per la mensa, alla salvezza del mondo.
«Saremo
disposti secondo questa formazione!» esordì Gioielle: «Tu, recluta! Nome!»
disse puntando il dito contro uno dei tecnici che, incurante del pericolo, si
fece avanti deciso.
«Yammy_,
signore!» rispose.
«Bene.
Tu ti occuperai del caffè! Faglielo scuro, senza troppo zucchero se non vuoi
che te lo risputi in faccia!»
«Sì,
signore!» replicò avviandosi alla malefica macchina del male – quella del caffè
– dando quindi modo a Gioielle di concentrarsi sul seguente passo da fare.
«Tu!»
puntò un altro tecnico: «S-sì!» replicò quello con vocetta incerta ma che
esprimeva la determinazione di fondo di non tirarsi indietro – insomma, sì,
quella dell’uke che ti dice “lasciami, lasciami” e due secondi dopo ti chiede…
vabbé, ci siamo capiti.
«Nome.»
«Ma
sono qui da un sacco…» piagnucolò più a se stessa che non a Gioielle,
arrendendosi al triste destino del suo nome: non essere mai ricordato. Forse
doveva smettere di cambiarlo spes—
«Non
me lo ricordo. Nome!»
«BeyondBirthday!»
«Tu
sarai il diversivo!» esclamò trionfante la direttrice della fotografia che
ormai molti avevano smesso di chiedersi se fosse del tutto sana di mente.
E
mentre molti sguardi compreso quello di BeyondBirthday si chiedevano cosa
esattamente significasse fare il diversivo, la risposta arrivò implacabile ed
esaltata: «Ciò vuol dire che tu sarai quella che andrà a richiedere coccole.»
«…Lo
sapevo che dovevamo pulire sangue a fine giornata.» commentò Gweiddi, parole
alle quali BeyondBirthday si chiese perché sempre a lei. Però c’erano di mezzo
delle coccole.
Si
poteva fare.
«Accetto
la missione signore!» decise quindi, mettendosi sull’attenti: «Però avrei una
domanda!»
«Dimmi
soldato!»
«Perché
proprio io?»
Pathos.
«…non
vuoi saperlo soldato. La tua giovane mente non reggerebbe alla rivelazione.»
«Perché
sei ukeeeeee» partì dal fondo oscuro della stanza: «Ma ma ma io non sono uke!»
rimbrottò Beyond, ma ormai l’attenzione si era spostata altrove – colpa
dell’addetto alle luci che aveva spostato il faro in realtà.
«E
infine tu!» Gioielle puntò nuovamente il dito contro un povero, malcapitato
tecnico.
«Angelicascerra,
signore!»
«Tu
avrai un compito importante.»
«Sarà
il tuo supporto?» si mise in mezzo makotochan, la scenografa, spuntata
poi da chissà dove – ormai anche una botola nascosta era qualcosa da prendere
in seria considerazione lì.
Gioielle
sospirò: «No. Lei sarà l’addetta al massaggino alle spalle! L’ultima risorsa
nel malaugurato caso in cui il caffè si rovesciasse e il diversivo venisse
ucciso!»
«Ehm,
una domanda.» pronunciò una vocetta incerta tra i tecnici scampati al preludio
di massacro: «Sì?» incalzò Gioielle calma come se dovessero andare a farsi un
tuffo in piscina.
«E
tu cosa farai?» chiese Eithriadol dando voce ad un grande dubbio comune.
«L’EROE!»
sbraitò Makoto esaltata.
«Basta
con le citazioni di Hetalia, cazzo!» arrivò la fine replica di Gweiddi alla
quale seguì una più umana spiegazione di Gioielle.
«Io
guarderò tutto dall’alto.» concluse seria, annuendo.
«Praticamente
quindi non farai nulla.» sottolineò Noah, zittendosi quando qualcosa che
somigliava ad un “vuoi che alle foto aggiunga pure video strani?” risuonò
troppo vicino a lui.
«Tutti
ai propri posti, forza!» incitò infine Gioielle.
Quel
giorno, lo staff del film “Rinnega il tuo nome” comprese molto delle verità
della vita: Yoko891 si comprava con del buon caffè, mentre la pucchosità
intrinseca delle altre persone non era sempre d’aiuto – a quanto pareva,
c’erano delle condizioni particolari che a loro non era dato sapere.
Se
non altro però non c’erano stati feriti, né uccisioni cruente e nel frattempo
una seria e competente equipe si era occupata di far scivolare correttamente
Noah dimostrando che il lavoro di squadra compiva miracoli – in realtà qualcuno
quel giorno sospettò dei tranquillanti nel caffè, ma si guardarono tutti bene
dal domandarlo.
«Largo, largo, non voglio beghe se investo
qualcunooo!» sentì esclamare, obbligato da quella voce sconosciuta ad alzare lo
sguardo per vedere una testa rossa e dai capelli arruffati sfrecciare sul
corrimano in marmo della scala. Lo vide raggiungere la fine dandosi un lieve
slancio - o così gli parve - e atterrare con un gesto tecnico che con quello
che stava facendo non c'entrava nulla, o comunque dubitava servisse davvero a
qualcosa.
Lo vide fare un inchino verso il portone,
una folla invisibile che fungeva da pubblico immaginario.
«Ed è ancora Noah Keynes a battere i
record di Latowidge! Un salto perfetto, e la folla è in delirio. As usual.» lo
sentì commentare e davvero Oz non poté fare a meno di ridacchiare, per quanto
perplesso da quel tipo a dir poco singolare.
La pallina era al
suo posto.
Xerxes la
guardava con la giusta concentrazione che il suo personaggio richiedeva.
Anche Oz fissava
con Noah in direzione di Break come da copione.
Pochi secondi –
avevano consigliato a Xerxes di contarli mentalmente dal “ciak” – e sarebbe
avvenuta l’azione portante della scena. Ed eccola! Xerxes l’aveva colpita e
ora…
«…stop.»
dichiarò esasperata Yoko891 praticamente una manciata di secondi prima che si
levasse sulla scena un: «Io lo ammazzo. Io. Lo. Ammazzo.» mezzo ringhiato da
parte di Rufus.
«Ehi,
io qui non posso fare i miracoli con il visivo se sul labiale la cosa più
carina che si legge è una minaccia di morte!» esclamò Agito, togliendosi le cuffie e facendo capolino con la testa,
rimasta nascosta dietro il monitor da cui guardava le riprese.
Rufus
le lanciò un’occhiataccia. O almeno, lo fece con l’occhio non colpito in pieno
dalla pallina di carta: «Dillo a quel cerebroleso!» sbraitò strofinandosi la
parte per così dire “lesa”.
Yoko
sospirò nuovamente , esasperata quasi più di prima: «Barma, mi ci manca solo
che ti prenda un isterismo degno di una donna col ciclo e poi ho finito la
collezione di stranezze di voi attori. Qualcuno gli sistemi il trucco e per
l’amore di Dio non mettiamoci ore,
ok?!» diede direttive.
Agito
sbuffò: «Io vedo se si può sistemare senza ripetere la scena dall’inizio.»
dichiarò, risistemandosi le cuffie sulle orecchie.
«Qualcuno
chiami l’addetto al cast, qui rischiamo che due attori si ammazzino.» aggiunse
qualcun altro di non meglio identificato che stava maneggiando i vari fili.
«Tu
proprio non sai essere professionale.» osservò Xerxes casualmente, quasi.
«E
tu hai una mira del cazzo! Quanto ci vuole a capire che se nella scena devi
tirarmi una pallina sulla nuca forse
devi aspettare che io sia di spalle?!»
gli sbraitò contro Rufus, mentre Break si voltava fingendo di non sentirlo.
«Ehm…
signor Barma?» azzardò LadyGreedy,
temendo di prendersi uno schiaffo volante – insomma, non era un mistero che
Rufus avesse una certa età che infieriva su tre cose quali l’umore altalenante,
la vista e i chili di trucco che servivano a farlo sembrare un quasi trentenne
come il copione esigeva.
«Che
c’è?!» le ringhiò praticamente contro.
«Devo
rifarle il trucco e—»
«Xerxes,
ti prendesse una colica stanotte!» gli imprecò contro quando lo notò
ridacchiare della questione trucco. Si sentì tuttavia strattonare per il
colletto dell’abito e nella sua visuale rientrò Gweiddi: «Muovi quel culo e
siediti, per la puttana, che non voglio spaccarmi a trovare il modo di far
quadrare pure i conti per le riprese in più!» chiarì, e Rufus si disse che
l’orgoglio non sarebbe servito a molto se il direttore di produzione l’avesse
ucciso durante uno sclero come quello.
