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Autore: Neko no Yume    27/08/2010    1 recensioni
Quando le scartoffie si accumulavano e occhieggiavano minacciosamente dalla scrivania, lui sapeva che c'era sempre un posto pronto ad accoglierlo... UsxUk
Genere: Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: America/Alfred F. Jones, Inghilterra/Arthur Kirkland
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Era tarda sera e ormai il sole aveva deciso di dimenticare i problemi dell’umanità e andarsene beatamente a dormire adagiato tra i crinali delle colline che lo accoglievano gentili ogni notte.
La luna aveva finito di incipriarsi le gote e aveva fatto capolino assieme a qualche timida stella, approfittando dell’assenza del re del cielo e spettegolando con le pallide nuvole e con la brezza, la ficcanaso per eccellenza.
Sulla terra, ancora affaccendati nei più svariati impieghi, brulicavano le persone, ansiose di terminare la giornata lavorativa e rilassarsi.
Alfred sospirò stancamente, sperando che lo stress accumulato fluisse fuori dalle sue labbra trasportato dall’aria, ma il peso opprimente che gli attanagliava il petto rimase, gravoso e scuro.
Non ne poteva davvero più di quella vita: firma questo, vai a questo meeting, mantieni rapporti di pace con questo e quello…
Da un po’ di tempo non faceva altro che barcamenarsi nelle insidiose viscere della burocrazia americana e la cosa lo esasperava.
“Aah, come si stava bene quando era Arthur a occuparsi di queste scartoffie!” pensò, ma scacciò immediatamente quel pensiero con un gesto stizzito della mano: lui non era più una colonia inglese, i giorni della sua infanzia erano passati e ormai aveva conquistato l’indipendenza.
Indipendenza… Tanto sospirata e amata, quanto detestata in quel momento di sconforto.
Lo sguardo dell’uomo si perse nel blu scuro della notte, dove le stelle sembravano galleggiare come piccole boe, salvezza e culla di dolci desideri nascosti.

-Arthur-san, dove stai andando?-.
Un bambino biondo, con grandi occhioni azzurri e il labbro tremolante di chi sta per piangere lo fissava spaesato.
-Perché esci?-.
L’adulto sorrise, il cipiglio stanco sul viso provato si affievolì mentre osservava quel frugoletto col naso gocciolante e i capelli impiastricciati di tempere.
-Vado nel mio rifugio segreto-, rispose con una strizzatina d’occhio.
Il piccolo si illuminò e lo pregò di portarlo con sé, strattonandogli la mano.
Arthur lo prese in braccio, avvolgendolo nella sua sciarpa per proteggerlo dal freddo pungente delle notti di gennaio e si addentrò nella foresta che circondava la villa.
A ogni passo Alfred lanciava gridolini di spavento ed eccitazione: la foresta ammantata di buio sembrava un posto nuovo, popolato da creature fantastiche e schive.
Ad un tratto l’inglese si fermò e fece scendere il bimbo, poi scostò qualche asse di legno mezza marcita e davanti ai loro occhi comparve una piccola grotta.
Il gridolino questa volta crebbe d’intensità: la grotta sembrava una casetta in miniatura, era tappezzata ovunque da coperte calde a fantasia patchwork, in un angolo ardeva un fuocherello allegro e accanto troneggiava un piccolo tavolo di legno completo di qualche sedia.
Sembrava il regno di una bambola.
-Di solito, quando il lavoro e le carte da firmare si fanno troppo opprimenti me ne scappo qui e ci passo la notte, mi aiuta a rilassarmi-, spiegò l’uomo.
-Posso venirci anch’io ora?-, esclamò speranzoso il più piccolo.
-Certo, ma solo se prometti di non mettere tutto in disordine…-, ma non fece in tempo a finire la frase che Alfred si era lanciato sulla prima trapunta imbottita a tiro e ci si stava avvolgendo come un bruco nel bozzolo, facendo strani ruggiti e agitando braccia e gambine in aria.
Arthur sospirò, per poi gettarsi a capofitto nella lotta a corpo a corpo col mostro dei lenzuoli.
Passarono la notte a giocare, raccontarsi fiabe assurde e facendo le ombre cinesi sui muri alla tremolante luce del braciere.


