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Autore: Keiko    28/08/2010    1 recensioni
Il suo viso era una macabra maschera fatta di sangue e cicatrici di un clown. Non l’avevano mai spaventato quelle grottesche espressioni statiche volutamente infelici, nemmeno da bambino. Eppure lì, nonostante fosse accanto a Bruce, quando si presentò Joker lo colpì la paura sottile e disperata che si prova dinnanzi all’Ignoto. Perché Joker era la quintessenza del Caso, e Frank Iero l’avrebbe scoperto a proprie spese. Solo, durante quel primo incontro non ci fece caso, anzi, non lo notò neppure, preso com’era a fissare estasiato il suo mito al lavoro.
Genere: Azione, Dark | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Frank Iero, Gerard Way
Note: Cross-over | Avvertimenti: Contenuti forti
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A Sweet Revenge © [04/01/2010]
Disclaimer: I My chemical Romance (Mikey Way, Gerard Way, Frank Anthony Iero, Bob Bryar e Ray Toro nella loro ultima formazione), Jamia Nestor, Alicia Simmons e Lyn-Z (bassista dei Mindless Self Indulgence) sono persone realmente esistenti. I personaggi DC Comics sono proprietà degli aventi diritto. La storia è frutto di una narrazione di PURA FANTASIA che mescola la mia visione di fan a eventi storicamente accaduti e rumors spulciati in rete, destinata al diletto e all'intrattenimento di altri fans. Non si persegue alcun intento diffamatorio o finalità lucrativa. Nessuna violazione dei diritti legalmente tutelati in merito alla musica ed alla personalità degli artisti succitati si ritiene dunque intesa.



“A Natale siamo tutti più buoni”


“Sei sicuro che non avrai bisogno di me a Natale?”
“Avete il concerto giù al Rouge, no? Divertiti Frank e lascia perdere tutto questo casino per un paio di giorni. Anche Gotham forse avrà una tregua il giorno di Natale.”
“Non ci credi nemmeno tu Bruce, non è vero? Gotham non si addormenta mai.”
Bruce Wayne gli aveva scompigliato i capelli sulla nuca con un gesto carico di affetto tipicamente paterno.
“Tranquillo, Gotham potrebbe avere bisogno di Batman ma considera Robin come in vacanza per qualche giorno. Anche Jamia vorrà godere della tua presenza ogni tanto, o sbaglio?”
“Si be’, non sono ancora riuscito a…”
“A cosa, Frank?”
“Be’, a chiederle quella cosa.”
Bruce gli aveva sorriso dandogli una pacca sulla spalla che quasi l’aveva fatto capitolare in avanti.
“Dovresti darti una mossa prima che qualcuno te la porti via… cos’è, tentenni nelle questioni di cuore e non quando corriamo per Gotham a caccia di criminali?”
“Sono due cose differenti, Bruce.”
Molto differenti.
Aveva sospirato, portandosi alla bocca una sigaretta, prima di salutare il suo capo-amico-eroe-mentore, e dedicarsi per una notte soltanto a sé stesso. Dimenticandosi di vivere a Gotham City, di indossare una tuta ridicola e una maschera da idiota.
Se ci rifletteva un momento, non riusciva quasi a ricordare come era iniziato tutto. Anzi, era iniziato talmente per caso che la cosa aveva dell'assurdo e, a volerla dire con le parole di qualcun altro, niente accade per caso: ma solo perché deve accadere.


Quando aveva incontrato Bruce Wayne per la prima volta, Frank Anthony Thomas Iero si trovava in compagnia di suo padre alla cena di beneficenza della Lloyd Academy, l'orrenda università per giovani rampolli che era stato costretto a frequentare.
E lui non voleva certo diventare come Harvey Dent, messo in fuga e reso pazzo dalla lotta contro il crimine e dall'ossessione verso l'uomo pipistrello. A Gotham sembrava la gente si dividesse in due schieramenti, netti come lo sono il bianco e il nero: i giustizieri e i criminali, entrambi fuori di testa e disposti a tutto per seguire una strada senza senso verso una lotta che non si sarebbe mai conclusa.
Un'eterna battaglia che non sfociava mai in una guerra e la conseguente fine.
Frank voleva andarsene da Gotham City e trasferirsi a Metropolis, in verità, ma poi a Gotham era nata l'amicizia con i fratelli Way e, soprattutto, Jamia Nestor.
Jamia era la figlia di un amico di famiglia, una di quelle mocciose che portano l'apparecchio ai denti e che odi sin dal primo momento perché si lamentano, piangono e inneggiano a principe azzurro.
Ritrovarsela davanti dopo dieci anni e non riconoscerla affatto era stato abbastanza ridicolo. Lei gli si era avvicinata sorridendo, stretta in un abito da sera nero che tentava di mascherare le forme generose, e lui si era detto di aver fatto semplicemente colpo su di una sconosciuta grazie alla tinta rossa ai capelli.
“Ciao. Sai, pensavo che non ti avrei mai più incontrato. Non ci credo che tu voglia realmente diventare l'economista numero uno di Gotham, Frankie!”