«…Gweiddi?»
azzardò nuovamente LadyGreedy.
«Che
vuoi?» ribatté diretta mollando Rufus: «Forse non dovrai pagare le riprese in
più, ma così dovremo ricomprare i costumi.» chiarì indicandole il punto in cui
aveva strattonato il costume di scena di Rufus. Gweiddi abbassò lo sguardo e se
anche non imprecò ad alta voce, chiunque lì avrebbe potuto scommettere che
interiormente metà del calendario fosse stato spodestato dai propri giorni di
ricorrenza.
«Qualcuno
chiami il costumista.» tagliò corto, andandosene in breve – forse in cerca del
pallottoliere per far quadrare i conti delle nuove spese costumi?
«Che
dici, LitaChan? Puoi ricucirlo in
tempi brevi?» chiese BeyondBirthday, osservando come la costumista fosse
concentrata nell’analisi dell’abito di Barma.
Alzò
lo sguardo su BeyondBirthday. Scosse la testa.
A
Beyond tutto apparve più chiaro: sapeva cosa stava succedendo, e il suo fragile
cuore non avrebbe retto. Non poteva sopportarlo, non ci riusciva. Pur sapendo
che le fatidiche parole stessero per arrivare, non poteva accettarlo.
«Quest’abito
non ce la farà. Mi dispiace.» comunicò lapidaria LitaChan.
«Oh,
beh, sicuramente non lo posso sistemare addosso a qualcuno, insomma. Forza,
Barma!» incitò – Beyond era ancora presa dalla commozione, ma fu professionale
fino alla fine, e annuì in direzione di Rufus.
Il
quale non sembrava capirci molto.
«Cos’è
che dovrei fare?» fece quindi eco, fissandola eloquentemente. All’improvviso, e
causando il sobbalzare di diversi addetti ai lavori, partì a volume alto nella
sala una canzone indubbiamente italiana.
«E
ADESSO SPOGLIATIIII! COMEEEE SAI FARE TUUU!»
E
tra un «Cosa?!» e un «Agito, togli la musica!» seguito poi dal rimbrotto:
«Pensavo ci stesse bene una colonna sonora!» la musica venne spenta e ad
accogliere il silenzio fu un pacato commento di LitaChan.
«Beh,
il succo della questione era quello.» pronunciò annuendo.
«Non
esiste! Non fuori dal camerino!» obiettò Rufus ormai a pochi passi dal burrone
dell’isteria.
«Va
bene, va bene. Non volevo farlo, ma tu non mi lasci scelta Barma.» replicò,
schioccando le dita – in realtà non accadde nulla, ma faceva figo – e chiamando
un generico: «Ragazze?»
E
apparve lei: KiraraNamidachi e la sua squadra.
Lita
le guardò. Poi guardò Rufus.
Poi
sorrise loro. E ghignò verso Rufus.
«Spogliatelo,
mi serve il vestito. Se fa storie, intanto fategli indossare questo.» concluse
dando loro una busta anonima.
Quel
giorno lo staff imparò un’altra lezione molto importante: i costumisti avevano
il potere – lo senti Kronk? Ne avverti il
nero potere? – e Rufus Barma con un grembiulino a girasoli non era affatto
male, no.
E fissava intensamente una pallina.
Sì. Proprio una pallina, neanche questa
fosse un uccellino che dovesse spiccare il volo.
Oz cercò di capire cosa mai potesse
aspettarsi dal piccolo oggetto, che vide l'uomo avvicinare la mano piano, quasi
aspettandosi che la pallina scappasse spaventata, dandogli... un colpetto
veloce.
Quella volò via, prendendo in pieno la
testa di un uomo al tavolo accanto che dava loro le spalle. Nel silenzio della
sala - cosa innaturale e che si era formato da un po', ora che ci faceva caso -
vide la persona colpita alzarsi con calma.
Con molta calma.
E in seguito voltarsi velocemente mentre
un libro prendeva il volo - e l'albino lo evitava con nonchalance e un
sorrisetto da far innervosire anche un santo.
«Xerxes Break la mia pazienza ha un
limite.» tuonò glaciale l'uomo lanciatore di libri - così lo aveva
soprannominato Oz, in attesa di conoscerne il nome - guardando male l'altro che
aveva assunto un'aria divertita degna della migliore faccia da schiaffi che Oz
avesse mai visto.
«Quanto sei noioso Rufy.» si lamentò
l'uomo chiamato Break, mentre il biondo temeva seriamente di vedere l'altro
azzannarlo alla giugulare entro breve.
Yoko891
quasi non ci credeva. La scena stava andando avanti senza intoppi.
C’era
stato l’ingresso nella stanza, il primo scambio e ora finalmente si avviavano
alla fine.
Vide
Gilbert guardare confuso Vincent, il quale portava la mano all’altezza del
colletto della camicia del moro: «Vince, cosa…?» pronunciò la battuta esatta.
Vincent lo guardò.
Intensamente.
«Scusate,
possiamo ripeterla?» chiese il biondo interrompendo la scena e voltandosi verso
lo staff intento nelle riprese. Yoko si schiaffò una mano in faccia, senza
nemmeno la forza di dire l’ennesimo “stop”.
«Che
problema c’è stavolta?» chiese quasi spossata; Gilbert sospirò facendosi da
parte mentre Vincent si rivolgeva alla regista: «Come dire…» iniziò, con l’aria
di uno poco convinto, la mano a sorreggere il mento in una posa pensosa.
«Questa
scena mi riesce difficile.» ammise infine – qualcuno avrebbe sottolineato “con
aria melodrammatica”.
«Io
direi che andava benissimo!» assicurò quasi scodinzolante makotochan, la stessa
espressione di un cane davanti alla ciotola stracolma di cibo di prima qualità.
Vincent sorrise con cortesia – lo stesso sorriso che gli era valso la nomina
per il suo personaggio, tra l’altro.
«Veramente
sono quasi certo di non riuscire ad esprimermi al meglio. Non so, è come se
mancasse qualcosa di basilare.» ammise con un sospiro. Ma makoto era dura a
morire. O meglio, forse lei no, ma il suo animo profondamente yaoi fan girl non
sarebbe morto nemmeno uccidendolo, lanciandogli una maledizione, dandolo in
pasto agli spiriti maligni ed infine resuscitandolo per ucciderlo di nuovo.
C’era
chi, ormai dell’ambiente, sosteneva che la sua anima di yaoi fan girl fosse
indiscutibilmente immortale.
«Tu
e Gil siete perfetti, siete così awrrr.» commentò – e nessuno si chiese per
cosa stesse esattamente quel verso – guardandoli adorante. Probabilmente però
anche Vincent lo notò, quel luccichio insano nello sguardo della scenografa.
Chissà farle notare che non erano loro la coppia principale quanto gli sarebbe
costato.
La
paga?
La
salute fisica?
La
vita?
«Per
quanto Gilbert sia un bocconcino appetitoso, ammetto che c’è ancora qualcosa
che non mi convince.» dovette ribattere – ma tanto makoto si perse sul
“bocconcino appetitoso” e non sentì tutto il resto, perciò il biondo poté
continuare a sognare una famiglia e non la morte precoce.
«Ok,
basta perdere tempo.» tagliò corto Yoko; sul suo viso si allargò poi quello che
poteva senz’altro definirsi ghigno sadico: «Ora ti dimostrerò visivamente perché tu devi sbattere
Gilbert al muro in maniera celere e senza fare storie.» chiarì, accavallando le
gambe, seduta com’era sulla sedia che recava la dicitura “regista” sullo
schienale.
Spostò
lo sguardo su Gilbert: «Scambiatevi i ruoli.» ordinò, passando ad Agito e i
vari cameraman «Voi invece riprendete. Voglio una ripresa degna di questo
nome.» specificò con un luccichio molto simile a quello che poco prima aveva
animato lo sguardo di makoto – ma un conto era che venisse da una cosina
esaltata come lei, un conto era che assumesse più la connotazione di un’aria
assassina come nel caso di Yoko.
