Il
volo della
colomba
In
un luogo dimenticato dal mondo, dove sofferenza e disperazione si
schiacciavano una sull’altra ed esplodevano ad ogni angolo
con un boato
terrorizzante, migliaia di uomini uccidevano e morivano.
Il
cielo era scuro, la polvere da sparo nascondeva il sole e la terra
macchiata dal sangue del peccato. Pallottole che volavano in aria
veloci come
missili squarciavano l’atmosfera tetra e in ombra, rendendola
ancora più
agghiacciante.
Si
potrebbe dire che il silenzio avvolgeva ogni corpo senza vita,
rinchiudendolo in una sacra cupola di vetro e lasciandolo alla pace.
Alcuni
singhiozzi erano pronti a far sussultare i petti dei soldati
feriti. Li sentivano in gola, quei singhiozzi, ma nessuno aveva il
coraggio di
lasciarli uscire e correre, insieme alle lacrime che si sarebbero
riversate
sulle loro guance non appena avessero avuto il via.
Nascosti
dietro ad alcuni massi, piccoli uomini –poco più
che
ragazzini-, osservavano l’inferno che si faceva strada fino
ai loro occhi
straripanti di disgusto. Fucili alle mani, ancora così
inesperte e
tremanti, caschetti ben calati sulle tempie e una morsa al cuore. Una
morsa così
stretta che
toglieva il fiato e faceva loro male. Perché loro avevano
paura, quel brivido
che ti arriva fino alle ossa e ti scuote tutto, facendoti ballare il
cervello
da una parte all’altra e lasciandoti –ormai non
più lucido- in balìa
del panico più
totale, che ti risucchia nel profondo.
Carri
armati che si spingevano nel cuore della battaglia e giovani
destinati a cadere a terra, come foglie secche spazzate dal vento
autunnale,
facevano parte di un’unica, grande guerra.
La
guerra, alleata più fedele della morte stessa, che non
guardava in
faccia a nessuno. Con un soffio era capace di lacerare, dentro e fuori,
quei
combattenti tanto orgogliosi del loro Paese, così
pronti a far scoccare le loro frecce, ad infuocare tutto ciò
che li avesse ostacolati, a sparare.
Elizabeth,
Gabrielle, Dana, Iolanda, Celine, Tania, Marie, Louise…
Ultimi
pensieri, ultimi nomi, ultimi amori, cuori infranti e volti
sbiaditi dalla lontananza, dal tempo.
Ed
era tutto così
lontano
dalla loro portata. Avrebbero
potuto correre per miglia e miglia, quei soldati imbalsamati dal
terrore, senza
trovare anima viva. Perché erano in trappola, rinchiusi
dalle loro stesse menti
in corpi stanchi, rinchiusi in un luogo senza tempo né nome,
dove morire era
giusto e inevitabile, dove combattere era l’unica ragione per
non andarsene.
Dove non contava la razionalità e un’unica parola
era incisa nelle menti dei
guerrieri:
sopravvivere.
Una
guerra ingiusta e terribile, dalle lame taglienti e dal destino
imprevedibile. Una battaglia all’ultimo sangue, dove il
più forte vinceva. La
legge della vita. Il debole cadeva, il forte andava avanti.
Nello
stesso istante di un tempo imprecisato, in quel mondo
spaventoso, isolato da tutto e tutti da un margine terroso, nel cielo
scuro e
pieno di polvere una colomba passò.
Era bianca, pura, piena di coraggio. Le ali spiegate e splendenti,
gli occhi neri e lucidi come due ciottoli bagnati e il becco argentato,
nel
quale riposavano legnetti secchi.
Ogni
singolo sguardo di quelle migliaia di uomini dal cuore freddo si
levò
verso il cielo a seguire il volo di quel dono del
firmamento e per un minuto o due i combattimenti cessarono. Alcune
preghiere si
legavano a quel simbolo di pace, le speranze tornavano piano piano,
facendo
capolino nelle menti accecate dall’odio.
L’ombra
del tragitto del volatile candido ed estraneo si srotolava a
terra, come un soffice tappeto di velluto rosso e carezzava ogni corpo
abbandonato da Dio.
Un
applauso, dapprima lieve e quasi inudibile, fino a trasformarsi in
un grandioso segno di gratitudine, si alzò
verso l’alto, ad onorare quel segno pacifico e pieno di gioia.
Un
applauso diverso da quelli che ognuno di loro avesse mai udito. Un
battere di mani inconsapevole e quasi folle, ma che li univa e
–per un minuto o
due- li faceva assomigliare tutti, vincenti e vinti. Li abbracciava,
estrapolandoli per pochi attimi dalla battaglia, ora assomigliante
più ad un
grande festone.
Un
unico battere di mani; mille e più battiti di cuori
malinconici
tornati alla vita; il battere d’ali di una colomba che si
allontanava,
superando le barriere invisibili e crude della distruzione, unica
stella
bianca, un puntino sul velo nero della disperazione. Una colomba
bianca,
complice della pace.