Lui, a quel punto, aveva iniziato a dubitare del proprio savoir-faire mettendo in discussione anche i propri capelli, cercando una risposta sufficientemente intelligente che gli permettesse di riconoscere la ragazza senza che lei si accorgesse della sua memoria assolutamente breve.
Brevissima, roba da non ricordare quello che era accaduto la sera prima, specie se era a sbronzarsi con Gee e Mikey.
Ray e Bob, gli altri due amici della sua ristrettissima cerchia, facevano parte dell'entourage della Lloyd, ma erano così diversi dagli altri imbecilli figli di papà che era impossibile non riconoscerli ad un miglio di distanza, l'uno con quell'assurda capigliatura dai mille riccioli e l'altro con quello sguardo azzurro troppo sincero per far parte del giro dei figli di puttana.
Comunque, rimaneva il fatto che in quel momento la sua memoria aveva fatto un salto indietro tentando di ripescare quel volto tra mille di ragazze abbordante nei locali e mai più richiamate, e ragazze che fondamentalmente l'avevano lasciato perdere non appena avevano realizzato che lui era un eterno Peter Pan e i suoi amici dei lugubri figuri usciti dalla feccia di Gotham.
Frank era esageratamente estroverso - fastidioso persino - quando iniziava a tormentarti con le sue domande, ma a conti fatti era un inconcludente su tutta la linea con le donne.
“Resterai vergine a vita, Frankie.”
“Senti chi parla, eh, Gee?”
“Stiamo parlando di te, non di me. E' differente la cosa.”
“Giusto, tu sei persino più vecchio di me e ancora non batti chiodo.”
“Ho altro a cui pensare.”
“Ancora la storia della musa, Gerard?”
L'aveva canzonato, con una punta di esasperazione, Ray Toro, il rampollo dal sangue caliente che aveva messo da parte le differenze di rango tra sé e Way, divenendo uno dei pochi a non essere disprezzato dal giovane per il solo fatto di navigare nell'oro.
“Be', devo trovarla. Ho bisogno di una musa che riesca a farmi dipingere la vera fottuta anima di Gotham.”
“Sai che potrebbe renderti pazzo una cosa simile? E una donna del genere dove la troveresti, poi?”
“Da qualche parte ci sarà sicuramente, ne sono certo.”
“Ti caccerai nei guai, Gee. Non allungare la mano su ciò che non puoi avere o saranno cazzi amari. Se pensi di poter avere la figlia di Cobblebot ti sbagli di grosso, quella poi, ha la puzza sotto il naso come poche altre qui a Gotham.”
“Non esiste la donna che dico io. Non qui almeno. Forse mi farà vedere l'anima di Gotham perché non è nata in questa città oscena.”
“Parli come un folle, fratellino.”
Michael si era aggregato a loro scavalcando la panca su cui era seduto Frank, accompagnandosi con tre birre fredde.
“Sai, a volte mi chiedo seriamente come tu possa pensare di vivere nel tuo mondo di carta e colore... Gotham è solo nera. Dipingi una tela completamente di nero e avrai l'anima di Gotham. Anche Batman è nero, non è bianco. Credi non ci sia un motivo per questo?”
“A me quello che fa l'uomo pipistrello non interessa. Non entra nella mia casa, per cui che liberi Gotham dal crimine o meno non cambierà la mia vita.”
“Verrai a Metropolis con me, per cui chi cazzo se ne frega di Gotham?”
“Tu andrai, io resterò qui. Chi nasce in mezzo alla feccia di Gotham non esce da Gotham nemmeno da morto.”
Frank si era chiesto spesso come facesse Gerard a non essere caduto nella tela di ragno di Cobblebot o sotto l'ala protettrice di qualche altro criminale, e l'unica risposta credibile era che Gerard Way aveva un animo troppo puro per potersi mischiare con il nero di Gotham City.
Gerard era il bianco più luminoso, lì in mezzo, e Frank pregava che quel candore più abbagliante della neve, durasse per sempre.


“Non mi hai riconosciuta, vero?”
“No, mi dispiace, ma credo siano i cocktail. Potrei essere esageratamente idiota da scambiarti per mia madre.”
“Non credo Linda sia favorevole, sai? Sono Jamia, la figlia di Peter Nestor.”
“Tu sei... cioè, si, quella Jamia?”
“Si, quella che portava l'apparecchio ai denti, che si lamentava sempre troppo e che credevi fosse la più rompiscatole del pianeta.”
“Giuro, stento a crederci.”
“Non ne dubito, ma nessuno rimane bambino per sempre, Frank. Purtroppo o per fortuna, siamo costretti a crescere tutti quanti. Io non posso credere che tu faccia parte della Lloyd, piuttosto. Tu volevi diventare un musicista!”
“Sai benissimo che non ho grandi possibilità di contrastare il volere di mio padre. Riesco a suonare comunque, con alcuni amici abbiamo formato un gruppo e nel tempo libero ci divertiamo un po' insieme. Mi accontento di questo.”
“Sai benissimo che tuo padre ti avrebbe permesso di fare quello che desideri, lui vuole vederti felice. Non è un despota, sei tu che per compiacerlo ti limiti. Lo ami troppo, Frank, e questa è una realtà che ti porterai nella tomba.”