Gilbert
si limitò ad annuire mentre Vincent ancora non sembrava molto convinto; si alzò
dalla sedia sulla quale si era accomodato durante quella pausa imprevista e si
mosse in avanti con passi sicuri, il portamento fiero. Lo stesso Vincent lo
guardò perplesso, finché anche per i muri non fu chiaro quello che stava
succedendo.
Mantenendo
un’espressione più che seria, Gilbert avanzò verso di lui fino a raggiungerlo;
a quel punto si chinò in avanti, una mano nella tasca dei pantaloni, l’altro
braccio che si posò contro il muro al lato del volto di Vincent. Il viso si
fece ancora più vicino, lo sguardo penetrante.
Un
sorrisetto che era un programma incurvò le labbra di Gilbert, gli occhi dorati
fissi in quelli di Vincent mentre il volto si avvicinava, e deviava
lateralmente per raggiungere l’orecchio dell’altro: «Nii-san…» vi sussurrò.
Dopodiché,
in rapida sequenza ci fu il rossore di Vincent in stile scolaretta, lo
scostarsi di Gilbert con una faccia a dir poco annoiata mentre andava di nuovo
pigramente a sedersi, una serie di “awwwwrrrr” che si sapeva già da dove
provenissero e ciò che Yoko non avrebbe voluto scatenare mai.
Doveva
ammetterlo: era stata tremendamente incauta.
«HO
DECISO!» tuonò qualcuno – Yoko sapeva chi era, ma non ci voleva pensare. Come
gli avevano insegnato da piccola “se non lo vedi non esiste” – e tutti seppero
che sarebbe stata dura per il seguente quarto d’ora lavorare.
E
poco dopo il motivo fu chiaro anche per chi lavorava con loro per la prima
volta: ShAiW fece la sua comparsa, lo sguardo esaltato. No, non
esaltato. Invasato. No, nemmeno.
Ah,
già.
Assatanato.
«Eravate
perfetti, PERFETTI. Io vi pretendo insieme! Io
che mi occupo di individuare le parti più efficaci delle riprese non ho
dubbi! VinGil, VinGil, VinGil!» prese ad esclamare alla stregua di un coro da
stadio; Yoko si chiese perché tutte a lei.
«Veramente
era una GilbertVincent quella.» obiettò una voce dietro le telecamere –
qualcuno azzardò mentalmente a Jack London, che c’era e non c’era e se
c’era tu non lo vedevi, ma era come i film horror.
Lui
non dorme maaaai. Lui ci vedeeee. – anche se Jack era una lei. O un lui.
Era
qualcosa.
Yoko
decise di ignorarle tutte in massa e si rivolse a Vincent: «Capisci? Gilbert è
seme. Ma non il suo personaggio. E poi a guardarvi in faccia sei te quello con
l’espressione maniaca Vince. Ora possiamo riprendere senza che tu ci fermi di
nuovo in preda ad ansia da prestazione, vero?» incalzò, anche se la domanda sembrava
più che altro retorica.
«Ma
io voglio inquadrature VinceGi—» tentò Shaiw, prima di vedere l’espressione di
Yoko.
«Come
dicevo. Torno al mio posto, sì.» riprese come se non avesse mai nemmeno
sollevato la questione – il potere dell’occhiata del leader, che volete farci.
Lo
stesso leader che si voltò nuovamente verso Vincent con l’intento di
estrapolargli un “sì, ricominciamo, lavorerò senza fiatare” quando notò che il
biondo non era sulla scena. E non seppe se temere più per il ritardo che
stavano accumulando o se per il fatto che sentì alla propria sinistra:
«Giiiiil, insegnami come fare uno sguardo seme come il tuo!»
Seppe
solo che si rifiutò di voltarsi.
Cosa
che invece fecero Shaiw e makoto quando, abituate ad un pacato e tranquillo
Gilbert uke, sentirono un rozzissimo e crudele: «Non vado a puttane, mi
dispiace.» a seguito del quale la matita che Yoko teneva in mano come
antistress di frantumò nello stesso istante in cui Vincent fuggiva via
piangendo ferito nell’animo per quelle rudi parole.
«Nightray.»
sibilò, e qualcuno temette che i capelli divenissero serpenti iniziando ad
ondeggiare sinistramente: «Vai a recuperarlo o ti giuro che ti farò essere uke
pur essendo donna.» sbraitò.
Anche
per quel giorno, lo staff apprese un insegnamento che nel loro ambiente era
effettivamente alla base dell’ottimo lavoro: l’attore va sempre accontentato,
perché può decidere di non lavorare bene e metterti nei guai, dunque ogni suo
malumore è pericoloso.
Un
regista donna con le palle girate lo è di più – persino più degli addetti al
montaggio yaoi fan girl, sì.
Lo osservò confuso, senza capire, mentre
Vincent portava la mano libera all'altezza del colletto della camicia del
maggiore: «Vince, cosa...?»
«Gil, è davvero un bene per te avvicinarti
di nuovo ai Bezarius?» sussurrò, il tono sottile che quasi si insinuava
direttamente nella sua testa. Gilbert sgranò appena gli occhi, portando la mano
che non era tenuta dall'altro ad afferrare il polso che era praticamente
all'altezza del suo collo.
«Questo che significa, Vince?!» sbottò,
nel tono quasi il timore di scoprire l'ennesimo colpo di testa del minore.
Non sarebbe stata certamente la prima
volta.
Il biondo sorrise, pacato; lo conosceva,
quel modo di sorridere rivolgendo lo sguardo a lui, Gilbert.
Vide il viso del fratello avvicinarsi
impercettibilmente e, per riflesso, allentò la presa sul suo polso: l'altro non
raggiunse mai il volto del moro. Semplicemente, prese il nastro della divisa
tenuto sotto il colletto della camicia e lo tirò appena, sciogliendo il nodo.
«Non significa nulla, Gilbert. Solo, mi
preoccupo per te.»
Lo
staff stava per piangere dalla commozione.
No,
non perché ci fosse una scena particolarmente drammatica in corso, né perché ci
fosse stato finalmente il bacio tra i due che formavano la coppia principale. E
no, nemmeno perché si era raggiunta una fase risolutiva delle trama – in realtà
tutti si chiedevano se esistesse un
punto risolutivo, e ormai molti si erano risposti tristemente “no”.
Il
motivo delle lacrime era un altro: stavano finendo esattamente in quel momento
di girare una scena senza intoppi e senza
interruzioni.
Forse
l’Apocalisse era vicina, ma non importava in quel momento.
«Sì,
ti raggiungo subito in camera, Ruf.»
sentirono pronunciare da Break e con una certa soddisfazione Yoko poté
finalmente decretare uno “stop” non esasperata, non arrabbiata, non rassegnata
ma soddisfatta.
Oh,
sì.
«Non
credevo che lo avrei mai detto ma sì. Sapete anche fare il vostro lavoro ogni
tanto, durante l’anno, per sbaglio.» commentò – forse, si dissero alcuni,
secondo la regista quello era un complimento.
…vero?
«…Ohi?
Fiamma?» chiamò ShikabaneHime picchiettando
sulla spalla della ragazza di fianco a lei, cui faceva da assistente. Ma il
loro fonico di presa diretta – per gli amici: lo scemo che tiene il microfono
peloso in modo che non si veda nell’inquadratura – Fiamma Drakon per l’appunto, sembrava persa in un mondo tutto suo.
«…L’abbiamo
persa di nuovo.» osservò ShikabaneHime.
«Si
accettano scommesse!» partì dal fondo: «In quale mondo sarà oggi?»
«Voto
il mondo dove Break e Rufus fanno porcate!» si sentì da dietro i macchinari per
riprendere.
«Ti
piace vincere facile, non vale!»
«Bonshi,
bonshi, bobobòn!»
«…questa
era triste, lo sai vero?»
«Sarà
mica il mondo dei minipony? Sennò son problemi, vuol dire che ha preso qualcosa
che fa male sul serio.» commentò pensierosa Bacinaruto.
Fiamma,
fortunatamente, non era persa in fantasie di uomini in atteggiamenti poco casti
(forse) né in altre in cui era a cavallo di un pony dalla criniera laccata, il
pellame rosa e una stellina lillà stampata sul grande posteriore – dalla coda
fluente e boccolosa ovviamente.
Infatti
si riscosse, rivolgendosi a bacinaruto che si era occupata delle luci per
creare ancora più pathos nelle inquadrature: «E che bisogno ho di chiudermi in
un altro mondo? Questa ripresa era così reale, c’era così tanto feeling, che—»
«Xerxes,
che cazzo fai?!»
