Anime & Manga > Axis Powers Hetalia
Ricorda la storia  |      
Autore: eithriadol__    22/08/2010    6 recensioni
«In ogni caso, una creatura scodinzolante è l’ultima cosa che mi serve. Inoltre sarebbe un’ulteriore spesa, e non ce lo possiamo permettere fino a quando non finisci l’Università e inizi ad essere produttivo – cosa che, comunque, per te è estremamente limitata. Ah, sto facendo tardi in libreria, ci vediamo sta sera».
{ America x Inghilterra; A ballerinaclassica (L) }
Genere: Comico, Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: America/Alfred F. Jones, Inghilterra/Arthur Kirkland
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Titolo: Quando due animali in casa sono decisamente troppi.
Fandom: Hetalia: Axis Powers.
Personaggio/Coppia: America/Inghilterra. (Alfred F. Jones/Arthur Kirkland.)
Prompt: #07, Cane.
Rating: Giallo.
Riassunto: Alfred vuole un cane; Arthur sostiene che lui come animale è già abbastanza.
Avvertimenti: AU, shounen-ai.
Scritta per la community mezza_tabella: mezza_tabella
Link alla tabella: Tabella; on LJ.
Note: A Bri, ballerinaclassica. Fa schifo, e te la tieni. Ti amo, merd’ (L)









Quando due animali in casa sono decisamente troppi.




«Arthur?»
«Mh?»
Pausa. Il rumore frusciante di una pagina di giornale che viene voltata.
«Possiamo prendere un cane?»
Un suono secco. Una tazza posata su un tavolo, un sospiro scocciato ed un’altra pagina di giornale che viene voltata, in modo più nervoso, tanto che sembra che si stacchi.
«No.»
«Ma perché?»
Alfred scatta sulla sedia, posando le mani sul tavolo con un’espressione supplichevole.
Arthur sbuffa, non lo guarda neanche, cerca di concentrarsi sulle lettere piccole e poco chiare sulla carta grigia del quotidiano del mattino.
«Perché in casa abbiamo già un animale.»
Inarca le folte sopracciglia bionde, compiaciuto dal proprio sarcasmo. Mette su un sorrisetto soddisfatto, riprende la tazza e beve un sorso di tea.
Alfred non pare capire la battuta, e guarda Arthur con aria perplessa. Poi si aggiusta gli occhiali sul naso e torna all’attacco.
«Non è vero!»
L’altro arriccia le labbra in un mezzo sorriso, poi scuote il capo e alza brevemente gli occhi sulla figura scarmigliata di Alfred. Ha i capelli disordinati, gli occhiali un po’ storti e una vecchia felpa slabbrata che usa coscienziosamente per dormire piuttosto che per uscire.
«Vedo che non hai capito il riferimento. Comunque, lasciando perdere la retorica, non ho nessuna intenzione di prendere un cane, Alfred. Né ora», aggiunge, con uno sguardo eloquente, riferendosi all’indole perseverante- ed estremamente rompicoglioni – dell’altro, «né mai.»
Alfred borbotta qualcosa riguardo all’antipatia di Arthur, prende un muffin – seguito dallo sguardo di riprovazione dell’inglese, disgustato dalla pessima dieta dell’altro – e lo mangia immusonito, premurandosi di spargere briciole ovunque.
«Piantala di sporcare, non voglio pulire i rimasugli del tuo primo pranzo», sospira Arthur, chiudendo il quotidiano con cura e posandolo accanto alla tazza.
«Sei noioso. Perché non vuoi un cane?», ripete Alfred, sputacchiando frammenti di muffin. Arthur si chiede perché si ostina a comprare quella robaccia, in fondo è lui che fa la spesa, potrebbe tranquillamente omettere le schifezze dalla lista.
Arthur si prende tutto il tempo di rispondere. Prende la tazza, beve un sorso di tea – ah, è una delle poche cose piacevoli della mattina – e lo assapora. Poi torna a guardare Alfred con uno sguardo di aperto scherno.