L'aveva appena incontrata e già lei strepitava dal desiderio di fare la saccente con il piglio che aveva da bambina.
A guardarla bene, Jamia non era cambiata di una virgola, era solo diventata donna.
Una donna non bella ma che aveva quel fascino unico del ritrovato, della preziosa certezza di avere un passato che ti sostiene anche nel tuo futuro.
Jamia aveva il sapore triste dei ricordi dell'infanzia.
“E tu cosa fai?”
“Studio alla Dent University.”
“Vuoi diventare avvocato?”
“Ci voglio provare. Non penserai che volessi fare la giornalista o la mogliettina fedele vero? Ho lasciato perdere i sogni da principessa da parecchio tempo Frank, almeno da quando Gotham ha deciso di mangiarsi tutta la mia felicità. E io questa città la metterò in ginocchio davanti alla forza della giustizia.”
Lui non credeva a quello che stava sentendo, ma vedeva Jamia immersa in un bianco malato e facilmente sporcabile, nulla a che vedere con il bianco innocente di Gee. Il bianco di Jamia era il bianco ostentato dagli adulti, una bandiera che troppo facilmente può cambiare colore: perché l'uomo è umorale di natura e, così, lo sono le sue scelte.
“Cosa ti è accaduto?”
“Le persone non restano mai uguali a quando le abbiamo conosciute. Tu hai ancora la tua faccia pulita e il sorriso di quando eri bambino, ma non sei sereno. Lo si vede da questo – e gli aveva puntato il dito dritto al cuore -. Tu a Gotham non sai da che parte schierarti. Ma prima o poi dobbiamo farlo tutti quanti, Frankie. Qui come a Metropolis. Dovrai crescere anche tu.”
Era stato così che lui e Jamia si erano ritrovati, cercati di nuovo e poi finiti - non si sa - come a letto insieme.
E avevano iniziato a frequentarsi in un turbinio di appuntamenti saltati e rimandanti, con le telefonate incazzate di Jamia che non trovavano risposta dall'altro capo del telefono, con le crisi per un futuro che non potevano materialmente affrontare insieme: lui troppo bambino, lei troppo donna.
Jamia non sapeva che la notte in cui si erano incontrati di nuovo era stata la notte in cui Frank Anthony Thomas Iero aveva deciso di vestire i panni di Robin, l'aiutante dell'uomo pipistrello. Era stato l'ennesimo incontro casuale di quel party di beneficenza, eppure Frank vi aveva letto a chiare lettere l'inizio di una nuova vita, una scelta sullo schieramento di Gotham a cui prendere parte.
Bruce Wayne si era presentato a Frank mentre quest'ultimo armeggiava con il cellulare, cercando di memorizzare il numero che Jamia gli aveva appena lasciato.
“Sei il figlio di Cheech vero?”
“Lei è il signor Wayne, giusto?”
Non era ancora sbronzo se riusciva a ricordare il nome del principale donatore di fondi dell'università, quindi.
“Esattamente. Ho visto che stavi parlando con la figlia di Nestor, vi conoscete?”
“E' un'amica di famiglia. Il padre di Jamia e il mio si conoscono dai tempi dell'università. La conosce?”
“E' una studentessa molto attiva alla Dent, credo possa diventare un'ottima legale e una grande arma contro il crimine di Gotham. Abbiamo bisogno di persone come lei in questa città. Tu cosa pensi di fare, invece, Frank?”
Aveva sospirato, rassegnato alla domanda che quella sera sembrava essere di vitale importanza per chiunque: cosa vuoi fare tu, da grande, piccolo Frankie?
Non. Lo. So.
Voglio suonare, ma a Gotham City non puoi pensare di divertirti soltanto. Inevitabilmente, qualcosa poi ti costringe a fare un salto da un lato o l'altro della barricata. A Gotham non esistono grigi, non sono mai esistiti e mai esisteranno.
Per quel motivo, la risposta di Frank fu la più sincera in assoluto, almeno per quello che poteva essere per un ragazzo di vent'anni da poco compiuti.
“Non lo so. Vorrei poter suonare con la mia band, ma dovrò crescere immagino. Credo che vorrei evitare che Gotham sprofondasse nella feccia, vorrei risorgesse come una fenice dalle proprie ceneri. Vorrei che Gotham potesse essere luminosa come Metropolis.”
“Metropolis è la nemesi di Gotham, sono l'una lo specchio dell'altra. Tieni, questo è il mio biglietto da visita. Vorrei farti conoscere una persona che potrebbe aiutarti a realizzare i tuoi desideri. Sei libero il week-end dopo capodanno?”
“Si, non ci sono problemi signor Wayne.”
Fu così che le strade di Bruce Wayne, Frank Anthony Thomas Iero e Jamia Nestor si intrecciarono, il ventitré dicembre duemilaquaranta.