A
cosa facesse pensare il feeling, Fiamma non lo disse mai.
In
compenso, Rufus diede sfoggio del suo erudito e pacato vocabolario di insulti.
La
risatina di Xerxes attirò gli sguardi di molti, che seguendo la scena
compresero: la mano sinistra dell’albino era casualmente posata sul posteriore di Barma. Che non sembrava
entusiasta.
«Come
che faccio? Ti palpo!» canticchiò allegro.
«Lo
vedo, e tu noti che non è gradito o sei cieco pure nella realtà?!»
«Ma
veramente non sono cieco nemmeno nel film.» fece notare Break.
Rufus
sogghignò: «Per ora.» sottolineò «La sceneggiatrice potrebbe sempre cambiare
idea, ricordalo.» fece notare.
«Oh,
oh» Break gli pungolò un braccio con il gomito: «Non dirmi che ti svendi alla
sceneggiatrice?» insinuò malizioso e ricevendone uno simile di rimando
dall’altro.
«Geloso?»
chiese, ma l’espressione mutò in qualcosa che ricordava l’istinto omicida della
regista e ad un’occhiata più attenta il motivo parve chiaro: la mano di Break
era di nuovo casualmente sul fondoschiena di Barma, palpando senza nemmeno
troppo ritegno.
Rufus
fece per mollargli un cazzotto sulle gengive: «La smetti?!» sbraitò, ma Xerxes
per tutta risposta gli infilò una mano nei pantaloni, in corrispondenza del
medesimo punto palpato poco prima.
«Uhuhuh,
no che non smetto!» lo prese in giro: «Ne ho tutto il diritto, Rufy, tu mi
tratti male mentre giriamo le scene!» si lamentò, fingendosi ferito dal suo
atteggiamento.
«Ma
lo richiede il mio personaggio!» sbottò – in realtà lo richiedeva anche la sua
voglia di fare violenza psicologica e fisica su Break, dove per fisico non si
intendeva nulla di sessuale – ma Break non parve dello stesso avviso.
«Però
anche il mio personaggio è malizioso.» fece notare, di nuovo con quel tono con
cui quasi canticchiava anziché parlare: «Malizioso non è sempre sinonimo di
“maniaco perverso”!» rimbrottò Rufus, sentendosi rispondere in coro una serie
di “veramente sì”, “ma in che mondo vivi”, “guarda che siamo nel 2010 e non
nell’età dei mutandoni alle gambe dei tavoli”.
Break
lo guardò. Rufus seppe che non era nulla di buono.
Break
palpò. Rufus lo prese per il bavero: «Ora mi hai—»
Cosa
avesse fatto Xerxes, lo videro tutti. E fu immortalato da un immondo, immenso,
gaio – dove “gaio” aveva doppia valenza – inconfondibile: «KYAAAAAAAAA!»
E
Rufus finalmente ebbe una vaga idea di cosa potesse essere quella cosa che sul
suo telefilm preferito – Dr. House Medical Division – avevano chiamato “esofagograstroduodenoscopia”.
Anche
se supponeva che i dottori non la facessero con la lingua.
«Non chiamarmi "Ruf". Sai che
non lo sopporto quasi quanto non sopporto te, Xerxes.» sibilò, il viso talmente
vicino che i nasi si sfioravano. Break ridacchiò, osservandolo come se la
posizione assunta dall'altro fosse una cosa abituale: le mani poggiate ai suoi
lati, sulla parte in legno della sedia per poggiare le braccia e leggermente
piegato in avanti, Rufus aveva avvicinato repentinamente il viso al suo. Lo
sguardo severo come suo solito, le ciocche più corte dei capelli scivolate in
avanti a circondargli appena il viso.
Break si sistemò sulla sedia non con
nervosismo, al contrario con naturalezza: nel movimento, nel suo farsi
leggermente più avanti verso il viso dell'altro per provocazione, le labbra
quasi si sfiorarono.
Lasciò che le proprie venissero incurvate
da un sorrisetto malizioso: «Ma tu mi sopporti eccome, professor Barma.»
insinuò, quell'appellativo formale assolutamente in contraddizione con
l'atteggiamento e la situazione in cui si ritrovavano in quel momento.
«Hai un'idea della sopportazione tutta
tua, come al solito d'altronde.» rimbeccò Rufus, senza muoversi di un
centimetro o cambiare espressione.
«Oh, andiamo.» lo riprese Break: «Non puoi
pensare davvero di essere credibile visto che vieni al letto con me.» parlò
chiaro, senza nemmeno un vago pudore.
Rufus lo osservò, lasciando cadere il
silenzio per qualche istante. Gli diede quindi le spalle, tornando sui propri
passi verso la porta che dava nella stanza dell'alloggio, quella da cui era
venuto.
«Parola mia, Xerxes, fai perdere la
fiducia nel genere umano.» fu il suo unico commento, mentre oltrepassava la
soglia senza preoccuparsi di chiudersi o meno la porta alle spalle.
Break ridacchiò, prendendo la tazza deciso
a finire il thé: «Sì, ti raggiungo subito in camera, Ruf.»
«Direi
che questo valzer è perfetto per la scena, tienilo pure pronto per le riprese
Agito.» decretò Yoko dopo aver ascoltato un paio di tracce sulle quali si era
ancora indecisi.
Riprese
quindi posto sulla sua sedia, facendo un cenno ai vari addetti ai lavori.
Gli
attori furono in breve portati sulla scena e a quel punto pralinedetective si fece avanti posizionando il ciak davanti
all’inquadratura: «La Barma fa il culo a Noah e Oz a lezione, prima. Ciak!»
disse con voce chiara, allontanandosi mentre si iniziava a riprendere.
Noah si lasciò
scivolare sulla prima panca libera: «Oz, ti prego, uccidimi.» implorò, fissando
un punto dritto di fronte a sé, il resto della classe – ossia delle comparse –
che scemava chi al bagno, chi verso le altre panche perdendosi in chiacchiere.
Oz sorrise,
sedendosi affianco a lui: «Perché ti hanno pestato i piedi?» domandò, tirando
ad indovinare.
Noah lo fissò
allucinato: «… A parte che è più plausibile che io pesti i piedi a qualcuno. Ma
no. Senti, perché devo esercitarmi a ballare se al ballo ci verrò per un
incontro romantico col buffet?» ironizzò, fissandolo eloquentemente.
Oz ridacchiò
appena: «Non lo so, perché?» chiese, curioso di sentire l’uscita dell’altro in
proposito.
«Ecco, non lo so
perché! Qualcuno lassù evidentemente mi odia! E sì, magari non sarò proprio
stato un bravo bambino, ma se questo è Babbo Natale che porta rancore giuro che
gli avveleno le renne quest’anno.» sibilò – suscitando in Oz una risata vera e
propria.
«Che spirito
natalizio…» commentò per prenderlo in giro.
«Si chiama
“istinto di sopravvivenza”, Oz. Ma non mi stupisco, il tuo fa cilecca ogni
tanto.» replicò di rimando.
Tutti
seguivano con attenzione la ripresa della scena che stava venendo piuttosto
bene.
All’entrata
della Barma, Fiamma mosse il microfono con attenzione perché si sentissero
chiaramente le battute, mentre bacinaruto con estrema professionalità guidava
le luce in modo da rendere al meglio la ripresa.
Agito,
dalla sua postazione, controllava come sempre video e audio contemporaneamente,
le cuffie a coprirle le orecchie.
Fu
mentre Oz avrebbe dovuto prendere la mano di Noah che si sentì un ringhio che
somigliava ad uno “stop” e no, non era Yoko stavolta – lei fu occupata a
voltarsi con sguardo spiritato verso il folle che aveva osato interrompere
quella che sarebbe potuta essere la seconda scena fatta senza intoppi nel
mezzo.
Niente
meno che Gilbert Nightray stava avanzando quasi a passo di marcia verso il set:
«Cosa vuoi?!» sbottò la regista, fissandolo mentre la scena si era chiaramente
fermata.
«Tu
stai facendo ballare Oz con Keynes!»
«Vatti
a lamentare dalla sceneggiatrice se ci tieni tanto! E smetti di fare il geloso,
che sei, un padre che non vuole lasciare la sua innocente bambina al lupo
cattivo?!» sbraitò Yoko, fissandolo.