«Perché puzza, vorrebbe sempre giocare ed avrebbe bisogno di qualcuno che gli stia dietro e gli faccia fare i bisogni. Ho già un Alfred, non me ne serve un altro che sbavi anche quando non sta facendo sesso e, oltre tutto, perda peli.»
Alfred fa un verso offeso, incrocia le braccia al petto e mastica qualche insulto in madrelingua, intercalando diverse imprecazioni colorite.
«U’re a fuckin’ jerk, Arthur! Un’eroe come me non sbava!», esclama, voltando il viso verso la porta ed evitando l’espressione divertita dell’altro.
 Quest’ultimo non ha il cuore di dirgli che sì, sbava, soprattutto quando dorme e lascia sul cuscino una macchia di saliva calda che lui è costretto a lavare via ogni volta per non ferire l’ego di Alfred, grande quanto la sua pancia.Almeno, secondo l’oggettivo parere di Arthur.
«In ogni caso, una creatura scodinzolante è l’ultima cosa che mi serve. Inoltre sarebbe un’ulteriore spesa, e non ce lo possiamo permettere fino a quando non finisci l’Università e inizi ad essere produttivo – cosa che, comunque, per te è estremamente limitata. Ah, sto facendo tardi in libreria, ci vediamo sta sera».
 Alfred, confuso per il fiume di parole che ha lasciato le labbra di Arthur, segue con gli occhi la figura snella di lui alzarsi dalla sedia, mettere la tazza vuota di tea nel lavello, prendere la giacca dal bordo del divano e sparire nell’ingresso, seguito dal ‘tlack’ della porta che si chiude.

Arthur aveva conosciuto Alfred all’ultimo anno di Università, poco prima dell’ultima sessione di esami. Studiava Lettere, mentre invece Alfred aveva appena iniziato i corsi di Ingegneria Aerospaziale. Nonostante sembrasse un citrullo, tra le pareti della Facoltà era un genio.
Per qualche assurdo motivo, Arthur aveva ceduto alle avances goffe ed impacciate di Alfred, e dopo qualche settimana di assurdi appuntamenti si erano ritrovati a considerarsi ‘fidanzati’, o, come meglio preferiva definirsi Arthur, ‘compagni’.
La coabitazione era venuta solo dopo, quando Alfred si era ritrovato al verde e non poteva più pagare l’affitto. Così sopravvivevano con i lavori part-time di Alfred e la libreria di Arthur. E i rari assegni della madre di Alfred, tanto invaghita del figlio da mandargli la propria pensione pur di fargli inseguire i suoi sogni di diventare astronauta o lavorare alla NASA.

Il campanello della libreria trilla, ed Arthur mette su la migliore espressione servizievole e disponibile.
«Ohi, Arthur!»
L’espressione servizievole sparisce dal suo viso.
Alfred sbuca da dietro uno scaffale con un sorriso ampio e le mani in tasca.
«Non ti ho ripetuto mille volte di non venire in negozio?», sibila Arthur, sporgendosi dal bancone, posando il petto sul quaderno che usa per tenere il conto dei libri venduti – è estremamente meticoloso, sia mai che qualcuno lo derubi sotto il proprio naso.
Alfred gli risponde con un sorriso ancora più ampio e scrolla le spalle, credendo ridicola la mania di Arthur di non farsi vedere con lui in posti che non siano appartati – nonostante ormai tutti coloro che gli sono vicini sappiano che sia omosessuale ed anche impegnato.
«E comunque, dovresti essere in facoltà.», lo rimprovera Arthur, chiudendo il quaderno e infilandolo tra un saggio di filosofia ed un’edizione stravecchia di Pride and Prejudice che farebbe meglio a togliere di lì prima che metta muffa.
«Oggi c’è stato uno sciopero» replica Alfred, semplicemente, scrollando le spalle. «Pensavo che ti sarebbe piaciuto fare un giro, visto che c’è una bella giornata!», esclama poi, indicando fuori dalla vetrina.
Un leggero strato di neve si sta ammucchiando sul livellino della finestra, imbiancando le strade e i cappotti dei passanti.