Erano trascorsi cinque anni da allora, da quando Frank aveva preso la decisione di diventare la spalla di Batman vestendo i panni di Robin dopo Tim – l’ennesimo a finire nella cerchia della maledizione che Joker sembrava aver scagliato contro il nome di Robin –, e dopo aver deciso di costruire qualcosa di serio con Jamia. Lei era sempre stata attenta alle esigenze di Frank, comprensiva sino all'eccesso e forse aveva persino intuito che dietro gli appuntamenti saltati, le notti passate ad attenderlo, le telefonate a vuoto, si celasse la maschera dell'uomo in rosso.
Eppure non aveva mai chiesto nulla, si era limitata a sbattere in carcere i mafiosi e i landruncoli che erano i satelliti periferici della famiglia di Cobblebot, senza riuscire ad arrivare ad avere sufficienti prove per mettere a tacere il capo della malavita organizzata di Gotham City. Il ventiquattro dicembre duemilaquarantacinque, Frank Iero aveva deciso che Robin poteva continuare a vivere la sua doppia vita, ma quella alla luce del giorno doveva essere al fianco di Jamia.
Ogni giorno, fino alla morte.
Il telefono aveva squillato, e vedere il numero di Mikey lampeggiare sul display l'aveva costretto a fare i conti con il freddo di dicembre e il grigiore della nebbia che aveva avvolto Gotham City.
“Ciao Mikey, che succede? Altre crisi artistiche di Gee? Guarda che questa volta la scaletta non la cambiamo prima di salire sul palco, chiaro? Non può continuare in eterno a fare la prima donna. Non può, fine.”
“Frank, Gee proprio non si trova. Non risponde al cellulare e nemmeno a casa. Lo stiamo aspettando al Rouge da più di un'ora. Ray è andato a vedere a casa sua se riesce a trovarlo, appena sappiamo qualcosa ti teniamo aggiornato. Mi dispiace disturbarti proprio ora ma... se riesci, cerchi di contattarlo anche tu?”
“Va bene, ma sono certo che uscirà fuori da qualche parte. Starà facendo training per la serata in qualche area isolata di Gotham, come suo solito. Prima o poi dovrà fare i conti con qualche pazzo dei bassifondi.”
“Grazie Frank. E buona fortuna.”
“Ecco, ora come minimo Jamia mi dice che vuole mollarmi... non lo sai che porta sfiga, Mikey?”
“Andrà benone, siete fatti l'uno per l'altra. A dopo amico.”
Aveva riagganciato, e Frank aveva proseguito lungo il marciapiede sino a raggiungere il grattacielo in cui viveva Jamia. Si era fatto lasciare dal taxi un paio di isolati prima, giusto per scaricare la tensione, organizzare le idee e ripassare il discorso che voleva farle.
Che poi sarebbe bastata una sola frase, dopotutto.
Aveva citofonato un paio di volte, senza ottenere risposta, così si era deciso a salire ed attenderla direttamente in casa, dato che aveva una copia delle chiavi.
Aveva girato la chiave nella toppa della serratura, e quando la porta si era aperta aveva trovato l'appartamento immerso nel buio.
Completamente immerso nell'oscurità, inghiottito totalmente dal nero di Gotham.
Dov'era Jamia?
La risposta era semplice, così semplice da averlo lasciato senza uno straccio di parola che potesse uscire, solo un suono gutturale morto in gola.
Quando aveva acceso la luce infatti, la stanza era perfettamente in ordine, fatto salvo per un unico dettaglio: al centro della stanza, sul pavimento, c'era disegnato il ghigno beffardo di Joker.
Il telefono aveva iniziato squillato ripetutamente, sino a riportare Frank alla realtà in modo brusco.
Si era fatto coraggio e aveva sollevato la cornetta del telefono, indeciso se quella fosse la cosa giusta o meno da fare.
“Pronto?”
“Ciao tesoruccio, come te la passi? La tua bella non sta zitta un attimo sai? Questa troietta non fa altro che parlare, proprio come in tribunale... e sai, a noi non piacciono le ficcanaso come lei. E visto che tu, lei e l'uomo pipistrello siete sempre tra i piedi, abbiamo pensato di farci un regalo di Natale. Se la vuoi riprendere, puoi fare un salto agli stabilimenti dell’ Acme U.S.”
“Quelli al porto?”
“Quelli abbandonati, al porto. Sarà una festicciola di Natale intima, tra me, te e qualche altro amico. Se vuoi portare anche l'uomo pipistrello fai pure, non è un problema. Il regalo però sarà solo tuo.”
Aveva sentito Jamia gridare, e un colpo di pistola perforare l'aria.
“Ti avevo detto che non volevo più sentire la sua voce, razza di idiota. Tranquillo tesoruccio, lei è ancora viva. Ti aspetto tra... un'ora diciamo. A dopo.”
Come ipnotizzato, impossibilitato a parlare o a pensare a qualsiasi cosa, Frank si era dovuto imporre di non gridare, di non iniziare a distruggere tutto quello che si trovava nella stanza per rigettare un poco di quel dolore acuto che gli divorava il cuore nel petto. Avanti di quel passo non avrebbe assolutamente avuto nulla che pompava sangue, se non la rabbia e l'odio.
Doveva chiamare Bruce?