Ma
Gilbert mise su un sorrisetto arrogante, sicuro di sé – quello che in “Rinnega
il tuo nome” era considerato utopia per il suo personaggio – puntando poi il
dito contro Noah: «Non azzardarti ad allungare le mani, caccola!»
«Ma
se Marcus mi trucida se solo mi azzardo!» sbottò di rimando Noah, offeso nel
suo animo di gentleman: «Oz, diglielo
anche tu!» gli fece presente, spostando lo sguardo sul biondo.
Che
aveva il proprio puntato a terra.
Noah
assunse un’aria preoccupata quasi subito: «Ohi, tutto bene? Forse sei stanco
perché sei in quasi tutte le riprese?» chiese, premuroso, ricevendo in risposta
un cenno di negazione.
«Io…»
mormorò, alzando lo sguardo e lo videro.
Capirono
subito.
Oz
era arrossito vistosamente; Yoko si schiaffò una mano in faccia – ormai era un
rituale o qualcosa di simile: «Andiamo bene, gli è presa di nuovo una crisi di
timidezza.» sbuffò.
«E-Ecco,
non… non si potrebbe fare la scena senza dover stare così vicini per ballare?»
trovò il coraggio di farfugliare. Il giovane attore aveva ormai risvegliato
l’istinto materno – o l’istinto di protezione che potevi avere per una specie
protetta del WWF – della maggior parte dei membri dello staff. Ciò era avvenuto
nello stesso istante in cui si erano rese conto di quanto fosse timido,
impacciato e pudico.
Sì,
l’opposto del suo personaggio praticamente.
«…Qualcuno
mi chiami l’addetto al cast, io non ho la forza mentale.» ammise Yoko, dandosi
per sconfitta. Ebbene sì – ma solo per i prossimi dieci minuti.
Un
brivido passò per le schiene dei presenti, mentre pralinedetective si avviava
trotterellando a chiamare colei che tutto poteva, tutto voleva (più o meno) e
che era niente più che un animale raro – correva voce che la sceneggiatrice la
pagasse in grattini e che questo risollevasse un po’ il budget.
L’addetta
al cast era l’unica non yaoista.
Ed
ella giunse: passo felpato quanto quello di uno gnu che crepa di caldo, aria
serena e pacata come quella di un suino al macello che vede il suo boia
affilare la lama che reciderà la sua esistenza rendendolo salsicce, Meimei
arrivò sul set.
Li
fissò tutti, e si soffermò su Oz: «Che problema c’è?» chiese con un sorriso
gentile.
Il
biondo ne abbozzò uno un po’ più timido, ma incoraggiato quasi: «M-Mi dispiace
per il disturbo, ma… mi sento un po’ a disagio in questa scena. N-Nulla contro
Noah, assolutamente, lui è un ragazzo molto corretto! È solo che ecco… non sono
bravo nei contatti con le persone e non vorrei c-che risentisse sulle riprese e
il lavoro di tutti, perciò—»
Un
piede pestò rumorosamente su un punto rialzato dal pavimento – uno dei bauli
che conteneva qualcosa per le scene probabilmente: Meimei, in una posa che era
la yakuza degli anime personificata, braccia incrociate al petto, lo guardò.
«Sta
a sentire moccioso. Sei pagato profumatamente sai per fare cosa, eh? Lo sai?!»
incalzò aggressiva: «Per stare lì a fare il deficiente incompreso dal mondo,
depresso per il fratello crepato che scriveva diari apocalittici allo scopo di
torturarti una volta che ci avesse lasciato le penne. Tra l’altro fai lo
psicotico che fa sogni di dubbia origine: sei un adolescente, cazzo, dovresti
fare sogni porno, PORNO! E con le donne, non con gli uomini, diamine! Dov’è
finito il lato etero del mondo, eh? Io sto qua a sbattermi a vedervi fare pucci
pucci senza concludere una beneamata ceppa da più di dieci capitoli di
sceneggiatura e ora tu vieni a dire a me che ti senti a disagio? Sai
quanto me ne fotte a me del tuo disagio, piccolo coso biondo insopportabile?!»
sbraitò, agitandosi e gesticolando finché non lo vide.
Il
labbro tremulo e lo sguardo da Gatto con gli Stivali di Shrek.
Alzò
lo sguardo al cielo: «Oddio no, non metterti a frignare!» sbottò come se non
fosse colpa sua tra l’altro.
Prima
che Oz potesse dire qualsiasi cosa, tuttavia, Gilbert gli fu accanto e più
precisamente lo stava abbracciando. Il biondo, visibilmente sorpreso, rimase
fermo sul momento, senza capire.
«Io
ti proteggerò.» sussurrò galante Gilbert, scostandosi appena e mantenendosi ad
una distanza calcolata: «Non darle ascolto, se non vuoi avvicinarti a nessun
altro che non sono io, per me va più che bene.» assicurò con uno di quei
sorrisi con lo scintillio dei personaggi che si credono fighi – ah, il gioco di
luci dei faretti!
«V-Veramente…
m-mi vergogno un po’ anche con te, Gilbert-san.» ammise Oz impacciato e Meimei
stava per gridargli contro qualcos’altro, ma si sentì quasi lanciare via.
Non
ebbe bisogno di chiedere chi fosse stato. Il potente: «AWWWW» che le arrivò
all’orecchio fu molto esplicativo.
Gilbert,
voltandosi, notò uno stuolo di fangirl che li guardavano e sogghignò:
dopotutto, perché non accontentarle?
Si
mosse con gesti studiati: un braccio scese a cingere la vita di Oz, attirandolo
a sé in un gioco di “sfiorare ma non toccare” fra i loro corpi; l’altra mano
salì fino al volto del più giovane, due dita a prendere il mento con
delicatezza. Il viso si fece vicino fino ad un certo punto, rimanendo ad una
distanza calcolata. Gli occhi dorati si fissarono intensamente in quelli verdi
dell’altro, ad animarli uno sguardo suadente quasi.
«Oz…»
sussurrò sensualmente, le labbra che se solo si fosse fatto più avanti ancora
avrebbero inevitabilmente sfiorato quelle dell’altro. Il biondo arrossì
vistosamente, deviando lo sguardo di lato: «G-Glbert-san… davanti a tutti…»
farfugliò.
Gilbert
strinse la presa sulla sua vita, leggermente: «Non curarti degli altri, quello
che conta non siamo forse noi due?» mormorò con lo stesso tono, volutamente
modulato.
«P-Però…»
tentò di nuovo il biondo.
Sarebbero
andati avanti e chissà, forse avrebbero coronato il sogno di molte fangirl
dello staff, ma Gilbert ad un certo punto capì che rimanere lì in quel momento
e dando quel tipo di spettacolo, avrebbe potuto essere solo letale.
Glielo
suggerirono vari versi, ma soprattutto un inquietantissimo: «Oh mio Dio, oh mio
Dio! Gilbert sta facendo una scena d’amore con il piccolo Oz fuori dal lavoro!
Awww, ma questo è amore vero, allora! Come sospettavo!» che aveva sperato
appartenesse a Gioielle, o a chiunque altro.
Ma
che poi aveva intuito appartenere tristemente a Vincent – il cui naso veniva
tamponato dall’abile assistente riprese Kaho_chan per limitare la
fuoriuscita di sangue.
E
mentre metteva in pratica la recente decisione di imboscarsi con Oz dietro l’attrezzatura
inutilizzata magari - «Sarò gentile, te lo prometto.» gli aveva sussurrato
all’orecchio con fare figo – si era detto di non voler davvero sapere perché
Vincent fosse un supporter della GilbertOz.
Anche
quel giorno, come tutti gli altri ormai, qualcuno imparò una lezione su qualcun
altro: Gilbert apprese che c’erano momenti nella vita in cui bisognava dare ad
una fangirl ciò che era di una fangirl. Ma che bisognava farlo da dietro uno
schermo, una barriera mistica o comunque qualsiasi cosa garantisse la tua
incolumità – mai e poi mai dal vero.
«Ora, signor
Keynes, passi la mano destra intorno alla vita del suo compagno.» ordinò.
Noah fissò Oz,
senza muoversi: «Ciò vuol dire che posso risparmiarmi il baciamano, deduco.»
commentò, portando il braccio dietro la schiena di Oz, circondandogli la vita
alla meno peggio.
L’altro cercò
di non ridere, più che altro.
La docente li
osservò: «Ora, la mano libera a sostenere la mano della dama.» disse,
aspettando che Noah eseguisse.