Quanti anni erano passati dall’ultima volta che era stato nella grotta?
Non lo sapeva, non ci andava più dal giorno della sua indipendenza, si era ripromesso di spezzare anche quel legame.
Tuttavia ora le sue gambe l’avevano portato esattamente davanti alle vecchie assi ammuffite.

-Cosa?!-, esclamò fuori di sé dalla sorpresa Arthur, la cornetta del telefono stretta in mano e gli occhi strabuzzati.
-Ha capito bene, signor Kirkland, il signor Jones è sparito nel nulla…-, mugolò la voce resa nasale dal telefono del boss americano.
-Ha qualche idea di dove possa essere?-, continuò questi.
-Io? Perché lo state chiedendo a me?-, chiese l’inglese con tono eccessivamente acido.
-Beh, lei è la persona con cui il signor Jones ha trascorso la sua infanzia… Pensavo che potesse…-.
-Pensava male! Non so dove sia quell’emerito idiota!-, e riattaccò.
La ragione del suo comportamento più scontroso del solito era che detestava continuare a essere considerato come un parente stretto di Alfred, detestava che tutti continuassero a ricordargli la sofferenza che aveva patito quando si era visto voltare le spalle dalla persona a cui teneva di più.
Si alzò e uscì dallo studio con aria buia e risoluta: non voleva ammetterlo ma era preoccupato per quello stupido, nella sua mente vedeva ancora l’immagine del bambino dagli occhioni azzurri piccolo e indifeso.
Scosse la testa con vigore, no, Alfred non era mai stato indifesa e tantomeno lo era adesso; tuttavia doveva trovarlo e dargli una bella strigliata.
I suoi occhi verdi si illuminarono di una luce poco raccomandabile.

Ci impiegò poco a ricordarsi dove si trovava il rifugio, quello era un ricordo che gli era rimasto impresso indelebilmente, come la prima giornata passataci con lui…
Scostò piano le vecchie assi e si ritrovò nella ben nota atmosfera accogliente , solo con qualche ragnatela in più a drappeggiare le coperte con delicati centrini.
Notò un bozzolo decisamente grosso e bitorzoluto di lenzuola in un angolo e si avvicinò senza far rumore.
Come previsto, si ritrovò davanti due occhi azzurri dietro un paio di occhiali che lo fissavano attoniti.
-C-che diavolo ci fai tu qui?!-, urlò Alfred, coprendosi il volto arrossato con un lembo di stoffa colorata.
-Ahahah! Ma guardati, sembri un pulcino nella stoppa!-, ribatté Arthur, piegato in due dalle risate.
-Chiudi il becco! Si può sapere come mai sei qui?! Ti hanno mandato loro, il boss e gli altri?-, sbottò l’americano.
-Mmh… più o meno-, sentenziò lui, per poi scostare delicatamente la coperta dal viso dell’altro, dandogli un lieve bacio sulla guancia.
-Questo di solito bastava a calmarti, da piccolo-, commentò con sguardo divertito a pochi centimetri dal volto di Alfred.
-Peccato che non sia più il tuo piccolo ormai-, borbottò quest’ultimo.
-Infatti, dovrò passare a metodi più drastici adesso-, mormorò e adagiò le sue labbra su quelle dell’amico, con decisione sempre maggiore.
Alfred lo avvolse nella trapunta, allacciandogli braccia e gambe al corpo.
Quella notte trascorse in maniera diversa dalla prima ma altrettanto splendida e indimenticabile per entrambi e la mattina dopo tutti e due tornarono alle loro scartoffie canticchiando.
  
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