Era una questione tra lui e Joker, ma prima di tutto c'era una cosa che non capiva: come aveva fatto il clown a sapere che Frank Iero e Robin erano la stessa persona?
Il cellulare stava squillando, e quel maledetto affare sembrava pesare come un macigno.
“Pronto?”
Non aveva nemmeno fatto caso al numero del mittente.
“Frankie?”
“Si?”
“C'è qualcosa di strano nell'appartamento di Gee...”
Aveva deglutito, e non era nemmeno certo di essere sicuro di voler sapere cosa volesse dirgli Ray.
“Frankie, ci sei ancora?”
“Eh? Si, certo.”
“Gee... Gerard stava dipingendo un ritratto del Joker. Ci sono i colori aperti ancora freschi sulla tavolozza... Cristo, è la cosa più inquietante che abbia mai visto e...”
“Okay, chiudi tutto e torna al Rouge. E contatta la polizia, anche.”
“Frank... che cazzo succede?”
“E lo chiedi a me?”
Cazzo.
Cazzo.
Cazzo.
Quel figlio di puttana del clown stava giocando la sua partita più spettacolare, e la cosa che più lo spaventava era che, con lui, non avrebbe mai saputo dove sbattere la testa.
Era in balia del terrore più puro, della follia più sinistra.
E non poteva permettersi nemmeno di gridare, pensare, piangere ma solo correre da Bruce, trasformarsi in Robin e poi correre a riprendersi le cose più importanti della sua vita.


Non aveva fatto fatica a trovare il distretto di capannoni abbandonati dell'Acme, e il fetore di marcio che saliva dall'acqua stagnante nella zona tossica della baia di Gotham gli dava quasi un senso di vertigine.
Si era diretto al portone principale dello stabilimento, sollevando da terra la carta di un mazzo da poker in cui il Joker rideva ironico: indiscutibilmente, il capannone giusto era quello.
Immerso nel buio, avanzava a passi incerti, il suono dei suoi passi che riecheggiava come un'eco sinistra e angosciante, un tichettio fastidioso che scandiva il tempo dell'agonia.
“Benvenuto tesoruccio, come te la passi?”
“Dove sono?”
“Accidenti, non ti va nemmeno di fare quattro chiacchiere? Che scortesia da parte tua. Sei più socievole quando non si tratta dei tuoi amichetti vero?”
“Come hai fatto a scoprirlo?”
“Magia. Vero J.J.?”
A Frank era salito il cuore in gola, uno scalpiccio violento che aveva rischiato di fargli sputare fuori bile e sangue, persino.
Tim Drake - il suo predecessore – era comparso dinnanzi a lui con una velocità incredibile, e gli aveva assestato un calcio allo stomaco che l'aveva schiacciato a terra, piegato dal dolore.
“J.J. non essere scortese... il nostro ospite ha accettato il nostro invito, dovremmo essere... ospitali? Giusto Robin?”
“Fottiti Joker... voglio vederli. Che cosa vuoi da me?”
“Oh, sai che io amo divertirmi no? Ecco si... pensavo... o meglio, abbiamo pensato, J.J. ed io... perché non divertirci un po' con Robin? Il pipistrello è noioso, sempre così freddo... insomma, è difficile toccarlo sul vivo. Invece tu sei così focoso, passionale. Ecco, siete un po' il colore che avete addosso. Si. E ci siamo detti. Per scuotere un po' il pipistrello e farlo ballare bisogna prendergli il moccioso. E per prendere te dovevamo prendere i tuoi due tesorucci. Guardali... non sono assolutamente splendidi?”
Due enormi fari si erano accesi abbagliandolo. Ai due lati del Joker si trovavano Jamia e Gerard, e Frank non aveva potuto far altro che gridare e gridare, sino a quando non era certo le corde vocali gli si fossero strappate.
Gerard era riverso in una pozza di sangue, supino.
I capelli corvini erano un'unica maschera scintillante di sangue e seta, le dita livide protese in avanti come un accattone che chiede l'elemosina e Jamia... Cristo.
Lei era legata mani e piedi a una ruota da fachiro del circo, gli occhi sgranati e tenuti aperti da spilli che le erano stati innestati sulla parte inferiore degli occhi, impedendole così di chiuderli.
E non poteva nemmeno piangere, Jamia.
Non poteva nemmeno parlare, perché le avevano chiuso la bocca con dell'orrendo scotch nero.
“Tu sei un fottuto assassino, un pazzo. Che cazzo ci fai fuori da Arkham?”
“Be', tesoruccio, il problema è che ad Arkham non c'era poi molto da fare, per questo ce ne siamo andati. J.J. fai girare, su. Vogliamo mostrare lo spettacolo del nostro circo?”
Joker aveva riso, avvicinandosi a passo rapido verso Frank mentre J.J. aveva preso a far girare la ruota su cui era legata Jamia.
“Lasciala andare, brutto figlio di puttana.”
Si era sollevato in piedi e aveva cercato di colpire Joker, ma ancora frastornato dai colpi di Tim Drake era caduto di nuovo a terra sotto i calci del clown che continuavano a conficcarsi nel suo costato grazie alle punte delle scarpe laccate di bianco e nero.