Sospirò come
chi si vede costretto a ripetere per l’ennesima volta la stessa cosa: «Signor
Keynes, educazione e cortesia vogliono che se anche la dama con cui si danza
non piace la si deve trattare con il massimo riguardo. Perciò, a meno che il
signor Bezarius non abbia qualche malattia contagiosa direi che può tenerlo più
vicino a sé.» gli fece presente.
Quando fu
soddisfatta almeno in parte della posizione iniziale dei due, la docente fece
partire la musica: un valzer dei più comuni.
Noah mosse un
primo passo non proprio convinto, mentre Oz lo seguiva; poteva facilmente
immaginare il disagio e le imprecazioni dell’altro: essendo di famiglia medio
locata, era quasi ovvio che non gli fosse mai capitato di dover partecipare a
qualcosa di vagamente simile ad un ballo e che di conseguenza non avesse mai
imparato.
Né sentito la
necessità di farlo, oltretutto.
Per questo Oz
non ebbe cuore di sottolineare che i suoi piedi non erano di gomma e che quindi
le sei volte di seguito in cui glieli aveva pestati non erano passate
inosservate; non lo aveva fatto presente all’altro anche per tutti gli “scusa”
che Noah era stato capace di bofonchiare nell’arco di un valzer.
Probabilmente
quello era un nuovo record a tutti gli effetti.
Aveva optato
per la solidarietà di cui solo un amico vero poteva essere capace, e alla fine
della lezione gli aveva proposto di sgattaiolare in mensa a chiedere una
cioccolata calda.
«L’unica cosa
che mi fa tornare speranza nella vita è il pensiero che non dovrò mettere in
pratica tutto questo, quel giorno.» commentò Noah soffiando sulla tazza piena
del liquido scuro e fumante.
Oz ridacchiò:
«Non sei andato così male.» gli fece presente, un po’ sincero un po’ solidale.
Noah lo fissò
eloquentemente: «Tu dov’eri, che lezione hai visto?»
Un
mistero inquietante era serpeggiato tra lo staff di quel film.
Chissà
per quale motivo, la regista Yoko891 aveva detto quella mattina appena
arrivati: «Oggi non sarò io a dare lo stop alle riprese. Visionerò dall’alto.»
Nessuno
aveva compreso l’intrinseco significato di quelle parole – avevano azzardato
molte ipotesi, alcune anche banali e plausibili, ma avevano smesso quando si
era iniziato a parlare di rapimenti alieni – ma non avevano certo potuto
bloccare il lavoro di tutti.
Perciò,
le veterane del gruppo avevano guidato tutte le altre per far sì che tutto
andasse filato come avrebbe dovuto – e come non andava mai, ma vabbé.
Certo,
c’erano stati alcuni piccoli ritardi dovuti alle incomprensioni o allo
smarrimento di oggetti di scena.
«Ehi,
qualcuno ha visto gli oggetti di scena dei Nightray?» chiese Kaho_chan, mezza
testa affossata in un baule – ma di là non c’erano leoni parlanti, tassi che ti
ospitavano nelle loro tane e fortunatamente non c’era nessun signor Thumlus.
«Hai
guardato nel camerino di Oz?» fece eco qualcuno scatenando l’ilarità di molti e
la voglia di sotterrarsi del biondo – tornato misteriosamente spettinato e
arrossato in volto.
«Sì,
vabbé, ma qui non si trovano le forbici di Vincent.» si sentì comunicare mentre
tutti si chiedevano chi fosse così poco sano di mente da aver bisogno di quelle
forbici.
«Le
ho trovateee!» esclamò giuggiolina, indicando ai propri piedi come a
dire “d’altra parte era la mia seconda opzione su dove potessero essere” e
guidando nello stesso punto lo sguardo di molti dello staff.
Seduta
per terra, gambe incrociate e con un grosso rotolo di negativo vicino – visto
quant’era lungo qualcuno si aspettò di leggervi la dicitura “rotoloni regina” –
lingua fra le labbra ed espressione concentrata, Talpina Pensierosa
tagliava il negativo.
Con
le forbici di scena di Vincent, sì.
«Tal,
quante volte ti ho detto di non fregare gli oggetti di scena?» le fece notare
giuggiolina e solo allora Talpina alzò lo sguardo verso di lei, quasi uscita
dalla trance: «Eh? Ah. Sì. Vabbé ma mi serviva.»
«…Ma
non è una spiegazione.» rimbrottò Kaho_chan dalla sua postazione, ma troppo
tardi. Talpina era dedita al suo lavoro di addetto al taglio negativo tanto
quando Vincent – il personaggio – era dedito a tagliare le bambole di pezza.
…Magari
uno di questi giorni gli organizzavano un appuntamento fatto di cenetta a lume
di candela, violino che strimpellava e roba da tagliuzzare.
Hai
visto mai.
«Siamo
pronti per la scena con Sirjan e Oz!» decretò DominoWhite vicino ad
Agito, lanciando un’occhiata a Yoko che sembrava decisa a non occuparsi della
scena quel giorno, lasciando il tutto all’aiuto regista.
Pralinedetective
andò nuovamente al suo posto: «Sirjan e Oz amichetti del bosco di dubbio gusto
di fronte ad una lapide, prima. Ciak!» dichiarò, ed iniziarono.
Quello
che non sapevano, era che non si sarebbero fermati alla prima…
…trentina.
«Stop, stop, STOP.» sbraitò DominoWhite iniziando a capire quanto duro fosse lo sforzo di nervi che toccava a Yoko ogni volta, ogni scena, ogni giorno.
Sirjan assunse un’aria afflitta mentre Oz gli faceva un “pat pat” comprensivo sulla spalla con un sorriso gentile e consolatorio.
«Rifacciamo.» ringhiò Domino, e pralinedetective con la stessa vitalità di un bradipo in coma allungò la mano: «Sirjan e Oz amichetti del bosco e bla bla bla, cinquantatreesima. Ciak e che sia l’ultimo, Dio.»
Sirjan inspirò.
«Non
ricordo di avertene parlato o meno, perciò forse mi ripeterò. Glen Baskerville
si è suicidato, e ti assicuro che non aveva motivi “ufficiali” per farlo. Per
questo molti suppongono che si sia trattato di qualcosa che non comprendeva
problemi di alta società o che potessero emergere facilmente. Il motivo
preciso, è qualcosa che nemmeno io so. L’unico che potrebbe parlarne è Glen, ma
immaginerai tu stesso che non si tratta di qualcuno facile da avvicinare. E
personalmente, non ho interesse nel farlo. Non sono un investigatore, il mio
compito è solo mantenere celato quello che mi affidano in termini di segreti ed
informazioni.»
Qualcuno
tirò un impercettibile sospiro di sollievo, qualcuno iniziò a ponderare l’idea
di credere ai miracoli e qualcun altro si chiese se ci aveva messo lo zampino
il mago Silvan, ma poi tutto precipitò di nuovo, tristemente.
«Le persone menzionate da Jack sono Charlotte e Glen Baskerville. Lei è stata una servitrice di Glen per anni e non ha mai completamente accettato l’acimizia con tuo—»
«STOP! AMICIZIA, CRISTO SANTO, NON ACIMIZIA!» sbraitò Domino nuovamente e tutti interruppero il loro lavoro – chi le riprese, chi il controllo audio, che il fancazzismo.
Sirjan si alzò in piedi: che volesse prendere una posizione?
«Allora, stammi a sentire, avete dei dialoghi oblunghi! Che tanto il personaggio di Oz manco avrà capito tutto quello che ho detto, alla fine! Accorciateli, facciamoli separati, ma io mi dimentico e mi si inceppa la lingua, ok?!» sbottò frustrato il ragazzo.
AliceOfAbyss si fece avanti: «Adesso non facciamo le vittime! Se avevi lamentele sui dialoghi potevi dirlo quando hai accettato il lavoro. E poi scusami, ma se hai problemi di lingua ingegnati!» gli rispose.
«Alice, quest’ultima frase suonava di un male che tu nemmeno ti imma—» tentò ami90.
«Slingua con qualcuno, annoda gambi di ciliegie, fai gli scioglilingua prima di andare a dormire, ripeti sei volte “supercalifragi- quel coso lì” ma non incepparti che ci siamo rotti di fare la stessa scena più di cinquanta volte!» tagliò corto.
Domino guardò Yoko.
Lei era l’unica che potesse decidere sul serio cosa fare.