Arthur inarca le sopracciglia e sbuffa.
«Sta nevicando, Alfred.»
«Non è bellissimo?», esclama, additando ancora una volta i fiocchi di neve fuori dalla libreria.
Arthur scrolla il capo, guardando l’orologio. Le dodici e venti. Tra una mezz’ora avrebbe chiuso comunque per andare a casa a prepararsi il pranzo – che avrebbe consumato da solo, visto che solitamente Alfred preferisce infinitamente mangiare alla mensa dell’Università o andarsi a fare una passeggiata sino al più vicino McDonald’s o un qualsiasi fast-food.
Sbuffa, prende il cappotto dallo sgabello e lo indossa sotto gli occhi gioiosi di Alfred.
«Allora andiamo?»
«Solo se non mi porti in qualche schifoso propinatore di cibo spazzatura» borbotta Arthur, chiudendo a chiave la cassa.
«Giuro solennemente di non avere buone intenzioni!»
Una risata soffocata ed un paio di passi verso la porta.
«Da quando ti metti a citare Harry Potter?»
Alfred scrolla le spalle, seguendo Arthur fuori dalla libreria, infilandosi le mani in tasca e osservando il proprio respiro condensarsi in piccole nuvolette grigie.
«Da quando l’ho letto. Lasci un sacco di libri in giro per casa, è ovvio che mi incuriosisca!», esclama, ridacchiando.
Arthur si chiede se la sua convivenza con Alfred non lo stia spingendo ad allontanarsi un po’ dallo schermo del televisore per scegliere un po’ di carta stampata.
«E poi non sapevo che fare, erano finiti i programmi interessanti e la playstation non funzionava».
Come volevasi dimostrare.
L’inglese borbotta un ‘al solito’, abbassa la serranda della porta e si rivolge ad Alfred con un’espressione interrogativa.
«L’Hyde Park è bello con la neve», dice Alfred, in risposta alla muta domanda di Arthur. Questo annuisce e s’incammina per primo, seguito a ruota dall’altro.
«Ehi, aspettami!»
«Sbrigati», è la secca risposta di Arthur.
Camminano in silenzio, interrotti solo dalle esclamazioni estemporanee di Alfred riguardo ad un tale passante o davanti ad una vetrina – possibilmente di videogiochi o altre stronzate che Arthur ritiene dell’importanza di un capello.
Si siedono su una delle panchine dell’Hyde Park, mentre Alfred respira a pieni polmoni l’aria gelida del febbraio londinese.
«Non capisco cosa ci trovi di così spettacolare nella neve», domanda Arthur, inclinando appena il capo a sinistra e raccogliendo fiocchi delicati nel palmo della mano guantata.
«A Jacksonville non nevica spesso» sospira Alfred, passandosi una mano tra i capelli.
Arthur tira su col naso stringendosi di più nel cappotto.
Poi Alfred scatta in piedi e, sotto gli occhi stupiti di Arthur, si fionda verso un punto imprecisato all’interno del parco, correndo.
«Alfred?», chiama, alzandosi in piedi anche lui e borbottando improperi in madrelingua. Si stringe la sciarpa attorno al collo e si guarda attorno per cercare tracce di Alfred.
Sbuffa qualcosa a proposito di americani inutili e troppo energici, inoltrandosi anche lui nel parco, tirando lievi calci alla ghiaia che incontra sul vialetto.
«Alfred, dove diamin-», bercia, ma prima che possa finire la frase la risata acuta e sguaiata di Alfred gli arriva alle orecchie, seguita da versi che lì per lì non sa collegare a qualcosa di umano.
Quando individua la sua figura è combattuto tra lo scappare via e il ridere.
Alfred è disteso sull’ancora basso strato di neve, con gli occhiali in mano e gli occhi serrati, mentre un piccolo botolo grigio gli lecca il viso con veloci lappate.
«A-Arthur!», esclama Alfred, posando una mano sul capo del cane – poco più di un cucciolo, vista la dimensione.
Si mette seduto, e l’animale gli si accoccola in grembo godendosi il calore dei vestiti.