“Vedi Robin... questo è quello che si fa quando ci si annoia. Guarda un po'.”
Gli aveva sollevato il viso da terra tirandogli i capelli, costringendolo a guardare gli occhi di Jamia sanguinare, il suo tentativo disperato di gridare che si perdeva nei movimenti di una farfalla impigliata nella tela di un ragno.
“Lasciala andare, ti prego...”
“Ah, che schifo! Implori persino? Che razza di Robin sei, tu? Tim prima di implorare pietà era arrivato al limite estremo, lui si è persino fatto marchiare a fuoco sulla schiena il mio smagliante sorriso... non è un atto di assoluta devozione al suo paparino quello? J.J., vai dall'altro.”
Tim si era avvicinato a Gerard e tutto quello che aveva fatto era stato sollevare il suo viso, strattonandolo per i capelli.
Il viso di Gerard era una maschera di sangue, e Frank era stato costretto a focalizzare i dettagli per scorgere – oltre alle iridi dilatate e le dita rotte e le unghie strappate – il punto focale da cui colava quel sangue.
Il suo sorriso.
Quello stronzo di Joker aveva aperto sul viso di Gerard il suo sorriso da clown, impresso in maniera indelebile le stesse cicatrici che lui possedeva.
“Gee... Gerard! Mi senti?”
“Certo che ti sente, tesoruccio. Però sai... è un po' arrabbiato con te. Sei rimasto dalla tua fidanzata anziché andare subito a casa sua. Se fossi andato là, non si sarebbe fatto quelle brutte ferite... anzi, a essere sinceri le avrebbe avute comunque. E' un capolavoro, vero? Identico al dipinto... un autoritratto proprio perfetto. Persino nel sangue.”
Le parole di Joker gli arrivavano distanti, ma era quell'associazione mentale a farlo inorridire ulteriormente. Dove la poteva trovare la forza per reagire?
Stava morendo dentro, che senso aveva vivere con quelle ferite sul cuore?
Con quelle immagini dell'orrore davanti agli occhi, marchiate sulla pelle e sulla retina dei propri occhi?
“Facciamo così... dopo tutto, a Natale siamo tutti più buoni, no? Scegli. Puoi scegliere chi vuoi sia libero. Ma te ne puoi portare via solo uno. E bada bene... tu dovrai restare fermo qui, e loro arrivare da te. Un po' come Orfeo con Euridice. Se ti muovi per raccoglierli... zac. Muoiono. Tutti. E. Due.”
Ed aveva estratto una pistola dalla tasca del cappotto viola con la noncuranza con cui poteva prendere una scatola di mentine.
“Devi lasciarli andare entrambi, bastardo. Prendi me, uccidi me e Batman arriverà comunque.”
Un'enorme bugia.
Aveva cancellato il segnale della motocicletta dai monitor della Batcaverna, ed era impossibile identificare la sua posizione. Era l'unico modo per evitare che Bruce si mettesse in pericolo a causa sua.
Batman doveva sopravvivere, vivere anzi, perché Gotham potesse ritrovare la luce.
Di Robin ce n'erano stati e ce ne sarebbero stati molti altri dopo di lui, l'importante era proteggere Batman.
Perché prima o poi avrebbe purificato Gotham, l'aveva imparato in quei cinque anni che anche il nero può diventare bianco.
“Non sai decidere, Robin?”
“Io... come cazzo faccio a decidere? Non puoi chiedermi questo... prendi me, ti ho detto.”
“Dovresti guardarti dentro, Robin. Guardare a chi tieni di più. Se hai davanti un amico e la tua ragazza, dovrai pur amare l’uno piuttosto dell’altro, no? Oppure sono persone dalla stessa disperata importanza? Suvvia, non mi dirai che non sai realmente scegliere… è così semplice la risposta! Chi sceglieresti tu, J.J.? La ragazza è molto carina, vero… troppo ciarliera, ma carina. Hai degli ottimi gusti, Robin.”
“Vaffanculo. Lasciali liberi entrambi. Batman non arriverà mai per loro.”
“Tu rimandi Robin, perché non sai scegliere. Tentenni come un acchiappasogni al vento… in poche parole sei un codardo. Visto che non sai decidere ti do una mano. Due Facce, amico, hai un attimo di tempo per noi comuni mortali?”
Il dollaro d'argento aveva luccicato sotto le luci, prima di atterrare sulla mano di Harvey Dent.
“Si. Sei fortunato Joker. Che vuoi?”
“Chi salva il moccioso? Se ne può portare via uno soltanto...”
“Sei più buono anche tu a Natale?”
“Lo siamo tutti, Due Facce.”
“Testa esce la ragazza. Croce esce il ragazzo.”
Frank era pietrificato, costretto da un terrore che gli aveva annichilito i sensi, a fissare inerme il volto sfigurato di Gerard non osando guardare Jamia stretta in una morsa di pura disperazione.
Lui non era un supereroe, era un uomo inerme dinnanzi alla morte.
Alla follia lapidaria, della morte.
Il dollaro d'argento aveva scintillato di nuovo nell'aria, poi si era accasciato nel palmo della mano di Dent.