Ma la regista, il ritratto del relax, si limitò ad un: «Suvvia, possiamo tentare un’altra volta ancora, no? L’importante è che la scena venga bene.»
Il gelo attraversò la sala caduta in un silenzio più che religioso.
La quiete prima della tempesta.
«No, scusa, fammi capire.» partì in quarta una voce che – poi fu chiaro – apparteneva a Rufus Barma sopravvissuto dalla personalissima “giornata all’insegna del porno” di Break: «Se sbaglio io perché quel maniaco cerebroleso mi palpa cercando di consumarmi nel farlo mi mangi e se sbaglia cinquanta volte il moccioso va tutto bene?» insinuò, fissandola duro.
Yoko si voltò con molta calma, ma se avesse potuto lanciare saette con gli occhi Rufus sarebbe già stato incenerito.
«Ma cosa abbiamo qui?» disse con sguardo veramente ma veramente maligno e subdolo: «Osi lamentarti Barma? Innanzitutto mi sembra evidente da qualcosa molto più in basso del tuo presunto cervello che l’attacco maniaco di Xerxes non ti schifi, ma fingerò di non averlo notato sottolineandoti che se arrivi a fine mese è anche merito mio che ti do lavoro. E il dio denaro può tutto. Perciò smetti di fare la ragazzina isterica alla sua prima cotta e gentilmente non contraddirmi. Mi innervosisce i neuroni.» aggiunse, togliendo con un gesto non curante la polvere dalla propria spalla – tutta scena – e tornando a rivolgersi a Sirjan.
«Riprendi pure quando ti senti più a tuo agio.» assicurò premurosa.
«…sarà il potere degli ormoni?» azzardò Ami90 in un sussurro verso AliceOfAbyss: «Non lo so, ma se lo è ho paura. Da quando la nostra regista è così umana da farsi influenzare dagli ormoni addirittura? Non la intacca manco lo sguardo da B.A.C.H.U.M!» replicò.
«Il cosa?» chiese piuttosto perplessa l’altra.
«Ma dai, è famoso, è un pilastro del cinema! Lo sguardo da Bambi A Cui Hanno Ucciso la Mamma!»
Lo
staff quel giorno apprese più di una lezione.
A,
il regista può avere preferenze: nel caso, non contraddirlo.
B,
il regista con le preferenze se lo contraddici diventa subdolo.
C,
Rufus può essere molestato, tanto non frega a nessuno.
D,
Bambi ha segnato la carriera di molti. Amen.
«Le persone
menzionate da Jack sono Charlotte e Glen Baskerville. Lei è stata una
servitrice di Glen per anni e non ha mai completamente accettato l’amicizia con
tuo fratello. Tutti e tre i fratelli Nightray: anche se non so dirti quanto
Gilbert ricordi dopo l’amnesia che sostiene di aver avuto. E… c’è qualcuno, fra
le persone a te vicine, Oz. Qualcuno che volente o nolente non ti sta dicendo
la verità. Ma il suo nome, non posso dirtelo.» dovette ammettere, per quanto le
sue intenzioni fossero buone.
Si alzò, così
senza preavviso che Oz sussultò involontariamente.
Fece per dire
qualcosa, vedendolo togliere qualche filo d’erba rimasto sui pantaloni e in
procinto di andare via, ma il maggiore lo interruppe.
«Ma ti dirò
questo.» aggiunse, quasi volesse farsi… perdonare, per la mancanza del nome?
«So che sarà doloroso. Ma cerca di arrivare in fondo a quel diario, è l’unica cosa che non può mentirti dal momento che è stata scritta dallo stesso Jack, e che non ha restrizioni su cosa può rivelarti e cosa no, come invece ho io. Ti consiglio di andare da Xerxes Break, ma dopo averlo letto e solo quando avrai domande precise da porgli. Lui cercherà di metterti alla prova, ti farà sudare quelle informazioni: anche con parole crudeli o subdole insinuazioni. Ma se riesci a dare a lui e Barma quello che vogliono, o ad entrare nelle loro “grazie”, sono alleati preziosi se davvero hai deciso di andare in fondo a questa storia.» continuò, quando mai aveva parlato così a lungo e rivelato così tanto.
Come
fossero arrivati a tutto quello, nessuno di loro in realtà avrebbe saputo
dirlo.
Era
partito tutto nel modo più ingenuo e insospettabile del mondo: una pausa
pranzo.
Eppure
si era trasformata in breve in una carneficina – vabbé, non proprio dai: Yoko
aveva detto a Meimei di chiamare Elliot e Reo, che tecnicamente quel giorno non
avrebbero dovuto fare riprese, ma dal momento che si era liberato del tempo
erano chiamati a lavorare comunque.
Mentre
Meimei gesticolava parlando al telefono – le dolci parole quali “me ne frego
che si deprime perché non gli viene Lacie, vorrà dire che suonerà in playback,
moccioso viziato!” fecero supporre che parlasse di Elliot con il povero Reo –
la porta si era aperta e un furente Glen seguito da uno scodinzolante Jack si
era fatto avanti.
Aveva
raggiunto Yoko, che aveva alzato lo sguardo dalla sua ciotola di ramen precotti
annoiata.
«Ora
io e te parliamo. Pretendo una spiegazione scientifica e soprattutto sensata
per questo evidente trattamento ai limiti del razzismo.» se ne uscì fissandola
– ciao ciao eleganza e portamento che ostentava nel film.
Yoko
prese una generosa porzione di spaghetti, scolò un po’ del brodo, portò le
bacchette alle labbra; masticò con gusto e ingoiò. E lo fissò.
«Ah,
sei ancora qui. Che razzismo?» chiese apatica.
Glen
si disse che non avrebbe trovato lavoro in futuro se fosse girata la voce
secondo la quale ammazzava i registi – anche se lo spadino che fungeva da
oggetto di scena, magari…
«Qui
non si ha il rispetto per gli anziani. Insomma, fanno un’opera originale e il
mio personaggio fa l’ombra figa per quaranta capitoli senza che lo si veda. Ci
fate un film e o parlo con presunti spiriti felini o possiedo corpi aitanti di
giovanotti. Cos’è questa diversità di trattamento, eh? Che io sono pure
allergico al pelo di gatto, fra le altre cose!» sbottò offeso.
«…Aitanti
giovanotti?!» fece eco Gioielle – probabilmente era il richiamo del sangue (o
degli ormoni) che le aveva permesso di cogliere quell’unico pezzo del discorso
– mentre Yoko liquidava il tutto con un: «Già che li definisci aitanti non ti
dispiace. A parte che sembri un vecchio bavoso maniaco, ma…» lasciò in sospeso.
«COSA?!»
urlò praticamente, ma fu fermato.
No,
niente accoltellamenti e no, non fu nemmeno l’Abisso del film che gli fece bubù
settete terrorizzandolo. Naah, nemmeno Yoko che gli rovesciava il ramen in testa.
Fu
una mano che gli scompigliò pucchosamente i capelli: «Dai, Glen, danno a te
questo ruolo perché hai esperienza e sei uno dei pochi che può portarlo a
termine con efficienza.» gli spiegò un Jack Bezarius che in quel momento
esibiva una delle sue espressioni da cucciolo bagnato migliori.
Glen
lo guardò. Borbottò qualcosa.
E
si arrese.
Lo
staff rimase allibito come tutte le volte.
«…Ma
ci crede veramente? Cioè, che quello di Jack sia un complimento vero?» chiese
in un sussurrò Gloglo_96, turbata nel profondo.
«No,
non hai capito. Jack è serio.»
«…stai
scherzando.» si rivolse a giuggiolina che l’aveva profondamente turbata con
quella rivelazione.
«Macché.
Magari scherzassi e invece no. Jack è convinto di quello che dice, è che Glen
non ha la forza di dirgli di no.» chiarì con espressione grave.
«Lo
ama troppo?»
«No,
Jack gli passa la polvere che sembra talco ma non lo è.» ammise rivelando quel
terribile segreto – altro che tragedia di Sabrié.
«Bene»
esordì di nuovo Yoko dopo aver bevuto il suo amato brodo di ramen: «Se nessuno
ha nient’altro da obiettare, io—»
«Adesso
basta, ok?! Basta!» si sentì gridare dalla stanza adiacente.
Yoko
portò una mano a massaggiarsi una tempia più pazientemente possibile mentre la
porta si apriva – alt, veniva scardinata era più appropriato – e qualcosa di
nero e peloso avanzò vero di lei.
