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Autore: alister_    17/08/2010    7 recensioni
Takumi odia perdere tempo.
[Takumi/Hachi]
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro Personaggio, Nana Komatsui
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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>>N/A: Storia scritta per la Challenge Cielo d'Estate @ Fanworld, set Stella gialla, prompt "stella cometa", ovviamente. 

Editata in data 12/12/2011! Ho dato qualche aggiustatina allo stile e dato una sistemata all'html, cosa che dovrei fare con tutte le vecchie storie ;D

 

 

 

Useless


 

Per qualche strano motivo, credeva che osservare il passaggio di una stella cometa fosse qualcosa di terribilmente romantico.

Nel parlano al tg da giorni!”, aveva detto, esaltata, con il grembiule sporco di impasto per i biscotti. “E’ un evento unico, Takumi! Si potrà vedere ad occhio nudo!”

A nulla era servito puntualizzare sul fatto che le comete non sono poi così rare, né che i suoi impegni di lavoro non seguivano esattamente lo stesso corso degli eventi astronomici: ormai Nana si era impuntata.

Se provava a replicare, metteva il broncio, e borbottava qualcosa sul fatto che se fosse stata ancora all’appartamento 707, lei e Nana sarebbero uscite insieme per osservare il cielo in attesa di vederla passare. Poi si zittiva, il suo sguardo si faceva per un attimo distante, e lui capiva perfettamente quale immagine si fosse dipinta nella sua testa: lei e Nobuo mano nella mano a fissare le stelle, scambiandosi bacetti come due gattini in calore.

Questa fu la goccia che fece traboccare il vaso, ormai stracolmo, dell’indifferenza di Takumi. Seccato, sparì nel suo studio sbattendo la porta, in compagnia del suo fidato amico cellulare.

Dopo aver conversato, imprecato, scarabocchiato e maledetto Nobuo Terashima per una mezz’ora buona, riemerse dalla stanza e andò dritto in cucina ad annunciare alla sua cara fidanzata, che lavava i piatti gettando di tanto in tanto sguardi alla tv, che aveva spostato gli impegni di giovedì sera per la sua dannata stella cometa. Nana alzò la testa dalle sue stoviglie e gli rivolse un sorriso caldissimo.

Avevano ragione a chiamarla Hachi – pensò mentre l’attirava a sé per godersi la sua meritata ricompensa carnale – sembrava proprio un cagnolino che scodinzola quando il padrone gli dà un osso o un biscottino. Di sorrisi così Takumi non riusciva proprio a ricordarne altri, per quanto si sforzasse di rimettere assieme i connotati di tutte le donne che aveva avuto. Neppure le espressioni di Reira contenevano più la stessa vivacità che sapeva sempre dimostrargli da ragazzina: ora, durante ogni loro conversazione, si muoveva cauta come se si trovasse in un campo minato, pronta a tirar fuori quelle battute sprezzanti che mal si addicevano alla sua voce angelica, e che trovava invece sempre più simili al cinismo che sputava fuori gratuitamente lui.

Nana, invece, si comportava sempre con la leggerezza di una bambina. Sorrideva, si arrabbiava, gli teneva il muso, piangeva e poi correva ad abbracciarlo, e da quel punto in poi si trasformava in donna, lasciando che il suo corpo prendesse il posto delle sue lamentele e delle sue infinite chiacchiere – proprio come in quel momento.

No, lei non sarebbe stata né di Nobuo, né dell’altra Nana, né di nessun altro. Sarebbe rimasta per sempre sua e soltanto sua, e per far sì che ciò avvenisse era disposto a giocare ogni sua carta. Se i soldi e la stabilità non bastavano, poteva anche fare un’eccezione al suo codice comportamentale, rimandare di qualche ora il lavoro e osservare quella stella cometa, stringendole la mano sotto il cielo stellato e chinandosi di tanto in tanto a darle un bacio. Per cancellare le immagini di Nobu, Nana e dell’appartamento 707; perché Nana era solo sua.

Spero che il Grande Demone Celeste non si metta in mezzo a rovinare la serata”, sussurrò stanca prima di addormentarsi accanto a lui. La sua pancia già rotonda premeva contro il fianco di Takumi, che si meravigliava ancora una volta di come la sua futura moglie riuscisse a pensare con serietà a delle vere e proprie idiozie, perfino prima di addormentarsi.





Puntualmente, giovedì sera iniziò a piovere.

Ovviamente, cominciò quando erano già usciti di casa per raggiungere a piedi una piccola altura del loro quartiere dalla quale si poteva godere di una vista tranquilla.