“Testa.”
“No... no! Datemi anche Gerard, datemi anche Gee!”
“Non hai deciso, abbiamo deciso noi per te tesoruccio. J.J. taglia le corde.”
Tim aveva tagliato con un coltello le corde che tenevano legata Jamia, e lei era caduta a peso morto a terra, inerme.
“Cosa... cosa le hai fatto?”
“Parlava troppo... e si dimenava come un'anguilla. Dovevamo riuscire a tenerla ferma... qualche taglietto di qua qualche taglietto di là. Nulla di serio, non ha perso tanto sangue sai?”
Jamia l'aveva guardato con gli occhi sgranati dal terrore e dall'imposizione degli aghi, pupille dilatate che con ogni probabilità non lo riuscivano nemmeno a vedere.
“Jamia... sono qui.”
Aveva lanciato un'occhiata a Gerard prima di concentrarsi sulla figura che aveva davanti.
“Non un passo tesoruccio o sei fuori dai giochi.”
“Jamia?”
Lei non poteva ancora parlare e Frank non riusciva a capire perché non si staccasse dalla bocca lo scotch che glielo impediva, poi aveva compreso con un orrore carico di disperazione.
Lentamente, con la forza di volontà che non l'aveva mai lasciata sin da quando era una bambina, Jamia aveva iniziato a strisciare sui gomiti portandosi dietro le gambe inermi.
“Oh Cristo.”
Il dollaro aveva scintillato, cadendo a terra con un tintinnio sinistro.
“Il ragazzo resta con noi.”
“Hai fatto tutto tu, Due Facce. Vuoi il ragazzo? Per me un figlio è già sufficiente. I giovani d’oggi sono così irrequieti.”
Joker aveva preso a fischiettare un motivetto allegro, tornando a fissare Iero.
“Potrebbe essere un'idea.”
Di nuovo il tintinnio del dollaro caduto a terra.
“Resta. Ma non voglio il tuo sorriso idiota sempre intorno, Joker.”
“Cancellalo. Sai come fare, no? Fatti aiutare da J.J.”
Tim aveva sollevato Gerard dal collo della maglietta, cercando di farlo camminare verso l’esterno del capannone abbandonato.
“Mentre aspetti che la tua amichetta arrivi, noi battezziamo il tuo amichetto. Due Facce ha bisogno di compagnia, dopo tutto. A stare soli ci si annoia. Persino Batman ha bisogno di un compagno. Siamo così soli noi esseri umani, che sentiamo l’impulso di avere qualcuno accanto, anche solo per una mezz’ora al giorno.”
Gerard gli aveva lanciato un’occhiata disperata, una rassegnata richiesta di aiuto che non poteva raccogliere e, quando aveva chinato il capo in segno di scusa, Gerard aveva lanciato un grido straziante verso il cielo muto.
Un altro grido – di puro dolore, gutturale e profondo – era giunto dall’esterno, qualche istante più tardi.
Quando Gerard era rientrato sulle proprie gambe nello stabile, era caduto a terra sulla soglia, fissando Frank con il volto deturpato dalle acque inquinate della baia.
Continuava a fissare Frank, non riusciva nemmeno a parlare, ma lui aveva compreso che Gerard Way era morto, morto per sempre.
Per colpa della sua indecisione, Gerard non sarebbe mai più tornato tra i vivi.
Cosa avrebbe detto a Mikey?
Che Gerard non era mai stato ritrovato dalla polizia?
Cazzate.
Che balle poteva raccontare al proprio cuore?
Jamia era riuscita ad arrivare sino a lui, senza avere la possibilità di sfiorarlo, i polsi inermi a causa dei tendini recisi.
“Ora possiamo andare?”
“Certo, e augura un buon Natale all’uomo pipistrello. Ormai è la mezzanotte della vigilia.”
Frank si era sollevato in piedi, guardingo, e aveva preso Jamia tra le braccia sollevandola per portarla lontana da quell’inferno.
“Ora andiamo in ospedale Jamy, te lo giuro.”
Le aveva staccato lo scotch dalla bocca, permettendole così di tornare a parlare.
“Ci sono io ora, Jamy.”
Era costretto a passare accanto a Gerard, Due Facce che gli stava accanto dall’altro lato.
“Ti porto via, Gee.”
Lo fissava con lo sguardo carico d’odio, senza poter parlare.
“Puoi portarlo via, potresti farlo. Lo farai?”
Due Facce aveva lanciato in aria quel suo dollaro d’argento maledetto, quel giudice imparziale privo di sentimenti.
Frank si era fermato accanto a Gerard, Jamia tra le braccia.
“Vieni con noi, possiamo andarcene. Giuro che ti difenderò.”
Non lo farai, diceva lo sguardo di Gerard.
“Fidati di me, Gee.”
Il dollaro aveva fatto il suo volo per ricadere ancora una volta nelle mani di Due Facce.
“Non lo porti con te. Non farai nulla per portarlo via.”