Dopo
aver velocemente vagliato diverse opzioni sulla natura di quel coso, come la
possibilità di uno Yeti del sud e quindi abbronzato, un homo erectus mai
sviluppatosi oltre quello stadio, uno che non conosceva un buon estetista e
l’animale impagliato di Glen (Jabb-qualcosa) Yoko riuscì a riconoscere uno dei
suoi attori.
«E
tu che vuoi?» si rivolse a Cheshire.
«Sono
stufo di fare il gatto in questo film, ok?! Sto diventando un felino sul serio
e quella PSICOPATICA mi lancia gomitoli!» esclamò indicando una makoto
saltellante che entrava in quel momento al suo seguito.
Yoko
rise sadicamente – ma nessuno se ne stupì davvero – specie quando la scenografa
raggiunse Cheshire con lo stesso sguardo di quando aveva guardato la scena con
Vincent e Gilbert.
Si
piegò sulle ginocchia.
Allungò
una mano con un tondo, rosso gomitolo.
«Eddaaai,
vieni a giocareee» lo chiamò con voce melensa.
Cheshire
si voltò allarmato verso Yoko: «Lo vedi?! Continua così da ore! Mi dà
dei croccantini a pranzo, mi tira gomitoli, pensa che mi faccia schifo lavarmi!
Se continua così diventerò un gatto sul serio!» spiegò inquietato e la regista
lo guardò – ignorando l’imminente pericolo di makoto.
«…Vai
già in estasi per l’erba gatta?» indagò serissima.
«No
ma fra un po’ sputerò pelo e cagherò in una lettiera!» sbraitò lui: «Salvami
prima che mi porti al lato oscuro!» aggiunse.
«Tranquillo»
si mise in mezzo Gweiddi spuntata da chissà dove: «Saresti in famiglia, ci
siamo tutte.»
«Mi
viene quasi voglia di dire “che culo”!» sputò lui velenoso.
Ma
non si rispondeva mai male a Gweiddi senza pagarne le conseguenze –
momentaneamente espresse dal sorriso del demonio che le increspava le labbra:
«Bene. Allora muori nei tuoi bisognini. E spera che siano “ini”.» concluse.
Ciò
che lo staff imparò l’ultimo giorno delle riprese, fu che nel loro gruppo di
lavoro c’era qualcosa di profondamente insano e grottesco, sì.
E
pensare che la sceneggiatrice non si faceva mai vedere non faceva ben sperare manco
per niente.
Alla
fine, comunque, erano tutti lì a festeggiare.
Non
erano finite le riprese, certo, ma quelle che avrebbero dovuto concludere entro
il giorno prima erano miracolosamente riusciti a far sì che venissero fatte.
Avrebbero ritardato un pochino con il montaggio e la sistemazione dell’audio,
certo – sai, fra un’imprecazione e l’altra degli attori da coprire… – ma la
cosa certa era che il lavoro fosse in un modo o nell’altro concluso.
Perciò
si erano presi una serata per bere qualcosa e mangiucchiare qualcos’altro tutti
insieme, perché alla fine la lezione più importante era l’armonia di un team
quando la situazione lo richiedeva.
E
loro erano riusciti a funzionare quando la scadenza si era fatta vicina.
«Ah
già, a proposito di scadenze, ma la sceneggiatrice non viene nemmeno oggi?»
domandò Fiamma, rivolta a Gioielle.
Non
era un mistero che di tutto lo staff, a parte la regista, la scenografa e la
costumista per ovvie ragioni, la presa diretta fra tutto il loro gruppo e la
sceneggiatrice fosse Gioielle.
C’era
chi diceva che fosse la sua musa, ma la ragazza una volta aveva svelato il
mistero: «Il fatto è che Shichan spesso non si ricorda cosa ha messo in
certe scene e siccome io rileggo spesso senza un motivo preciso, lo chiede a
me.» aveva spiegato candidamente – ma molti si erano chiesti: ma che
sceneggiatrice è una che si scorda quello scrive?!
«Oh,
eccola! Shichan!» esclamò Gioielle verso la porta e tutti si voltarono.
C’era
chi la sceneggiatrice – Shichan appunto – l’aveva immaginata come una persona
distaccata e presa dalla diligenza verso il proprio lavoro.
Chi
si era immaginato una in stile mangaka con tanto di mandarino in testa.
Qualcuno
forse aveva azzardato l’immagine mentale di una vera e propria eroina, e
qualcun altro invece aveva proiettato nella sua mente un’adulta fatta e finita.
Sicuramente
a vedere una in pantaloncini (da maschio) e canotta (da maschio) con i capelli
legati (stavolta da femmina) e gli occhiali, con fogli e penna in mano e l’aria
disperata, tutte quelle ipotesi morirono in molti modi, e luoghi – magari anche
laghi, se qualcuno s’era affogato nel water dalla disperazione.
Cadde
il silenzio e Yoko si fece avanti.
«Non
so che succede, ma so che non va bene per niente.» la fermò sul nascere.
E
Shichan la guardò. Con occhi colmi di lacrime – Yoko decise che Shichan e Jack
non dovevano frequentarsi: quella ragazza stava padroneggiando un po’ troppo la
tecnica del cucciolo bagnato.
«Yokochan…»
piagnucolò.
«C-Che
c’è?» replicò muovendo un passo indietro molto lentamente – magari si buttava
per terra a pelle d’orso e si fingeva
morta, in caso estremo.
«Io…
io…» iniziò, tirando su col naso: «Non ho il capitolo 16 della sceneggiatura
pronto.»
«…Ma
dovremmo iniziare dopodomani le nuove riprese.»
«Lo
so.»
«E
perché non è pronto?!» sbraitò.
«Perché
mi si è complicata troppo la trama e non riesco a sbrogliarlaaaa» ammise
scoppiando a piangere – nascondendo abilmente nella tasca il collirio.
E
mentre lo staff si chiedeva a chi cavolo avessero dato retta per quindici
capitoli di sceneggiatura, Gioielle teneva Yoko in modo che non azzannasse
Shichan e qualcuno sventolava Gioielle perché non svenisse allo shock di avere
una sceneggiatrice così scema, nel suo angoletto Artemis89 finiva il suo
lavoro di segretaria di edizione, ossia colei che curava la stesura del diario
di lavorazione con tutti gli aneddoti sulle riprese.
“Anche
oggi è una giornata tranquilla. Abbiamo impiegato una mezza esistenza per le
vecchie riprese e mentre ci rilassavamo felici di essere nella tempistica,
abbiamo scoperto che sicuramente saremo indietro con le prossime.
Rufus
Barma vuole fare causa per molestie, Glen e Cheshire sputacchiano palle di pelo
insieme, Elliot è migrato come gli augelli, Vincent è ancora preda
dell’emorragia dal naso.
Yoko
sta cercando di effettuare una mutazione in vampiro per azzannare la giugulare
della nostra sceneggiatrice, il che potrebbe essere un problema se morisse
davvero.
Il
nostro gruppo è scemo come sempre, su questo non c’è dubbio. Ma la
sceneggiatrice sembra molto felice di averci con lei, perciò in qualche modo
andrà tutto bene.”
Due parole dall’autrice
Scriverla per me è stato divertente. Forse ho un senso dell’umorismo tutto mio, ma spero davvero che possa avervi strappato almeno un sorriso XD
“Rinnega
il tuo nome” compie un anno di pubblicazione (lo compiva tre giorni fa ma
vabbé, siamo lì dai XP)
E
nonostante io faccia capitoli oblunghi, e non abbia proprio l’aggiornamento
veloce, mi avete seguita e di questo vi ringrazio *inchino*
Spero
che nessuno si sia sentito offeso da parole che gli ho fatto pronunciare XD
La
differenza dei ruoli e dello spazio nella fanfic, è dovuto al fatto che con
alcuni potevo prendermi più libertà conoscendoli da molto tempo o avendo avuto
diversi scambi anche per msn magari o essendo riuscita ad evincere qualcosa
dalle recensioni ad esempio.
Perciò
non è che c’è qualcuno più importante di qualcun altro eh XD
Un
sentito ringraziamento a tutti quanti nella stessa maniera; il 16 ritarderà un
po’, ma pazientate: metterò la parole fine a “Rinnega il tuo nome” (perché a
differenza della me stessa in questa oneshot, io so come va a finire tutto XD).