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Autore: Gondolin    14/08/2010    3 recensioni
"Come splendidi corpi di defunti sempreverdi [...]
tali a noi sembrano i desideri che passano [...]"
Saga reggeva il libro con mani livide, del colore malsano di chi non vede mai il sole, e scandiva con lingua pesante gli ariosi versi.

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Genere: Dark, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Gemini Saga, Sorpresa
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La poesia è I desideri (in greco Epizumíes), di Konsantinos Kavafis, nella traduzione di Nelo Risi e Margherita Dalmàti. Ho aperto il libro a caso, l'ho vista e Saga mi ha fulminata.

 

 

Epizumíes

 

Come splendidi corpi di defunti sempreverdi

pianti e sepolti dentro un mausoleo

la testa fra le rose, coi gelsomini ai piedi -

tali a noi sembrano i desideri che passano

senza avverarsi mai; e non uno che trovasse

la sua notte di voluttà o un suo mattino lieto.

 

Saga reggeva il libro con mani livide, del colore malsano di chi non vede mai il sole, e scandiva con lingua pesante gli ariosi versi. Un tempo era stato un abile narratore e aveva affascinato i più piccoli del Santuario col racconto dei miti di quella loro gloriosa terra e con la lettura dei loro molti poeti, ma ormai le sue labbra si erano inaridite a forza di pronunciare bugie nel cavo di una maschera crudele.

Per scacciare la sete, vuotò ancora una volta il calice di vino dolce, e un'ancella si affrettò a riempirlo nuovamente. Gli occhi di Saga, stanchi per le lunghe veglie, si impastarono nella morbida freschezza di quelle braccia scoperte che sollevavano la pesante brocca decorata per versargli da bere. I sottili muscoli tesero nello sforzo la pelle deliziosamente chiara ma già baciata dall'estate e il petto si alzò per un brusco sospiro gonfiando la stoffa bianca del chitone quando alcune gocce sanguigne sfuggirono oltre l'orlo della coppa. Saga la allontanò con un gesto brusco della mano senza attendere che pulisse, e prese invece a fissare quel vino scuro, il libro abbandonato aperto in grembo.

Si circondava di quelle giovani in cui la naturale grazia si accompagnava ad una vitalità piena e dolce come un frutto appena maturo ancora macchiato di un'irruenza quasi infantile. Si ubriacava della concreta e fragrante presenza di quelle vite e le cacciava prima di vederle appassire. Eppure non c'era modo per lui di liberarsi di ben più oscure e incorporee presenze.

Non erano forse altrettanto rosee le guance e non era forse altrettanto fresca la pelle del solo essere al mondo che avesse mai destato in Saga un desiderio franco e libero di rimpianti? Lo erano state, oh e fragranti assai di purezza e virile ardore, ma perdute ormai giacevano, preda di cani e uccelli, pasto di vermi. Saga si costringeva allora ad immaginare ogni stadio dell'imputridire di quel corpo di ragazzo, e con esso immaginava il proprio. Si osservava cadere la pelle, lacera come un vecchio abito, senza tradire una sola emozione. Si figurava il tripudio di maleodorante decadenza dei due corpi vicini, un morto insepolto e un vivo rinchiuso in un tempio funesto, e infine la sua fantasia faceva crescere sopra di essi a mo' di consolazione fiori di un vivido rosso dall'aroma dolcissimo, tali che la terra non ne avesse mai veduti di uguali, con petali come gocce di sangue o di vino.

Solo allora Saga riapriva gli occhi e terrorizzato si scopriva ancora vivo.

Allora quel desiderio mai abbandonato e mai avverato diveniva presago di sventure e le sue mani già illividite dalla tomba correvano ad ad aggrapparsi al cosciente e al concreto. Dapprima al cosciente, e per questo sforzava la mente in terreni sicuri, ripeteva parole note dalla metrica certa e regolare come il respiro.

Come splendidi corpi di defunti sempreverdi, pianti e sepolti dentro un mausoleo”, la sua voce si incrinò appena per il pianto mai versato, ma proseguì fino alla “notte di voluttà” e infine al “mattino lieto”. Mai un'intera notte gli era stata amica, avida com'era sia di sonno che di piaceri, né ricordava un mattino lieto. Dovevano essercene stati, in un passato che appariva inspiegabilmente remoto, ma non ne serbava memoria, come per punizione del suo tradimento, poiché era se stesso che aveva tradito, prima di ogni altro.

Scagliò a terra il libro, ma con un'ira calma e misurata che fece fremere le fanciulle intorno a lui. Saga udì il suono della loro paura nei fruscii sottili di vesti e nel silenzio delle loro voci e tremò per il piacere e il dolore di saper con un solo gesto suscitare timore in quei cuori dal battito rapido come quello di uccellini in gabbia.

Si appigliava allora al concreto, che già la mente gli annebbiava i sensi e minacciava di sprofondarlo in altri soliloqui infiniti, infruttuosi e dolenti, se fosse giusto o meno chiamare a sé ogni notte una di quelle splendide creature. Ma no, lui non voleva sentire quella voce, e ordinava allora, tonante come il grande Zeus, che se ne andassero tutte, eccetto una.

  
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