“Lui deve scegliere. Può scegliere se fidarsi ancora di me o schierarsi dalla vostra parte. Ognuno a Gotham City è costretto a prendere parte alla guerra prima o poi. Saremo costretti tutti a fare i conti con noi stessi, anche io. Ma io sono un uomo, come Gee. Come te, Dent. Come Joker. Come Batman. Ognuno di noi sbaglierà, vincerà e perderà. Dipenderà solo dalla posta in gioco in essere, il grado di sofferenza da pagare. Ma non ci sarà mai felicità per noi a Gotham City. Cosa farai con tuo fratello Gee? Pensa anche a lui, prima di fare la tua scelta.”
Dentro si era rotto qualcosa, si era spezzato in modo definitivo per non fare più ritorno.
Addio giovinezza, Frankie.


“Come sta Jamia?”
“I medici dicono che le hanno fatto ingoiare una sostanza simile all’acido, non si spiegano cosa sia. Pare che non possa mai più parlare, però.”
“Mi dispiace Frank, è colpa mia.”
“Sai Bruce, ho compreso una cosa: per fare quello che facciamo, dobbiamo essere soli. Soli, e allora porteremo un po’ di luce. Altrimenti il risultato è che trasformiamo il bianco in un nero senza fine, colloso come pece. Un nero che non ti lavi mai più via di dosso.”
“Tu credi di essere bianco?”
“Io sono grigio, non sono bianco. Le persone candide che conoscevo non esistono più. E per colpa mia.”
“Cosa pensi di fare con Jamia?”
“Non vede, non sente, non può muoversi. Se io sparisco, lei sarà comunque al sicuro.”
“Non credi sia da codardi?”
“Voglio sposarla Bruce, la porterei all’altare domani stesso. Ma come posso tornare a vestire i panni di Robin? Continuerò ad essere al tuo fianco. Porterò indietro Gerard. E solo allora tornerò da Jamia e se mi vorrà di nuovo, le chiederò di sposarmi.”
“Grazie.”
Bruce gli aveva dato una leggera pacca sulla spalla lasciandolo solo nella sala d’attesa dell’ospedale di Gotham City.
La notte del ventiquattro dicembre duemilaquarantacinque era morto Frank Anthony Thomas Iero,
Era morto Gerard Arthur Way ed era nato Double Soul.
Era morta Jamia Nestor ed era rimasta solo un’inerme bambola.
Muta. Mutilata nell’animo e nel corpo. Immobile. Quasi cieca.
Solo gli occhi, quelli, continuavano a parlare e perdonarlo.
Sino a quando non sarebbe ritornato, perché lei sapeva: Frank Iero non raccontava mai bugie.







Note dell'autrice. E' difficile gestire storie che si svolgono nell'universo dei supereroi Marvel a causa della pluralità delle linee temporali che le singole serie prendono, intrecciandosi tra loro e al contempo discostandosi dalle precedenti. Per scrivere questa storia, quindi, mi sono permessa di estrapolare le parti più interessanti delle singole linee temporali, ambientando la storia sostanzialmente nell'attuale linea temporale di Batman, salvo per alcuni dettagli che potrete trovare qui di seguito elencati, legati soprattutto alla figura di Robin.
La storia segue la linea temporale fumettistica della serie di Batman, collocata in un ipotetico universo X Marvel, e non prende spunto dai film tratti dalla serie stessa. Alcuni cenni sulla serie a fumetti americana per chi non la conoscesse.
Metropolis è la città della luce e della tecnologia, la controparte ”luminosa” di Gotham City.
Harvey Dent, procuratore distrettuale, viene sfigurato durante un processo al boss della famiglia Falcone – detto Il Romano – che gli lancia una fiala di acido sul volto. Dent, che durante quel processo aveva utilizzato come prova una moneta, diventerà Due Facce, e utilizzerà solo due strade per fare le proprie scelte: Si o No, in cui il lancio della moneta ne è il giudice imparziale.
Dopo la cattura del boss Falcone, la malavita organizzata di Gotham City è in mano a Oswald Cobblebot, all'epoca Pinguino.
Dopo il pensionamento di Gordon, la sezione Grandi Crimini della polizia di Gotham City cerca di ridurre al minimo gli interventi di Batman e degli altri rent.
L'aiutante di Batman, Robin, è stato la vittima preferita dei nemici di Batman.
Dick Grayson fu il primo Robin, e divenne successivamente leader dei Teen Titans.
Jason Todd, secondo Robin, venne ucciso da Joker
Tim Drake, il terzo Robin, nella serie a cartoni animati di Batman, venne torturato da Joker che lo portò alla follia trasformandolo nel proprio figlio adottivo, chiamandolo J.J (Joker Junior).

Note 2: Ultima storia natalizia dell'anno, a ridosso dell'Epifania, scritta per il contest "12 mesi di fedeltà" indetto da Nai sul forum di EFP. La storia è un crossover con l'universo DC Comics di Batman. L'immagine dell'avatar è stata scannerizzata dalla sottoscritta dal photobook My Chemical Romance di Seamus Craic. E ringrazio Nai per avermi dato finalmente l'opportunità di scrivere questa storia che mi frulla in testa da... un anno, forse!
   
 
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