Sfortunatamente, erano senza ombrello, perché Nana aveva proclamato con solennità che non c’era alcun bisogno di portarlo, dato che gli astri… bla, bla, bla.

Se Takumi in quel momento avesse avuto a disposizione un dispositivo in grado di misurare la sua irritazione, questa avrebbe sicuramente superato la soglia del milione. Più le gocce cadevano fitte ad inzuppargli i capelli, più le pagine della sua agenda colme d’impegni lampeggiavano nella sua testa.

Maledetta stella cometa, maledetta Nana e maledetto Nobu: una serata sprecata. Anzi, si sarebbe anche dovuto sorbire le lamentele di quell’incontentabile piantagrane, che entro una decina di secondi avrebbe cominciato a blaterare quanto fosse crudele con lei il Grande Demone Celeste.

La prese per un polso per costringerla ad accelerare il passo, nella speranza di arrivare a casa prima di essere completamente fradici. La sentiva ansimare per tenere il suo ritmo, ma non gli importava: era talmente arrabbiato da mettere da parte ogni tipo di galanteria, perfino quella che si dovrebbe riservare ad una donna incinta.

Ignorò il portiere quando accennò un “Già di rientro?” e si richiuse con forza alle spalle la porta di casa. Il suo primo sguardo corse all’orologio. Erano solo le nove: forse non era troppo tardi per correre in ufficio e lavorare su quel remix per lo spot pubblicitario… Prima, però, doveva asciugarsi e darsi una ripulita.

Si accorse che Nana aveva anticipato le sue mosse quando sentì l’acqua scorrere in bagno: gli stava già preparando la vasca.

Entrò a passo di marcia in camera, togliendosi con gesti repentini e seccati gli abiti di dosso e gettandoli in un angolo. Perfino i calzini erano zuppi.

Nana lo osservò in silenzio mentre s’immergeva nella vasca, colma di schiuma come piaceva a lei. Indossava ancora gli stessi vestiti con cui era uscita e i capelli le incorniciavano il viso in ciocche bagnate. Avrebbe dovuto asciugarsi anche lei – era un’incosciente a comportarsi così nelle sue condizioni – ma Takumi restò in silenzio cercando la spugna e trovando invece l’inutile paperella di gomma.

Takumi…”

Ecco che cominciano le lamentele, si disse socchiudendo gli occhi nel tentativo di tenere i nervi sotto controllo: non reggeva gli sproloqui sul Grande Demone Celeste normalmente, figurarsi in quel momento. Il bagno caldo non placava così tanto la sua ira.

Sono felice che tu stasera sia venuto a vedere la cometa con me”, disse, abbozzando un sorriso.

Quale cometa?” borbottò lui di rimando a denti stretti.

Il sorriso sul volto di Nana si allargò, e la morsa dell’irritazione di Takumi si attenuò.

Non importa quale. E’ importante il fatto che tu fossi lì con me”.

La studiò per un attimo, analizzando ogni millimetro del suo sorriso. Non c’era alcun dubbio: era spontaneo e sincero, anche questa volta.

Dai, vieni a fare il bagno”, sospirò.

Evviva!”

Ecco che tornava a scodinzolare dopo aver ricevuto il biscottino, togliendosi di dosso i vestiti con la fretta dell’entusiasmo, in un modo per niente sensuale. Poco male: se voleva combinare qualcosa quella sera non aveva tempo da dedicare al sesso.

Fu proprio in quel momento che lo sentì. Fu questione di un istante e quel bacio era già finito, prima che riuscisse ad accorgersene e a reagire; eppure, per una frazione di secondo, le labbra di Nana si erano posate dolci e leggere sulle sue, rapide e delicate come uno dei suoi sorrisi.

Se a stento riusciva a mettere insieme i visi delle donne con cui era stato, quelle che aveva baciato erano del tutto impossibili da ricordare. Nei suoi ventitré anni di vita aveva ricevuto, dato e scambiato un’infinità di baci, ma mai uno come quello. Forse ciò che più gli andava vicino era quel primo ricordo di labbra sulle sue che risalivano ai tempi in cui Reira era appena arrivata in Giappone e considerava effusioni di quel genere all’ordine del giorno.

Quello che Nana gli aveva appena regalato non era un bacio qualsiasi, non uno di quelli a cui era abituato: niente lingua, niente morsi, niente passione.

Non era il bacio di un’amante; era il bacio di una moglie.

Prese la spugna e le insaponò la schiena. Forse quella sera non aveva perso del tutto tempo.

   
 
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