Arthur sbuffa, già annusando il sentore della richiesta che sta prendendo forma nella testa di Alfred.
«Arthur, possiamo-»
«Non se ne parla.»
«Andiamo! It’s sooo cute!», gorgoglia Alfred, passandosi una mano sul viso per pulirlo. Si infila gli occhiali e accarezza il botolo dietro le orecchie, ridacchiando quando questo volta la testa pelosa e gli lecca le dita.
«Non m’interessa, Alfred, è un no», sbotta Arthur, voltandosi. «Lascialo qui e torniamo a casa, ho fame.»
«Ma è un cucciolo! Non possiamo lasciarlo qui, non sarebbe eroico!», bercia Alfred, tirandosi su e infilando il cane nel bomber marrone, riparandolo dalla neve.
Arthur incrocia le braccia al petto guardandolo di sbieco.
«Non possiamo tenerlo», ripete, perentorio.
Alfred s’immusonisce, ed anche il botolo sembra fare gli occhi dolci ad Arthur. Questo storce il naso, senza guardare il cucciolo grigio.
«E se lo tenessimo solo fino a quando non gli troviamo casa? Andiamo! Morirà di freddo!», esclama Alfred, in tono teatrale, sporgendosi verso Arthur.
Questo si passa una mano sul viso in segno di resa, sentendosi un idiota per essere tanto condiscendente alle richieste di un idiota. Insomma, maledizione, lui non lo vuole un animale domestico. Sbavano, sporcano, non servono a nulla e disturbano continuamente. Avrebbe preferito, a questo punto, un gatto: elegante, indipendente. Non un cane. Uno stupido cane sbavoso.
Lancia uno sguardo ad Alfred, totalmente preso dal suo nuovo amico peloso. Gli strofina il naso contro il proprio – Dio, si prenderà tipo cento malattie con quel singolo gesto – e il botolo gli lecca le guance con irruenza, facendolo ridere.
Beh, pensa, mestamente, se non altro vanno d’accordo.


«Wooof!»
«FA’. TACERE. QUEL. MALEDETTO. CANE.», sbraita Arthur, tirandosi su di scatto dal letto e stropicciandosi gli occhi cisposi di sonno. Lancia uno sguardo di fuoco alla radiosveglia: le due e trenta.
 Alfred, nonostante l’abbaiare del ‘maledetto botolo’ continua a dormire beatamente, e si sveglia solo dopo l’urlo irato dell’altro, che gli sfila le coperte di dosso e gli sferra un pugno – che sembra più una carezza – nella pancia.
«Awthuw... lasciami stawe...», borbotta, girandosi dall’altra parte.
«Se non vai a zittire quel dannato ammasso di zecche e neuroni morti ti strappo gli attributi e li appendo sul camino», sibila Arthur, facendo scendere pericolosamente la mano verso i pantaloni della tuta di Alfred.
Questo salta su come una molla, correndo verso la porta.
«Scheggia! Ssssh!».
Arthur sente gli uggiolii soffocati del cane e i sussurri rassicuranti di Alfred – ogni tanto si chiede se metta più dolcezza nei sussurri destinati allo sporco botolo o a lui – e si lascia ricadere sul cuscino con uno scatto rabbioso. Attende che l’altro ritorni in camera, con tutte le intenzioni di mettere fine a questa storia dell’animaletto domestico che va avanti da un logorante mese.
 «Scheggia?», gli chiede, una volta che l’obeso americano è tornato nel talamo nuziale – che, poi, lui non ha la minima intenzione di sposarsi.
«Sì. Assomiglia ad una scheggia, non è così?», replica Alfred, soffocando uno sbadiglio.
«Vuoi dire a qualcosa di impazzito che distrugge tutto ciò che trova?».
Alfred sbuffa all’acidità di Arthur.
«No, a qualcosa di piccolo», borbotta, girandosi su un fianco.
«Se gli dai un nome ti ci affezionerai e non lo mollerai più», sbotta Arthur, scrollandolo per la spalla per evitare che si addormenti di nuovo.
«Ma non gli vuoi bene neanche un po’?», sussurra Alfred, sempre più assonnato.
Arthur storce il naso incrociando le braccia al petto e fissando il soffitto.
 «E’ rumoroso. Sporca sempre. E devo sempre portarlo io fuori perché tu sei all’Università o a studiare», recrimina, infastidito.
Che almeno si prenda le sue responsabilità, quel bamboccio.
«Nh, da domani lo porto io, allora», sbadiglia Alfred.
Arthur sta per ribattere che non gliene frega, che domani quel dannato animale toglierà le tende e se ne tornerà nell’Hyde Park o tra le braccia di qualche volenterosa zitella cinquantenne con carenze d’affetto.
Ma poi lo sente russare.
«Idiota», sbotta, rimettendosi a dormire.


«Non capisco perché devo venire anch’io».
«Hai detto che lo porto fuori sempre tu! Ora lo sto portando io!».
 «Sì, ma mi aspettavo che lo facessi da solo».
Alfred si ferma, assecondando Scheggia, che si accosta ad una panchina e provvede ai suoi bisogni alzando la zampa affusolata.
«Pff. Corroderà il metallo», sbuffa Arthur, dondolandosi sui talloni.
«Non è romantico?», chiede Alfred, divertito.
Arthur cerca un collegamento logico, ma non ci riesce. Riprendono a passeggiare, con Scheggia che si ferma ogni tre secondi per avvicinarsi a questo o quell’altro cane o oggetto che attiri la sua attenzione.
«Il corrodersi del metallo con la pipì di cane?»
Una risata energica.
 «Sei davvero divertente, englishman! Ma io intendevo il fatto di camminare assieme per l’Hyde Park e portare a spasso il cane».
Arthur sbuffa, mascherando l’imbarazzo. Si infila le mani più a fondo nelle tasche del cappotto, evitando lo sguardo di Alfred. Questi gli afferra una manica ed indica Scheggia, che si è avvicinato ad una cagnolina e le annusa il manto scuro.
«Guarda, fanno amicizia!»
Arthur ridacchia, inclinando appena il capo. La padrona della cagnolina lancia occhiate furtive ad Alfred, irritandolo un po’. Alfred non pare accorgersene, preso com’è dalle effusioni che si scambiano i due animali.
L’inglese inarca le sopracciglia folte, e la donna guarda altrove.
«Andiamo, Alfred?», incalza, spingendolo verso il vialetto.
«Oh, okay», annuisce Alfred, sorpreso. Fa un cenno di saluto alla donna, tirando via Scheggia. «Su, Scheggia, andiamo!».
L’Hyde Park si svuota lentamente mano a mano che il sole si fa più debole e sparisce dietro alle chiome degli alberi ben potati. Eppure Alfred non sembra stanco, mentre Arthur inizia ad avvertire la fatica della camminata. Vorrebbe essere a casa a leggere un bel libro davanti al fuoco, magari mangiando i suoi adorati scones, e possibilmente con Scheggia addormentato o fuori dai piedi.
Alfred respira profondamente, cacciando il capo tra le spalle e rabbrividendo appena.
«Hai freddo?»
«Ma che dici, Arthur! Ahahah! Gli eroi come me non hanno freddo!», starnazza, tirando su col naso. Arthur sospira scuotendo il capo. Si siede su una panchina, la più vicina a loro, gettando il capo all’indietro e guardando il cielo di un blu cobalto.
Scheggia sembra stanco almeno quanto lui, perché si siede accanto alla panchina e gli sfrega le orecchie sui pantaloni. Arthur arriccia il naso, ma non lo scaccia.
Alfred si accomoda accanto a lui, passandogli con nonchalance il braccio attorno alle spalle. Arthur arriccia nuovamente il naso, riservandogli lo stesso trattamento che ha avuto per Scheggia: non lo scaccia. Preme appena la spalla contro il petto di Alfred, rimanendo poi immobile.
Alfred si volta appena verso di lui, cercando gli occhi verdi di Arthur. Questo asseconda il suo movimento, voltandosi a sua volta. Si sporge appena verso le labbra pallide dell’altro, ed Alfred annulla la distanza unendole una volta per tutte.
Arthur sente la pressione della lingua di Alfred sulla bocca, e schiude le labbra perché questa possa avere libero accesso e sfiorare la propria. Gli posa una mano sul volto, sentendo il sangue affluire alle guance. Socchiude gli occhi, assicurandosi che non ci sia nessuno in giro. Alfred gli fa passare una mano dietro la nuca, stringendolo ancora di più contro di sé.
«Alfred...», mormora Arthur contro le sue labbra.
E sta per dire una di quelle cose estremamente sdolcinate che odia quasi quanto il cibo spazzatura americano, quando Scheggia – fedele al proprio nome – salta come un fulmine contro Alfred che, per la sorpresa, si stacca dall’amante; Scheggia, una volta avuto tutto per sé il padrone, gli riempie la faccia di ‘baci’ bavosi, suscitando la risata di Alfred e l’irritazione subitanea di Arthur.
«What the hell...», borbotta Arthur, alzandosi di scatto e lasciando l’americano ad amoreggiare con il cane.
«A-Arthur, aspetta!», esclama, alzandosi svelto con in braccio il cane.
Arthur si avvia verso l’uscita del parco, nonostante sia molto lontana, imbronciato. Damn, a volte sembra che Alfred ami più il cane di lui. Un motivo in più per liberarsene.
«Andiamo, Arthur...», inizia, ragionevole, «Perché ti arrabbi? Vuole solo giocare!»
«Il fatto che si metta a giocare proprio mentre ci baciamo dice qualcosa del fatto che quel cane mi odia!», sbotta Arthur, fermandosi di botto.
Alfred lo fissa perplesso.
«Insomma, non mi fa dormire, quando leggo mi morde i calzini, divora i miei scones appena fatti e mi impedisce di stare tranquillo per cinque minuti di fila! È detestabile», soffia, tutto d’un fiato.
La risata di Alfred nasce come un sibilo trattenuto e poi irrompe come un fiume in piena, scuotendo il petto e facendo guaire Scheggia per la sua intensità.
«Oh, Arthur! Sei geloso di Scheggia!»
Le orecchie dell’inglese si infiammano.
«Non è ciò che ho detto, stupido americano obeso».
Alfred fa scendere Scheggia sulla ghiaia, e questo gli saltella attorno, reclamando il suo tocco. Ma Alfred posa le mani sulle spalle di Arthur e gli si avvicina, con un sorriso sornione sulle labbra.
«Sì, invece, sei geloso di Scheggia! Ma non ti preoccupare, l’eroe ha abbastanza amore per tutti!», esclama, ridacchiando.
Arthur guarda altrove, annoiato dalla storia dell’eroe – è da quando si conoscono che non fa altro che ripetere questo ritornello – ma un angolo della bocca gli si piega verso l’alto.
«Non ti preoccupare!», ripete, stringendo Arthur in un abbraccio improvviso e stritolatore.
Arthur geme qualcosa, Scheggia gira in tondo attorno a loro facendo inciampare entrambe nel guinzaglio e si ritrovano a terra con un urlo sorpreso.
Alfred ride sulla bocca di Arthur, e poi lo bacia, lo bacia, lo bacia, e Scheggia scodinzola contento zampettando vicino alle loro teste.
Quando si staccano, Alfred sorride ancora – è un sorriso così ampio che Arthur è convinto di scorgerci dentro il mondo.
«Allora lo teniamo?»
Arthur sbuffa, però ora ha un sorriso sincero sulle labbra gonfie per i baci.
«E va bene. Però te ne occupi tu; io non voglio rogne», dice, anche se sa già che dovrà essere lui a preoccuparsi di non far morire di fame e sete il botolo grigio che non lo farà dormire.
«Okay», annuisce Alfred, gettandosi di nuovo sulla sua bocca, famelico.
Arthur risponde al bacio, allontanandolo dopo qualche istante.
«Ora però andiamo a casa. Devi lavarti, puzzi di cane».
  
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Axis Powers Hetalia / Vai alla pagina dell'autore: eithriadol__